Letteratura greca

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Categoria:Letteratura Greca

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Testo

Il periodo dell’Ellenismo è delimitato da date che segnano importanti cambiamenti in Grecia.
1. E’ fatto convenzionalmente iniziare nel 323/322, anno segnato da tre eventi importanti per la cultura greca: muoiono la politica e la filosofia tradizionali (Demostene e Aristotele), e nasce un nuovo sistema politico (Alessandro). Alessandro si affaccia sul mare e si espande verso est, e la Grecia perde la sua centralità. Ricordato come periodo Alessandrino: il centro è Alessandria. Parallelamente Roma sta completando la sua organizzazione interna, ed è ignorata dai Greci, che la vedono come una città rozza e incolta. Ne parla solo Polibio, ma lui è in una posizione particolare.
2. Termina nel 31 a.C., data della battaglia di Azio, che segna la conquista dell’Egitto, e quindi di Alessandria t Roma ha il controllo diretto della Grecia. Si apre l’età imperiale o greco-romana. Gli autori di questo periodo devono tenere conto di Roma, non possono più ignorarla; la fine di quest’età è il 526, quando Giustiniano chiude la scuola di filosofia di Atene. La filosofia era rimasta in mano ad Atene, non c’erano più grandi filosofi però erano lì. La chiusura segna la fine di un periodo. La filosofia pagana non era ben vista; è la fine della cultura Greca.
Tutto nasce dalla morte di Alessandro. Alessandro aveva un fratello, che però era considerato deficiente. Aveva un figlio, ma non ancora nato. Entrambi questi eredi avevano bisogno di un reggente, nessuno dei due era per età o per forza adatto a regnare. Alessandro consegnò l’anello del potere a Perdicca, un generale, che però era anziano quindi non venne considerato. Nacque l’età dei diadochi: i generali di Alessandro, Macedoni, che si spartirono il regno in tanti regni più piccoli. Ma gli stessi diadochi non avevano la forza di reggere un regno che si erano conquistati. Alcuni Greci si trasferirono in questi regni emigrando, avevano in parte il potere politico, ma erano in minoranza. Ad Atene cresceva il fenomeno del pauperismo: la città non commerciava più per riservare energie per andare contro la Macedonia n non era più in grado di reggersi; molti andavano a cercare fortuna. Questo si era già verificato nella spedizione di Senofonte: c’era sì chi voleva solo scappare per ragioni politiche, ma molti si erano uniti alla spedizione perché non sapevano cos’altro fare. Questi Greci che andavano nei regni a cercare fortuna costituivano una minoranza e ci tenevano a conservare la propria identità; prima non avevano mai avuto bisogno di conservare una tradizione culturale l questo porta a studiarla: quando si studia una tradizione, vuol dire che è finita.
C’è un fenomeno strano: l’ellenismo è la fine della polis intesa come città-stato; ora il sistema politico è diventato la monarchia (re per diritto di conquista): è cambiato. Il cittadino è diventato suddito, la partecipazione al potere non è più possibile. Muore la polis, ma ha una fioritura dal punto di vista materiale: l’unico modo di mettere insieme un regno piccolo come i loro è creare città p nascono tante poleis, che prendono il nome dai generali che vincono: è l’unico modo che loro conoscono per vivere socialmente. Nella società c’è maggior possibilità di difesa, potevano riunirsi, mantenere uguaglianza di costumi, senza perderli a contatto con gli stranieri con cui erano andati ad abitare.
Due sono in particolare le conseguenze. La Grecia era individualista, inteso come polis: ogni città viveva per conto suo. Ma comunque avevano l’idea di appartenere ad una nazione. Ora erano costretti ad emigrare in posti che avevano qualcosa di loro: delle città fondate dai Greci e la spinta ad emigrare porta a :
1. Individualismo: la Grecia prima era in particolare commerciante, e i Greci che commerciavano avevano un sistema alle spalle a cui erano agganciati; ora invece partivano per conto loro, individualmente, non era una colonizzazione organizzata. Abbiamo la prova che un certo Zenone riuscì a trovare fortuna: sono stati scoperti dei papiri che non sono opere letterarie, ma libri mastri: lettere d’affari, inventari, contabilità: amministrazione. Sono importanti perché:
- Mostrano con che coraggio uno sia riuscito a costruirsi un patrimonio (che di solito usavano per spese pubbliche)
- Ci dà un’idea della lingua parlata. Parlavano la κoινή: è una specie di attico, la base Greca si arricchì di elementi locali. La lingua scritta dei dotti rimase l’attico, ma questi erano anche in grado di scrivere in eolico o dorico, ma le usano come lingue morte. Per esempio, per la lirica monolica, usavano l’eolico: il dialetto resta legato ai generi. I non dotti invece scrivevano con la lingua parlata: procede a paratassi (semplificata), ricca di parole nuove sconosciute al greco tradizionale.
2. Cosmopolitismo: non è quello dell’illuminismo! L’intellettuale illuminista si sentiva ovunque nel mondo come nella propria patria: è la visione positiva del cosmopolitismo. Quello di tipo ellenistico invece è il non sentirsi nella propria patria da nessuna parte. Si sentivano soli, staccati dalle proprie radici, non più attorniati da greci con le stesse idee e gli stessi valori. Venendo da più città diverse avevano cultura, mentalità, valori diversi che confluivano: non trovavano più qualcosa di simile a loro, ma si tendeva a stare insieme per conservare una tradizione comune, che non era poi tanto comune perché era frutto di una confluenza di valori diversi. Si dice che il greco passa da HOMO POLITICUS a HOMO ECONOMICUS prima l’uomo era cittadino e orgoglioso di esserlo, ora non era più possibile la partecipazione politica, mancò l’uomo politico che quindi diventò uomo economico.
La τύχη
Un altro problema che sorse nell’ellenismo è la τύχη. Non c’era più la πoλις, non c’era più la possibilità di avere altri greci intorno, non c’era la possibilità di essere cittadinic gli dei non servivano più a niente. L’unica “divinità” che sopravvisse nell’ellenismo era la τύχη, l’irrazionalità. Rimase l’imponderabile di Tucidide, la parte che sfugge alla razionalità dell’uomo, la personificazione dei limiti della ragione umana. Al centro rimase l’uomo con la sofistica, misura di tutte le cose. Tucidide aveva sostenuto che non era vero che l’uomo fosse misura di tutte le cose, ma c’era qualcosa che gli sfuggiva: la τύχη appunto. Sopravvisse e occupò uno spazio più ampio di prima: sostituì la divinità. Secondo Polibio aveva tre significati diversi:
1. Significato tradizionale: FATO. In questo senso è incomprensibile.
2. Invadendo lo spazio degli dei, diventa la DIVINITÀ’, in senso generale, vago.
3. Diventa addirittura PROVVIDENZA: quasi al contrario della τύχη, assunse anche il significato di πρόνoια, che è un progetto.
Polibio aveva detto che Roma era il più grande prodotto di τύχη: inteso come πρόνoια. Quando invece se ne parla in contrasto con il λόγoς, allora è la τύχη di Tucidide, irrazionalità. Alla fine sostituì le divinità.
La nuova letteratura
Caratteristica tipica dell’Ellenismo è la novità e conservazione. Il Greco era erede di un passato, di una tradizione, e doveva attenersi ad essa, pur capendo di essere diverso.
Il Droisen, a cui si deve il nome di Ellenismo, scrisse una storia dell’Ellenismo; afferma di non essere hegeliano, ma in realtà segue il procedimento triadico tesi/antitesi/sintesi. Individua l’età classica come tesi, l’ellenismo come antitesi, e il cristianesimo come sintesi. Non importa il Cristianesimo, quello che ci interessa è che mette in contrapposizione età classica ed Ellenismo: l’Ellenismo è sentito come decadenza dell’età classica. Ha sentito queste due età come tanto diverse. L’Ellenismo si rifà alla tradizione, però la innova. L’innovazione è opera di un gruppo di dotti. Per esempio, la tragedia muore con Euripide (che l’ha uccisa trasmettendo l’insicurezza dell’uomo)e la tragedia ha esaurito il suo compito ma continua come genere letterario, con riprese e creazioni tradizionali (noi non le abbiamo, ma continuano). Questa letteratura è nuova, diversa, nata da, e destinata a, dotti. Nel passato la diffusione era soprattutto orale (Omero, Tucidide, le tragedie…), legata da comunità di valori fra autore e pubblico. La nuova letteratura ha un ambito limitato di dotti ed è diretta ad un pubblico ristretto; i dotti erano arroccati in musei e biblioteche, e si rivolgono ad altri dotti in musei e biblioteche: ha diffusione scritta, che porta a:
➢ Maggiore brevità (Apollonio scrive un poema in 4 libri)
➢ Perfezione tecnica (le imperfezioni se lette non si notavano, le ripetizioni erano necessarie; se si scrive invece bisogna fare maggiore attenzione, perché l’occhio leggendo cade sul verso prima e su quello dopo).
