"Il Principe" di Macchiavelli

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Testo

IL PRINCIPE
LA COMPOSIZIONE: DATAZIONE, TITOLO E STORIA DEL TESTO
Dal 1512 Macchiavelli viene privato di ogni ufficio e confinato e viene messo in carcere perché sospettato di partecipazione a una congiura antimedicea. Si pensa che in questo periodo, tra il marzo e il dicembre 1513, egli abbia completato la stesura del Principe e il quadro dei primi 18 capitoli dei discorsi. Inizialmente egli vuole dedicare questo opuscolo a Giuliano de’ Medici ma, dopo la sua morte, il libro verrà dedicato a Lorenzo di Piero de’ Medici, duca di Urbino.
Il titolo dell’opuscolo rende ragione del modello scelto dall’autore dal punto di vista dei generi letterari: il trattato sul sovrano ideale, forma letteraria comune in età medievale. In questo periodo possiamo riscontrare la moltiplicazione di questi trattati con elenchi delle virtù mondane del “principe perfetto”. Però tra questa produzione e il Principe, vi è una totale differenza sia sul piano tematico e formale che su quello teorico ed ideologico. La scelta di Macchiavelli in favore di un canone tradizionale riguarda solo alcuni aspetti esteriori, come il titolo generale, i titoli dei singoli capitoli in latino e l’organizzazione del trattato.
LA STRUTTURA GENERALE DEL TRATTATO
Il Principe è un opera unitaria suddivisa in ventisei capitoli, ognuno dei quali con un titolo in lingua latina. E’ possibile distinguere nel testo quattro sezioni tematiche di disuguale ampiezza.
La prima riguarda i capitoli I-XI e tratta di diversi tipi di principato in generale e principati acquisiti. La seconda va dal capitolo XII al XIV e affronta il problema delle milizie mercenarie e delle milizie proprie. La terza comprende i capitoli XV-XXIII e tratta dei comportamenti e delle virtù che si addicono ad un principe. La quarta riguarda i capitoli XXIV-XXVI ed esamina la situazione italiana e il decisivo problema della fortuna e del suo potere sulla vita degli uomini.
Vi sono inoltre alcuni capitoli chiave che hanno una relativa importanza su tutta l’opera. La Dedica iniziale a Lorenzo de’ Medici si distingue per il riferimento diretto all’interlocutore e contiene anche il giudizio complessivo dell’autore sul proprio testo. Nel capitolo VI Macchiavelli volge la sua attenzione al vero oggetto dell’indagine, la fondazione di uno Stato nuovo. Il capitolo XV si apre come il VI. In questo Macchiavelli da inizio ad una serie di riflessioni sulle qualità necessarie al principe e sulla sua concreta pratica di governo. Il capitolo XXVI si contraddistingue per una forzatura dell’andamento lucidamente ragionativo dominante nell’intera opera e per la prevalenza dell’aspetto emotivo.
TIPOLOGIA DEI PRINCIPATI. PRINCIPATO NUOVO E PRINCIPATO CIVILE
Nei primi undici capitoli Macchiavelli esamina i diversi tipi di principato , da quello ereditario a quello misto, da quello nuovo a quello civile e a quello ecclesiastico. Però fa riferimento soprattutto a quello di nuova acquisizione e a quello civile. Il capitolo II inizia con un’analisi delle repubbliche per poi passare a trattare gli Stati ereditari più facilmente conservabili dei nuovi. Il capitolo III tratta i principati misti anticipando anche alcune questioni del principato completamente nuovo. Successivamente dal III al V capitolo si torna ad approfondire la questione dei principati di nuova acquisizione anche da membri aggiunti. Dal capitolo VI si tratta della conquista di principati nuovi che può avvenire grazie alle armi proprie e alla virtù del principe, oppure, nel capitolo VII, con armi altrui e per fortuna.
Nel capitolo VIII si prende in considerazione il principato governato solo con la crudeltà. Il rapporto tra i cittadini e il principe viene trattato nel capitolo IX, in cui la forma del principato civile è contrapposta al dominio delle classi nobiliari. Il capitolo X riguarda la valutazione delle forze che i principati possono mettere in campo contro i nemici esterni; mentre il principato ecclesiastico viene trattato nel capitolo XI.
