Dai prenioterici ai neoterici

Materie:Appunti
Categoria:Letteratura

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Testo

Il cinquantennio compreso fra il tribunato di Tiberio Gracco ( 134 a.C. ) e la morte di Silla ( 78 a.C. ) è stato caratterizzato da una serie d’eventi drammatici. Infatti, se la vittoria su Cartagine aveva posto fine all’ansia del confronto con la temibile rivale e le grandi conquiste in oriente ed occidente avevano potuto assicurare una considerevole mole di nuovi introiti finanziari, il divario fra le classi sociali si era andato ulteriormente accentuando. Mentre i latifondisti erano riusciti addirittura ad accrescere i loro possedimenti ed i cavalieri potevano disporre di risorse maggiori per le loro attività economiche, la crisi dei piccoli proprietari e della classe media si era gradatamente aggravata, prima per l’impossibilità di curare i propri interessi a causa della guerra poi di competere economicamente con i latifondisti. Da qui ebbe origine quel contenzioso interno, politico e civile che avrebbe favorito la formazione di schieramenti opposti, pronti al confronto armato. Nel 133 morì assassinato Tiberio Gracco, il cui progetto di riforma agraria fallì e accentuò il processo di deterioramento tra le parti, rappresentate dall’oligarchia fondiaria, dai ceti finanziari e commerciali ( equites ), dalla plebe urbana e rurale, dagli italici ( che erano stati esclusi, nel disegno di legge, dall’assegnazione di terre ). Il progetto, ripreso dal fratello Gaio, sebbene impostato in termini più realistici e sostenuto da un consenso più ampio, non ebbe in ogni caso esito positivo, lasciando aperti tutti i problemi ai quali i Gracchi avevano voluto porre rimedio. Gli aristocratici ( optimates ) uscirono solo momentaneamente favoriti da questa prima fase dello scontro politico. Pochi anni dopo, la condotta inconcludente d’alcuni comandanti ( accusati di corruzione ) nel corso della guerra giugurtina ( 111-105 ), permise a Mario ( 157-86 ) un homo novus, di essere eletto alla massima magistratura, subentrando a Metello nelle operazioni di guerra: Giugurta fu battuto e condotto in catene a Roma.

Il I secolo a.C. è considerato l'età aurea della letteratura latina: allora maturarono i frutti dell'assimilazione della cultura ellenistica. Fu anche il secolo delle guerre civili (Mario e Silla, Cesare e Pompeo, Ottaviano e Antonio), che alterò l'equilibrio degli istituti politici tradizionali. E fu un'età antitradizionalista: a Roma, diventata la metropoli di uno stato sovranazionale, si approfondì il distacco tra società civile e società politica. Si configurarono marcate posizioni individualistiche e modelli interpretativi della realtà estranei, le une e gli altri, alla cultura tradizionale, perché centrati sul problema del destino e della felicità individuali. S’affermarono i poetae novi e in particolare Catullo, il primo grande poeta lirico latino e Lucrezio che produsse un eccezionale poema didascalico-filosofico d’impostazione epicurea, De rerum natura (Sulla natura).

