Don Chisciotte

Materie:Scheda libro
Categoria:Letteratura Italiana
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Testo

Don Chisciotte della Mancia
di Miguel de Cervantes

“È mai possibile, mio caro hidalgo, che la deleteria ed oziosa lettura dei libri di cavalleria abbia avuto un tale potere su di voi da farvi perdere il giudizio e farvi credere d’essere incantato ed altre cose del genere, tanto lontane dalla verità quanto la stessa menzogna?…Mi sforzo solo di far capire al mondo l’errore in cui incorre non rinovando in sé il tempo felicissimo in cui campeggiava l’ordine della cavalleria errante”.
Il libro inizia, similmente a molti altri romanzi, con l’introduzione dell’autore. Egli narra, come farà anche il grande Manzoni con la stesura dei suoi “Promessi Sposi”, di avere trovato un vecchio manoscritto e di averlo voluto rielaborare per dare la possibilità a tutti di poter godere di una così bella storia. Questo stratagemma permetterà all’autore di esprimere giudizi su tutto ciò che riguarda la storia, senza temere critiche o accuse dai lettori. Il protagonista del romanzo, Alonso Quijana, viene subito descritto come un modesto proprietario terriero della Mancia la cui passione principale risiede nella lettura dei romanzi cavallereschi tanto apprezzati ai tempi di Cervantes. All’inizio del racconto l’autore narra che proprio questi libri hanno causato la pazzia di Chesciana, a tal punto da fargli credere di essere anche lui uno di quei prescelti cavalieri erranti amanti dell’avventura e della fama: per questo il protagonista si farà nominare cavaliere da un oste e deciderà di diventare l’impavido Don Chisciotte della Mancia, difensore dei deboli e vendicatore di torti “Insomma, a tal punto sprofondò in quella lettura, da consumarci giorni e notti interi, cosicché gli si seccò il cervello e finì col perdere la ragione…in realtà, perso ormai completamente il senno, gli balenò la più strana idea che potesse venire a un pazzo: gli parve, cioè, opportuno e necessario, sia per esaltare il proprio nome sia per il bene della patria, farsi cavaliere errante”. E così il cavaliere, bardato il suo cavallo Ronzinante e scelto come scudiero il suo compaesano Sancio Pancia, parte alla ricerca di avventure nei territori spagnoli nei dintorni della regione in cui vive, “spinto com’era dal pensiero che ogni suo ritardo avrebbe causato un gran danno nel mondo”. Proprio come ha letto nei suoi libri, anche Don Chisciotte sceglie di dedicare tutte le sue future imprese alla sua donna amata, una contadina che egli chiamerà Dulcinea del Toboso e che amerà alla follia, nonostante lei non ricambi questa passione, non conoscendo nemmeno l’esistenza del cavaliere. Iniziano dunque qui le avventure di Don Chisciotte e Sancio Pancia, che si ritrovano subito, a causa della pazzia dell’uno e della bramosia di ricchezza dell’altro (il cavaliere aveva infatti convinto lo scudiero a seguirlo promettendogli il governo di un’isola), a combattere contro mulini a vento e greggi di pecore. I due affrontano una moltitudine di avventure in cui viene sempre esaltata la pazzia del padrone: a causa di questa infatti l’immaginazione del cavaliere errante è portata a credere che qualunque cosa o persona sia uscito da uno dei suoi libri e sia quindi una sfida da fronteggiare con coraggio e lealtà “Al nostro avventuriero, tutto ciò che pensava, vedeva o immaginava, pareva che fosse ed accadesse a somiglianza di quanto aveva letto”. Successivamente gli avvenimenti descritti procedono in modo molto rapido e brusco, senza che uno sovrasti gli altri o imprima una svolta decisiva alla storia, che si basa su tutti e nessuno in particolare, ma semplicemente sul tessuto di eventi in cui si muovono i due protagonisti. In seguito il cavaliere errante incontrerà un vagabondo impazzito per amore e deciderà di imitarlo prendendo il nome di Cavaliere dalla Triste Figura e incaricando Sancio di consegnare una lettera a Dulcinea per informarla di essere impazzito di gelosia (proprio come egli stesso aveva letto nell’“Orlando Furioso”). Sulla via del ritorno tuttavia lo scudiero si fermerà in un’osteria dove troverà due suoi compaesani, il curato e il barbiere; questi dopo essersi informati della situazione di Don Chisciotte, decidono di riportarlo al paese con l’aiuto di Sancio. Con quest’episodio