Macchiavelli e lo scandalo del Principe

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Testo

Machiavelli

Il trattato politico e la nascita della moderna saggistica: lo scandalo del Principe
Con Il Principe, Machiavelli adotta le forme del saggio, in cui l’autore sostiene e dimostra una sua verità individuale, assumendone consapevolmente la responsabilità. Tale verità è basata sulla conoscenza delle leggi della natura e della storia, fornite dalla esperienza diretta e dalle letture dei classici, e trae da tali elementi la propria legittimità. Entra in crisi l’autorità sancita dalla religione e dalla moralità laica precostituita. Il primo tipo di autorità era quello della trattatistica politica medievale; il secondo era quello della trattatistica quattrocentesca volta a delineare lo speculum principis (specchio del principe) elencando la serie di virtù morali di cui il principe doveva essere espressione. Lo scandalo del Principe sta nella spregiudicatezza del suo autore, che fonda l’autorità del proprio testo sulla forza del proprio pensiero e della propria scrittura.
La morale del principe dipende dal successo della sua azione politica. La politica diventa autonoma dalla religione e dalla morale. Nasce qui il termine di “machiavellismo” che sta ad indicare il ricorso agli strumenti e ai mezzi più spregiudicati pur di raggiungere il fine del successo politico. Colpisce la forza personale della scrittura, affascina e inquieta in suo carattere risolutamente anticonformistico e demistificatorio.
In Machiavelli il realismo spietato dell’analisi e la serrata logica argomentativi del discorso convivono con una scrittura fortemente immaginativa, con la forza impulsiva delle passioni e con una prospettiva fortemente utopica delle soluzioni prospettate. Questa straordinaria e contraddittoria fusione di realismo e utopia pertiene strettamente alla scrittura saggistica.
Machiavelli invita a cercare sotto le motivazioni e le ideologie dichiarate i veri momenti della storia, quelli materiali. Nasce con lui il pensiero del sospetto, che guarda sotto le apparenze rovesciando coraggiosamente le attese del lettore e le convenzioni sociali e culturali.

La vita
La vita di Machiavelli appare segnata quando tornati i Medici a Firenze egli deve abbandonare i suoi impegni politici. Prima Machiavelli aveva ricoperto importanti incarichi dell’amministrazione politica della Repubblica fiorentina. Costretto all’otium letterario, egli si dedicherà quasi esclusivamente le sue maggiori opere. Solo negli ultimi due anni di vita i Medici gli affidano di nuovo qualche incarico politico, ma la restaurazione della Repubblica ebbe come conseguenza una nuova esclusione dall’attività pubblica, decretatagli poco prima della morte.
Nicolò Machiavelli era nato a Firenze nel 1469, a Firenze. Di famiglia borghese aveva avuto una formazione umanistica, fondata sui classici latini. Ne è un episodio significativo il lavoro di trascrizione del De rerum natura di Lucrezio: il manoscritto rivela le basi materialistiche, legate all’epicureismo, della formazione di Machiavelli. Piuttosto che alla cultura platonica egli sembra collegarsi a quella aristotelica e averroistica.
Della tradizione fiorentina Machiavelli riprende anche il filone dell’Umanesimo civile che sollecita l’intellettuale all’impegno politico. Dopo che la repubblica fiorentina cade e i Medici tornano a Firenze, Machiavelli, esonerato da ogni incarico politico, è costretto a ritirarsi all’Albergaccio. L’anno successivo viene addirittura arrestato e torturato con l’accusa di aver partecipato a una congiura antimedicea. Rimesso in libertà, si dedica alla scrittura del Principe e dei Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio. Comincia il periodo dedicato esclusivamente agli studi e all’attività letteraria, anche se continua a sperare che i Medici lo richiamino a impegni politici. Quando Firenze caccia i Medici e ritorna il regime repubblicano, Machiavelli fu accusato di aver collaborato con i Medici e fu di nuovo esonerato da ogni incarico politico. Muore nel 1527.