➢ Originalità: si scrivono argomenti diversi, è apprezzata l’abilità tecnica, ma anche la novità.
L’erudizione di chi legge è uguale a quella di chi scrive! In questo contesto si giustifica l’opera di Euforione, che ha cercato tutti gli απαξ e poi ha scritto un’opera includendoli tutti: sembrava una novità. Le parole rare e difficili erano apprezzate da chi leggeva. Certo è fine a se stessa! Comunque grazie a loro, maniaci, abbiamo i frammenti dei lirici, che riportavano quando citavano una parola.
La letteratura così ha perso la funzione di insegnamento: quelli che leggevano sapevano già tutto! Non vuole insegnare, è arte per arte, ha in sé la propria giustificazione.
Non essendoci più valori comuni e un’ideologia di fondo, l’estetica assume importanza.
I musei
Originalmente, sedi delle muse. In epoca ellenistica, era un tiaso di dotti, un’università: il luogo in cui i dotti si specializzavano; uno vicino all’altro, lavoravano insieme, e si specializzavano in cose diverse. Nasce la specializzazione: la cultura si sviluppa e viene studiata in settori separati, la scienza si stacca dalla filosofia. Era un luogo di studio e di residenza: autosufficiente, in modo che potessero studiare e produrre senza vincoli, liberi da altri impegni. Questo era possibile nei regni ellenistici, con l’accentramento di potere e ricchezza nelle mani del re, che può spendere per mantenere questi dotti. C’era una duplice convenienza: il dotto era materialmente mantenuto, il re lustrava il proprio regno e se stesso potendo dire di aver avuto nel proprio museo un importante dotto. Nei musei c’erano anche dei laboratori (aule per determinati studi o sperimentazioni) e più importanti, delle biblioteche.
Le biblioteche
All’interno dei musei, contengono il sapere passato. Diventarono talmente estese da avere un EPISTATES, che poteva essere:
• Sovrintendente amministratore
• Sovrintendente culturale (più probabile).
All’inizio questi era anche responsabile della biblioteca; quando la biblioteca diventa troppo grande: nasce la figura del PROSTATES, subordinato all’epistates, ma che poi diventa autonomo, se non più importante.
Una notizia ci dice che la biblioteca più grande conteneva 700.000 volumi; i volumi erano dei rotoli, e qualcuno dice che erano lunghi 2 volte quelli precedenti, così si arriverebbe a 2.100.000 volumi! Qualcun altro ha ipotizzato che non fossero 700.000 libri diversi, ma che fosse il numero di rotoli che ogni biblioteca aveva. Non essendoci i diritti d’autore, la prima cosa da fare era stabilire il testo critico (ristabilire il testo originale). Per fare ciò bisogna averne almeno due da confrontare! Quindi questa cifra potrebbe comprendere i doppioni. Il fatto che i re comprassero le opere aumentò il numero di falsari: ad Alessandria vennero utilizzati i primi segni grafici per indicare se un verso fosse sicuramente omerico, oppure solo parzialmente…
1. STECHIOMETRIAS stabilire la lunghezza reale delle opere, qual è l’edizione originale.
2. GLOSSEG spiegazione e commento dell’opera. Nacquero rivalità fra le biblioteche, misero l’embargo ai papiri!
Pergamo e Alessandria
Il regno di Pergamo era molto importante anche se piccolo; era molto ricco, si trovava in una zona commerciale. Aveva una grande biblioteca, Cratete di Mallo era l’organizzatore: diede alla scuola di Pergamo un’impronta filosofica e linguistica nel commento. Alessandria e Pergamo erano diverse in due ambiti:
1. COMMENTO C Alessandria: letterario, scientificamente più solido
Pergamo: allegorico, più affascinante.
2. LINGUISTICO L Alessandria: analogista (la parola segue … ben fissati)
Pergamo: anomalista (è possibile che una parola assuma connotazioni diverse, si accettano neologismi, parole importate)
3. FILOSOFIA F Alessandria segue Aristotele
Pergamo segue la filosofia stoica.
Questo da luogo a interpretazioni diverse, concetti espressi in maniera differente.
La cosa importante è che la scuola aristotelica ha offerto a tutti i musei un modello di organizzazione, introducendo la divisione nei vari settori. L’organizzazione aristotelica dal punto di vista dal punto di vista pratico passa anche in tutti i musei, non solo ad Alessandria.
Ad Alessandria c’era la biblioteca più importante, più ricca e più centrale; da qui l’“epoca Alessandrina” prende il nome. La tradizione le attribuisce 700.000 volumi; Il Canfora ipotizza che nel numero siano compresi anche i 5.000.000 di versi di Zoroastro (non si sa da dove abbia preso questa notizia). Zoroastro appartiene alla cultura indiana; l’Indo segna il confine tra la cultura Greca (espanso da Alessandro) e l’Oriente. La cultura indiana era esclusa dall’Ellenismo. La presenza ad Alessandria di testi indiani indicano il desiderio dei dotti di avere a disposizione la cultura di tutto il mondo per poter confrontare la propria cultura con tutte le altre, non evitarle come prima facevano i Greci, ma conoscerle. La traduzione dello Zoroastrismo, come quella della Bibbia, non venne curata da un Greco perché non conosceva le lingue straniere, ma da stranieri che conoscevano il Greco.
Il termine “Ellenismo”
“Ellenismo” è un termine usato dal Droysen nell’800, autore di un’opera storica sull’Ellenismo (anche se non l’ha completato). L’aggettivo esisteva già in epoca classica, e voleva dire “greco”. Un preside francese, Laqueur, sostenne che il Droysen aveva sbagliato, e dopo questo studio di Laqueur tutti sostennero che il Droysen aveva detto una cosa, anche se in realtà non l’aveva detta ma gliel’aveva attribuita Laqueur. Il Canfora ha poi notato questo errore di Laqueur a cui la critica aveva creduto. Laqueur dice che fu il Droysen ad utilizzare per la prima volta il termine ellenismo, che alcuni dicono che fosse usato già nel 600; Laqueur sostiene che il Droysen abbia usato questo termine sulla scia di studiosi di greco che si rifacevano alla terminologia degli Atti degli Apostoli, quando i Cristiani distinguevano ελλενισται e εβραιoι h ελλενιστάι erano gli ebrei che parlavano greco;
εβραάιoι erano gli ebrei che parlavano ebraico.
Secondo Laqueur però Droysen avrebbe frainteso, perché quel passo non indica questo, ma distingue ελλενιστάι che parlavano un greco non più puro, ed εβράιoι, che non parlavano greco. Invece il Droysen non ha mai fatto riferimento a quel passo!
La lingua del periodo è la κoινή, cioè comune (sottinteso γλόσσα): è la lingua greca scritta in periodo ellenistico. Bisogna distinguere tra la lingua pura dei dotti e la lingua parlata. Koινή indica un greco che in realtà è un attico (il dialetto più conosciuto); questa lingua greca, trasportata nelle varie zone, si imbastardisce con elementi non greci che si aggiungono o sostituiscono una parola: parole locali grecizzate con l’aggiunta della terminazione. Non c’è una κoινή, ma tante. Droysen insegnava in università tedesche: c’era interesse per le lingue e vennero pubblicate molte grammatiche e lessici delle varie κοιναι.
Perché a questa civiltà è stato dato il nome di ellenismo? Se si guarda la sua opera, il Droysen non ha mai fatto menzione degli Atti degli Apostoli, ma ha solo detto che si può definire questa civiltà “ellenistica”, aggettivo che originalmente voleva dire “greco”, però indica un greco che si è adattato a posti diversi; è la lingua che ha esteso il suo nome alla cultura dell’epoca. Laqueur ha sostenuto che Droysen ha tratto il nome dagli Atti degli Apostoli dove si usa ελλενιστάι in contrapposizione a chi non parla greco; però negli Atti degli Apostoli parlare greco voleva dire parlare il greco dell’epoca t secondo Laqueur, Droysen l’ha visto in contrapposizione a parlare un greco puro. Droysen ha dato il nome ad una cultura prendendolo da una lingua, per indicare che era una lingua diversa da quella pura.
La lingua dei dotti ellenisti, scritta, è quella pura fatta sopravvivere studiandola e usandola. Però la cultura è adattata ai loro tempi, ha un pubblico dotto che ha in comune con l’autore solo elementi culturali e formali, non i valori. Si apprezza l’erudizione esasperata, le allusioni che possono essere colte solo da chi ha altrettanta cultura, ma la letteratura non ha aggancio con la vita che si vive, perché nasce nei musei e resta lì. È una letteratura fine a sé stessa: si giustifica da sola. In questo senso è “moderna”: è arte per arte, non può produrre insegnamento perché non ha un pubblico che ne ha bisogno.
Callimaco, Il prologo dei Telchini
(pag 57)
“spesso i Telchini”“divinità esperte nella lavorazione dei metalli: ignoranti, rozzi perché lavoravano manualmente. Abbiamo trovato un elenco di chi cita queste divinità d sostenitori di una poesia tradizionale alla seconda parola c’è già una citazione.
