Giovanni Verga

Materie:Tesina
Categoria:Letteratura Italiana

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Testo

GIOVANNI VERGA
VITA E OPERE
Giovanni Verga, massimo esponente italiano della corrente letterario del Verismo, nasce a Catania, in Sicilia, nel 1840 dove ivi muore nel 1922. Egli fa parte di una famiglia agiata perciò la sua vita è strettamente collegata all’ambiente aristocratico, infatti i primi romanzi giovanili hanno carattere patriottico e romantico, influenzate, appunto, dal Romanticismo. In seguito a impegnativi studi gli abbandona per partecipare alla Guardia Nazionale ed in seguito andare a Firenze, città culturalmente cosmopolita, dove frequenta i più importanti saloni ed entra in contatto con numerosi letterati ed artisti, tra cui Prati e Aleardi, i due principali poeti tardo –romantici del tempo. Nei romanzi di questo periodo è evidente l’affiancamento dello scrittore all’autobiografismo, testimoniato dal disconoscimento da parte del Verga di Una peccatrice, ch viene sempre più dissimulato. Mentre con Storia di una capinera l’autore riprende la forma del romanzo epistolare accentuando la componenti introspettiva, ma rifiutando un’intrpretazione in chiave di lettura “impegnata”.
A Milano il Verga entra i contatto con una città ancora più proiettata verso l’Europa rispetto a Firenze. I romanzi come (Eva, Tigre reale, Eros) di questo periodo segnano il passaggio dal patetico al passionale ( e l’introduzione del narratore sterno) essendo concentrati sul conflitto fra spinte ideali e realtà quotidiana. L’allontanamento dall’autobiografismo si avverte anche dall’ambigua polemica nei confronti dei valori etico- artistici propri della società borghese, meglio spiegato nella prefazione a Eva.
Si tratta di un segnale che condurrà lo scrittore ad allontanarsi quasi totalmente dal mondo borghese ed aristocratico per affiancare il Verismo e, questa sua intenzione è evidente nel “bozzetto siciliano” Nedda ( prodromo dell’adesione al Verismo, con una protagonista costruita in antitesi ad Eva). D’altra parte, l’allontanamento dalla poetica romantica avviene parallelamente alla diffusione di nuove correnti filosofiche e letterarie diffusesi in Europa, come Positivismo , i cui principali esponenti – in Francia e Inghilterra – sono, rispettivamente Compte e Spencer.
Negli stessi anni in cui si diffonde il Naturalismo, si colloca, nella lettera del 21 aprile 1878 a Paolo Verdura, un’importante dichiarazione teorica la quale mira ad imitare il ciclo narrativo dei Rougon-Macquart di Emile Zola.
La novella Fantasticheria narra la visita ad Aci-Trezza di Verga ed una sua aica: la nobildonna si innamora del piccolo borgo di pescatori e decide di trasferirvisi per un mese. Ma l‘assuefazione dura ben quarattontt’ore, dopo le quali raggiunge la noia e prende la decisione di abbandonare il paese. Ella, con sarcasmo che vuol riuscire divertente, definisce l’ideale dell’ostrica come tenace attaccamento alla propria terra, ma non alle proprie tradizioni e valori familiari di comunità di pescatori.
Mentre, nella poetica della distanza il Verga si allontana sia dalla poetica naturalista sia da un proprio atteggiamento psicologico fondato sulla tentazione di un ritorno nostalgico alla Sicilia e al mondo rurale. Essa focalizza la propria attenzione su due punti fondamentali:
• Rifiuto del contrasto città-campagna;
• Elaborazione mentale, ricostruzione attraverso non l’occhio fisico ma quello materiale, che favorisce il distacco e consente l’eclissi al lettore.

