Canto V dell'Inferno

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Testo

COMMENTO AL QUINTO CANTO DELL’INFERNO.

Quinto canto, secondo cerchio, luogo di condanna per i lussuriosi, uomini e donne che hanno anteposto al dovere il proprio piacere personale.
Il giudice all’entrata, è colui che decide la gravità del peccato ed è personificato da Minosse stesso, personaggio degli scritti di Virgilio, compagno d’avventura di Dante.
La pena è la seguente: i peccatori sono travolti da una bufera violentissima da cui non possono sottrarsi, come in vita non riuscirono a controllare la sconvolgente passione che sovrastava i loro pensieri.
Tra i condannati alla stessa punizione c’è un’ ulteriore distinzione. Alcuni di questi infatti volavano più in alto, perfettamente in fila uno dietro l’altro; ben presto il poeta noterà l’importanza che questi avevano ricoperto quando erano ancora in vita: Elena, la causa scatenante della guerra tra Greci e Troiani, Paride, l’uomo che non capì l’errore nel rapire la donna tanto amata, Cleopatra, che si uccise per amore del caro Antonio, Tristano, che amò la moglie dello zio. Tutti soggiogati dalla forza dell’amore.
L’episodio centrale, o almeno l’incontro che prende vita nell’ultima parte del canto, il più lungo e dettagliato, è dettato da Paolo e Francesca. I due amanti per assoluto, capaci di volersi bene in un luogo terribile come l’Inferno. Richiamati dallo stesso Dante, il quale fu incuriosito dal loro modo di volare diverso ancora dai precedenti, le due anime volavano infatti fianco a fianco, molto vicine. Il tono utilizzato per attirare l’attenzione su di sé era dolce e comprensivo, a differenza di uno che poteva essere utilizzato invece da un’inquisitore e/o un diavolo in una situazione del genere.
Ciò assicura alle vittime la possibilità di fidarsi e di aprirsi così liberatamente di conseguenza all’autore e al suo accompagnatore in questo viaggio di purificazione.
Francesca, sarà poi lei a mostrarci dettagliatamente la vicenda, mentre Paolo seguirà singhiozzante lì di fianco. La donna era sposata con il fratello dell’uomo, Gianciotto Malatesta; proprio lui sarà poi ad uccidere i due alla scoperta del tradimento.
I cognati si ritrovarono involontariamente nella stessa stanza, uno stava leggendo la tragica storia di Lancillotto e Ginevra; in seguito scattò incontrollabile la passione tra loro. Paolo nell’avvicinarsi a lei tremava, proprio a significare come la cosa non fosse prevista; immediatamente il vero marito li scoprì e li uccise incolpandoli di tradimento, anche se erano ancora nella fase dell’innamoramento.
La descrizione ha molti particolari, come se lo scrittore la stesse vivendo, ciò che in effetti sembra accadere; l’innamorata accortasi del buon animo del nostro protagonista, ricrea nell’Inferno le stesse circostanze di quel giorno. Ricostruisce la stanza, i vestiti, i fatti per spiegare nel modo più dettagliato e reale l’accaduto. Nel frattempo Paolo continua a piangere e questo abbozza un inizio di pietà nel cuore di Dante. Codesta nasce però dall’insieme delle varianti che si presentano.
Il contesto del racconto altamente realistico, il metodo espressivo utilizzato da Francesca (dovuto unicamente dal modo usato dal poeta per chiamarla a sé), il fatto che il ragazzo continuasse a piangere, a soffrire e a volerla in un luogo come quello e compresa la curiosità di conoscere la causa del loro peccato in prima persona ha fatto in modo di rendere l’autore incapace di prendere una secca decisione: condannarli o “perdonarli”.
Il sentimento tra i due ha superato l’ostacolo della morte, continuano ad amarsi, la morte li lega ancor di più insieme come la condanna, la loro passione rimane perciò vincitrice assoluta. Dante infatti oltre ad ammirarli per questo, si rispecchia inoltre in alcune loro situazioni; non poteva difatti amare la sua adorata Beatrice, aveva accettato i matrimoni di entrambi, ma aveva superato la coppia in furbizia poichè non aveva compiuto gesti fraintendibili nei confronti della fanciulla, presentandoceli solo attraverso lo Stilnovo e i suoi tomi.
Qua si pone un altro problema. Gli amanti vengono applauditi anche per il fatto che non si erano accontentati di un amore platonico, dato dal cuor gentile, avevano quindi abbattuto le frontiere stilnovistiche.
Sopraffatto dalle emozioni, l’autore del poema sviene.

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