“ma di molto supera la lunga [?] la feconda Demetra” (vv. 8/9) / Demetra non è solo una divinità; metonimia per spiga: sottile, piccola, però lunga: [?] è una parola lunga di quantità (lo deduciamo dalla metrica) monosillabica, ma che non riusciamo a ricostruire. Demetra è anche il titolo di un poemetto di Filita , che segue le idee di Callimaco però litiga con Callimacon allusione alla sua opera letteraria: breve ma dotta, che Callimaco approva. Probabilmente la lunga deve essere non solo un vegetale, ma anche un’opera lunga che invece disapprova.
“la grande donna” (v. 11) “ Mimnermo scrisse la Nannò;
1. se la donna è la Nannò, il verso vuol dire che non la Nannò, ma i carmi brevi dicono che Mimnermo è un grande poeta; però la Nannò non è lunga!
2. Altri ipotizzano che non si riferisca alla Nannò ma alla Lide di Antimaco di Cofolone, contro cui Callimaco si scaglia, quindi Callimaco starebbe confrontando la Nannò con la Lide; ma perché allora Lide dice che Mimnermo è grande?!?
3. Un’altra ipotesi dice che il confronto è tra le donne: la Lide dimostra che l’autore fa schifo, e Nannò, composta di carmi brevi, dimostra quanto invece il suo autore sia grande.
“voli pure la gru…” (v.14/16) / la gru è un uccello grosso, anche un vampiro secondo Omero. Possa pure percorrere spazi aperti, e un popolo famoso come gli arcieri come la gru vola a lungo, questi arcieri sappiano lanciare frecce; invece l’usignolo è piccino, ma dolce: non a metri si misura la poesia, ma dall’arte.
Non aspettatevi da me un canto grande ( = epica), così mi disse Apollo (motivo tratto da Ap.??). non dice che gli è apparso (dirà poi “in sogno”): non può dire di aver visto se non in sogno. Apollo Licio:
• Della Licia
• Lupo: si è trasformato in lupo quando ha amato una ninfa.
Vittima V deve essere grassa
Poesia P sottile.
Non deve fare come fanno gli altri, ma deve muoversi sentendo gli altri, anche su una strada più stretta.
L’epica
Nell’Ellenismo, decade l’epica.
• Uno di Samo ha scritto “τά περσικά” U le guerre persiane, argomento storico: si cercano nuove vie per un genere che stava cambiando.
• Apollonio Rodio scrisse “le Argonautiche” A c’erano tutte le caratteristiche dell’erudizione in 4 libri. Aristotele aveva detto che il numero di libri ideale per un poema epico era 4: assume importanza la brevità; in più si inseriscono elementi totalmente estranei, come l’amore.
• Non basta: l’ellenismo fa nascere l’epilio, diminutivo di επος. In questo genere rientra l’Ecale di Callimaco; prende come eroe Teseo, e sceglie, tra tutte le avventure che gli erano attribuite, un mito di poco peso, secondo cui ha eliminato il toro di Maratona: un toro che distrugge e ammazza nella pianura di Maratona. Teseo parte e lo uccide. Non era un mito sconosciuto, ma poco usato: in questo periodo vengono preferiti miti non sconosciuti, ma poco usati, che il ristretto pubblico a cui erano rivolti conosceva e apprezzava. Inoltre un episodio meno frequente richiedeva meno versi.
L’Ecale di Callimaco. È un poema di 700/800 versi, di cui l’episodio del toro ne occupa 50. Il resto è dedicato al viaggio, in particolare ad un episodio. Teseo si ferma lungo la strada e chiede ospitalità ad una vecchietta, Ecale, che non lo riconosce, ma pur nella sua povertà lo accoglie e gli dà da mangiare. Teseo poi parte e va ad uccidere il toro, quando torna vuole premiare la vecchietta per la sua generosità, però scopre che è morta, allora fonda sul luogo della sua capanna un tempio a Zeus Ecalio (motivo eziologico). Non si sa se fosse un’invenzione di Callimaco, probabilmente no, doveva essere un mito poco frequente.
Il poemetto è diverso dal poema epico, per lunghezza, per la scelta di un mito poco frequente, ma anche perché capovolge i valori. Un poema tradizionale avrebbe evidenziato l’atto eroico, a cui invece sono dedicato solo 50 versi. Qui il vero eroe non è Teseo, ma è l’eroe della vita di tutti i giorni. È molto diverso da Achille e dagli eroi dell’Iliade che essenzialmente combattono. Teseo è stanco e si ferma: l’eroe è umanizzato, ha i suoi bisogni e le sue debolezze. Ecale è fuori dalla storia per sesso, età, posizione sociale: non avrebbe potuto entrare in un poema epico o lasciare traccia di sé. L’eroismo cambia: condivide quello che ha da mangiare, sacrifica qualcosa per bontà, si sottolinea la generosità d’animo.
Anche le Argonautiche di Apollonio Rodio sono diverse dal tradizionale poema epico: l’età non può più produrre eroi, il genere letterario degli eroi si sta trasformando (in epilio) oppure fallisce (nelle Argonaute).
Abbiamo testimonianza che poemi epici tradizionali continuarono comunque ad essere scritti nell’epoca: è stato trovato un elenco di nomi e titoli di poemi epici. La maggior parte hanno come argomento Alessandro Magno, la fondazione di Alessandria, i successori di Alessandro: la storia diventa argomento del poema epico, con le regole classiche del poema epico; non era rivolto ai dotti e aveva diffusione orale per ascoltatori meno colti e più tradizionali che non avrebbero capito l’Ecale. Non abbiamo una parola di tutti questi poemi, però la lista è lunga: dimostra l’interesse del pubblico colto (o non colto???) per questi.
La tragedia
La tragedia era stata uccisa da Euripide con la tragedia ad intreccio (che riporta alla commedia), che non insegna niente L in questo periodo ha perso il suo compito, ma continua. Anche in questo caso abbiamo solo un elenco di nomi, si parla della pleiade (i 7 migliori), ma basta a testimoniare che l’usanza si mantiene.
Eξαγογή di Ezechiele Abbiamo anche non completa una tragedia di Ezechiele (nome ebraico) che scrive l’Eξαγογή, di argomento biblico. Non appartiene alla pleiade, ed è stato catalogato come testo profetico: la cultura greca ed ebraica si influenzano a vicenda. È la storia di Mosè presentata sotto forma di tragedia. Non rispecchia i parametri della tragedia tradizionale, infatti non è concentrata sul giorno fatale, e non c’è nemmeno unità di luogo: si è mosso! Parla della vita di Mosè. Per la mentalità ebraica non era necessaria l’unità di azione, ma è impostata in modo diverso: presenta una serie di azioni. Non possono scrivere una tragedia alla greca perché adottano il genere della tragedia come strumento per scrivere la loro storia.
I greci invece continuarono ad utilizzare la struttura classica della tragedia, per due motivi, a seconda dei due tipi di destinatario:
1. Per il Greco che ci è abituato, per far conoscere ai greci la storia attraverso una struttura che gli era familiare
2. Per gli ebrei ad Alessandria, che avevano una mentalità adattata al greco.
Alessandra di Licofrone Apparteneva alla Pleiade invece Licofrone di Calcide, con la sua tragedia “Alessandria”. L’opera ha la forma di un lunghissimo monologo, riferito da un messaggero, in cui Alessandra, la troiana Cassandra, pronuncia in un linguaggio oscuro ed enigmatico una serie di profezie. Questa tragedia ha creato problemi già nell’antichità per il fatto di essere un lungo monologo: lo stesso messaggero fa un’introduzione e riporta come discorso diretto tutta la profezia. Qualcuno ha pensato che fosse una tragedia sperimentale; già Euripide faceva lunghe tirate, sperimentalmente si tenta una tragedia che sia un unico monologo, portando alle estreme conseguenze. L’ellenismo amava le sperimentazioni.
Anche il significato ci lascia non pochi problemi. Parla di Enea: dice che Troia tornerà gloriosa; fa riferimento a dei gemelli f Romolo e Remo. Si riferisce anche ad un impero universale: ma in quel periodo Roma non aspirava ad un impero universale! C’era già stata la sconfitta di Pirro, ma per i Romani era una vittoria inaspettata! È diffecile però pensare, come qualcuno ha fatto, che non sia un riferimento a Roma. Un’altra ipotesi che è stata avanzata è che si riferisca ad una casa regnante discendente da Enea che abbia commissionato l’opera; i cuccioli allora non si sa chi siano.
Inoltre c’è ancora un problema: nel monologo ad un certo punto c’è un verso in latino: “uno del sangue mio, degno emulo di Alessandro” (no lottando) si crede che sia Tito Quinzio Flaminio, che sconfisse Filippo, uno del circolo degli Scipioni. […] dopo la seconda guerra punica Roma aveva due nemici: Antioco II di Siria, a cui lasciò mano libera, e la Macedonia, contro cui mandò Tito Quinzio Flaminio. Contro Filippo i Romani adottarono un sistema: Filippo aveva un figlio, Perse, che i Romani portarono a Roma e crebbero come un Romano: in questo modo lo resero favorevole, un socius. Però con Perse gli andò male perché, tornato in Macedonia, adottò una politica antiromana. La questione venne risolta solo da Lucio Emilio Paolo. Filippo indisse a Corinto una riunione di tutta la Grecia e proclamò la libertà della Grecia o entusiasmo in Grecia.