L’ORDINAMENTO MILITARE
I tre capitoli XII-XIV riguardano l’ordinamento delle milizie. Macchiavelli aveva già trattato questo argomento tra il 1506-1511 e proprio in questo periodo si era impegnato per dotare la Repubblica fiorentina di armi proprie per evitare l’utilizzo di quelle mercenarie. Infatti, secondo lui, l’utilizzo di armi proprie e quindi dei cittadini poteva garantire la sicurezza dello Stato. Nel capitolo XII tratta della pericolosità delle armi mercenarie. Il tema delle truppe fornite dagli alleati, ossia in parte proprie e in parte mercenarie, viene trattato nel capitolo XIII. Nel capitolo XIV viene consigliato al principe di non distogliere mai il pensiero dall’esercizio della guerra.
LE QUALITA’ E LE VIRTU’ NECESSARIE A UN PRINCIPE NUOVO
Con il capitolo XV inizia un nucleo argomentativo nuovo, dove vengono trattate le qualità e le accortezze necessarie al principe per governare. Rispetto alla precedente tradizione, tuttavia, volta a delineare il ritratto del principe ideale, Machiavelli richiama la verità effettuale della lotta politica, le cui regole richiedono comportamenti ben diversi da quelli astrattamente immaginati dai suoi predecessori.
Il primo problema affrontato è se sia più utile al principe essere liberale o parsimonioso. Liberalità è la disponibilità a spendere con noncuranza, valor della civiltà cortese e disvalore nella civiltà mercantile. Machiavelli suggerisce al principe la parsimonia, con la quale si evita di sperperare le ricchezze dello Stato e di opprimere fiscalmente i sudditi; grazie a ciò finirà per farsi apprezzare dal popolo.
Nel capitolo XVII il tema affrontato è se sia più utile al principe la crudeltà o la pietà. Se ogni principe può ragionevolmente desiderare di essere considerato pietoso e non crudele, tale pietà non può essere usata male, perché risulterebbe generatrice di disordine e quindi dannosa.
Il timore che la crudeltà del principe deve ispirarsi ai sudditi va tuttavia accortamente dosato. Il limite oltre il quale non è razionale procedere nell’uso della violenza è segnalato dall’odio del popolo, che mira il consenso ed è pericoloso per la stabilità dello Stato. La conclusione è dunque che il principe deve sapere utilizzare la crudeltà ed essere temuto e, allo stesso tempo, saper evitare di incorrere nell’odio.
Machiavelli oppone la nuova immagine della politica come realtà centauresca e il riconoscimento che non è possibile mantenere la parola data. Dopo il 1494 le forze francesi, spagnole imperiali avrebbero dominato la penisola e quindi Machiavelli propone un principato italiano in grado si contrastare questa situazione.
Nel XIX capitolo prosegue la trattazione delle argomentazioni avviate dal capitolo XV, riducendo le qualità dannose al principe a quelle che inducono odio o disprezzo nei sudditi, come attestano numerosi esempi antichi e recenti. Con il capitolo XX ci si sposta dalla discussione sulle qualità utili o dannose per il mantenimento del potere a quella riguardante le azioni utili o meno. Si considera in primo luogo se convenga al principe armare o disarmare i sudditi, tenerli divisi e costruire fortezze; prendendo esempio dal re di Spagna Ferdinando d’Aragona per dimostrare come un principe possa conquistare la stima dei sudditi con spettacolari imprese, ma anche dal sistematico uso politico della religione. Rilavante a questo proposito l’ossimoro pietosa crudeltà, ironica, mente impiegato a proposito della spettacolare cacciata dalla Spagna dei Marrani, vale a dire di Ebrei e Mori formalmente convinti dell’unico accenno esplicito alla religione come strumento di dominio.
I brevissimi capitolo XXII e XXIII riguardano la prudenza con la quale il principe dovrà scegliere collaboratori e uomini di fiducia e i modi per difendersi dagli adulatori.
