Il Naturalismo

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IL NATURALISMO

Il Naturalismo è un movimento culturale che si sviluppa nella Francia del secondo ‘800, grazie al rinnovato clima filosofico che ha la sua linea di forza nel positivismo di Comte. Il Positivismo postula un tipo di conoscenza che si interessa soltanto al positivo, ossia alla realtà, e respinge, perciò, ogni altra forma conoscitiva che rimandi a presupposti metafisici. Come si vede, il Positivismo segna il deciso superamento della filosofia idealistica e dei suoi connotati spiritualistici, ma, d’altronde, è profondamente mutato il clima economico-sociale. L’Europa del secondo ‘800, infatti, sta conoscendo in alcuni Paesi un forte sviluppo industriale accompagnato e favorito da un inarrestabile progresso delle scienze; tale progresso coinvolge sia le scienze della natura, sia le scienze umane, che, proprio ora, conoscono un balzo decisivo: dalla fisiologia (che studia le reazioni del corpo a stimoli esterni), alla sociologia (o fisica sociale) fondata dallo stesso Comte, alla psicologia, alla frenologia (studio del cervello), all’antropologia criminale, fondata dal torinese Cesare Lombroso, che studia le motivazioni che inducono alla delinquenza, alla devianza.
In sostanza, attraverso queste scienze umane, lo scienziato positivista vuole studiare l’uomo nella sua integrità, non solo, cioè, come macchina fisica, ma anche nei suoi risvolti sentimentali e passionali. Tutto ciò che per i Romantici era spinta irrazionale, ideale generoso, passione incontrollabile, diviene per gli scienziati indagabile nelle sue radici scientifiche e spiegabile nei suoi sviluppi; nulla, dunque, sfugge alla lente dello scienziato, che applica in modo rigido, il principio deterministico del nesso di causalità. Questa fiducia cieca nella scienza conobbe numerosi eccessi, tra cui celebre quello legato alla teoria di Lombroso, secondo il quale la tendenza a delinquere deriva da una particolare conformazione delle ossa del cranio.
In conclusione, assistiamo, con la scienza positivista, a una vera e propria naturalizzazione dell’io, nel senso che tutta la sostanza psichica e sentimentale dell’individuo viene ridotta a oggetto di studio rigoroso secondo i canoni della Scienza. Al romantico mito del poeta capace di cogliere in essi le analogie segrete tra le cose, si sostituisce, ora, il mito dello scienziato, che, insieme col medico e il maestro (colui che libera i bambini dalle tenebre dell’ignoranza), costituisce un personaggio che ritorna frequentemente nei racconti naturalistici dell’epoca.
Nel campo letterario il Naturalismo ebbe due grandi maestri nel critico Ippolito Taine e in Emile Zola.
Taine fissò i tre principi ai quali deve attenersi il narratore naturalistico (parliamo di narratore in quanto il Naturalismo conobbe, come generi letterari, solo il romanzo e la novella, perché questi sono i generi adatti ad una poetica che si rifà alla realtà concreta): Race (razza), Milieu (ambiente) e Moment (momento).
Race va inteso nel senso di ereditarietà, in quanto il narratore deve in primo luogo analizzare le tare ereditarie che gravano sul personaggio e che la fisiologia ha recentemente posto in luce. Ne è un esempio il dramma “Spettri” di Ibsen, in cui il giovane protagonista maschile, Osvaldo, cade in preda alla follia in conseguenza della vita libertina del padre che gli ha trasmesso una malattia che ha intaccato il suo cervello (il dramma termina con la famosa frase “Madre, dammi il sole”, a indicare lo stadio avanzato della follia).
I personaggi delle opere naturalistiche sono gravati da difetti fisici o psicologici trasmessi loro dagli antenati.
Per quanto riguarda il secondo principio, Milieu (ambiente) si può affermare che per i naturalisti l’ambiente condiziona fortemente i personaggi con le sue costrizioni morali e con pesanti condizionamenti economici.
Terzo elemento è il Moment, cioè il momento storico che per i naturalisti coincide con il presente. Scompare la moda dei romanzi storici; il narratore deve rispecchiare la realtà presente.
Emile Zola, nel suo saggio “Il romanzo sperimentale” definisce il letterato come una sorta di aiutante dello scienziato, in quanto egli deve rispettare rigorosamente le acquisizioni scientifiche, e descrivere la nascita e lo sviluppo delle passioni degli uomini. Viene, quindi, completamente eliminato il “caso”: tutto è causalità, non casualità. Viene completamente eliminata la “spinta irrazionale”, tutto ciò che per i romantici era slancio generoso, tutto quello che non era inquadrabile in principi scientifici.