• Qualcuno dice che è una profezia: Licofrone prevedeva il futuro.
• Secondo un’altra ipotesi, Licofrone si sdoppia: l’autore dell’Alessandria sarebbe un altro Licofrone, non quello della Pleiade, ma uno sconosciuto vissuto un secolo dopo.
• Lo Ziegler invece sostenne che questi due pezzi controversi hanno uno stile diverso rispetto al resto della tragedia: mostrano un Greco posteriore L Ziegler sostiene che sono un’aggiunta posteriore. Quest’ipotesi ebbe notevole successo perché provava anche un influsso della cultura ebraica su quella greca. Alessandria tendeva ad un sincretismo culturale: influsso tra le varie letterature. Ad Alessandria si cercava sì di conservare la propria tradizione, ma si mirava anche a conoscere le tradizioni altrui. Erano fecondi i rapporti con la comunità ebraica colta: era aperta a incontri culturali.
Testo profetico:
- Profezia ebraica diversa dall’oracolo greco, ma spiegazione di quello che è già successo, interpreta…
non è dimostrato ma ci sono influssi reciproci delle due culture, ha permesso interpolazioni di aggiunte per aggiornare. Così come l’Eξαγογή, opera ebraica che ha subito un influsso greco, avremmo un’opera greca che ha subito un influsso ebraico.
Gli altri generi
Da una parte si conservarono i generi tradizionali; la produzione ellenistica è quella nuova, come l’epilio, che ha caratteristiche perfette per l’Ellenismo. Altri generi tradizionali continuano, ma trasformati:
♣ elegia e aveva diversi settori (guerresca, morlistica…)a diventa narrativa. È sfruttata per raccontare vicende. Le divinità nei racconti diventano umanizzate; per esempio Callimaco narra di Artemide bambina a cui il padre concede la sovrintendenza della caccia. La manda dai ciclopi a chiedere le armi, lei intenerisce i ciclopi che la prendono in braccio, poi ritorna all’Olimpo dove incontra Eracle, dio della forza, che è un Eracle da commedia, il quale le spiega cosa deve colpire. È un’opera simpatica, non è empia perché tanto negli dei non ci credeva più nessuno, però non vuol dire niente. Snell definisce lo stile di Callimaco “giocoso”: è piacevole, racconta senza lasciarsi coinvolgere. Avrebbe potuto farne qualcosa di più drammatico, anche degli altri miti (sempre scelti tra quelli poco frequenti). In questo senso l’elegia diventa narrativa.
♣ Epigramma E è un altro dei generi che prende il sopravvento. Era sinonimo di epigrafe, incisione; l’epigramma diventa un genere letterario con caratteristiche perfette per l’ellenismo: è breve, perfetto, e non avendo sue regole precise (nato per essere inciso: doveva solo essere breve e perfetto) rimane il terreno libero in cui il poeta può esprimersi senza vincoli. Le immagini che piacevano venivano sfruttate da altri: è difficile stabilire la paternità di un epigramma.
♣ Poesia bucolica P esisteva già prima come genere popolare. Gli viene data importanza da parte di Teocrito.
♣ Storiografia
♣ Trattati di retorica T la retorica non ha più sbocco: viene studiata. Nascono gli stili, la specializzazione.
♣ Teatro tradizionale T muore, resta come genere popolare (pleiade)
♣ Commedia muore. L’ultimo grande rappresentante fu Menandro (la divisione in antica/media/nuova è stata fatta quando è morta). Menandro ha mentalità ellenistica, anche se come periodo è a cavallo; qualcuno lo colloca nell’età classica, però è meglio spostarlo. È una commedia diversa, che riflette un’Atene “metropoli di provincia”: diventa provincia in quanto non fa politica, rimane grande solo per le dimensioni: le resta da rappresentare solo la vita di tutti i giorni. Menandro è l’ultimo grande rappresentante della commedia, in particolare di quella nuova; della commedia di mezzo non abbiamo niente, probabilmente è una creazione artificiosa dei dotti ellenistici che avevano la mania delle triadi; comunque neanche tra Menandro e Aristofane c’è poi tanta differenza: le commedie di Menandro mancano di parabasi, non hanno argomento politico e fanno parodia religiosa, proprio come quelle di Aristofane, per lo meno le ultime.

Grazie ad una recente scoperta di papiri, abbiamo alcune commedie di Menandro, (“Il misantropo” è quasi intatta; di altre abbiamo solo pochi versi), comunque una minima parte rispetto all’intera sua produzione. Prima raccolta di frasi celebri (??). è l’unico ad Atene che si dedica a qualcosa che non sia filosofia. Non si spostò mai da Atene. Secondo la tradizione rimase legato ad un’etera, Glicero (il nome è d’arte: significa dolce amore!) per tutta la vita.
I caratteri di Teofrasto sono la somma di derivati dalla commedia I potrebbe essere un amico di Teofrasto.
In questo momento Atene è una “metropoli di provincia”, è guidata da due uomini entrambi di nome Demetrio:
• Demetrio Falereo, uomo di cultura, aristocratico moderato, amico di Menandro; fu una specie di tiranno.
• Demetrio Poliorcete: appoggiava le classi non aristocratiche, in senso moderato.
Le commedie di Menandro: specchio di un mondo nuovo
C’erano ancora concorsi tragici e comici: pare che abbia riportato alcune vittorie.
Nelle sue commedie, riflette un mondo nuovo rispetto ad Aristofane: non hanno uno sfondo politico, e sono quindi trasferibili ovunque. In una dice che si svolge in Attica, non ad Atene, ma ha poca importanza perché anche se non fosse lì la commedia funzionerebbe lo stesso. Non c’è più il cittadino che partecipa alla vita politica: protagonista delle sue commedie è un uomo singolo, isolato, che vive per i fatti suoi. Atene era guidata da due personaggi, ma non aveva più autonomia politica, era una città in cui si cercava di sopravvivere, l’interesse non era più politico ma economico. Nasce l’interesse per la vita privata, del singolo, si guarda solo l’uomo in quanto tale. È stato notato che spesso l’attore sulla scena chiama qualcuno nella casa, oppure esce dalla casa e dice cos’è successo dentro: non esiste più l’uomo che ha la vita privata staccata da quella pubblica, ma tra l’esterno e l’interno della casa non c’è più differenza, un personaggio fuori può parlare con/di un altro che è dentro.
Struttura delle commedie
La commedia di Menandro non ha parabasi: non c’è un messaggio, se lo vuole lanciare, lo lancia con la commedia, non parlando direttamente con il pubblico. Il coro non ha più la funzione di dare un messaggio diretto al pubblico. È divisa in 5 atti: questa divisione grazie a lui diventa canonica. Fra un atto e l’altro compare la scritta KOPOY (sottinteso MEPOΣ):
• Potrebbe essere qualcosa scritto per il coro (da un’altra parte) e il coro fa qualcosa? Però non c’è la parabasi! Se dicesse qualcosa che non c’entra niente, interromperebbe l’unità!
• Probabilmente il coro compare, fa qualcosa come un balletto, per un intervallo.
Il coro perde la funzione nella commedia, rimane solo per scandire gli atti.
Trama
La struttura della commedia di Aristofane era fissa: la vicenda era sviluppata attorno ad un αγων, una contesa tra due personaggi, e si concludeva con un lieto fine che implicava la vittoria di uno alla faccia dell’altro. Era una commedia a tesi: la parte buona vinceva, sconfiggendo la parte negativa.
Per Menandro non c’è più tesi, ma solo il rapporto personale. Non c’è una contesa, ma solo una situazione negativa. È di Menandro la prima opera in cui si parla di amore eterosessuale: lui e lei si amano. Non ci sono più due fazioni schierate, di cui una vince, oppure due mentalità diverse, ma vicende familiari di vita comune che incontrano difficoltà, dovute a incomprensioni, persone ritenute schiavi che in realtà non lo sono; spesso c’è l’agnizione doveva essere abbastanza frequente da poter essere capita dal pubblico. All’epoca c’erano tanti pirati: i rapimenti di pirati erano possibili. La povertà era diffusa, tanti bambini venivano esposti, chi li voleva li raccoglieva. Spesso venivano lasciati con qualcosa in tasca per poterli riconoscere se la situazione fosse migliorata. Magari uno, creduto schiavo o di una posizione inferiore, si scopre che viene da un’altra famiglia. C’è un equivoco, che si può superare con l’agnizione. L’agnizione può essere di due tipi:
• Sociale
• Morale: la persona è diversa da come si credeva.
Quindi non si ha la vittoria di uno sull’altro, ma il problema si sblocca.
