Origine e storia del carme "Dei Sepolcri" di Ugo Foscolo

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Origine e storia del carme “Dei Sepolcri” di Ugo Foscolo

Il poeta di Zante pone mano al carme dei Sepolcri in quel triennio 1804-1806 trascorso dal poeta in Francia nel quale da un lato si svolge una particolare situazione storico- politica, dall’altro Foscolo matura delle convinzioni poetiche.
I contenuti dell’uno e dell’altro vanno tenuti presenti per comprendere la genesi del carme. Per la situazione storico- politica, dopo la vittoria del 1805 ad Austerlitz di Napoleone, il regime si era consolidato, col potenziamento di tutto l’apparato culturale che ruotava attorno a Napoleone. Si faceva più forte l’illusione italiana di combattere per la libertà d’Italia sotto il protettorato francese.
Ma Foscolo non s’era illuso, aveva già inteso le brame egemoniche di Napoleone, e voleva combatterle, conscio che un’opposizione sterile non avrebbe portato ad alcun risultato.
Foscolo maturò una sua concezione di poeta- vate: se da un lato costui deve essere il riferimento di un’intera comunità, calato nel suo tempo, dall’altro deve proiettare i valori della sua epoca in quelle forme perenni di un’idea universale, quei valori che partono da un momento storico ma che si riferiscono ad una dimensione meta- temporale.
Se meditiamo su ciò, capiamo come il suo classicismo sia oltre la storia, metà dentro e metà fuori. Ci sono scritti che lo testimoniano: un’operetta su Lucrezio “Della poesia, dei tempi, della religione di Lucrezio”, il quarto discorso introduttivo alla “Chioma di Berenice”, in cui Foscolo svolge tale programma.
(Si ricordi anche che traduce il “Viaggio sentimentale” di Sterne, che scrive il “Sermone” e che s'impegna a costruire quell’opera chiamata “Alceo” che doveva narrare la storia della letteratura italiana dall’Impero Romano ai suoi giorni).
Mancava però l’opera che testimoniasse la nascita di questa nuova figura di poeta. Questa creazione in cui la potenza foscoliana è alla massima espressione si chiama “Epistola in versi sciolti dei sepolcri”.
Nel 1804 Napoleone promulgò l’Editto di Saint Cloud, nell’anno in cui Foscolo si trovava in Francia. Questo editto fissava, uniformava in un solo corpus tutte le leggi precedenti frammentate che riguardavano i cimiteri. Tornato in Italia, gli amici chiedevano a Foscolo un parere sugli effetti di questo editto in Francia. Foscolo lo espone in un passo epistolare scritto alla Contessa Teodochi Albrizzi, in cui accenna ad una questione sorta sulle tombe private. Egli ricorda come quel giorno si fosse divertito a fare il “filosofo- indifferente”, cioè giocasse il ruolo dell’intellettuale scettico, che non crede a prospettive cristiane e pone la vita umana come solo limite. Era presente anche Ippolito Pindemonte, che invece aveva prospettive escatologiche trascendenti. Conclude scrivendo, nella lettera alla contessa, di aver composto un poema in cui, pentito di quella sua posizione, vuole chiedere scusa ad Ippolito, che in quel momento stava scrivendo “I cimiteri”, un poemetto breve.
Questo editto è in ogni modo l’occasione per la composizione del carme.
L’Editto di Saint Cloud aveva due motivazioni: da una parte vi erano delle cause igienico- sanitarie, cui la nuova scienza aveva portato notevoli contributi. Stabiliva che le tombe dovevano essere portate fuori dalla città, in luoghi soleggiati ed arieggiati (la chimica aveva infatti dimostrato che nel Medio Evo l’usanza di seppellire i morti nelle chiese era stata causa di epidemie). Dall’altra vi era un motivo più ideologico- politico: se la Rivoluzione Francese aveva visto fallire il suo progetto di uguaglianza, si tentava allora di stabilire questo regime nel mondo dei morti. Si partiva dal fatto che i benestanti elevavano “cippi e marmorei monumenti” pieni di ostentato fasto e di inutile spettacolarità, mentre per i più poveri c’erano le fosse comuni. Per colmare questo gap si facevano costruire tombe tutte uguali, identiche, solo con nome, cognome e date.
