Glorious Revolution inglese

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Testo

La Glorious Revolution
Il clima di tensione in cui si svolsero gli ultimi ani di regno di Carlo II, sospettato di volgersi verso un modello di monarchia assolutista e di volere reinstaurare il cattolicesimo, si fece ancor più acuto dopo la sua morte e l’ascesa al trono di suo fratello, Giacomo II, fervente animatore del partito cattolico soprattutto dopo la promulgazione di una “Dichiarazione di Indulgenza” con la quale sospendeva di fatto una legge del Parlamento contro le sette indipendenti, cattolici compresi. Il gesto filocattolico ed assolutistico del re, unito alla nascita di un figlio, in seguito al secondo matrimonio del re con la principessa cattolica Isabella d’Este, e quindi alla prospettiva di una continuazione indefinita della monarchia filocattolica e della possibilità di una guerra civile, convinse entrambi i rami del Parlamento inglese (Tories, sostenitori della Corona e Whigs, sostenitori della superiorità parlamentare) a richiedere l’intervento del protestante Guglielmo III d’Orange, statholder d’Olanda e acerrimo nemico di Luigi XVI, invocato dal popolo inglese e dalla stessa chiesa ufficiale. Emblematicamente, il futuro sovrano portava scritto sulle proprie insegne: “per la libertà, per la religione protestante, per il parlamento. Guglielmo III sbarcò nel 1688 sul suolo inglese, costringendo Giacomo II alla resa ed alla fuga in Francia ed assunse, quale marito di Maria Stuart, figlia protestante di Guglielmo II il titolo di re d’Inghilterra, con il beneplacito del Parlamento. Significativamente, tra coloro che accompagnarono Guglielmo d’Orange nel trionfale viaggio dall’Olanda a Londra, c’era anche il filosofo John Locke, che nei suoi famosi “Two Treatises on Civil Government”, teorizzava in quegli stessi anni l’importanza e l’indiscussa superiorità dell’istituto parlamentare tra le diverse forme di governo democratico.
Bill of Rights
All’atto dell’ascesa al trono, Guglielmo III e sua moglie dovettero sottoscrivere una dichiarazione dei diritti, dettati dal Parlamento, con la quale accettavano precise limitazioni al potere regio a garanzia delle prerogative del Parlamento e della libertà dei sudditi. La suddetta dichiarazione venne poi tradotta in legge (Bill of Rights = legge dei diritti) nel 1689. Il testo legislativo conteneva l’elenco delle violazioni compiute dagli Stuart contro la legislazione e le prerogative del Parlamento, che venivano così condannate, e dettava norme su molte importanti questioni fra le quali: l’impossibilità del re di sospendere leggi parlamentari o dispensare chiunque dalla loro osservanza, l’illegalità di esazioni di denaro per la corona senza il consenso parlamentare, l’impossibilità di mantenere un esercito in tempo di pace senza l’autorizzazione del Parlamento, il diritto dei sudditi protestanti alla detenzione di armi per legittima difesa, la forma di libertà per le elezioni parlamentari, il diritto alla libertà di parola, di discussioni o di procedura in seno al Parlamento, criteri di amministrazione della giustizia quali la trasparenza nella scelta dei giudici, e limiti alla crudeltà e durezza delle pene. Con questo fondamentale atto legislativo, lo stato inglese si avviava verso una forma di monarchia costituzionale che si sarebbe poi trasformata progressivamente in una monarchia parlamentare, con un peso sempre maggiore del parlamento nella determinazione della politica nazionale.

Ruolo del parlamento dopo la morte di Guglielmo III e Maria Stuart
Alla morte dei regnanti, in assenza di eredi al trono la corona passò ad Anna Stuart nel 1702, ma il Parlamento, per evitare una dinastia cattolica, operò in modo che alla morte della sovrana la corona passasse al ramo protestante della casata, rappresentato dagli Hannover, originari del piccolo principato tedesco do tal nome, lontanamente imparentati con gli Stuart. Infatti, alla morte di Anna nel 1714 gli successe suo nipote Giorgio I di Hannover, un tedesco ignaro dei costumi e persino della lingua inglese.
Questa manovra da un’idea dell’influenza decisiva ormai esercitata dal parlamento sulla monarchia inglese. Il Parlamento era convocato regolarmente ogni tre anni, approvava annualmente il bilancio statale ed, anche se il re aveva il potere di veto nelle leggi approvate dall’assemblea e nominava i rappresentanti della camera dei lord e i ministri, controllava, di fatto, la vita politica della nazione, pur tra scandali, corruzione e contrasti tra i due rami dell’assemblea. I contrasti si acuirono in particolar modo subito dopo l’incoronazione di Giorgio I: gli Stuart contavano forti sostenitori tra i deputati dei tories, e Giorgio I non poté far altro che appoggiarsi al partito opposto, i whigs, di cui era capo lo statista Robert Walpole, che divenne, di fatto, il vero capo dell’Inghilterra tra il 1715 ed il 1743. Walpole, durante il suo lungo “regno”, consolidò il processo di rinnovamento capitalistico dell’economia inglese, maturando le condizioni che avrebbero portato la Gran Bretagna alle soglie della rivoluzione industriale.

Per ciò che concerne la questione della successione dinastica, nel 1745 il “giovane pretendente” Carlo Edoardo Stuart, diede vita alla rivolta dei giacobiti, partendo dalla Scozia fedele gli Stuart. Dal 1745 al 1746 la lotta si protrasse con alterna fortuna per il pretendente, sino alla sconfitta di Culloden Moor dove Guglielmo Augusto duca di Cumberland, figlio di Giorgio II, sterminò i rivoltosi, assicurando agli Hannover il trono inglese, tuttora retto dalla Regina Elisabetta II Hannover.
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