“Ottimismo” di Menandro
Di norma la soluzione è nel quarto atto, non nell’ultimo, perché dalla soluzione del 4° atto un personaggio è escluso. In Aristofane era quello in torto: era giusto che fosse escluso; qui invece non aveva capito, per dei preconcetti che gli impedivano di capire la situazione: solo nel 5° atto riesce a capire e può partecipare alla gioia generale. Menandro crede che non ci siano persone cattive, ma che queste spesso siano solo credute malvagie, anche se in realtà sono solo timide o non capivano. In questo senso Menandro è ottimista: ha fiducia nella bontà dell’uomo.
Riflettendo una società con pauperismo diffuso e pochi ricchi, Menandro ci presenta matrimoni fra persone di diverse classi sociali; in una commedia c’è un’etera che potrebbe avere un uomo, ma ci rinuncia perché il bambino le ha fatto pena: l’etera di solita è bella e colta, ma disonesta: cerca di prendere tutto quello che può. Questa è creduta così, ma dimostra di essere diversa.
“pessimismo” di Menandro
il pessimismo di Menandro sta nel fatto che succede di tutto. Pirati, famiglie talmente povere che devono abbandonare i loro bambini: la situazione può crollare da un momento all’altro. Menandro mette in dubbio il ruolo che l’ellenismo dà alla ragione, cioè che l’uomo sia in grado di controllare con la ragione una situazione. Nelle commedie di Menandro i personaggi tentano con un piano di ottenere quello che vogliono senza danneggiare gli altri, però questi piani falliscono sempre. La ragione non ottiene quello che vorrebbe, anche se l’ellenismo è l’apoteosi della ragione. La τύχη porta per un’altra strada il piano a cui si voleva arrivare.
Il ruolo della τύχη
Tύχη è la divinità sopravvissuta. Già in Tucidide sconvolgeva i piani: in Menandro l’uomo è convinto di guidare gli eventi con la ragione, però nessuno dei piani ha risultato perché gli altri agiscono diversamente da come si credeva n è la delusione dell’uomo ellenistico che credeva di dominare la situazione ma non ci riesce. L’uomo di Menandro non ce la farebbe ad agire da solo: interviene una “divinità” come forza motrice: la τύχη. Nell’ellenismo τύχη diventa divinità vera e propria, ma qui non è proprio una divinità: è la tradizionale τύχη, il caso. Per caso va tutto bene, si ottiene lo stesso risultato del piano che è fallito. È un’idea ancora più triste della vita; l’uomo non riesce a guidare la vita, a piegare la realtà, e a risolvere il problema non è una divinità che vuole premiarlo, ma il caso; non perché qualcuno abbia deciso di aiutare l’uomo, ma per pura coincidenza.
La visione dell’uomo
La sorpresa della commedia di Menandro non è l’agnizione, ma il personaggio: creduto in un modo, si rivela essere un altro. L’appartenenza a diverse classi sociali non è un impedimento al matrimonio, è un impedimento invece l’atteggiamento. Uno ha sostenuto una teoria interessante. Nello scavo della “Tomba dell’Attore”, nel corredo funebre sono state trovate delle maschere teatrali; queste, di terracotta, presentano un’anomalia: hanno due facce diverse, una sorridente, l’altra triste. Prima si pensava che servissero per rendere più espressiva la faccia: quando uno sorrideva si girava in un modo, quando era triste si girava dall’altra parte. Questo studioso ha invece sostenuto che si tratta di maschere del teatro di Menandro. Rappresentano la manifestazione esteriore di come ognuno di noi non sia definibile: una persona sembra solare, ma è solo un’impressione, in realtà è una maschera che nasconde la sua tristezza. È una teoria affascinante, che però non ha prove.
L’uomo è così: sembra diverso da come si scopre che è in realtà. Era così perché aveva creduto a cose che in realtà non sono vere. Non accade mai, per lo meno nelle commedie che abbiamo, che uno creduto buono in realtà sia cattivo e se no si ricade in Aristofane.
Lo stile
Un mondo così non può avere lo stile di Aristofane, ricco di parolacce e di termini volgari, che gioca sul duplice significato delle parole. Menandro non ha quest’esigenza: porta sulla scena la classe “borghese”, la classe media Ateniese. Ha interesse familiare, racconta l’uomo che vive la propria vita come unica possibile: usa un linguaggio medio, né aulico, che sarebbe parodistico per la commedia, né quello di Aristofane, troppo volgare. Aristofane mescolava la lingua a seconda dei personaggi. Menandro adotta uno stile medio, un po’ elegante, né troppo alto né troppo basso, che però si priva della possibilità di suscitare la risata. Ci sono solo gli schiavi che coloriscono l’ambiente, però non sono i personaggi portanti. Perché l’uomo possa identificarsi con il personaggio, Menandro presenta personaggi che potrebbero essere gli spettatori, eventi credibili che possono succedere, in modo che il pubblico possa trarre conforto dal risultato positivo.
Una commedia d’evasione o a tesi?
Si oppongono due teorie sostenute:
- È una commedia per divertimento: in opposizione ad Aristofane, che presenta la situazione politica
- È una commedia a tesi: manda un messaggio diverso da quello di Aristofane, non politico, ma personale È la serenità che non si trova più nella vita pubblica si può trovare nella vita privata. L’uomo è fondamentalmente buono. Il messaggio di Menandro dà una speranza, se sappiamo superare gli ostacoli.
Se la commedia finisce bene, è dovuto alla mentalità di Menandro. L’uomo arriva anche al sacrificio della propria felicità per quella di un altro. In una città con la mania dei processi, sta portando un messaggio nuovo, non rivolto al cittadino, per cambiare la situazione, ma al cittadino privato perché viva bene.
La cosa strana è che Menandro, a differenza di Plauto che nel prologo anticipava come va a finire, perché l’importante è vedere come ci si arriva, mentre invece per Terenzio, che non gioca sul linguaggio, la sorpresa è il finale, Menandro non gioca sulla lingua, ma anticipa, anche se non nei dettagli, la fine! Menandro non pone l’attenzione sulla vicenda in sé, ma su come i personaggi vivono la situazione. L’interesse non è come si rivela il personaggio, la sorpresa è che una persona si rivela diversa dalla convenzione sociale. È una forma di difesa: cerca di nascondersi in un atteggiamento che lo salvi dalla vicenda e assume un atteggiamento più freddo, che porta alla convinzione che sia malvagio.

Fu il primo ad organizzare la pubblicazione della sua opera, diede una visione d’insieme alla sua produzione, che per altro fu vastissima: la tradizione gli attribuisce 800 libri!! È decisamente esagerato chi dice che addirittura ne scrisse 2400, perché i rotoli erano tripli! 800 può anche andare bene perché non è un numero magico.
Nacque attorno al 300 a Cirene; aveva un’ottima cultura, ma si ridusse a fare il maestro in una scuola di periferia; in seguito fu notato dai Tolomei che lo fecero entrare nella biblioteca di Alessandria. Ci si è posti il problema se sia stato il direttore della biblioteca, però non c’erano prove né che lo sia stato, né che non sia mai stato direttore; ora che abbiamo trovato l’elenco dei direttori sappiamo che non lo fu mai. Il secondo direttore della biblioteca però fu Apollonio Rodio, che fu allievo di Callimaco: indica l’influsso, l’auctoritas di cui Callimaco godeva; più che un fallimento, ora si tende a vedere il fatto che non sia stato direttore come una scelta di Callimaco. Infatti quando Tolomeo sposò Berenice di Cirene, che veniva dalla stessa città di Callimaco, il prestigio del dotto accrebbe: è difficile pensare che non abbia ricevuto l’offerta, quindi probabilmente è lui che l’ha rifiutata.
Πινακες
Πινακες, cioè “tavole”, è la sua opera di erudizione massima. Composta da 120 libri, sono le “tavole” di tutti coloro che si distinsero in tutti i branchi della cultura, e le loro opere. Non è solo un catalogo, ma l’elenco di tutti i settori del sapere, divisi secondo il settore, con cenni di vita e elenco delle opere veramente attribuibili all’autore, e forse anche stechiometria (lunghezza). Non può aver fatto tutto da solo: è una raccolta notevole di notizie storiche o aneddotiche che coinvolgono tutta la cultura passata. Contiene tutto un passato da un lato finito, dall’altro non lo si vuole lasciare morire e lo si studia e organizza. C’è orgoglio per la propria cultura. Non è un’opera letteraria, né pretende di esserlo: è un’opera da erudito, adatta ad un direttore di biblioteca, un’opera di consultazione. Ne abbiamo solo pochi frammenti, quindi non sappiamo quanto valga!
Opera poetica
È vasta e risente di quella da erudito. È una poesia nuova che partendo dall’antico cerca di trasformarlo facendo notare la sua abilità tecnica variando il metro, il dialetto… si innesta sulla tradizione rinnovandola. Più importante delle variazioni tecniche, quello che cambia è l’atteggiamento. Gli autori della tradizione sapevano che la propria opera non era un’opera pura e semplice, ma andava al di là di quello che diceva per piacere letterario, e costituiva una guida a cui chi ascoltava tendeva ad uniformarsi. Il mondo ellenistico sapeva di non essere più così:
• Non c’erano più valori comuni da trasmettere;
• Il pubblico era alla pari di chi scriveva: non avevano più bisogno di essere guide, ma volevano mostrare la loro abilità tecnica.