l‘autore conclude la prima parte della storia di Don Chisciotte, che sarà ripresa dieci anni dopo dallo stesso scrittore, amareggiato per la pubblicazione di una seconda parte non sua da lui definita “falsa” (concetto che sarà poi ribadito diverse volte nel corso della storia per screditare l’avversario). Il racconto riprende con un Don Chisciotte desideroso di riprendere i suoi viaggi ma obbligato da tutti a restare a casa. A questo punto entrerà in scena un nuovo personaggio, il baccelliere Sansone Carrasco, il quale suggerirà di lasciare partire inizialmente Don Chisciotte, e di riportarlo a casa di sua spontanea volontà grazie a un suo abile stratagemma. Prima di partire Don Chisciotte sarà informato della pubblicazione di un libro narrante le sue gesta e sarà ulteriormente motivato a partire per raggiungere la fama. Dopo pochi giorni di cammino i due incontrano il “Cavaliere degli Specchi”, un uomo coraggioso che uscirà sconfitto da un duello con Don Chisciotte e verrà scoperto essere non altri che il baccelliere Carrasco, a cui verrà risparmiata la vita. In seguito Don Chisciotte e Sancio arriveranno al palazzo di un Duca, che insieme alla moglie imbroglierà i protagonisti per solo divertimento, approfittando della pazzia del cavaliere. Dopo essere rimasti per molto tempo al servizio del duca i due decidono di ripartire e, arrivati a Barcellona, incontrano un nuovo impedimento: il baccelliere Sansone Carrasco, sotto il nome di Cavaliere della Bianca Luna, vuole sfidare Don Chisciotte in un nuovo duello per costringerlo poi a prendere la via del ritorno al suo villaggio. Il cavaliere errante naturalmente accetta la sfida e, sconfitto, torna a casa per restare fedele ai suoi ideali cavallereschi. Al suo ritorno a casa, Don Chisciotte si ammala gravemente e, in punto di morte, riacquista il senno e rinnega tutto ciò a cui era rimasto fedele nel corso delle sue avventure, lasciando una vita che lo renderà famoso e immortale: “Ormai la mia mente è chiara e libera dalle ombre e dalle nebbie dell’ignoranza che su di me avevano fatto calare le amare e continue letture di quei detestabili libri di cavalleria. Ormai riconosco le loro scempiaggini e i loro inganni, e l’unica cosa che mi rammarica è che questo risveglio sia giunto troppo tardi, senza che io abbia il tempo di rimediare…rallegratevi con me, miei buoni amici, perché non sono più Don Chisciotte della Mancia, ma Alonso Quijano”.
I personaggi sono descritti sia attraverso i tratti fisici, sia grazie a elementi psicologici e sociali, inoltre spesso Cevantes è molto abile a far corrispondere l’aspetto fisico con quello interiore. L’esempio più evidente di questa tecnica descrittiva risiede proprio nei due personaggi principali che rappresentano anche i perfetti opposti: mentre Don Chisciotte è descritto come un uomo “sui cinquant’anni, dalla corporatura forte e asciutta, di viso scarno”, fatto che fa pensare subito ai suoi elevati ideali cavallereschi e spirituali, Sancio è paffuto e tarchiato, aspetto adatto a un personaggio attaccato alla ricchezza e ai beni terreni.
Don Chisciotte è il personaggio principale della storia, e per questo l’autore lo descrive in modo molto accurato e gli dedica molto spazio: inizialmente ha un aspetto nobile, tipico dell’ “hidalgo”, il proprietario terriero spagnolo; in seguito con lo scorrere delle sue avventure la sua immagine diventa sempre più malandata fino alla conclusiva malattia che lo porterà alla morte. Egli è profondamente educato e gentile sia nei gesti sia nel linguaggio tipico cavalleresco che ha potuto studiare nei suoi libri, ma completamente privo di senso pratico poiché abituato a vivere nelle comodità che il suo grado sociale gli permette. Il cavaliere tuttavia mostra in alcuni momenti tutta la sua saggezza e finezza d’ingegno, facendo ragionamenti che mettono a nudo quelle qualità mentali spesso oscurate dalla sua pazzia: “In questo modo e con simili ragionamenti Don Chisciotte continuava il suo discorso, cosa questa che indusse coloro che lo ascoltavano in quel momento a considerarlo tutt’altro che pazzo” “Come si è precisato più volte nel corso di questa grande storia, egli diceva spropositi solo quando lo si toccava nell’argomento della cavalleria, mentre in tutti gli altri discorsi mostrava di possedere un’intelligenza lucida e pronta”.