Il Principe
Aspetti principali:
1. L’analisi storica rivela a Machiavelli la profondità della crisi italiana. Occorre che essa ponga rimedio un principe che con la sua virtù riesca a creare uno Stato nuovo ponendo fine alla inquietudine dei gruppi dirigenti e sconfiggendo le avversità della fortuna. Il Principe è una sorta di manifesto politico che pone un programma d’azione per l’immediato futuro.
2. Per realizzare questo programma occorre «andare drieto (dietro) alla verità effettuale delle cose» e non alla «immaginazione di essa». È questo il realismo di Machiavelli che si pone di guardare in faccia la realtà, nella sua spiacevole durezza, e di demistificare ogni sua interpretazione idealistica.
3. Lo studio della realtà mostra che la fortuna, cioè la mutevolezza del caso e della storia, determina in larga misura le vicende umane. L’uomo può opporle solo la sua virtù, cioè il suo ingegno, con la sua prudenza, la sua audacia. In alcune situazioni occorrerà un atteggiamento impetuoso, in altre uno ripetitivo; purtroppo l’uomo è dotato di carattere immodificabile e dunque difficilmente può adattarlo alle circostanze adeguandosi alle varie esigenze imposte dal mutare della sorte e dagli imprevisti della storia. Ma poiché la fortuna è donna, essa preferisce i giovani e gli impetuosi rispetto agli anziani e ai rispettivi.
4. Il principe savio non può farsi condizionare da preconcetti morali: la sua moralità consisterà nel bene dello stato. Viene dunque fondata l’autonomia della politica della morale comune. Poiché il principe deve obbedire solo alla ragion di stato, può usare a tal fine solo strumenti moralmente riprovevoli. Il male è sempre visto come male, senza compromessi o ipocrisie. Aspre e dispettoso è il carattere di Machiavelli nel denunciare le ipocrisie e le mezze misure. È bene che sia pietoso e se necessario anche crudele; deve saper usare la bestia e l’uomo, la violenza e l’intelligenza, deve essere capace di usare sia l’inganno o l’astuzia sia la forza.
5. Il trattato si conclude con un’esortazione ai Medici perché pongano fine alla situazione di crisi dell’Italia e la liberino dagli stranieri. L’esortazione, che rivela il progetto politico del trattato e la sua prospettiva utopica, è scritta in uno stile vibrante e appassionato.
6. Lo stile rivela la forte tensione saggistica della scrittura machiavelliana ove si alternano linguaggio alto e basso, rigore argomentativi e intensità appassionata, procedimenti del ragionamento scientifico e uso frequente di immagini e di figure.

La composizione
Quando Machiavelli viene privato di ogni ufficio e confinato, dopo un breve periodo di carcere, perché sospettato di partecipazione a una congiura antimedicea, si ritira a Sant’Andrea in Percussiva. In una celebre lettera indirizzata a Francesco Vettori nel 1513 Machiavelli annuncia di aver concluso un opuscolo, indicato con il titolo De principatibus, e di volerlo dedicare a Giuliano de’ Medici, figlio di Lorenzo il Magnifico, che reggeva Firenze dopo la restaurazione del 1512. In realtà, dopo la morte di Giuliano, il libro verrà dedicato a Lorenzo di Piero de’ Medici, duca di Urbino.
Il titolo dell’opuscolo rende ragione del modello scelto dall’autore dal punto di vista dei generi letterari: il trattato sul sovrano ideale, forma letteraria comune in età medievale. Il genere aveva conosciuto una nuova fioritura.
Tra le produzioni trattatistiche, Il Principe di Machiavelli presenta una totale differenza sia sul piano tematico e formale che su quello teorico ed ideologico. La scelta operata da Machiavelli in favore di un canone tradizionale e ben conosciuto riguarda solo alcuni tratti esteriori, come in titolo generale, i titoli dei singoli capitoli in latino e l’organizzazione del trattato, che, secondo l’uso corrente, inizia con un elenco delle forme di governo e prosegue elencando in forma di precetti le qualità che un principe dovrebbe possedere.