Catullo, Caio Valerio (Verona 84 ca. a.C. - Roma 54 ca. a.C.), poeta latino. Nato in una famiglia facoltosa della Gallia cisalpina, si trasferì assai giovane a Roma, dove frequentò l'alta società e s’innamorò di una donna da lui cantata sotto lo pseudonimo di Lesbia, cui è dedicata gran parte dei suoi carmi. Si trattava quasi sicuramente di Clodia, sorella di Publio Clodio Pulcro, aspro avversario politico di Cicerone. La poesia di Catullo costituisce l’esempio più marcato della frattura venutasi a creare tra intellettuali e cultura nazionale. Richiamandosi all’esperienza letteraria greca, Catullo rinuncia consapevolmente al modello epico per dedicarsi ad una poesia innovativa, lontana dai fermenti della politica e dalla lotta di fazione, ripiegata sull’individuo. Le 116 poesie del suo Liber (giunto a noi certamente incompleto) sono divise in tre gruppi secondo criteri sostanzialmente metrici: il primo gruppo è costituito da sessanta brevi liriche in metri vari, le cosiddette nugae ("cose da nulla"), di carattere lirico, amoroso o satirico; al centro si trovano gli otto componimenti più lunghi ed elaborati, i cosiddetti carmina docta ("carmi dotti"), tra i quali spiccano quello ispirato al mito di Attis (carme 63), quello che canta l'amore di Peleo e Teti (carme 64) e la traduzione della Chioma di Berenice di Callimaco (carme 66); il terzo gruppo è costituito da epigrammi d’argomento vario in distici elegiaci. L'amore per Lesbia fu l'esperienza dominante della vita e della vicenda poetica di Catullo, che lo visse con un'intensa consapevolezza tra felicità, tempestose rotture, delusione, ritorni. Ma i suoi versi esprimono anche il caldo affetto per gli amici, il dolore per la morte del fratello, entusiasmi e sdegni per situazioni e persone. Nel trasmettere la sua pienezza affettiva, Catullo creò un nuovo linguaggio dell'eros, che avrebbe lasciato il segno nei grandi poeti dell'età augustea, conservando però un'identità assoluta.
Lucrezio Caro, Tito (98 ca. - 55 ca. a.C.), poeta latino. I pochi dati biografici sono tramandati da san Gerolamo, al quale si deve anche la notizia della follia e del suicidio di Lucrezio, oggi perlopiù ritenuta inattendibile. Sul luogo d’origine non esistono certezze, tranne che il cognomen “Carus” è attestato nel territorio di Napoli e di Pompei. Sulla condizione sociale non siamo informati. Qualcuno ha voluto intravedere un atteggiamento da cliens nel tono delle parole rivolte a Memmio, il dedicatario dell’opera, quello stesso al cui seguito si trovò Catullo quando si recò in Oriente. A parte la cronologia, Girolamo sostiene che Lucrezio impazzì per un filtro d’amore e che compose il poema nei momenti di lucidità mentale ( per intervalla insaniae ), suicidandosi all’età di 44 anni. Noi non abbiamo conferme su queste notizie: esse apparirebbero leggendarie se non ci fossero l’incompiutezza del poema, certa aria di eccitazione che lo pervade e quella descrizione degli effetti disastrosi della passione amorosa che chiude il libro IV, a farci immaginare un indole singolare di poeta, un’anima sofferente, una fantasia percorsa da brividi. Quanto alle altre osservazioni di san Girolamo, è pensabile che la tradizione cristiana abbia voluto dare un’immagine negativa del poeta, facendolo passare per folle e per suicida. Il suo De rerum natura (Sulla natura) è un poema didascalico in sei libri (forse non finito) che espone le dottrine d'Epicuro riguardo al mondo e all'uomo. Tutta l'opera è un omaggio ad Epicuro, che con le sue verità razionali illuminò l'animo dissolvendo le superstizioni e la paura della morte e degli dei, e aiutandolo a raggiungere l'atarassia, cioè l'imperturbabilità, che è il presupposto essenziale della felicità: l'uomo felice è colui che riconosce come canone dell'esistenza il piacere, inteso come soppressione del dolore, soddisfazione dei bisogni naturali e limitazione dei desideri. Per questo il proemio del De rerum natura si apre con un'invocazione a Venere, simbolo dell'amore e del piacere cui tendono naturalmente tutti gli esseri viventi. In tutto il poema Lucrezio si mostra interessato al problema del linguaggio e, cosciente della mancanza di termini filosofici nella lingua latina, s'impegna costantemente a chiarire il significato delle parole, anche le più comuni. Molto amato in età romana, il testo non ebbe fortuna nel Medioevo cristiano; rivalutato dagli umanisti per le sue qualità poetiche, entrò nel pensiero filosofico moderno con i filosofi naturalisti italiani del Cinquecento come Giordano Bruno, con i materialisti francesi del Seicento, con Giambattista Vico e con il sensismo nel Settecento, trovando infine nuova fortuna nel positivismo ottocentesco e nelle più recenti dottrine che si richiamano al materialismo storico.

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