Zola scrive un ciclo di romanzi, i “Rougons Macquart”, in cui mette sotto la lente il dipanarsi delle passioni umane a partire dai ceti più bassi, fino a salire verso le alte sfere. Compito dello scrittore, infatti, è quello di studiare l’uomo e le sue passioni nei diversi ceti sociali, anche se non c’è dubbio che i naturalisti francesi prediligono i ceti bassi, fino ad allora scartati dalla letteratura.
Nella prefazione al romanzo “Germinie Lacerteux”, i fratelli Goncourt scrivono la storia delle passioni di una serva, e scrivono di aver voluto verificare se le lacrime che si piangono in basso hanno gli stessi diritti delle lacrime che si piangono il alto. Dello stesso genere sono i romanzi di Zola: “Assommoir” (che significa bettola), ambientato, appunto, in una bettolaccia di Parigi, “Germinal”, che si svolge in una regione di minatori che scioperano per ottenere migliori condizioni di lavoro, “Nanà”, che si svolge nell’ambiente del teatro e delle cortigiane.
Per Zola, poi, è fondamentale l’impersonalità della narrazione: lo scrittore deve eclissarsi, per cedere il posto al sentire dei personaggi, al loro modo di vedere le cose, alla loro lingua. Zola, ad esempio, fa un ampio uso di espressioni gergali, più credibili in bocca a personaggi popolari; ma è stato notato che, nonostante il canone della impersonalità, si avverte ugualmente la presenza del narratore colto, che dà giudizi sul mondo rappresentato (questo costituisce una diversità rispetto al realismo di Balzac: il naturalista, infatti, si distingue dalla precedente cultura realistica di cui Balzac è un esponente, proprio perché Balzac non usava questa tecnica narrativa). Comunque, l’impersonalità è solo un requisito tecnico, perché lo scrittore non può non essere presente in ogni pagina della sua opera. Come scrisse Flaubert, “ lo scrittore è come Dio, perché è presente dappertutto, ma non è visibile da nessuna parte”. Il canone della impersonalità, inoltre, non impedisce al socialista Zola di far trapelare nella pagina i suoi umori politici; egli, anzi, afferma che gli scrittori hanno il compito di evidenziare le piaghe della società, affinché i politici intervengano con delle riforme per sanarle. In “Germinal”, ad esempio, Zola descrive un lungo sciopero di minatori che protestano per l’assenza di uscite di sicurezza dalle gallerie; lo sciopero fallisce, i padroni hanno vinto, ma per il progressista Zola, la sconfitta di oggi può essere il germe (germinal, appunto) della lotta vittoriosa di domani.
Il verismo italiano si sviluppa proprio per influenza di quello francese, che già si era fatto sentire nella poetica scapigliata. Ma sono parecchie le differenze, e i non pochi incontri tra Verga e Zola servirono più che altro a sancire la non uniformità delle due poetiche. Verga, ma ancor più Luigi Capuana, che fu il vero teorico del verismo, rifiutano in primo luogo l’identificazione fra “racconto” e “documento umano” come riduzione del racconto ad una “patologia delle passioni”. Se il naturalista francese appare come una sorta di studioso che mette sotto la lente le miserie umane di taluni ambienti sociali, il verista italiano avverte una maggiore simpatia umana verso i ceti popolari e condivide le loro pene.
Capuana e Verga non condividono la race, come, del resto, fanno tutti gli scrittori veristi italiani (per i francesi, invece, la race costituiva un aspetto cruciale delle loro opere). Condividono in pieno, invece, i temi del milieu e del moment, e soprattutto l’impersonalità narrativa alla quale, anzi, Verga ha dedicato una delle sue poche pagine di poetica, precisamente la prefazione alla novella “L’amante di Gramigna”. Vedremo in seguito la tecnica a cui ricorre Verga per mettere in atto tale impersonalità, che, in ogni caso, sarà in lui più integrale rispetto a Zola. Un deciso scarto fra naturalisti e veristi è poi nella concezione circa l’evoluzione della società: Zola è un socialista, coscienza civile della Francia che crede fermamente nel progresso dei ceti subalterni, mentre Verga è un proprietario terriero siciliano, conservatore per indole, e pessimista circa la possibilità di un cambiamento sociale. Il fatto è che Zola scrive in un Paese che sta conoscendo la seconda Rivoluzione Industriale, in cui gli operai si stanno organizzando in leghe e sindacati e cominciano a lottare per ribaltare la società: lo scrittore progressista, dunque, dà voce a una protesta che sale da basso (si pensi a “Germinal”). Il verista italiano, invece, viene quasi sempre dal mezzogiorno, dunque da una realtà ancora agricolo-pastorale (Verga e Capuana sono siciliani, Federico De Roberto e Matilde Serao sono di Napoli), da un mondo per sua natura legato alla tradizione, nel quale le ideologie votate al cambiamento (come quella socialista) si fanno strada con estrema difficoltà. Deriva da qui l’immobilismo del mondo verista italiano. Altro mondo diverso da quello, lo scrittore non sa intravederlo.

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