La struttura generale
Il Principe è un’opera unitaria, suddivisa in 26 capitoli, ognuno dei quali con un titolo in lingua latina. È possibile distinguere nel testo quattro sezioni tematiche di diseguale ampiezza. Non si tratta di una suddivisione dell’autore ma di differenti nuclei tematici implicitamente presenti nel testo.
La prima sezione comprende i capitoli I-XI e riguarda i diversi tipi di principato in generale e il principato di nuova acquisizione in particolare. La seconda comprende i capitoli XII-XIV e affronta il problema delle milizie mercenarie e delle milizie proprie. La terza comprende i capitoli XV-XXIII ed è centrata sui comportamenti e sulle virtù che si addicono al principe. La quarta riguarda i capitoli XXIV-XXVI, dei quali l’ultimo è dedicato all’esortazione finale rivolta al casato dei Medici. In questa parte conclusiva l’autore esamina la situazione italiana e il decisivo problema della fortuna e del suo potere sulla vita degli uomini.
• La Dedica iniziale a Lorenzo de’ Medici si distingue per il riferimento diretto all’intelocutore e per la definizione della situazione dello scrittore in rapporto al potere. La dedica contiene anche il giudizio complessivo dell’autore sul proprio testo.
• Capitolo I: di quante specie siano i principati e in quali modi si acquistino. Rapida sintesi e classificazione dei vari tipi di principato: o nuovi o ereditari, se nuovi, o lo sono del tutto o sono aggiunte a un principato già esistente. Le conquiste possono essere abituate al principato o alla repubblica, e possono essere acquistati con le armi altrui o proprie, o per fortuna o per virtù. Tipico esempio dello stile dilemmatico.
• VIRTU’: in Machiavelli è un concetto molto importante (contrapposto a fortuna) e rappresenta la capacità di governo. Coincide con la capacità di sostenere il contrasto con la fortuna.
• Nel capitolo VI Machiavelli volge la sua attenzione al vero oggetto dell’indagine, la fondazione di uno Stato nuovo, garantendo che farà uso di “grandissimi esempli” tratti dal passato.
• Capitolo IX: il principato civile. Si ascende ad esso o con il favore del popolo o con quello dei “grandi”. il popolo non vuole essere oppresso e i grandi vogliono opprimerlo. Secondo l’autore è meglio avere il consenso del popolo e indica come trattare i vari grandi
• Il capitolo XV si apre con considerazioni metodologiche e teoriche riguardanti il trattato stesso, rivolte direttamente al lettore. Machiavelli da inizioa una serie di riflessionisulle qualità necessarie al principe e sulla sua concreta pratica di governo. Avverte che la sua imposizione sarà del tutto nuova rispetto alla trattatistica precedente, allontanandosi dagli ordini degli altri e dalla concezione idealizzata della politica, per indagare invece la «verità effettuale».
• METODO DELL’INDAGINE EFFETTUALE DELLA REALTA’: in questo capitolo l’autore espone il suo metodo di indagine, che rifiuta di immaginare una realtà perfetta e si occupa invece di quella effettiva. Si riconosce quindi che il principe deve anche essere non buono se lo impone la necessità. Questo metodo si basa sull’osservazione e sull’esperienza, diretta o derivata dalla lezione degli antichi
• Capitolo XVIII: in che misura i principi debbano tenere la parola data. Secondo la tradizione i principi devono essere fedeli e leali ma per l’autore questo non è sempre vero. L’uomo può combattere sia come uomo che come bestia : quando le leggi non bastano occorre usare la violenza. (mito greco del centauro metà uomo e metà cavallo). La bestia si manifesta attraverso la “golpe” (astuzia) e il “lione” (forza e coraggio) e il principe deve possedere entrambi. Inoltre è meglio simulare di avere diverse doti cioè libertas pietas e fides (generosità misericordia e lealtà) che possederle veramente. Il popolo osserva solo l’apparenza e giudica il risultato
• Capitolo XXV: quanto possa la fortuna nelle cose umane e in che modo si debba resisterle. La fortuna determina metà delle azioni umane e l’altra metà è determinata dagli uomini. Essa è paragonata a un fiume in piena e le persone accorte nel periodo tranquillo devono provvedere a rinforzare gli argini. l’uomo è un prodotto della natura e come tale non variano i suoi comportamenti che seguono leggi naturali immutabili. Invece l’uomo deve cambiare e adattarsi ai mutamenti causati dalla fortuna.
• Il capitolo XXVI contiene l’Exhortatio (esortazione) finale, che ha come esplicito destinatario il casato dei Medici. Esso si contraddistingue per una forzatura dell’andamento lucidamente ragionativo dominante nell’itera opera e per la prevalenza dell’aspetto emotivo.

La Dedica
La Dedica, scritta probabilmente all’inizio del 1516, si rivolge all’illustre interlocutore Lorenzo de’ Medici, che stava per essere investito del ducato di Urbino e che godeva dell’appoggio del papa Leone X. Egli gli offriva un piccolo volume in cui riassunte le imprese dei grandi uomini mediate attraverso una lunga esperienza delle cose moderne e una continua lettura delle antiche.
Si comprende quanto delicato in questo testo sia il rapporto fra l’intellettuale e il suo potente interlocutore. Machiavelli mostra quanto lo ammiri. Egli dichiara di aver voluto donare qualcosa di diverso dell’usuale offerta di cavalli, armi, drappi d’oro e pietre preziose e di aver voluto evitare le frasi altisonanti, gli artifici e le ruffianerie della retorica (v1-5). Porge invece un piccolo dono che da la possibilità di intendere in brevissimo tempo quello che in tanti anni di esperienza e di letture egli aeva conosciuto e compreso (v11). L’autore rifiuta apertamente lo stile complicato e decorativo proprio della trattatistica della sua epoca a cui preferisce un linguaggio semplice, essenziale e pratico (v16). Il discorrere sui principi e il dettare regole per il loro governo da parte di un uomo di infima condizione sociale non dovrà sembrare presunzione: lo scrittore è paragonato al disegnatore che, per ritrarre la natura delle montagne, deve scegliere la pianura come punto di osservazione. Allo stesso modo, per osservare la natura dei principi, lo scrittore deve essere «populare», uomo del popolo.
Machiavelli si augura infine che la lettura di questa sua opera possa aiutare il signore di Firenze a pervenire a “quella grandezza che la fortuna e l’altre sua qualità le permettono” e che nel frattempo lo spingano ad osservare come Machiavelli stesso sia invece tormentato dalla mala sorte, e perciò ad aiutarlo a riprendere l’attività politica, facendogli ritrovare i fasti e la gioia di un tempo.