Sancio, al contrario del suo padrone, è un semplice contadino dal carattere rozzo e semplice, la cui unica saggezza si basa sui proverbi popolari e sull’affrontare le situazioni nel modo più tangibile: egli rappresenta l’elemento di concretezza che limita la fantasia e l’immaginazione del protagonista. “Per Dio signor padrone – rispose Sancio – ma vossignoria si lamenta proprio per poco! Perché mai si rode il fegato se io mi servo di questo mio patrimonio, visto che non ho altra ricchezza, né altro capitale se non proverbi e ancora proverbi?”.
Mentre la storia si svolge, è sempre più evidente quanto i due personaggi principali, l’uno con i suoi insegnamenti colti e l’altro con la sua esperienza nella vita reale, si completino tra loro al punto di trovarsi quasi in crisi al momento della separazione, quando Sancio viene nominato dal duca governatore di un’isola. “Pare li abbian fatti tutti e due con lo stesso stampo, perché direi che le pazzie del cavaliere senza le stupidaggini del servo non valgono un soldo”.
Vi sono numerosi personaggi secondari come la nipote di Quijana, Dulcinea, il barbiere, il curato, il baccelliere, il duca e la duchessa, l’oste e Cardenio. Questi costituiscono i personaggi presenti nel filo principale della narrazione e ne realizzano come uno “scheletro”. I rimanenti personaggi compaiono per la maggior parte solo di sfuggita e si possono definire personaggi “falsi” in quanto hanno solo fatto finta di essere ciò che mostravano con l’unico scopo di deridere Don Chisciotte sfruttando il suo stato di confusione mentale “Non è cosa strana vedere con quanta facilità questo disgraziato gentiluomo crede a tante fandonie e a tante bugie, solo perché hanno lo stile e la maniera delle sciocchezze da lui lette nei suoi libri?”.
I luoghi in cui si svolgono la vicenda sono molto ampi, e vengono date alcune informazioni molto in generale: la storia è ambientata in Spagna e si svolge nella Mancia, a Barcellona, nei dintorni di Saragozza e nei piani di Montiel. Il paese natio di Don Chisciotte non è esplicitato dall’autore, che resta molto sul vago: “In un villaggio della Mancia, di cui non voglio ricordare il nome”. Le descrizioni dei luoghi sono lasciate molto in disparte, poiché l’autore ha preferito dare più spazio alle descrizioni fisiche, necessarie per conoscere i personaggi, e soprattutto alla narrazione degli eventi, sempre in primo piano nel romanzo “L’autore descrive tutti i particolari della casa di Don Diego, mostrandoci tutto ciò che si può trovare nella casa di un ricco gentiluomo; ma al traduttore di questa storia parve bene tralasciare queste ed altre simili piccolezze, ritenendo che non cadessero a proposito con l’oggetto principale del racconto, che si basa su fatti reali più che su fredde digressioni”.
Gli ambienti sociali incontrati, a causa del lungo girovagare dei protagonisti, risultano molto vari: dalla situazione di borghese benestante di Don Chisciotte i due passano a una condizione di dura povertà, per poi ritrovarsi in una bellissima reggia di un duca o nella locanda più popolare.
Il periodo storico in cui si svolge la vicenda non è esplicitato dall’autore, ma si può dedurre da alcuni elementi storici come il declino spagnolo del XVII secolo e la narrazione della battaglia di Lepanto, avvenuta nel 1571, dove tra l’altro Cervantes stesso perse la mano sinistra.
Nel romanzo coincidono spesso il tempo della storia e il tempo del racconto, e la narrazione dei fatti avviene in ordine cronologico. Di frequente sono inserite novelle edite dallo stesso Cervantes, che le racconta per bocca dei personaggi della storia.
