Trachinie di Sofocle

Materie:Appunti
Categoria:Letteratura Greca

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Testo

Andrea Bignardi Rosario Lombardo

Sofocle – “Trachinie”

(Prologo)

Il primo personaggio in scena è Deianira, promessa sposa di Eracle, la quale narra di come sia stata liberata grazie all’eroe dal suo promesso sposo Archeloo, col quale sarebbe stata infelice per tutta la vita, ed esprime le sue preoccupazioni in quanto al semidio: egli infatti non è ancora tornato dalle sue 12 imprese.
La schiava nutrice le consiglia di mandare il figlio Illo a soccorrere il padre, affinché riesca nei suoi intenti e possa trascorrere finalmente una felice esistenza.

(Pàrodo)

Il coro esorta il sole a portare al “viaggiatore” Eracle il messaggio di sofferenza dell’amante Deianire, che ormai sta perdendo ogni speranza in quanto al suo ritorno e alla sua soppravivenza.

(I scena)

Mentre la donna racconta che le fatiche del suo amato, per cui ancora non fa ritorno, erano state auspicate anche dall’antica quercia a Dodona per mezzo delle colombe e si rattrista, il coro le annuncia l’arrivo di un messaggero.
Costui porta buone notizie: l’araldo Lica afferma infatti che l’eroe è ancora vivo e sta tornando alla sua dimora, vittorioso!
Il coro canta quindi un inno di gioia alle divinità femminili, che finalmente hanno placato i dolorosi affanni dell’innamorata, portandole buone novelle.
Poco dopo entra in acena l’araldo, il quale continua il racconto delle imprese di Eracle per soddisfare le intrepide domande della donna: l’eroe sta offrendo primizie a Zeus Ceneo per l’impresa riuscita nella città d’Eurito, dove è riuscito a vendicarsi per le sofferenze subite (costretto infatti alla schiavitù poco tempo prima) uccidendone il responsabile, il re (Eurito); accompagnano Lica anche delle figlie di abitanti della città conquistata, ora loro schiave.
Deianira è dispiaciuta per la situazione in cui si trovano queste ragazze in lacrime; rimane colpita soprattutto da una di queste, affascinante più delle altre.

(II scena)

Mentre escono insieme a Lica, il messaggero le comunica spiacevolmente che nulla di ciò che le è stato detto dall’araldo è vero. Poco prima infatti, nella piazza della città, Trachis, lui stesso diceva che proprio quella ragazza osservata da Deianira era stata la vera causa dell’assalto alla città d’Eurito: Eracle se n’era infatuato e l’aveva mandata nella sua casa per proteggerla.
La donna disperata si rivolge al coro femminile, il quale le consiglia di chiamare Lica e chiarire la situazione.
L’araldo continua ad affermare ancora ciò che ha già raccontato, inveendo sul messaggero, ma poi confessa la verità lasciatosi impietosire dal discorso della triste Deianira, sostenuta dal coro.
Il nome di questa ragazza, figlia proprio di Eurito, è Iole. Lica intreccia il racconto degli scontri di Eracle contro gli déi e gli abitanti della città sconfitta con quello che riguarda il suo innamoramento a prima vista per la ragazza.
Deianira, da donna assennata, non si adira, ma ritenendo di perdere nel confronto con la bella e giovane Iole arrivata a casa sua decide di utilizzare un sortilegio in grado di non permettere ad Eracle di amare altre donne fuorché lei: si tratta del sangue di Nesso, una bestia che l’eroe in passato aveva ucciso e che le assicurava, in punto di morte, straordinari effetti “amorosi” sull’animo del semidio al solo contatto.
Con questo ricopre un chitone, sorta di veste cerimoniale che affida a Lica, orinandogli di non mostrarlo a nessuno e di portarlo all’uomo amato in occasione del sacrificio dei buoi agli dei, affinché lo indossasse.

(III scena)

Mentre il coro festeggia allegramente gli imminenti esiti positivi dell’incantesimo, a Deianira sorge qualche preoccupazione: il sangue della bestia avanzato infatti era misteriosamente scomparso nel frattempo, discioltosi sotto i raggi del sole.
Nesso l’aveva avvertita di tenere il “fluido magico” lontano dal calore, ma lei non credeva che la sola esposizione alla luce avrebbe causato tali effetti distruttivi!
Deianira comincia allora a pentirsi della sua azione, pensando anche al fatto che il mostro, ucciso per colpa sua, non aveva nessun motivo di offrirle dei doni.
Il sospetto che quel sangue sia più un veleno che un filtro d’amore accresce sempre più e la paura che quel chitone in realtà ucciderà Eracle lacera gradualmente la sua coscienza.
Più tardi, Illo infuriato giunge presso la madre per avvisarla di ciò che ha fatto: il peplo esiziale che ha fatto consegnare al suo amato lo stava quasi per uccidere!
La donna, in preda al rimorso, fugge via, senza rivelare subito al figlio quali fossero le sue vere intenzioni, e si toglie la vita; la brutta notizia arriva dalla schiava nutrice, la quale aveva assistito alla situazione, e comunica tutto a Illo.
Il figlio sopraggiunge nella camera della madre in tempo per scoprire i reali motivi del dono a Eracle e subito si rattrista.

(IV scena)
Intanto l’eroe fa ritorno a casa, imprecante contro Deianira e implorando gli dèi di mettere fine alle sue sofferenze.
L’uomo è in pessime condizioni e sta per morire, ma giura di impegnare tutte le sue poche forze rimaste per uccidere la meschina omicida; cambia però idea dopo essere stato avvertito dal figlio dell’inganno del sangue di Nesso.
L’infelice Eracle allora, in punto di morte, fa giurare su Zeus al figlio che lo porti sulla vetta dell’Eta sacra e lo bruci sopra a della legna, senza lamentarsi e senza versare lacrime, e che prenda in moglie l’affascinante Iole.
Illo, costretto dal giuramento non può più tirarsi indietro e ubbidisce ai voleri del padre immediatamente: Eracle vuole placare infatti i suoi terribili dolori al più presto e l’unica via di salvezza ormai è la morte.
La vicenda si conclude con una frase ad effetto del coro: “… E nulla di questo avviene di cui non sia artefice Zeus”.

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