Tipologia dei principati
Nei primi undici capitoli Machiavelli esamina i diversi tipi di principato, da quello ereditario a quello misto, da quello nuovo a quello civile e a quello ecclesiastico. Appare chiaro l’interesse dell’autore che procede per successive esclusioni, sui principati di nuova acquisizione e sul principato civile.
Il capitolo II prosegue con un breve accenno agli stati ereditari, più facilmente conservabili dei nuovi: il principe ereditario si manterrà con minori difficoltà al potere a meno che non venga schiacciato da qualche forza straordinaria. Il capitolo III è centrato sul tema dei principati misti (in parte ereditari e in parte nuovi), anticipa alcune questioni cruciali relative al principato nuovo tutto. Successivamente, dal III al V capitolo, il trattato torna ad approfondire la questione particolare del principato nuovo.
Dal capitolo VI l’autore considera la conquista di principati del tutto nuovi, conquista che può realizzarsi con armi proprie e grazie alla virtù del principe, oppure con armi altrui e per fortuna. In quest’ultimo caso è più difficile conservare il principato.
Nel capitolo VIII si prende in considerazione il principato governato esclusivamente conla crudeltà: la condanna della gratuita crudeltà viene pronunciata in base non a norme etiche ma alla diminuzione del consenso che inevitabilmente produce. Il tema del consenso dei cittadini e del rapporto fra questi e il principe è discusso nel capitolo IX, in cui la forma del principato civile è contrapposta al dominio delle classi nobiliari e ottimatizie. Il capitolo X riguarda la valutazione delle forze che i principati possono mettere in campo, mentre il principato ecclesiastico viene trattato nel capitolo XI. Qui Machiavelli impiega l’arma dell’ironia contro lo Stato della Chiesa come responsabile della disunione d’Italia: questo tipo di Stato è posto fuori dal campo dell’indagine in quanto retto da cagioni superiori, alle quali mente umana non aggiunge.
Machiavelli per far meglio capire ciò che vuole dire a proposito dei “principati del tutto nuovi e di principe e di stato” addurrà degli antichi e famosi esempi, fra cui Mosè, Ciro il Grande, Romolo e Teseo, anche perché, per raggiungere obiettivi così alti è importante seguire l’esempio di uomini abili e virtuosi, di modo che, se anche l’abilità e la virtù di chi vuole eguagliare i loro successi fosse inferiore, imitandone il metodo potrebbe per lo meno avvicinarsi il più possibile al proprio obiettivo.
Questo comportamento viene legittimato dall’autore adducendo come paragone la metafora degli arcieri, i quali per raggiungere obiettivi che sanno essere fuori dalla portata dei loro archi, alzano la mira, non perché credano di poter arrivare ancora più in alto, ma perché sono consci che così facendo potranno raggiungere quello che era il loro obiettivo iniziale.
Machiavelli sostiene che vi siano due modi per un privato cittadino di divenire principe, uno basato sulla fortuna e uno basato sulla virtù: possono entrambi superare le avversità con la stessa facilità, ma chi ha raggiunto il potere solo grazie alle proprie abilità probabilmente riuscirà a mantenerlo più a lungo e con più facilità, soprattutto se, non possedendo altri domini, verrà ad abitare direttamente nel suo principato.
Riportando questi illustri esempi, sottolinea come sicuramente essi possedessero grandi virtù, ma come allo stesso tempo giocò per loro un ruolo fondamentale anche la fortuna, che fornì loro l’occasione per esprimerle e per raggiungere così il potere.
Le maggiori difficoltà che il nuovo principe si troverà ad affrontare saranno costituite dai “nuovi ordini e modi” che si troverà costretto ad introdurre, in quanto si troverà schierati contro con violenza coloro che traevano profitto dal precedente sistema, mentre a suo favore si schiereranno coloro che pensano che forse potrebbero trarre giovamento dal cambiamento, ma in maniera molle e poco decisa.
Se un principe per affermare il proprio potere ha bisogno di cercare costantemente appoggi e consensi da parte di una di un’altra fazione, prima o poi verrà sconfitto dalla propria debolezza, mentre se è in grado di affermare autonomamente il proprio potere e, altrettanto autonomamente di difenderlo, potrà mantenerlo più a lungo e in maniera più salda.