La tradizione veniva utilizzata per adattarla ad un mondo nuovo.
Gli inni
Si rifanno agli inni omerici: in esametri, in dialetto ionico. Callimaco ne scrive 6:
• 5 in esametri 5 secondo la tradizione
• 1 in distici elegiaci 1 novità.
Omero aveva utilizzato il dialetto ionico negli inni perché era la sua lingua; l’ellenismo non individua nel dialetto usato quello dell’autore, ma è parte delle caratteristiche del genere, come l’ha consegnato la tradizione. Il linguaggio è artificioso, letterario. Due sono in dorico: il dorico non ha mai prodotto epica! È diverso l’atteggiamento rispetto agli inni omerici:
• Omero usava un tono narrativo, era un’epica che racconta, fedele negli episodi di vita della divinità.
• Callimaco fa una narrazione di tipo lirico, che tende al patetico. Non è un racconto, ma come fosse un pezzo di lirica. (???)
• Omero credeva in questi dei
• Callimaco non ci crede più: non è ateo, ma è l’epoca che non ci crede più. Tende ad umanizzare le divinità, le vede nella loro figura umana.
È bello in particolare l’inno ad Artemide, che di solito è gelida, è vergine, ha qualcosa di freddo, non ha passione nelle sue relazioni, vivere nei boschi la isola. Callimaco per fuggire a questo la vede bambina: si arrampica sulle ginocchia di Zeus e gli chiede il settore della caccia. Appare una bambina come tante, una persona normale. Zeus accetta e la manda dai ciclopi a farsi fare le armi; è una dea e non ha paura, così va nell’Etna e chiede le armi come fossero giocattoli. Si arrampica sui ciclopi come era salita in braccio al padre. Teocrito parlerà di un ciclope innamorato! Gli Dei ormai sono totalmente umani. Tornata sull’Olimpo, incontra Eracle, che è un Eracle da commedia: agli antipodi di Artemide. Trasforma le due figure (Eracle da commedia era già stato usato). Usa uno stile “giocoso” o Callimaco affronta questi argomenti come un gioco, non crede nelle divinità e nei valori che portano. C’è la ricerca del motivo eziologico: cerca di spiegare anche le cerimonie. L’ellenismo va alla ricerca non per fede, ma per cultura, di queste ragioni.
L’unico momento in cui si fa prendere la mano e si lascia commuovere è nei lavacri di Pallade. Presenta un dio prigioniero della sua divinità. La legge di Zeus imponeva di punire chi vede una dea nuda, e lei non può sottrarsi a questa legge, anche se non coincide con la sua volontà. La divinità non è più onnipotente! Nell’Iliade anche Zeus pesava il destino, Apollo non poteva non lasciare morire Ettore, però la cosa turbava un secondo, poi basta. Qui invece è sentita. Dice che è la legge di Chronos, un destino a cui non può sfuggire: la τυχη non è solo una divinità, è il destino , tipo αναγχη. In questo periodo credevano solo più alla τυχη, tutto era ricondotto a questa forza, persino l’αναγχη, alla quale anche gli dei sono sottoposti. L’atteggiamento giocoso è una sua scelta, e qui non riesce più a controllarsi. Si immagina un messaggero ad Argo, in una festa la statua di Pallade era portata a fare il bagno. Uno annuncia l’arrivo della statua, e dice che nessuno la deve vedere nuda, altrimenti sarebbe diventato cieco com’era successo a Tiresia. L’ambiente si sposta, sulla scena ci sono Atena e le ninfe, e Tiresia, giovane (quindi fragile) che senza volerlo vede Atena nuda, e lei lo rende cieco, obbligata, non avrebbe voluto. Dice: “prendi la mercede che ti è voluta!” = questo è il tuo destino al quale non puoi sottrarti, ma neanche io posso. La madre di Tiresia difende il figlio: è forte il pathos, però la madre per difendere il figlio si ribella alla dea nell’Iliade Achille poteva permettersi di insultare Apollo, però Achille è un eroe; lei è una ninfa, però non potrebbe! La dea ha pena per lei, non è colpa sua, ma deve rispettare le leggi; anzi dovrebbe essere contenta perché poteva andargli peggio: cita l’esempio di Atteone, che ha visto Artemide nuda ed è stato sbranato dai cani, che non sono amici dell’uomo (visione Omerica: Priamo a Ettore: “i miei cani mi sbraneranno”). La sorte di Tiresia a questo punto è preferibile, dice alla madre che i genitori di Atteone sarebbero contenti della sorte di Tiresia perché il loro figlio è stato sbranato dalle cagne (un male femmina non può che essere peggiorativo). Atena non può correggere la legge di Chronos, può solo aggiungere dei doni: gli dà la vista della mente, e Tiresia diventa un indovino.
Gli Dei sono umanizzati, si abbandona al piacere di raccontare, l’elegia che aveva notevole varietà di contenuti diventa narrativa z strumento per raccontare i miti, non quelli sconosciuti, ma i più rari. Non devono essere sconosciuti perché altrimenti l’allusione a cui l’autore ellenistico ricorre non basterebbe se il mito fosse sconosciuto; i destinatari invece lo conoscevano, sono colti: prende il mito meno usato, o la versione meno usata di un mito, e il lettore lo riconosceva perché all’autore bastava fare un’allusione.
Il 4° mito è quello di Demetra: se ne conoscevano molte vicende, ma prende la vicenda di Erisittone, che è una delle meno frequenti. Il mito di Erisittone (o Erissitone??) è ridicolo. Parla di un uomo che ama mangiare e vuole ampliare la sala, cerca della legna e si accorge che quello che sta tagliando è un bosco sacro a Demetra, che lo condanna ad una fame insaziabile. Avrebbe potuto farci un dramma, ma Callimaco lo tratta in modo leggero. Erisittone mangia tutto quello che vuole, ma evidenzia l’aspetto grottesco. È un esempio caratteristico di Callimaco perché:
1. È un mito che non conoscono tutti
2. Per il modo in cui lo tratta o piacere di raccontare (elegia)
3. Condanna di Demetra: non è sentito come una tragedia, ma come una vicenda
La dea è umanizzata. Il mito è raccontato, non perché non si sappia, ma perché l’elegia è strumento per raccontare. Umanizzazione degli dei: possono diventare bambini, nessuno si scandalizza, perché sono personaggi di un passato e nessuno ci credeva più.
Epigrammi
È un genere che non ha precedenti È non ha una tradizione alle spalle a cui rifarsi, a cui si era vincolati. L’unica caratteristica era la brevità, e in epoca ellenistica non poteva non piacere per questo. In un epigramma non c’era la preoccupazione di avere una preparazione di tipo culturale-erudito: Calimaco diceva quello che sentiva. Spesso sono funebri:
- Uno per un poeta, Eraclito, (pag. 65) nel quale usa una bella immagine: mettere il sole a letto per indicare la seta ) siamo noi che a forza di parlare lo mandiamo a dormire, non è la seta che ci coglie all’improvviso. È bella proprio l’idea di “metterlo a letto”, dà un’idea di maggiore familiarità. Usignoli: deve essere il titolo di un’opera di questo Eraclito, poi gioca su un equivoco: vive per sempre la sua opera/usignoli nel senso di voce melodiosa come la tua poesia, che vive per sempre.
- Ne scrive uno per una bambina (pag. 67): Callimaco è fresco, non ci sono implicazioni, non ci sono doveri di erudizione, si lascia andare alla commozione.
- Per un bambino di 12 anni (pag. 67): era piccolo, ma era una grande speranza del padre, delusa: ne sottolinea la sproporzione.
- Poi scrive 2 auto-epigrammi per la sua tomba!
1. Parla di sé e del padre condottiero (pag. 69): dice che i suoi canti sono più forti dell’invidia: nessun’invidia di altri poeti lo può far tacere. Chi le Muse hanno destinato essere poeta, sarà poeta per sempre.
2. Dice di essere un uomo in grado di scherzare sotto l’effetto del vino: Bacco, dio del vino e della poesia.
- ODIO IL POEMA EPICO: intende tutta l’epica o salva Omero? Anche questo fa parte di un ciclo! L’odio di Callimaco e degli ellenisti per il poema epico tradizionale coinvolge anche Omero? Non si sa! (pag. 69)O πάντα τα δημόσια le cose aperte a tutti, che non hanno niente che distingua le fugge: vuole cercare qualcosa di nuovo, odia tutto ciò a cui tutti possono arrivare, come la fontana della piazza. Disdegna invece ciò che non è straordinario.