LA PERDITA DELLO STATO DA PARTE DEI PRINCIPI ITALIANI. LA FORTUNA. L’ESORTAZIONE FINALE
Nel capitolo XXIV si esaminano le ragioni che hanno determinato la recente perdita degli stati da parte dei principi italiani, mentre nel successivo si pone al centro dell’indagine il rapporto tra fortuna e virtù. L’attacco al capitolo XXIV segna la fine della trattazione precettistica: se il principe seguirà tutte le indicazioni, i consigli, il suo nuovo regno sembrerà antico, conferendo alla precarietà della costruzione politica nuova la stessa stabilità che è tipica degli Stati ereditari.
Il capitolo XXV pone il problema del rapporto fra fortuna e virtù, insistendo sul potere condizionale della prima ma anche sulla capacità della seconda di assoggettarla attraverso l’accortezza e soprattutto attraverso l’azione impetuosa.
Il capitolo XXVI contiene l’esortazione finale a liberare l’Italia dagli stranieri.
LA LINGUA E LO STILE DEL PRINCIPE
Dal punto di vista della storia dell’italiano, il Cinquecento è il secolo dell’affermazione di una rigorosa codificazione della lingua letteraria attuata sulla base del linguaggio trecentesco di Petrarca e Boccaccia. I caratteri della prosa di Machiavelli differiscono nettamente da quelli di Boccaccia.
L’orientamento linguistico e stilistico domandante nel Principe è esposto dallo stesso autore con limpida consapevolezza fin dalla Dedica. Il tessuto linguistico della prosa di Machiavelli è costruito da un originale impasto di espressioni popolaresche desunte dal fiorentino allora in uso e di espressioni colte. Le prime tendono a emulare l’aspetto dialogico e disinvolto del parlato, e le seconde, invece, risultano marcatamente latineggianti. Vi sono inoltre termini tecnici, del campo semantico cancelleresco, diplomatico e militare, che confermano le ambizioni pratiche e scientifiche dell’opera.
L’originalità espressiva della componente popolare e dialettale nell’impasto linguistico del Principe acquista tutto il suo valore se il lessico e la sintassi machiavelliani vengono confrontati con quelli dei tratti umanistici di Alberti. Nella lingua del Principe le forme latineggianti sembrano non rispondere più a uno schema prefissato, infatti, non hanno nulla di meccanico e di canonico.
Sul piano sintattico domina il periodo costruito sulla base del procedimento dilemmatico, che consiste nella preferenza accordata all’uso costante della disgiuntiva “o…..o”. L’argomentazione è quindi chiusa in una successione di frasi collegate fra loro da forti congiunzioni avversative o disgiuntive. La propensione ideologica di Machiavelli alla proposta di situazioni estreme e di soluzioni nettamente contrapposte, escludendo il ricorso alle più sfumate vie di mezzo, si traduce così, sul piano linguistico, in un periodare fatto di dilemmi successivi, e costruito sulle serie di antitesi, nelle quali gli elementi concettuali sono contrapposti l’uno all’altro. Ne risulta che interi periodi sono collocati secondo schemi di classificazione antitetici ad albero, cioè via via costruiti su successive contrapposizioni binarie, procedendo all’eliminazione progressiva di un elemento della coppia e allo sdoppiamento del successivo in un nuovo dilemma.
Gli aspetti più rilevanti del Principe sono essenzialmente quattro:
1. Componente aulica e colta. I latinismi di Machiavelli, a differenza di quelli largamente utilizzati dalla trattatistica e dalla prosa umanistica, non sono un dato stilistico dominante.
2. Componente popolaresca. Il fiorentino del Principe è aperto alla morfologia spontanea e non codificata del parlato di tutti gli starti sociali, sia colti sia popolari.
3. Terminologia tecnica. C’è una nuova concezione dell’etica politica e del rapporto fra conoscenza storica e prassi, comporta la necessità, sul piano terminologico, di fissare un lessico specifico della politica.