Il significato di Virtù
Virtù e fortuna sono due forze antagoniste e insieme concorrenti nel campo dell’azione politica delineato da Machiavelli. Per il concetto di virtù occorre sottolineare il diverso significato che la parola assume in Machiavelli rispetto alla precedente accezione in Dante. La virus latina è il vigore, la forza, il valore militare. Si riflette la lotta fra la visione del mondo classica e quella cristiana. Nel linguaggio medievale e in Dante tale concetto è sempre subordinato alla sua conformità con i principi universali: l’autorità assoluta imperiale assistita alla grazia divina. Nel Principe, invece, la virtù coincide con la capacità dinamica e operativa di sostenere il contrasto con la fortuna e con la forza dei tempi.

L’ordinamento militare
I tre capitoli XII-XIV costituiscono un blocco tematico autonomo e riguardano l’ordinamento delle milizie. Nella stesura del trattato intende dedicare uno spiazzo specifico alla tesi secondo cui le armi proprie, costituite da cittadini, possono garantire la sicurezza dello Stato. Il capitolo XII tratta dell’inutilità e della pericolosità delle armi mercenarie. Le armi ausiliarie, fornite dagli alleati, e miste, in parte mercenarie e in parte proprie, sono altrettanto insicure e poco affidabili.
La conclusione a cui si giunge e che «senza avere arme proprie, nessuno principato è securo; anzi è tutto obligato alla fortuna». Al principe viene consigliato di non distogliere mai il pensiero dall’esercizio della guerra e viene suggerita la lettura delle istorie, attraverso le quali potrà «considerare le azioni degli uomini eccellenti» il principe non deve stare in ozio nei periodi di pace «ma con industria farne capitale,per potersene valere nelle avversità, acciò che, quando si muta la fortuna, lo trovi parato a resisterle».

Le qualità e le virtù necessarie a un principe nuovo
Con il capitolo XV inizia un nucleo argomentativi nuovo. L’autore dichiara di affrontare in modo del tutto nuovo il tema del comportamento ideale del principe nei confronti di sudditi e collaboratori.
Machiavelli richiama la verità effettuale, cioè cerca di dare una descrizione reale e non idealizzata di come un principe deve essere per acquisire e mantenere il potere, della lotta politica, le cui regole richiedono comportamenti ben diversi da quelli astrattamente immaginati dai suoi predecessori. Il primo requisito che ritiene necessario in un uomo di potere, è sì il sapere essere buono, ma soprattutto l’essere capace di non esserlo, per poter scegliere, a seconda della situazione, come mostrarsi e comportarsi.
Elencando tutte le caratteristiche positive e negative che si potrebbero ritrovare in un uomo, Machiavelli afferma che sarebbe bello che un principe possedesse solo quelle positive, ma essendo ciò impossibile, è fondamentale che egli si guardi da quei vizi che potrebbero intaccare il suo potere, e che per quanto riguarda gli altri li eviti se può, ma che se vi si lascia andare non è poi un male così grande.
Inoltre, è suo dovere abbracciare volontariamente quei vizi senza i quali non potrebbe salvare lo stato, perché alcune di quelle che vengono considerate virtù potrebbero portarlo alla rovina, mentre alcuni di quelli che vengono considerati vizi potrebbero essere gli unici in grado di tenerlo ben saldo nelle sue mani.
Vizio e virtù mutano radicalmente significato rispetto a quello della tradizione e dell’etica comune. L’opposizione alla precedente trattatistica politica si basa sulla diversa concezione del problema etico.
Col capitolo XVI si apre la rassegna delle doti individuali necessarie al principe per dirigere lo stato. Un problema è se sia più utile al principe essere liberale o parsimonioso. Liberalità è la disponibilità a spendere con noncuranza, con la quale si evita di sperperare le ricchezze dello Stato e di opprimere fiscalmente i sudditi. Le azioni del principe sono quindi rigorosamente valutare sulla base della loro effettiva efficacia e rapportare al problema del consenso, alla dialettica tra popolo e principe.
Nel capitolo XVII il tema sfrontato è se sia più utile al principe la crudeltà o la pietà. Se ogni principe può ragionevolmente desiderare di essere considerato pietoso e non crudele, tale pietà non può essere usata male, perché risulterebbe generatrice di disordine e quindi dannosa. Il timore che la crudeltà del principe deve ispirare ai sudditi va tuttavia accortamente dosato. Il limite oltre il quale non è razionaleprocedere nell’uso della violenza è segnalato dall’odio del popolo, che mina il consenso ed è pericoloso per la stabilità dello Stato. La conclusione è dunque che il principe «savio»deve saper utilizzare la crudeltà ed essere temuto, e, al tempo stesso, saper evitare di incorrere nell’odio.
Il capitolo XVIII parte dal rovesciamento del punto di vista etico tradizionale: in un principe la fedeltà e la lealtà sono virtù lodevoli.
Il XIX capitolo prosegue riducendo le qualità dannose al principe a quelle che inducono odio o disprezzo nei sudditi, e che, fomentano le congiunture. Con il capitolo XX ci si sposta sulla discussione delle qualità utili o dannose per il mantenimento del potere a quella riguardante le azioni utili o meno: se convenga al principe armare o disarmare i sudditi, tenerli divisi o costruire fortezze.
I brevissimi capitoli XXXII e XXIII riguardano la prudenza con la quale il principe dovrà scegliere i collaboratori e uomini di fiducia e i modi per difendersi dagli adulatori: la virtù del principe non dovrà in nessun caso essere sostituita da quella di consiglieri e cortigiani.