Solo per morti illustri una commissione di magistrati decideva se comporre un epitaffio da scolpire sulla tomba. Una sorta di comunismo dell’aldilà.
Ma è solo un pretesto, quello storico, in quanto già da un po’ il sepolcro stava per divenire l’idea centrale di quella religione della vita e della morte che è l’aspetto esemplare del Foscolo.
Questo carme si collega ad un filone culturale- letterario che per comodità chiamiamo “sepolcrale”, che investe più aree geografiche.
Si tenga presente che già in Italia il ‘500 e il ‘600 letterari avevano dato esempi di poesia sepolcrale, ma è dalla metà del ‘700 che questo genere si diffonde. Si pensi ad Alessandro Verri che dopo la sua rivista “Il Caffè” compone delle prose notturne ambientate in una Roma archeologica, e si ricordi un suo romanzo “Saffo, poetessa di Mitilene”; si pensi poi a Giovio, e per la Francia ad André Chenier, per la Germania a Zacharia.
Ma questo genere s’impone soprattutto in Inghilterra con Blair, Jung, Gray ed è giusto pensare che Foscolo conoscesse i testi di questi autori, poiché li nomina definendone le differenze.
Il poema “Dei Sepolcri” esce nell’Aprile del 1807, ed è sommerso dalle critiche e dalla freddezza dei lettori. Vi fu un tentativo di stroncatura da parte di un critico francese di nome Ainé Guillon, che scrisse su “Il Giornale Italiano” del 22 Giugno 1807. Egli censurava quelli che per lui erano difetti della poesia: la disorganicità strutturale, l’oscurità espressiva; e vi fu uno come Chenier che gli rimproverò la troppa mitologia, non capendo che questo ricorrere al mito era proprio del poetare greco e latino: il moto come esempio ed aiuto alla morale.
Foscolo il 26 giugno rispose all’abate con una lettera, “A monsieur Guillon e alla sua incompetenza nel giudicare i poeti italiani”, nella quale spiegò le finalità dell’opera, ne svelo la difficoltà strutturale e aggiunse il riassunto delle parti del carme, e che formano il carme stesso.
Contestando le accuse mossegli da Guillon, Foscolo, se riconosce che il tema del sepolcro non è nuovo, aggiunge che è infinito il modo di combinare queste idee determinate insieme. Parla di presenza delle “transizioni”, che sono delle particelle che modificano la struttura del discorso e che vanno intercettate dal lettore. Scrive che la tessitura è tutta tramata di queste transizioni, che legano le diverse parti. Riconosce anche la difficoltà nel riconoscerle, definendosi autore che passa vi sulle idee intermedie e sviluppa quelle principali.
Quanto alla differenza con le poesia inglesi, si deve dire che queste sono due: la laicità e la politicità del carme di Foscolo, che scrive così: “Il poeta ha inteso rappresentare non la resurrezione dei corpi ma delle virtù, prendendo le distanze con la prospettiva cristiana degli inglesi”. Per la politicità, Foscolo scrive che era sua intenzione spronare gli italiani a seguire l’esempio delle nazioni che nel culto delle tombe ritrovano la loro tradizione, soprattutto nei loro eroi.
Capiamo comunque, se l’ispirazione è certo lirica, come il contenuto e lo scopo siano civili e patriottici.
Non tragga in inganno il termine “carme”, in verità l’opera foscoliana non è né un sermone né un poemetto, piuttosto (lo stesso Foscolo li chiama così) è un’epistola in versi sciolti, ed appartiene alla tradizione dei “poemi didattici”, in voga nel ‘500.

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