- In un pezzo di epigramma che non abbiamo dice: μεγα βιβλιον, μεγα κακον, inteso come rovina intollerabile. Si riferisce al poema epico? Ad un’opera che pretende di avere valore per la quantità e non per la qualità? Include anche Iliade e Odissea? Boh?!! Qualcuno sostiene che Callimaco stia attaccando i poemi epici suoi contemporanei, non Iliade e Odissea.
Ecale
(vedi ellenismo, epica)
la prof ha letto la descrizione del risveglio (pag. 56)l Callimaco scrive quello che sentiva al risveglio prima di essere al museo perché parla del risveglio della città. Poi descrive la tempesta: c’è stato il sole tutto il giorno, nell’ora in cui le fanciulle chiedono il pane alla madre (similitudine omerica che riprende anche Apollonio Rodio) arriva la tempesta: c’è erudizione, monti, con i loro aggettivi, precise indicazioni geografiche.
Giambi
Il titolo si riferisce al metro; in realtà c’è varietà di argomento e di metri a base giambica: l’età classica ne usava 2, Callimaco varia, non usa solo trimetro o scazontes. Riflettono la tendenza ellenistica di prendere la tradizione e cambiarla; si distinguono soprattutto per la varietà di contenuti. Sono 13 componimenti (12 + 1 di introduzione). Noi non li abbiamo tutti, però abbiamo il riassunto.
I. INTRODUZIONE va a pescare Ipponatte: risorge, si trova con i dotti ellenistici, e racconta una vicenda: uno dei sette saggi affida al figlio una coppa con il compito di affidarla al migliore dei 7: però passa da uno all’altro perché nessuno si ritiene degno r il σοφός è anche modesto. Prende Ipponatte perché è il più significativo nei poeti di giambi; il fatto che risorga indica il contatto che il dotto avverte con le sue opere.
IV. L’ALLORO E L’ULIVO Un alloro e un ulivo, vicini su un monte in Lidia, litigano. L’alloro dice di essere più importante: cita tutti i miti meno sfruttati nei quali interviene l’alloro. Si vanta di essere sacro ad Apollo e di essere la pianta della vittoria nei giochi pitici; l’ulivo invece si contamina con la morte, infatti con l’ulivo si faceva il letto funebre perché era profumato e attenuava l’odore. L’ulivo però non si sente svilito da quest’accusa, ma è contento di essere vicino all’uomo nell’ora della morte; poi è la corona di vittoria nei giochi olimpici. Dice poi che l’alloro deriva dalla terra (non fa riferimento al mito di Apollo e Dafne, è strano, ma il mito che cita è più utile per sminuire l’alloro). Invece l’ulivo deriva dalla contesa tra Atena e Poseidone per la protezione di Atene, quando Atena regalò alla città un ulivo, ai tempi del re Eretteo, metà uomo e metà serpente (nell’Acropoli si manteneva un serpente). L’alloro aveva perso un punto, perché l’ulivo poteva vantare origini divine. Poi l’alloro non fa frutti utili, l’ulivo sì o è importante l’UTILITA’. Dice però che è un cibo per i poveri: non è che i ricchi non le mangiassero, però gli ulivi erano talmente frequenti che spuntavano quasi spontaneamente. L’olio poi non era solo un condimento, ma era alla base degli unguenti per la pelle, per gli atleti, per i profumi, ed era indispensabile per la tessitura (nello scudo di Achille si diceva che i vestiti brillavano d’olio, per indicare che erano nuovi). Qui non cita l’olio, però all’epoca era importante. Poi l’ulivo era il ramo del supplice: così ottiene la terza vittoria. L’alloro a questo punto vorrebbe ribattere, ma interviene un rovo, che dice loro di smetterla perché è un’ingiuria lottare a vicenda.
Questa è un’allegoria di tipo letterale. Si possono interpretare come:
ALLORO A poesia epica di glorificazione
ULIVO U poesia moderna dell’epoca, che sta vincendo.
Però la differenza sarebbe troppo sottile: l’alloro non può essere la poesia epica tradizionale, perché se lo fosse l’avrebbe condannata. Potrebbe essere l’epillio: infatti un’interpretazione più probabile vuole che tutti e due siano la poesia moderna, perché non c’è differenza, litigano, ma pacatamente, con correttezza, i meriti sono riconosciuti dall’altro t indicano la ripartizione in generi della poesia senza che uno sia superiore agli altri: ognuno ha i propri meriti. Il rovo quindi sarebbe la poesia epica tradizionale, che schiaccia le altre.
Αιτìα
“Origini”, opera in 4 libri in distico elegiaco “ elegie che raccontano episodi di trasformazioni. È un POEMA EZIOLOGICO . spiega da dove deriva il tutto, ripercorre la storia del mondo. Le cose non hanno forma solida, non c’è staticità, ma passaggio da una forma all’altra: indica una mancanza di certezza nei valori assoluti. Di quest’opera ci rimangono:
- Il prologo dei Telchini
- L’episodio di Aconzio e Cidippe (3° libro)
Aconzio a Delo ha visto Cidippe e se ne è innamorato, scrive su una mela “per Artemide, giuro di sposare Aconzio”, gliela getta e lei legge la frase (sono nel tempio di Artemide). Poi non si incontrano, il padre la vuole sposare, ma non ci riesce, solo con Aconzio. Però non c’è nessuna trasformazione!! È nella parte finale (?).
L’opera cominciava con la trasformazione del caos in cosmos e finisce con un argomento di attualità: la trasformazione della chioma di Berenice in costellazione. Berenice è della stessa città di Callimaco, sposa Tolomeo Euergete, si taglia la treccia in voto agli dei perché il marito è in guerra, la appende e il mattino dopo non c’è più, però notano una nuova stella e la chiamano Berenice in suo onore: gli dei sono tanto contenti del dono che lo assumono in cielo. Dunque ci sono sia un motivo eziologico, sia un motivo encomiastico (lui e Berenice avevano uguali origini).
Non avevamo la vicenda, che ci viene riportata solo da Catullo, e Foscolo l’ha tradotto; poi abbiamo trovato una parte dell’episodio di Callimaco e abbiamo constatato che la traduzione di Catullo è fedele c si può supporre che sia fedele tutta! Quella di Foscolo è bella, piena di giochi di parole.
C’è un problema: l’Aιτια conta 4 libri: è un μεγα βιβλιον! Si giustifica con il fatto che non era un opus continuum. Callimaco condanna il poema epico tradizionale, che appunto era un opus continuum. Invece l’Aιτια no, è una raccolta di tante trasformazioni, che alla fine risulta di 4 libri, circa 4000 versi, ma sono la somma di piccoli episodi. L’accusa al μεγα βιβλιον non è smentita né va in crisi con questo, ma non si capisce perché critica la Lide di Antimaco (che non abbiamo)? È una serie di elegie raccolte in un’opera, quindi neanche quella è un’opus contunuum! Fileta approva la Lide di Antimaco n in quella scuola la difendevano. Catullo segue il giudizio su Callimaco quando dice VULGUS GAUDEAT TUMIDO CALLIMACO i contemporanei apprezzino pure il tumidus Callimaco: lui l’avrà letta la Lide! I contemporanei apprezzano e demoliscono le stesse opere, e poi Callimaco come può insultare tanto la Lide se è un’opera del genere degli αiτια?! Si può salvare la faccenda dicendo che la Lide presenta troppi libri; la scuola a cui appartiene Fileta apprezza le elegie staccate. Però non c’è prova! Se la prendiamo nel modo tradizionale (4/5 libri) non c’è motivo perché piaccia a uno e non all’altro. Però era una polemica accesa tanto che i neoteroi, romani (Catullo, si pensa anche gli altri, ma di questi non abbiamo una parola), si sono inseriti nella discussione. Può essere che per loro Callimaco fosse il grande, e il simbolo della poesia, quindi la sua parola è legge, il suo giudizio diventa criterio di giudizio per gli altri.

Contemporaneo di Callimaco, dicevano che fosse nato a Cos perché lì ha partecipato alle Talisie, però non tenevano conto del fatto che vi partecipò come poeta già affermato! Lui descrive la campagna siciliana, inoltre … , per cui sicuramente è nato in Sicilia, probabilmente a Siracusa; di lì si trasferì a Cos dove c’era Filita/Fileta; poi andò ad Alessandria dove morì. Se ha fatto due viaggi di quel tipo evidentemente fu invitato privatamente, poi fu invitato ad Alessandria per la sua fama.
È considerato l’inventore dell’arcadia, invece no. Arcadia non indica solo la poesia arcadica, ma è collegata anche all’Arcadia (regione greca)! In tutta la produzione di Teocrito non c’è alcun aggancio allìArcadia! È l’inventore della poesia bucolica, non dell’Arcadia! Il primo a parlare degli Arcadi come musici è Polibio, ma la riporta solo come notizia. Poi la critica l’ha attribuita a qualcuno tra Teocrito e Virgilio; oggi quest’ipotesi è in decadenza e si tende ad attribuirla a Virgilio. Virgilio è il primo ad ambientare la poesia in Arcadia, però noi intendiamo l’Arcadia come locus amoenus, invece in Virgilio l’Arcadia fa da sfondo all’amore infelice di Cornelio Gallo e l’ambiente partecipa di quest’infelicità; non è un locus horridus, però è triste. Probabilmente il dolce è stato attribuito all’Arcadia perchè era il maggior produttore di miele.