L’esortazione finale
Nel capitolo XXIV si esaminano le ragioni che hanno determinato la recente perdita degli stati da parte dei principati italiani, mentre nel successivo si pone al centro dell’indagine il rapporto tra fortuna e virtù. L’attacco del capitolo XXIV segnala la conclusione della trattazione precettistica: se il principe seguirà nella pratica le indicazioni suggeritegli, i consigli fin qui delineati faranno sembrare antico il suo regno nuovo, conferendo alla precarietà della costruzione politica nuova la stessa stabilità che è tipica degli stati ereditari. la decadenza italiana è ricondotta a cause rigorosamente umane e sociali.
Il capitolo XXV pone il problema del rapporto fra fortuna e virtù, insistendo sul potere condizionante della prima ma anche della capacità della seconda di assoggettare attraverso l’accortezza e soprattutto attraverso l’azione impetuosa.
Il capitolo XXVI contiene l’esortazione finale a liberare l’Italia dagli stranieri.

La lingua e lo stile del Principe
L’ordinamento stilistico predominante del Principe è esposto dallo stesso autore con limpida consapevolezza fin dalla Dedica. Il tessuto linguistico della prosa di Machiavelli è costruito da un originale impasto di espressioni popolaresche desunte dal fiorentino allora in uso e da espressioni colte. Tendono ad emulare l’aspetto dialogico e disinvolto del parlato e risultano marcatamente latineggianti. Vi sono alcuni termini tecnici, del campo semantico cavalleresco, diplomatico e militare, che confermano le ambizioni politiche e scientifiche dell’opera.
Nella lingua del Principe le forme latineggianti sembrano non rispondere più a uno schema prefissato. I rari latinismi sintattici e lessicali non hanno nulla di meccanico e di canonico e, soprattutto, coesistono con l’agilità del parlato.
Sul piano sintattico domina il periodo costruito sulla base del procedimento dilemmatico o disgiuntivo che consiste nella preferenza accordata all’uso costante della disgiuntiva “o..o…” corrispondente all”aut…aut…” latino. L’argomentazione è chiusa ad una successione di frasi principali collegate fra loro da forti congiunzioni avversative o disgiuntive. La propensione ideologica di Machiavelli si traduce, sul piano linguistico, in un periodare fatto di dilemmi successivi, e costruito sulla serie di antitesi, nelle quali gli elementi concettuali sono contrapposti l’uno all’altro. Ne risulta che interi periodi o alcuni capitoli sono collocati secondo schemi di classificazione antitesi ad albero, cioè via via costruiti su successive contrapposizioni binarie, procedendo all’eliminazione progressiva di un elemento della coppia e allo sdoppiamento del successivo in un nuovo dilemma.
Aspetti linguistici:
• Componente aulica e colta. E’ verificabile con la rilevazione dei latinismi. i latinismi non sono un dato stilistico dominante.
• Componente popolaresca. La grande libertà grammaticale della prosa del Principe si nota dal punto di vista morfologico. Il fiorentino del Principe è aperto alla morfologia spontanea e non codificata del parlato di tutti gli strati sociali, sia colti che popolari.
• Terminologia tecnica. La nuova teoria dello stato elaborata dal Macchiavelli con il principe impone di fissare un lessico specifico della politica. Alcuni termini chiave della prosa del trattato, “virtù e fortuna” assumono i caratteri di termini specifici.
• Le figure. Il principe è un’opera che rientra nel genere letterario della trattatistica. la sua lingua deve essere impiegata in funzione prevalentemente referenziale e con finalità argomentative. L’utilizzazione frequente delle figure retoriche. Esse s’incontrano sia nella disposizione sintattica, sia nello spostamento di senso. Il ricorso all’immagine e l’utilizzazione di alcuni materiali linguistici in funzione più accentuatamente espressiva che referenziale, frequenti soprattutto nei capitoli conclusivi, sono presenti in tutto il trattato.