4. Le figure. Il Principe è un opera che rientra nel genere letterario della trattatistica. Tuttavia alla lucidità classificatoria e argomentativa si affianca nel principe l’utilizzazione frequente di figure retoriche. Esse s’incontrano sia nella disposizione sintattica, il chiasmo, l’enumerazione, gli anacoluti, sia nello spostamento di senso, metafore e similitudini.
L’IDEOLOGIA DEL PRINCIPE
Il primo principio del pensiero di Machiavelli è l’aderenza al reale e l’osservazione della realtà non solo nel suo essere ma anche nel suo divenire. Ne consegue il principio cardinale della verità effettuale, che nel Principe vincola costantemente lo spazio delle analisi alla sua drastica materialità. Va ricordato che il Principe venne scritto in una fase di acuta crisi e di sconfitta, non solo personale di Machiavelli, ma anche politica e militare dell’Italia del tempo, in cui gli Stati stavano entrando in una fase di repentina decadenza e di subordinazione all’egemonia delle grandi monarchie europee.
Davanti alla situazione disperata, all’incapacità di agire e di capire da parte dei Signori italiani travolti dagli eventi europei e mondiali. Machiavelli propose una soluzione estrema. La meditazione sulla crisi della Repubblica fiorentina e sui grandi e forti stati monarchici, indusse ad abbandonare le posizioni repubblicane, proponendo una concezione dello Stato e della politica diretta in primo luogo alla fondazione, svincolata dagli interessi particolari degli ottimati, il cui comportamento è visto come causa prima della decadenza e della corruzione italiane.
Non si può certo dire che Machiavelli elabori una concezione puramente tecnica, neutra e funzionale, dell’arte di governare lo Stato. La scientificità di Machiavelli sta solo nell’aderenza al reale; per il resto, agiscono in lui, con viva passione, una serie di convinzioni, un’ideologia, una specifica visione del mondo. La convinzione che l’operazione conoscitiva riguardante la realtà storica sia intimamente connessa con la volontà stessa di trasformarla. Alla rassegnazione e al fatalismo occorre rispondere cercando di trovare nel concreto terreno della politica la possibilità dell’uomo di proteggere e trasformare la realtà sociale e naturale.
Costruire uno Stato nuovo nel Principe significa perciò superare particolarismi dell’eredità feudale.
L’ideologia politica del Principe non si traduce dunque nella fondazione teorica di uno Stato tirannico e assoluto. Anzi la legittimità del potere esige l’eliminazione dell’arbitro illegale rappresentato dal comportamento delle fazioni aristocratiche.
ETICA E POLITICA.
I capitoli XV – XXIII del Principe sono celebri per la loro presunta “immoralità”. Vi domina una concezione completamente laica dello Stato: scompare ogni elemento provvidenzialistico e finalistico. Non vi è traccia del modello politico unitario medievale incentrato sul binomio Chiesa- Impero. Le basi naturali e materiali della realtà e dell’uomo non sono né sublimate né negate. Vengono viceversa accettate entro un progetto complessivo che le comprende e le esalta.
L’indipendenza del pensiero politico machiavelliano deriva dalla sua diversa concezione dell’uomo, fondata u una visione materialistica del mondo; l’essere umano fa integralmente parte del mondo materiale come ogni altro essere naturale. La parte istintiva e bestiale, è intimamente connaturata all’uomo ed è quindi ineliminabile. Forse la più acuta rottura operata da Machiavelli rispetto alla tradizione medievale e umanistica è stata quella di guardare i bisogni materiali e gli umori elementari e potenti che muovono le azioni degli uomini.
Nonostante i condizionamenti biologici, il ruolo dei soggetti viene esaltato. Il soggetto può farsi valere, solo a patto di saper considerare in tutta la sua portata teorica e pratica la verità dei fondamenti naturali e materiali d’ogni ordinamento sociale.
Il problema del rapporto tra politica e morale è stato al centro dell’indagine degli interpreti. Risale tuttavia a Benedetto Croce la fortunatissima formula che attribuisce a Machiavelli la scoperta dell’autonomia della politica, dalle leggi morali. Se da un lato è fuori discussione che nel Principe viene esplicitamente bandita l’imposizione moralistica della precedente trattatistica politica medievale e umanistica, dall’altro la distinzione crociata tra Politica e Moralità ha portato ad escludere dalla tecnica politica del trattato ogni tipo di tensione etica. Viceversa, la politica viene da Machiavelli costruita in una strettissima relazione con l’etica.