Nel romanzo compaiono due linguaggi diversi, uno caratterizzato dal modo di parlare tipico cavalleresco che è stato acquisito anche da Don Chisciotte, l’altro molto più semplice e accessibile che caratterizza tutti gli altri personaggi. Oltre a quello del cavaliere, molto colto e nobile, è molto particolare anche il modo di parlare di Sancio, completamente opposto a quello del padrone, molto popolare e ricco di proverbi “Quanto a me, io bado ai fatti miei, non so nulla e non me ne importa nulla. E non mi piace impicciarmi degli affari altrui, perché chi compra e mente, nella borsa lo sente. Tanto più che nudo son nato e nudo rimango, e non me ne va e non me ne viene. Ed anche se lo fossero stati, a me che cosa importa? Non è tutto oro quel che luccica, e poi, chi può chiudere la bocca alla gente? Persino su Dio trovano da ridire!”. Il lessico utilizzato per la narrazione, esposta da un personaggio esterno alla vicenda, è molto semplice e colloquiale, con la presenza occasionale di termini in lingua spagnola e di giochi di parole “Temeva che il suo padrone rimanesse menomato, anche se per lui, in fondo, sarebbe stata una gran fortuna uscirne meno-matto”. L’autore fa un largo uso sia del discorso diretto sia di quello indiretto, dedicando molto spazio alla descrizione degli eventi e dei personaggi. La struttura sintattica è molto semplice e scorrevole, a parte nei momenti in cui prende la parola Don Chisciotte che, imitando l’uso dei libri di cavalleria, utilizza periodi molto lunghi e complessi “Non lacrima affatto, non le sgorga un bel nulla di ciò che dici tu, canaglia infame, ma solo ambra e zibetto su gote di neve, candide gote, e non è orba, né gobba, ma diritta come un fuso di Guadarrama. Ma voi pagherete la gran bestemmia che avete proferito contro siffatta beltà qual è quella della mia signora!”.
I messaggi dell’autore sono numerosi all’interno di entrambe le parti della storia, con particolare interesse verso alcuni tratti che vengono evidenziati varie volte nel corso del romanzo.
Il “Don Chisciotte” è un’opera di complessità molto elevata, sia a livello stilistico che per i numerosi temi presenti nella narrazione. Conseguentemente a questo, anche le interpretazioni dell’opera sono state altrettanto numerose, di natura anche contrastante tra loro. Tutte queste si possono ricondurre tuttavia a due grandi categorie: da una parte la lettura ironica, parodia dei romanzi cavallereschi e della follia di Don Chisciotte; dall’altro lato emerge un’interpretazione tragica, affermatasi durante il Romanticismo, che pone nel cavaliere e nei suoi ideali il vero spirito con cui bisogna affrontare questa realtà priva ormai di ogni eroismo.
Il tema messo maggiormente in risalto è la pazzia di Don Chisciotte, l’unica scappatoia che gli permette di allontanarsi dalle regole su cui si basa la società: il cavaliere, difendendo i suoi nobili ideali, difende, seppur in modo grossolano e infecondo, anche i valori della spiritualità e della lealtà ormai perduti nella sua società. Don Chisciotte è considerato da tutti un pazzo perché vede la realtà non com’è realmente ma come la desidera lui. La sua ossessione per i romanzi cavallereschi spingono la sua immaginazione a credere di vedere in ogni luogo avventure e dame bisognose del suo aiuto “Canterai tu le imprese/d’un hidalgo di Castiglia/cui gli strampalati libri/frastornarono la testa”. I valori da lui difesi però, sono più che importanti: sono gli ideali cortesi dell’amore fedele verso la propria Dama e la continua ricerca di avventure che lo portano ad andare sempre alla ricerca di nuove esperienze. Alla fine del romanzo tuttavia Don Chisciotte rinnega tutto ciò a cui aveva dedicato le sue imprese, causando un totale ribaltamento della situazione e della realtà ideata dall’autore. Da questo capovolgimento si rovescia anche il principale intento dell’autore: se prima Don Chisciotte era destinato a suscitare ilarità e simpatia, nel finale mostra un uomo solo e disperato per aver sprecato la sua vita a inseguire solo ombre della sua immaginazione. Questo personaggio ha vissuto in una dimensione propria, e il suo ritorno alla realtà porta a un risveglio anche nella mente del lettore il quale si accorge proprio in questo momento che Don Chisciotte rappresentava l’unico personaggio reale della storia: tutti gli altri infatti non hanno fatto altro che mostrare una doppia faccia per deridere il protagonista “Ah, signore! Iddio vi perdoni il male che avete fatto al mondo intero, volendo far rinsavire il più simpatico pazzo che vi si ritrovi! Non capite, signore, che il beneficio che può arrecare la saggezza di Don Chisciotte non pareggerà mai il piacere che possono procurare le sue follie?”.