L’ideologia del Principe
Il primo principio del pensiero di Machiavelli è l’aderenza al reale e l’osservazione della realtà non solo nel suo essere ma anche nel suo divenire. Ne consegue il principio cardinale della verità effettuale.
Non si può certo dire che Machiavelli elabori una concezione puramente tecnica, neutra e funzionale, dell’arte di governare lo Stato. La scientificità di Machiavelli sta solo nell’aderenza al reale; per il resto agiscono in lui, con viva passione, una serie di convinzioni, una ideologia, una specifica visione del mondo.
Costruire uno stato nuovo nel Principe significa perciò, anzitutto, superare i particolarismi dell’ereditarietà feudale.
Per Machiavelli, la legittimità del potere esige l’eliminazione dell’arbitrio illegale, rappresentato dal comportamento delle fazioni aristocratiche. Si creerà così una situazione di legalità grazie alla quale il popolo potrà riconoscersi dello Stato.

Etica e politica
Vi domina una concezione completamente laica dello Stato: scompare ogni elemento provvidenzialistico e finalistico. Non vi è traccia del modello politico unitario medievale incentrato sul binomio Chiesa-impero. Le basi naturali e materiali della realtà e dell’uomo non sono né sollevate né negate. Vengono viceversa accettate entro un progetto complessivo che le comprenda e le esalta.
Il problema del rapporto tra politica e morale è stato al centro delle indagini degli interpreti, durante l’intera vicenda della ricezione del Principe. Se da un lato è fuori discussione che nel Principe viene esplicitamente bandita l’impostazione moralistica della precedente trattatistica politica medievale e umanistica, dall’altro la distinzione crociata tra Politica e Moralità ha portato a escludere dalla tecnica politica del trattato ogni tipo di tensione etica. Nel mondo di Machiavelli il male esiste ed è chiamato per nome, senza ipocrisie, senza perifrasi e senza abbellimenti. L’uomo deve guardarlo in faccia e servirsene, se costretto. Questa è la tragedia etica che la spregiudicatezza del principe presuppone. Non c’è traccia di disprezzo o d’indifferenza rispetto al male. L’etica nuova, fondata dal Principe, consiste appunto nel chiarire i prezzi altissimi grazie ai quali l’uomo, spesso succubo di legami oggettivi (la fortuna), può modificare la realtà e agire sul terreno concreto dalla prassi.

Tensione saggistica e rapporto fra realismo e utopia
L’aspetto scientifico del Principe sta nel suo appello alla verità effettuale e nella critica demistificatoria nei confronti delle ideologie idealistiche che partono da un astratto dover essere dell’uomo e non dalla sua realtà materiale.
La scrittura del Principe rivela una prospettiva utopica e morale fondata non più sull’autorità di una verità precostruita, ma sulla forza delle argomentazioni dell’autore. La prospettiva utopica non è garantita più da un assetto preesistente della verità, della moralità e del sapere, ma solo dalla esperienza e dalla cultura di chi scrive e dunque della responsabilità individuale.
La tensione saggistica della scrittura va individuata nella carica polemica e provocatoria con cui il realismo materialistico dell’autore rovescia le verità precostruite e i luoghi comuni della morale corrente. Ma va individuata anche nella forte prospettiva utopica e morale che chiude il libro, con l’esortazione a creare in Italia uno Stato moderno e a liberarla dal dominio dei barbari. Realismo e utopia sono strettamente collegati. Da un lato Machiavelli analizza realisticamente le cause della crisi italiana, dall’altro prospetta coraggiosamente una soluzione allora fortemente inattuale: un principato civile che ponga fine alla decadenza italiana e costruisca in Italia uno stato unitario forte ma non tirannico, dotato di un esercito proprio non mercenario, e capace di risolvere il conflitto sociale, ridimensionando così, drasticamente, gli stati feudali e oligarchici e garantendosi per tale via l’appoggio del popolo.

Problemi e vicende della ricezione
Il trattato presenta una tematica che trascende il campo letterario e interessa direttamente il pensiero politico e le sue applicazioni pratiche.
La diffusione del Principe avvenne su scala europea: Machiavelli è infatti uno degli autori italiani più conosciuti e discussi all’estero.
Quattro distinti momenti della complessa vicenda della ricezione del Principe:
- Antimachiavellismo confessionale. Nel ‘500 il Principe ha già una diffusione europea che venne presto ridotto da gesuiti e protestanti, nelle lotte religiose, a simbolo delle concezioni poltiche dell’avversario.
- La trattatistica politica della Controriforma. Nel ‘600 la fortuna di Machiavelli coincide in gran parte con la nozione controriformista di ragion di Stato.
- L’interpretazione obliqua dell’Illuminismo del ‘700. il ‘700 e l’Illuminismo aprono una strada alla rivalutazione del pensiero di Machiavelli e del Principe.
- L’età del Romanticismo e del nazionalismo. Machiavelli è interpretato come fondatore del pensiero politico integralmente laico.

