Andreuccio da Perugia (Decameron V novella - II giorno)

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Testo

GIOVANNI BOCCACCIO
ANDREUCCIO DA PERUGIA
DECAMERON - V NOVELLA del II giorno
COMMENTO E ANALISI DEL TESTO
Anche se dominata dal caso, con un ritmo apparentemente dispersivo, la novella ha una costruzione solida e ordinata che si svolge su tre nuclei narrativi:
A)l’uscita dall’osteria, l’avventura con la siciliana, la caduta nel chiassetto, il dialogo con i vicini e con il magnaccia, e una prima pausa di solitudine e smarrimento;
B)Incontro coi ladri, la calata nel pozzo e l’uscita, con un nuovo momento di solitudine e smarrimento;
C)il nuovo incontro coi ladri, la calata nella tomba, il furto, la chiusura della tomba, un terzo e più grave momento di smarrimento;
C-2) l’arrivo del nuovo gruppo di ladri, la risalita dalla tomba e il ritorno all’osteria e di lì a Perugia.
Questi 3 momenti sono accomunati da un particolare schema di azione fondamentale: un movimento discendente del personaggio nel letamaio-pozzo-tomba, cui segue una risalita, e uno smarrimento che sembra preparare una nuova svolta del caso.
Le tre discese portano Andreuccio vicino alla morte; per puro caso non subisce danni irreparabili precipitando nel chiassetto, ma ne resta deturpato, marchiato in modo vergognoso; il pozzo , dove attinge una sorta di purificazione, si tramuta in un rischio mortale; il sarcofago dove viene calato dai ladri per poco non diventa la sua tomba.
LA novella appare modellata sullo schema dell’iniziazione presente nel rituale delle culture primitive, ma anche ad esempio, nelle strutture del poema cavalleresco ben noto a Boccaccio.
Nel rito dell’iniziazione, che segna il passaggio ad una forma superiore di vita, l’iniziando passa attraverso prove che rappresentano liturgicamente una sorta di umiliazione e di morte, rispetto alla sua condizione passata, e di rinascita nella nuova dignità della vita a cui viene iniziato.
Questo schema è evidente nella struttura del racconto di Andreuccio che passa, nella sua durissima notte, da uno stato di ingenuità rovinosamente disarmata di fronte alla vita, a uno di consapevolezza e ritrovata efficienza attraverso i tre momenti di caduta in basso, che simboleggiano la sua totale disfatta, la morte, il suo risollevarsi ogni volta con uno scatto vittorioso di vitalità, prima istintiva, poi, alla fine, consapevole, che lo ridona all’azione, alla vita.
L’iniziazione di Andreuccio riguarda il suo ingresso nel mondo, che può essere definito, mercantile o borghese, dominato da una spietata legge economica, un mondo che non attende di essere giustificato alla luce d’una superiore razionalità umana o provvidenzialistica e si presenta, quindi, dominato dall’oscura potenza del caso, che diviene spontaneo simbolo dell’irrazionale.
LA FIGURA DI ANDREUCCIO E IL DISCORSO NARRATIVO
Andreuccio può parere a prima lettura uno sciocco, ma in realtà è soltanto un inesperto, che però, via via, scaltrisce l’ingegno; un’apprendista-mercante, mai stato fuori di casa, che in una sola notte acquista l’esperienza necessaria per destreggiarsi nella grande foresta dei traffici; e aguzza l’ingegno assai più di quel che avrebbe potuto immaginare mentre accozzava cavalli sulla piazza del mercato.
La voce del narratore ha una particolare incidenza sul piano del discorso. È un narratore eterodiegetico e onniscente, che spesso interviene giudicando l’ingenuità e gli errori dell’eroe nel corso del’azione: “si come rozzo e poco cauto” (quando esibisce i fiorini al mercato), “niente di ciò sappiendo né suspicando” (di quanto sia malfamato il Malpertugio), “ancor più credendo quello che meno di creder gli bisognava”, “da falsa credenza ingannato” (quando accetta di pernottare dalla siciliana). Questi insistiti interventi della voce narrante fanno sentire quanto Andreuccio sia lontano dall’ideale boccacciano del “saper vivere”, e fanno percepire il distacco dello scrittore dal suo eroe. Non a caso i giudizi si infittiscono nella zona del tranello giocato dalla siciliana, dove Andreuccio appare più sprovveduto e inerme di fronte alla malizia umana, strumento del capriccio della Fortuna. La presenza del narratore è però discreta: non interviene mai a preannunciare svolgimenti e soluzioni della vicenda. Il racconto è spesso focalizzato sul protagonista: nei momenti cruciali seguiamo gli avvenimenti secondo il suo punto di vista. Questa situazione è essenziale per creare il clima di ambiguità, sospensione e sorpresa che domina l’intreccio, e fa sentire l’incidenza dell’imprevedibilità della Fortuna.
LA RIPRESA DELLA STRUTTURA FIABESCA
Per quanto riguarda la “formazione” di Andreuccio, il tramite tra gli antichi schemi rituali delle società arcaiche e la vicenda del giovane è rappresentata dal patrimonio fiabesco.