L’etica nuova, fondata dal Principe, consiste appunto nel chiarire i prezzi altissimi grazie ai quali l’uomo, spesso succubo di legami oggettivi, può modificare la realtà e agire sul terreno concreto della prassi.
TENSIONE SAGGISTICA E RAPPORTO FRA REALISMO E UTOPIA IN MACHIAVELLI.
L’aspetto scientifico del Principe sta nel suo appello alla verità effettuale e nella carica demistificatoria nei confronti delle ideologie idealistiche che partono da un astratto dover essere dell’uomo e non dalla sua realtà materiale. Sarebbe invece un errore trasformare Machiavelli in uno scienziato puro della politica, intento ad elaborare una visione oggettiva e tecnica del potere.
In realtà la scrittura del Principe rivela una tensione saggistica, cioè una prospettiva utopica e morale fondata non più sull’autorità di una verità precostituita, ma sulla forza delle argomentazioni dell’autore. Essa non è garantita più da un assetto preesistente della verità, della moralità e del sapere, ma solo dall’esperienza e dalla cultura di chi scrive e dunque dalla responsabilità individuale.
Machiavelli è, infatti, il primo saggista moderno.
La tensione saggistica della scrittura va individuata anzitutto nella carica polemica e provocatoria con cui il realismo materialistico dell’autore rovescia le verità precostituite e i luoghi comuni della morale corrente. Ma va individuata anche nella forte prospettiva utopica e morale che chiude il libro, con l’esortazione a creare in Italia uno Stato moderno e a liberarla dal dominio dei barbari. Realismo e utopia sono strettamente collegati. Machiavelli prospetta coraggiosamente un principato civile che ponga fine alla decadenza italiana e costituisca in Italia uno Stato unitario forte ma non tirannico, dotato di un esercito proprio non mercenario, e capace di riconoscere il conflitto sociale, ridimensionando così, drasticamente, gli starti feudali e oligarchici e garantendosi per tale via l’appoggio del popolo.
PROBLEMI E VICENDE DELLA RICEZIONE: ALCUNE QUESTIONI PRELIMINARI.
Per ricostruire i tratti essenziali della storia della ricezione del Principe occorre partire da due indispensabili premesse:
1. Il trattato presenta una tematica che trascende il campo letterario e interessa direttamente il pensiero politico e le sue applicazioni pratiche.
2. La diffusione del Principe avvenne su scala europea: Machiavelli è, infatti, uno degli autori più conosciuti e discussi all’estero.
E’ possibile rappresentare in quattro distinti momenti la complessa vicenda della ricezione del Principe:
a) L’antimachiavellismo confessionale. Nel Cinquecento il Principe ha già una diffusione europea e venne presto ridotto da gesuiti e protestanti, nelle lotte religiose, a simbolo delle concezioni politiche dell’avversario.
b) La trattatistica politica della Controriforma. Nel Seicento la fortuna di Machiavelli coincide in gran parte con la nozione controriformistica di ragion di Stato. Domina l’antimachiavellismo clericale che distorce fino alla parodia le posizioni espresse dal trattato.
c) L’interpretazione obliqua nell’Illuminismo settecentesco. Il Settecento e l’Illuminismo aprono la strada ad una rivalutazione del pensiero di Machiavelli e del Principe. Il messaggio del trattato sarebbe stato indirizzato palesemente ai tiranni ma segretamente ai popoli in favore di una presa si coscienza repubblicana e libertaria.
d) L’età del Romanticismo e del nazionalismo. La rivalutazione del trattato prosegue con il Rinascimento in Europa e con il Risorgimento in Italia. Machiavelli è interpretato come fondatore del pensiero politico integralmente laico.
In forma del tutto schematica si possono quindi distinguere, in relazione ai differenti climi culturali, quattro momenti nel conflitto delle interpretazioni, i primi due dominati da un mito polemico negativo, i secondi da un mito polemico positivo.

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