Riassunto
I punti cardine sono la realtà effettuale, l’amoralità, il tema del consenso e la simulazione. L’autore spiega come i principati “si acquistano…si mantengono, perché si perdono”. Egli affronta nella forma più rapida ed efficace che si possa immaginare le leggi più riposte dell’umano operare, scruta a fondo in che modo si governi nel suo periodo storico e dice le cose con risoluta fermezza, affrontando la realtà in maniera oggettiva, guardando le cose in faccia così come sono, respingendo ogni tentazione a mistificare il vero.
Il concetto di “realtà effettuale” si estrinseca proprio esprimendo questo contrasto tra apparenza e verità e verificando che l’essere umano non vive in un mondo costruito o ispirato da nobili ideali, ma che la sua dimensione più vera è rappresentata dall’orizzonte dei fatti e delle situazioni che vanno al di là dei nostri principi. Egli rifiuta qualsiasi evasione dal reale, descrivendo il mondo come è, non come dovrebbe essere, opponendosi così all’utopismo politico dell’Umanesimo e del Rinascimento che, rifacendosi ai testi classici, greci e latini, delineava un Principe virtuoso, riferendolo, invece, come un uomo padrone di se stesso, capace di muovere la storia, di cogliere le occasioni e di volgerle a proprio vantaggio, in una parola, l’uomo della Rinascita. Ed è proprio il suo andar dietro alla verità effettuale delle cose, piuttosto che all’immaginazione di esse, che costituisce la vera e propria rivoluzione del Machiavelli. Inoltre, grazie all’utilizzo di questo tema egli fa trasparire il suo giudizio fortemente pessimista sulla natura umana, caratterizzata da violenza e malvagità.
Con una tecnica tipica degli scienziati, si avvale o del cosiddetto “modulo dilemmatico”, che consiste nel presentare tutte le alternative possibili, o di metafore e ipotetiche obiezioni, quali la continua ripetizione del concetto del “sarebbe bello ma”, che indica concretezza, non utopia e del paragone delle strutture statali a “barbe e corrispondente”. Il trattato, tutto incentrato sulla realtà effettuale, mette a nudo nell’ultimo cap. la grande aspirazione del Machiavelli di liberare l’Italia, mettendo a nudo i suoi ideali patriottici mediante una contraddizione che lo trasforma da realista puro in un sognatore- poeta. Machiavelli si mostra estremamente critico nei confronti della religione, accusando la chiesa di essere colpevole della rovina d’Italia. Distingue, infatti, fra morale politica e morale privata e le infrazioni alla morale corrente sono consigliate solo al politico e solo in quanto utili allo Stato. Infatti, comportamenti virtuosi per quest’ultima, potrebbero essere dannosi nella condotta politica e viceversa, atteggiamenti immorali nella vita privata potrebbero essere molto positivi per mantenere in vita lo Stato e la comunità.
L’immagine della politica appare quindi come un’attività autonoma e le azioni del Principe sono sempre giustificate dai mezzi. Nella lotta continua, senza tregua e senza pietà, che si combatte ogni giorno per mantenere integra la comunità umana, non vi è posto per qualsiasi ragione di bene o di male che non si identifichi con l’utilità o la salvaguardia delle stesse istituzioni civili e di chi le guida.
Non si può quindi parlare di immoralità, ma semplicemente di a-moralità.
Il principe, per guadagnare la stima dei suoi sudditi ed ottenere l’appoggio dell’opinione pubblica deve seguire la legge della necessità, per cui è per lui fondamentale applicare la politica del “consenso” tramite la “simulazione”. Anche qui troviamo il ribaltamento degli ideali classici, dove si esaltava l’essere, condannando l’apparire e la sofistica.
Strettamente connessa a questo è indubbiamente la simulazione che consiste nella contrapposizione tra moralità codificata e virtù politica.
Non importa quindi come colui che governa sia in realtà, ma come si presenta e agisce. La simulazione viene addirittura innalzata a virtù e ben raccomandata.

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Esempio



  


  1. Provveduto Lisa

    Sto cercando gli appunti sulla soluzione presa da Macchiavelli per la situazione italiana. Sostengo un'interrogazione programmata sull'argomento. Scuola secondaria Leonardo Da Vinci di Bollate (MI)