Lo studioso russo Vladimir Propp sostiene che nella fiaba “di magia” si conserva la memoria dei riti arcaici; era perciò inevitabile, per Boccaccio, ricollegarsi agli schemi fiabeschi narrando le prove e la formazione del suo giovane personaggio.
Nella novella si possono riscontrare tutte le funzioni caratteristiche della fiaba :
• Allontanamento (Andreuccio si allontana per venire a Napoli)
• Divieto e infrazione ( Andreuccio al mercato viola il codice della prudenza, mostrando i fiorini d’oro)
• Danneggiamento (l’antagonista, la siciliana, danneggia l’eroe sottraendogli il denaro)
• Marchiatura (la bruttura che imbratta Andreuccio nel chiassetto)
• Persecuzione (Andreuccio chiuso nella tomba)
• Salvataggio
• Ritorno
Il ricorrere a queste funzioni testimonia il sottostante stato fiabesco della novella. Anche l’anello appartiene alla tradizione fiabesca sebbene qui venga assunto come strumento di compensazione economica, in armonia con la condizione economica-sociale del protagonista, quella del “mercante”.
L’AMBIENTAZIONE
La città è in genere, un’ importante presenza nel Decameron, come sede della vicende quotidiane del vivere, con le sue case e le sue strade piene di vario spettacolo di vita, con le sue lotte e la sua violenza, ma anche, in altre novelle, con la sua capacità di attuare, attraverso l’incontro degli uomini, un’ordinata e armonica civiltà.
IL MONDO MERCANTILE E I COLLEGAMENTI CON LA NOVELLA DI LISABETTA DA MESSINA
Le allusioni al mondo mercantile sono di continuo presenti nella novella; nell’indifferenza con cui Andreuccio passa dalla truffa subita al furto, nello stesso lieto fine che pareggia anche il bilancio mercantile del protagonista.
Per Boccaccio ha grande rilievo la realtà del calcolo, prudente, dello scambio vantaggioso, del maneggio accorto del denaro (infatti nella novella interviene sottolineando l’ingenuità di Andreuccio al mercato) e dell’accumulo di ricchezza.
Boccaccio è anche attento alle basi materiali ed economiche della realtà, ma non vi è più traccia in lui dell’aspro moralismo religioso che era proprio di Dante.
Egli anzi guarda con compiacimento l’intraprendenza e l’abilità umana che si manifestano nella difesa e nell’acquisto del denaro.
La civiltà mercantile esalta l’iniziativa dell’individuo e la sua capacità di creare autonomamente tutt’un mondo.
L’intraprendenza umana, l’abilità, la scaltrezza sono presenti nella novella di Andreuccio che ruba il prezioso anello per recuperare la somma sottrattagli.
I limiti mentali della società mercantile sono però rappresentati dall’anteporre l’interesse economico a qualsiasi altro valore, insieme anche ad un grande senso d’egoismo, e tutto ciò può portare anche a gesti di estrema crudeltà, come per esempio nella novella di Lisabetta da Messina dove i suoi fratelli, spinti da un forte senso della “ragion di mercatura”, uccidono l’amante della sorella in quanto, se la relazione fosse stata scoperta, avrebbe portato disonore alla famiglia, e la giovane, soggetta ad atroci sofferenze, giunge alla morte.
LA FORTUNA
Nella novella, antagonista dell’eroe è la Fortuna o Caso; il Caso che fa di Andreuccio, nel corso di poche ore, un ingannato e un ingannatore, un derubato e un derubante, un mercante che va a comprare cavalli e un ladro che invece si arricchisce di gemme; e, col condurlo a un precipizio, gli salva la vita; col metterlo a rischio di morte imminente, gli ridà il denaro perduto. È sempre la Fortuna che propone all’immaginazione del lettore un continuo gioco impossibile di scelte, un biforcarsi di situazioni sempre diverse (per esempio dalla camera della siciliana al fondo del chiassetto).
La Fortuna, il Caso non sono più, come li intese Dante nel canto VII dell’Inferno, i ministri del cielo che mutano e rimutano le sorti degli uomini per volere di Dio, al di là della possibile difesa del senno umano.
Qui contro la Fortuna si pone l’arditezza degli uomini: inizialmente il Caso si accanisce su Anrdeuccio solo perché questi non è in grado di contrastarla, infatti se fosse più accorto, non cadrebbe nel tranello della siciliana. Così, al termine, la Fortuna salva Andreuccio dal morire soffocato nella tomba, ma solo perché questi sa cogliere prontamente l’occasione che gli è offerta.

BIBLIOGRAFIA
• “Storia e antologia della letteratura italiana”, volume 1, di A. Gianni, Editrice G. D’Anna, 1991
• “Letteratura italiana, Testi in critica con lineamenti di storia letteraria”, di M. Pazzaglia, Editore Zanichelli, 1979
• “Dal testo alla storia, dalla storia al testo”, volume1B, di G. Baldi, S. Giusso, M. Razetti, G. Zaccaria, Editrice Paravia, 1999
• “Antologia della Divina Commedia”, di A. Marchi, Editrice Paravia, 2000

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