L. Pirandello: "Uno, nessuno, centomila"

Materie:Scheda libro
Categoria:Letteratura

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Data:14.11.2005
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Testo

L. Pirandello: “Uno, nessuno, centomila”

Il ventottenne Vitangelo Moscarda ha sempre pensato di essere un uomo senza difetti, fino a quando la moglie Dida, vedendolo indugiare davanti allo specchio, gli domanda se sta controllando da che parte gli pende il naso. E da quel difetto gli fa notare che le sopracciglia sembrano due accenti circonflessi, una delle orecchie sporge più dell’altra e la gamba destra è più arcuata del dovuto.
Moscarda comincia così a pensare che come sua moglie, i suoi amici e tutte le persone che gli stanno attorno vedono in lui tutti i difetti; parlando con un amico dell’argomento, gli fa notare che ha una fossetta sul mento non simmetrica e innesca così un meccanismo che porta moltissime persone di Richieri a specchiarsi in ogni vetrina per controllare le imperfezioni.
Moscarda realizza che “non è per gli altri quello che fino ad allora si era immaginato di essere”. Egli vuole essere solo, senza la moglie, ma soprattutto senza se stesso, per poter conoscere quel Vitangelo che solo gli altri possono veder vivere e che per lui è come un estraneo. Nella sua stanza, davanti allo specchio, egli vuole scoprire l’estraneo, non forzando le espressioni, ma rimanendo naturale: egli vede un corpo senza nome che attende che qualcuno se lo prenda per farne il suo Moscarda. Quel corpo è nessuno, ma è anche centomila, perché ognuno concepisce al realtà a suo modo, come interpreta le parole, che di per sé sono vuote, diversamente dagli altri.
Secondo Vitangelo, possiamo conoscere solo ciò a cui riusciamo a dare forma ed egli non accetta le forme che gli altri gli attribuiscono: egli infatti non si riconosce nella maschera di Gengè, creata da Dida, che lo considera ingenuo e mansueto e tantomeno non tollera quella che gli ha lasciato in eredità il padre banchiere che aveva fama di essere un usuraio. Egli decide allora di iniziare a distruggere proprio il Moscarda usuraio; si reca da un notaio per predisporre la donazione di una delle tante case di cui dispone, ma questi ha bisogno di alcuni documenti che si trovano nella banca del padre. Vitangelo, che aveva affidato la direzione della banca a Firbo e Quantorzo e non si era mai intromesso nei loro affari, per non destare sospetti, ordina ai due di sfrattare Marco di Dio e la sua famiglia perché non hanno mai pagato l’affitto. Durante lo sfratto, mentre la folla accusa Vitangelo di essere peggio di suo padre, un funzionario del notaio annuncia la donazione: il nuovo padrone di casa preso dalla gioia, gli salta addosso dicendogli che è un pazzo incurabile.
Moscarda ha così dimostrato che può non essere quello che gli altri lo credono, a costo però di essere preso per pazzo. Firbo infatti decide di farlo interdire perché il suo comportamento potrebbe far perdere credibilità alla banca.
Rientrato a casa, trova la moglie a confabulare con Quantorzo: durante la conversazione tra i tre, che per Moscarda sono in otto, visto che per se stesso non conta più, Dida lascia intendere di credere anch’ella che il marito sia impazzito. Il suo caro Gengè, però, stufo di quella insulsa maschera, la maltratta, inducendola così a decidere di andarsene. Il suocero di Moscarda tenta allora di farlo ragionare, chiedendogli cosa farà in futuro se distrugge la sua famiglia e tutte le certezze che gli ha lasciato il padre, ma alle risposte confuse e insensate del genero, si convince anch’egli della sua pazzia.
Saputa l’intenzione di Firbo di interdire Vitangelo, Anna Rosa, un’amica di Dida, decide di chiedere al vescovo di parlare al povero sciagurato per redimerlo. Quando incontra Moscarda al convento, però, le cade la borsetta dentro cui aveva una rivoltella: sfortunatamente parte uno sparo che la ferisce al piede.
Durante l’incontro con il Monsignore, Moscarda scorge dalla finestra un povero pazzo, nel quale poi si immedesima, che è andato sul tetto per provare l’ebbrezza del volo. Tuttavia non lo confessa al Monsignore, che accetta di aiutarlo se promette che tutti i suoi soldi saranno utilizzati per opere di carità.
Non avendo più nulla di cui occuparsi Vitangelo accontenta Anna Rosa, che gli chiede di accudirla durante la convalescenza. Ella è attratta dai discorsi dell’uomo, perché anch’ella è immersa nella solitudine, ma prova anche un senso di ribrezzo o di odio che la portano alla tragica decisione di uccidere Moscarda. Durante il processo, la donna confessa di aver sparato volontariamente per mettere fine alle sue considerazioni sulla vita, ma il giudice, è convinto che la donna si sia solamente difesa dall’aggressione di Moscarda e lo convince a sottoscrivere la sua versione.
Egli deve però dimostrare il suo pentimento fondando un ospizio per mendicanti, dove egli stesso viene ricoverato. Nella sua nuova dimora, che sorge in campagna, egli non vuole più guardarsi in uno specchio, perché ormai è guarito dalle sue ossessioni, rinunciando ad ogni identità e rifiutandosi di fissarsi in alcuna forma. Egli è ormai tagliato fuori dalla vita sociale della città e si identifica di volta in volta nella natura che lo circonda e che egli visita ogni mattina all’alba.

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