Il NeoRealismo, Beppe Fenoglio e I 23 Giorni della città di Alba

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Categoria:Letteratura

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Testo

IL NEOREALISMO
E’ un termine coniato in campo cinematografico. E’ un movimento innovativo di cui facevano parte registi famosi come Rossellini e De Sica. De Sica diresse “Ladri di Bicicletta”, mentre Rossellini il famoso “Roma città aperta” (Magnani), girato durante la smobilitazione dei nazisti e l’arrivo degli alleati a Roma, testimonianza della popolazione non + passiva ma che partecipa e manifesta la sua volontà. Questi 2 film documentano la storia recente, in bianco e nero, dando uno scorcio crudo di realtà. I registi appartenenti a questo movimento hanno la volontà di non filtrare la realtà, non addolcirla, né smussarla, e la presentano attraverso attori non professionisti, presi dalla strada, che recitano se stessi, proponendo la realtà.
In campo letterario, il neorealismo è un movimento che si è sviluppato tra gli italiani durante la resistenza e il dopo guerra, ed è composto prima di tutto da gente comune accomunata dal bisogno di raccontarsi attraverso Memoriali, Diari e Lettere. Essi sono spesso giovani scrittori (alcuni che parteciparono al Manifesto Fascista) che testimoniano con la loro storia un impegno storico e sociale doloroso anche attraverso uno stile molto simile al documentario.
Tra questi facevano parte:
CALVINO→ Era una antifascista convinto, faceva parte della Casa Einaudi (“Il sentiero dei nidi di ragno”).
PAVESE→ Egli non era proprio un Neorealista: si concentrò piuttosto su una dimensione mitica e simbolica.
VITTORINI→ Scrisse “Uomini e no”: ambientato a Milano durante la resistenza, utilizzando uno stile neorealista e simbolista.
FENOGLIO→ I 23 giorni della città di Alba.

BEPPE FENOGLIO(1922- 1963)
Giuseppe Fenoglio nacque ad Alba, in provincia di Cuneo, il 1 marzo 1922 e morì tra il 17 e il 18 febbraio 1963 di cancro ai bronchi, presso l’ospedale di Torino. Le sue numerose opere fanno parte di quella corrente letteraria che ha caratterizzato il secondo dopoguerra: i neorealismo Beppe Fenoglio sperimentò l’asprezza del vivere nella povera campagna langarola, la sua terra, il suo unico mondo che diventò poi la fonte d’ispirazione della sua produzione letteraria. Uomo timido, scontroso, di poche parole, naturalmente focalizzò la sua attenzione di scrittore sui temi della Resistenza e della vita nella campagna che conosceva.

I 23 GIORNI DELLA CITTA’ DI ALBA
Il tono con cui rievoca gli episodi della Resistenza di cui trattano sei dei dodici racconti che compongono la raccolta è infatti singolarmente ironico, distaccato, ben lontano da quello che avrebbero auspicato i dirigenti comunisti per un romanzo sulla Resistenza. Fenoglio rifiuta ogni enfatizzazione della lotta partigiana e dei suoi protagonisti, in cui non ci sono eroismo o particolare audacia, fermezza, coerenza. Ciò non significa tuttavia che lo scrittore derida l’identità del partigiano, la racconta invece attraverso la memoria della sua esperienza di lotta partigiana, che visse da giovane intellettuale trovatosi in un mondo non proprio, terribilmente e profondamente violento ed inumano. Ne risulta un quadro della Resistenza vivo, semplice ed espressivo ed allo stesso tempo un’indagine penetrante sulla violenza che Fenoglio arriva ad intendere come elemento essenziale e costitutivo della vita degli uomini e dei loro rapporti personali.
Tutto parte, appunto dal racconto della presa e della perdita della città di Alba e delle vicende che ad essa seguirono, per terminare nei sei racconti della seconda parte del libro che narrano invece dei momenti successivi alla fine della guerra partigiana, e descrivono il difficile reinserimento nella società per gli ex - partigiani e la vita dura e aspra della campagna langarola.
In primo piano sono sempre i fatti, nudi, semplici, raccontati con estremo realismo, senza indugi su descrizioni paesaggistiche o commenti da parte dell’autore sulle azioni dei personaggi: tutte le parole sono dosate per dare una esposizione il più possibile chiara ed essenziale dei fatti partigiani. La presenza dell’autore è nulla, se si eccettua l’ironia pungente con cui Beppe Fenoglio condisce le proprie storie, ironia che colpisce indistintamente tutti i personaggi dei racconti, che non sono appunto eroi “politici” della liberazione nazionale, o paladini della giustizia, ma uomini semplici, che hanno scelto la lotta non per profonde e sentite motivazioni ideologiche, o politiche appunto, ma per ragioni del tutto personali.
La loro è una guerra contro l’oppressione, contro i soprusi del regime fascista, è una guerra necessaria, per l’affermazione del valore della libertà, è una guerra imposta dai tempi, alla quale si deve partecipare, anche per affermare nella lotta il proprio coraggio ed il proprio essere uomini, o essere adulti, nel caso dei più giovani. Nessun c’è impegno, quindi, che non sia quello morale, un impegno tutto personale, individuale, e comunque assai confuso: nessuno dei partigiani di Fenoglio potrebbe spiegare con coerenza le ragioni della propria scelta della lotta armata.
E la confusione e il disorientamento dei combattenti della città di Alba si riscontrano anche nell’organizzazione stessa delle brigate e della guerriglia che viene molto spesso improvvisata. Anche i momenti comici non mancano affatto nel romanzo, anzi, ne costituiscono forse l’elemento più originale ed interessante, in quanto contribuiscono notevolmente alla costituzione di un quadro quanto più vero e reale della Resistenza. I partigiani di Fenoglio sono in fondo ragazzi semplici, che mescolano alle proprie azioni militari, interessi del tutto “terreni” per le ragazze e altro.
“I ventitre giorni della città di Alba” non si esaurisce tuttavia nella descrizione della lotta partigiana e nell’analisi dei suoi protagonisti, e delle loro motivazioni, ma risulta essere altresì un’indagine profonda sulla violenza e sul posto che essa occupa all’interno dell’animo umano. La violenza viene concepita da Fenoglio come una componente ineliminabile dell’uomo, che bisogna saper comprendere ed accettare. Essa conosce la sua brutale esplosione durante la guerra, periodo in cui si registrano dati estremi di crudeltà e dolore, in cui l’unica impellente necessità è l’eliminazione fisica dell’avversario, ma controlla e regola la vita e i rapporti umani anche durante i periodi di pace, durante i quali si fa sentire nella realtà difficile, dura, gravosa della miseria della vita quotidiana.

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