Le varie situazioni che si trovano all’interno dell’opera sono soggetti a giudizi dell’autore il quale trova un modo molto particolare di esprimere ciò che pensa. In primo luogo Cervantes ricorre all’espediente del manoscritto ritrovato per cui la storia perduta dall’autore sarebbe stata tradotta oltre che in arabo anche in spagnolo da un moro ispanizzato e poi riscritta dal narratore: è chiaro che una simile moltiplicazione di fonti permette di introdurre la frammentazione dei punti di vista. In secondo luogo Cervantes sfrutta le possibilità offerte dall’edizione in due tempi delle due parti del romanzo per cui il Don Chisciotte della seconda parte parla di sé anche come personaggio del libro edito dieci anni prima.
L’autore inoltre, per mezzo di questo stratagemma, riesce a mettere in bocca a Don Chisciotte anche più di un’analisi del personaggio della prima parte: il protagonista infatti spesse volte critica apertamente Alonso Fernandez De Avellaneda, l’avversario di Cervantes, autore della seconda parte di Don Chisciotte da lui definita spesse volte un falso. “È tanto cattivo che se io cercassi di farlo peggio non ci riuscirei”.
Osservando lo stile e i temi affrontati nel romanzo, si può notare che l’autore si rifà ai poemi cavallereschi, rovesciandoli però in modo da farne una vera e propria parodia: Don Chisciotte, pur credendosi invincibile e fortissimo, spesse volte si ritrova, dopo battaglie o avventure, sempre sconfitto e malridotto “Io valgo per cento! – affermò Don Chisciotte…in realtà, al secondo colpo stesero al suolo Sancio e lo stesso capitò a Don Chisciotte”. Anche le imprese del cavaliere errante subiscono lo stesso processo, essendo solo nate dall’immaginazione di quest’ultimo. “Infatti, il vostro scopo consiste nel distruggere la costruzione mal fondata di questi libri cavallereschi, aborriti da tanti e lodati da molti di più; e se riuscirete in questo intento, non avrete fatto poco” “Che se li portino via Satanasso e Barabba, quei libri, che hanno rovinato la testa più fina di tutta la Mancia!”.
Da questo punto di vista “Don Chisciotte” può essere messo a confronto con un altro libro-parodia dei romanzi cavallereschi: “L’Orlando Furioso”. Come l’opera di Cervantes, anche questa è continuamente spezzettata in vari episodi che vengono poi ripresi seguendo vari fili logici (entrelacement), tuttavia si possono rilevare facilmente i tre temi principali: il motivo epico(la guerra mossa dal re africano Agramente a Carlo Magno sul suolo di Francia), il motivo amoroso (l’amore di Orlando per Angelica, che si conclude con la scoperta del suo tradimento e la pazzia do Orlando, poi felicemente guarita grazie ad Astolfo e al suo viaggio sulla Luna) e il motivo della lode della dinastia D’Este (le nozze di Ruggiero e Bradamante). L’opera di Ariosto non ha precedenti nello stile e nell’originalità di idee, ma viene spesso affiancato a “Don Chisciotte” per attinenza degli episodi e per il comune rovesciamento dei canoni cavallereschi.
La vita cavalleresca ha colpito, ipnotizzato e travolto Don Chisciotte e Orlando, sia perché essi vogliono essere individui liberi, sia perché per mezzo delle loro gesta coraggiose questi eroi hanno modo di emergere e di diversificarsi dalla massa degli uomini comuni. Entrambi i personaggi perdono la ragione per un desiderio irraggiungibile, il paladino per l donna amata, mentre l’hidalgo per l’ossessione di volere una vita eroica e immortale. L’aspirazione a raggiungere questi obiettivi è un ulteriore parodia dell’epica cavalleresca: mentre nei romanzi arturiani la ricerca si limitava a ideali religiosi e spirituali (in particolare la ricerca del santo Graal), nelle due opere di parodia la queste (la ricerca) si abbassa a oggetti di carattere profano e laico (la donna amata e la fama).