I ROMANZI: I MALAVOGLIA
Il primo cartone della novella I Malavoglia è sicuramente il “bozzetto marinaresco” Padron ‘Ntoni; insoddisfatto del primo lavoro, vi lavora ancora quattro anni prima della pubblicazione nel 1878.
I ritratti dei personaggi sono contenuti e stringati, mai descrittivi ed analitici: non si riscontrano descrizioni fisionomiche e fisiche. Il Verga non punta ad una descrizione esteriore ma focalizza la sua attenzione sulle azioni, parole e comportamenti. La costruzione dei personaggi del romanzo è basata su un doppio parallelismo antitetico fra:
• I paesani e la Malavoglia, i primi si distinguono dai secondi per un maggiore egoismo ed attaccamento all’interesse economico; inoltre vi è la contrapposizione tra un mondo fondato sui valori del lavoro e dell’onore e una realtà in cui prevale il mio del denaro e del successo sociale;
• I due gruppi all’interno della famiglia dei Malavoglia: coloro che sono integrati nella “religione di casa” (Padron ‘Ntoni, Alessi, Mena) e coloro che avvertono l’esigenza del nuovo (‘Ntoni e Lia). Vi è un’evidente opposizione tra la figura di ‘Ntoni e Alessi: il primo è il personaggio vinto-emarginato che, in ultima analisi, rappresenta il “doppio” di Verga e, in generale, dell’artista, mentre il secondo è u personaggio che sceglie – in un’ottica di tepo circolare- il ritorno alla situazione di partenza.
Nell’opera l’autore non prende le parti di nessun personaggio, neppure nel caso di Padron ‘Ntoni, di cui emerge la consapevolezza, che consiste nell’attaccamento ai valori della tradizione ed ai principi dell’onore. Ed il rapporto che il capofamiglia intrattiene con il nipote ‘Ntoni non basato sul dialogo ma l’uso dei proverbi, che mira a riprodurre la realtà della ricostruzione mentale, ed a comunicare realtà oggettive e verità assolute.
L’antitesi intorno cui è costruita la famiglia dei Malavoglia (vita ambientata tra il 1865 e 1878) contrappone i personaggi miti e rassegnati alla sorte e i personaggi aggressivi e ribelli, inseriti in un insieme, in un ciclo, creando l’”epopea dei vinti” la quale si pone in contrapposizione all’”epopea degli umili” del Manzoni, cui vede protagonisti personaggi semplici ed umili del basso borgo. I vinti sono accomunati, come anticipato nella Prefazione a I Malavoglia, dalla ricerca del benessere e, infine dalla sconfitta. Evidente è la supremazia del destino sulla voglia di fuggire dalla loro condizione di miseria, che li conduce ad una fine ingrata nel peggior dei modi possibili. Così anche nell’opera, il conflitto centrale è tra la famiglia ed il destino, che fa da sfondo al tema centrale, quello dell’infrazione alla legge atavica e il disagio di fronte alle leggi economiche.
Il romanzo de I Malavoglia, nell’ambito delle proprie caratteristiche innovative, si contraddistingue per il rifiuto dell’esperienza plurilinguistica di impronta scapigliata. Verga pensa in italiano, l’italiano parlato dai letterati ma utilizza il dialetto siciliano nelle forme dell’italiano parlato colto e del siciliano colto. Il linguaggio utilizzato dal Verga è conforme all’italiano per quanto riguarda il lessico e la morfologia, mentre ricerca effetti di colorito siciliano soprattutto a livello sintattico, utilizzando:
• Periodi brevi;
• Il “che” come rispettivo al ca dialettale siciliano;
• Alternanza del discorso diretto con quello indiretto.
Inoltre egli utilizza il discorso diretto libero caratterizzato:
• Dall’assenza del verbo del “dire”, a differenza del discorso indiretto;
• Dalla coniugazione in terza persona;
• Dalla riproduzione del parlato;
• Dall’uso di deittici, avverbi di localizzazione temporale e spaziale.

Ne I Malavoglia, l’episodio del ritorno di ’Ntoni alla casa del nespolo è situato nelle pagine che chiudono l’opera, un ritorno che è il punto di partenza verso un esilio definitivo. L’opera si conclude con la figura di due personaggi che sono entrambi esclusi. Il messaggio di Verga è strettamente pessimista perché l’esclusione riguarda sia chi come Alfio ha scelto la via del lavoro e dell’integrazione, sia chi come ‘Ntoni, ha scelto la via della ribellione e dell’avventura. Ambedue sono esclusi perché tutti gli uomini, sia quelli che vivono di sentimenti, sia quelli che accettano la logica dell’interesse economico, sono destinati alla sconfitta.
‘Ntoni giunge a casa di Alessi provato dal carcere, dove è finito per vicende legate al contrabbando cui si è dato, non volendo accettare il proprio destino: elemento che meglio testimonia questa situazione di reduce è il fatto di essere coperto da polvere. Di fronte alla misera condizione di ‘Ntoni, Alessi e gli altri abitanti della casa, provano un sentimento di compassione, e lo guardano con il cuore in mano quando lo vedono mangiare. Dopo che ‘Ntoni, commosso e straziato visita la casa, viene informato della situazione di sua sorella Lia, che si è perduta per causa usa; è in questo momento che egli si rende consapevole del suo errore e l’affermazione “allora (…) qui non volevo starci, ma ora che so ogni cosa devo andarmene” evidenzia la nostalgia dl giovane per la famiglia. Questo sentimento di nostalgia è reso dalla narrazione indiretta attraverso il rapporto con il cane, il mare e le luci del paese.
Il romanzo si conclude con un riferimento a Rocco Spatu, bighellone e perdigiorno: ciò suggella l’opera con un sapore di pessimismo e vanità dei progetti e delle illusioni.

MASTRO DON GESUALDO
Il progetto di Mastro don Gesualdo prende le sue prime forme già nel 1881, e vedrà la sua pubblicazione nel 1889, otto anni dopo.
Il romanzo è ambientato fra il 1820 ed il 1848, il quale vede protagonista Gesualdo Motta, un modesto ma abile artigiano, che riesce ad arricchirsi. L’opera ruota intorno alla figura di Gesualdo, e ne evidenzia i momenti fondamentali della vita del protagonista; infatti il romanzo è diviso in due parti: la prima analizza l’ascesa di Gesualdo, mentre la seconda il suo declino, che si conclude con una morte caratterizzata dalla solitudine. Egli considerato un personaggio epico- romanzesco, epico perché impersona l’epopea borghese della roba che egli interpreta con successo; romanzesco perché gioca il suo successo in un’avventura del mondo sconosciuto del potere politico e delle classi dirigenti. Il tema centrale, pertanto, evidenzia la condanna della negatività della fame di “roba”.
Gesualdo è, nella volontà di realizzazione di sé al di là dei limiti della propria classe sociale, molto simile, costituendone il naturale sviluppo, a ‘Ntoni, il quale avverte la necessità di superare i limiti imposti dalla famiglia e dal paese, ma non sa come e dove.
Uno dei cinque romanzi del ciclo dei vinti, rimasto incompiuto con il titolo La Duchessa di Leyra, nella celebre lettera del 1878 all’amico Paolo Verdura è indicato da Verga con il titolo La Duchessa delle Gargantàs.

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