Mentre Boiardo, autore dell’“Orlando innamorato” e predecessore di Ariosto, credeva profondamente nella restaurazione della cavalleria e dei suoi nobili ideali, i due scrittori citati prima non credono più in questa attualizzazione del mondo cavalleresco: essi credono che la cavalleria sia ormai limitata a un mondo remoto, che si può solo osservare con nostalgia, ma anche con distacco. L’eroico cavaliere perde gran parte della sua dignità mostrando dunque i suoi limiti ed i suoi errori, facendo emergere al di sotto delle apparenze dei semplici uomini comuni: Orlando inizialmente è un audace eroe, ma non appena egli vede Angelica è subito distolto dal suo distinto compito di aiutare Carlo Magno, e fa apparire il suo animo semplice, ingenuo nella vita e nell’amore; Don Chisciotte invece è già un antieroe, non è né forte né invincibile, tuttavia è molto simile all’eroe creato da Ariosto, poiché senza la sua arma e il suo cavallo diventa inesperto e impacciato.
Un altro elemento che lega l’opera di Ariosto a quella di Cervantes è la distorsione della realtà attraverso gli occhi dei due personaggi. Don Chisciotte è sempre in perenne ricerca della fama, obiettivo puramente ideale che non ha riscontri nella realtà materiale. Questo fatto fa pensare subito all’episodio ariostesco del “Palazzo Incantato di Atlante”, in cui tutti i personaggi inseguono le immagini virtuali dei loro desideri, senza sapere tuttavia che essi non costituiscono gli oggetti in sé ma solo semplici illusioni della loro mente. In entrambi i libri dunque i personaggi sono spinti ad agire e a vivere solo in funzione dei loro desideri irrealizzabili, eliminando ogni barriera grazie a un’immaginazione che sfocia nella pazzia.
Un’ultima analogia sta infine nei frequenti interventi degli autori all’inizio dei capitoli, che giudicano spesso i fatti o i personaggi in entrambi i romanzi “Felici e fortunati furono i tempi in cui apparve nel mondo l’audacissimo cavaliere Don Chisciotte della Mancia, giacché per aver egli presa l’onorevole decisione di voler risuscitare e restituire al mondo il già perduto e quasi morto ordine della cavalleria errante, noi gustiamo ora, in questa nostra età, bisognosa di allegri passatempi, non solo la dolcezza della sua veridica storia, ma anche la caparbietà di queste sue mirabili gesta”.
Anche se le due opere hanno molte affinità esse mostrano in alcuni tratti anche profonde differenze, prima fra tutte la visione dell’amore. In Orlando l’amore è la guida e il movente di ogni sua azione, e la gelosia la causa prima della sua pazzia. Per Don Chisciotte, la cui pazzia è dovuta solo alla lettura ossessiva dei suoi libri, l’amore è solo una necessità dettata dalla follia: egli si pone l’obiettivo di amare Dulcinea solo per imitare i paladini e gli eroi dei libri cavallereschi. “Credi tu forse che le Amarilli, le Filli, le Silvie, le Diane, le Galatee, le Filladi e le altre di cui sono pieni i libri, le romanze, i negozi di barbiere, le commedie teatrali siano state veramente dame in carne ed ossa, e le signore di coloro che le celebrano e hanno celebrato? Certamente no, anzi la maggioranza dei poeti se le inventa per dare un soggetto ai propri versi, e perché li si creda innamorati e abbastanza uomini da esserlo.così a me basta pensare e credere che la buona Aldonza Lorenzo è bella ed onesta; e poco importa il suo lignaggio ché nessuno ha da fare delle ricerche a questo proposito”. Una seconda differenza sta invece nel rinsavimento dalla follia: il recupero del senno da parte di Astolfo è segno di guarigione e costituisce un elemento positivo per Orlando; per Don Chisciotte, al contrario, la pazzia è un elemento fondamentale. La sconfitta dell’hidalgo consiste proprio nell’abbandono dei suoi ideali, della sua volontà di raggiungere il suo obiettivo “Don Chisciotte pazzo, noi savi; egli se ne va sano e soddisfatto e vossignoria rimane triste e abbattuto. E allora vediamo un po’: Chi è più matto? Chi non ne può fare a meno o chi sceglie di esserlo?”. In altre parole, la speranza di Don Chisciotte risiedeva totalmente nella sua pazzia: nel momento in cui questa cessa di esistere, sparisce anche tutta la forza del cavaliere errante che, abbandonato il suo motivo di vivere, abbandonerà anche la sua vita.
“Giace qui l’hidalgo forte
che in valor tanto operò
che la sua fu giusta sorte
se la Morte non trionfò
di sua vita con sua morte.
Mai non rese, al mondo, omaggio,
l’impaurì col suo coraggio
ed in tale congiuntura
s’affermò la sua ventura:
viver forte e morir saggio”.

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