Teocrito è l’inventore della poesia bucolica: le vicende sono ambientate nelle campagne, il mondo che descrive è quello dei pastori; hanno una rigida scala di valore nel lavoro; non erano proprietari del gregge ma lo accompagnavano: rispondevano ad una graduatoria:
1) BOVARO
2) PECORAIO
3) CAPRAIO
È un criterio per distinguere le poesie di Teocrito: rispondono sempre a quest’ordine.
Nell’introduzione parla di canti βουκολικας: secondo Callimaco ha inventato lui la parola.
Teocrito scrive:
• 30 idilli, epilli,
• 3 mimi (di origine siciliana),
• 24/25 epigrammi,
• 1 παιγμιον, carme figurato (Zampogna) 1 con la lunghezza dei versi si disegna sulla cartta quello che sta descrivendo: è uno zufolo. Viene ripreso abbastanza recentemente da Gregory Corso con la BOMBA: disegna la bomba atomica. Però il lavoro dei greci era più difficile perché avevano il vincolo della materia. Era un esercizio fine a sé stesso di grande abilità tecnica. Probabilmente è la prima: non si poteva quando la diffusione avveniva oralmente.
Gli idilli
Da ειδιλιον D diminutivo di οδη, piccola poesia. Non c’entra con il contenuto, indica solo la breve durata del canto. Teocrito ha portato a dignità letteraria il genere della poesia bucolica che esisteva già come popolare. Probabilmente in Sicilia i pastori che sorvegliavano la mandria si dedicavano a gare poetiche tra loro, improvvisate, senza struttura fissa o altro. Teocrito la trasforma in genere letterario nuovo, dandogli valore letterario e caratteristiche proprie: usa l’esametro (metro dell’epica) con una patina omerica ma dorizzandola: parole con impostazione omerica e terminazione dorica. Non ha valore sacrale n la Sicilia è stata colinizzata dai Dori. L’alfacismo dà effetti fonetici diversi, più piacevoli.
Per collocarli cronologicamente, si guarda il ritornello: a lcuni ce l’hanno, altri no; il ritornello aiuta la poesia orale (per la memorizzazione) P probabilmente quelli con il ritornello sono i più antichi; invece le più recenti si staccano dalla loro origine fino ad eliminare il ritornello.
L’argomento principale è l’amore, sentimento tipico dell’ellenismo che non ha più valori pubblici: sostiene la passione per la gloria e i valori condivisi. È anche l’ambiente adatto a parlare di questo tipo di vita, quello privato.
Tirsi
È il primo idillio, riguarda la morte di Dafni cantata dal pastore Tirsi. Non si sa di cosa muoia, evidentemente era talmente noto che non c’era bisogno di dirlo. È messo per primo per dare il tono di poesia pastorale; Dafni è una figura mitica legata al mondo pastorale.
Ciclope
Fa del ciclope un pastore innamorato. È la persona più lontana dall’amore, ma non importa. Sul ciclope compone due idilli:
1. c’è una ninfa innamorata di lui, ma lui non la vuole; si specchia e si vede bello.
2. È più triste, ma non arriva mai alla tragedia È Polifemo è innamorato e vorrebbe una ninfa marina, Galatea.
Già in Omero Polifemo era un pastore che si prendeva cura della mandria, e provava un certo affetto per l’ariete G l’idea del pastore era già presente nella tradizione, la novità sta nel fatto che è innamorato. L’idillio è dedicato al medico Nicia, amico e poeta; nell’introduzione ricorda che solo un canto può portare conforto ad un dolore d’amore. Si rivolge a Galatea con paragoni adatti ad un pastore: la paragona ad un agnello per la morbidezza, ad una vitella, che ha più dignità, all’uva acerba, per la freschezza dissetante, alla panna per il bianco. Ora capisce che l’occhio che prima (nel primo idillio) vedeva come bello, lucente, con belle ciglia, invece è brutto, un sopracciglio percorre tutta la fronte, aggiunge il naso camuso. Il fisico non può attrarla, però è ricco: ha tante pecore, latte, formaggio, poi sa suonare e cantare, le ha messo da parte animaletti con cui giocare, anche con il collare t sono addomesticati. Vorrebbe avere le branchie per raggiungerla: fa quasi pena.
Saffo aveva citato rose e viole nelle corone; già i critici alessandrini avevano notato “l’errore”, fa una citazione sul tipo. Alla fine comunque si consola: se non mi vuole lei, ci saranno altre che mi vorranno, sono qualcuno.
È un gioco, presenta la stessa persona da due punti di vista diversi: prima respinge l’innamorata, poi è lui l’innamorato. C’è un dramma satiresco di Euripide che racconta la stessa vicenda di Omero: era l’unica versione conosciuta. Capovolge la tradizione: non è più il prendere il mito meno conosciuto, addirittura lo capovolge. Non c’è più la CREDUTA FALSITA’ DEL MITO (definizione del Moreschini): era creduto vero, ma nell’ellenismo sanno tutti che è falso, per cui ci può giocare. In Omero faceva tenerezza perché era solo, qui no, fa sorridere, è un pastorello normale. Ha aggiunto la reminiscenza per dire che l’amore può colpire chiunque.
Talisie
Ambientato a Cos, isola dove è stato; sono la sua consacrazione poetica quando era già famoso in Sicilia. È una descrizione della festa in onore di Demetra; si presenta con il nome di Simichida come capraio e incontra Licida: chi è? Secondo alcuni è Fileta; ora si pensa che sia Apollo che lo consacra vero poeta (si riallaccia a Callimaco). C’è la dichiarazione poetica di non voler salire troppo (epica tradizionale). Descrive la campagna di Cos, ma in realtà è la campagna siciliana z è la descrizione più significativa di Teocrito. È la Sicilia perché è troppo abbondante, raccolti enormi. È un locus amoenus, ci sono la sorgente sacra alle muse, animali, suoni piacevoli perché limitati in altezza. È mezzogiorno, ma non c’è arsura perché ci sono sorgenti e alberi, rami agitati, aria, il sole illumina, ma non acceca perché c’è ombra. È il punto descritto più abbondantemente. Questo pezzo viene in genere confrontato con quello di Virgilio, che è diverso perché:
• È sera e autunno
• Di frutti ci sono solo castagne, non c’è tanto raccolto, qui ce n’è di più
• I colori: in Teocrito sono chiari, c’è ricchezza, natura gioiosa e rigogliosa; in Virgilio è una natura verso l’inverno, che produce poco, mancano i colori, c’è tristezza (è Virgilio che ha scelto di ritrarla non quando è tanto abbondante, per riflettere lo stato d’animo di Melibeo che la sta abbandonando e la campagna di Mantova è abbondante). Là è una poesia che sta morendo, qui è in piena fioritura.
I mietitori
Non è squisitamente bucolico perché non sono pastori, ma fa lo stesso. Inserisce due personaggi:
• Milone è quello che canterà un pezzo non suo che attribuisce ad un altro. Fa l’esaltazione del lavoro, cosa strana per un greco.
• Buceo: canta il suo amore: è triste. In Teocrito è importante l’elemento amoroso, è interessante vedere l’amore di Buceo per la sua donna, che tipo di donna può apprezzare uno così.
La donna di Buceo è chiamata “Bombica”: sembra un vezzeggiativo amoroso. Ha due caratteristiche non tipiche:
• È magra
• Cotta di sole C scura di pelle. È siracusana, non greca; se non è una schiava è una lavoratrice.
È strano per i gusti greci, che amavano le donne abbondanti e bionde, con gli occhi azzurri e la pelle chiara, perché non lavoravano. Per parlare di lei fa paragoni adatti al suo mondo: il lupo cerca la pecora, la gru l’aratro (forse è una pianta), io te. È un mondo povero e aspira al denaro; anche se di solito è visto negativamente, loro non possono che cercarlo perché non ce l’hanno. Avesse i soldi di Creso, farebbe 2 statue d’oro “ex voto” per loro due da mettere nel tempio di Afrodite; d’oro perché dà l’idea del lusso. La immagina con il flauto, una rosa e una mela: probabilmente lei è una di quelle ragazze che danno da bere ai mietitori e suonano il flauto (le flautiste erano viste male); poi con una rosa e una mela: si tende a collegare la rosa all’amore sensuale, fisico (culto di Afrodite); non la sta attaccando nel senso che è una prostituta, ma non può aspirare ad altro. La statua di lui avrebbe le scarpe nuove: simbolo di ricchezza → lui è ritratto con i simboli di ricchezza, lei con i suoi simboli, flauto. Lui dice che lei ha i piedi d’avorio (ma se è abbronzata?!) → è per indicare l’idea del prezioso e agile (è una danzatrice); è un complimento spontaneo, senza pensare all’assurdo, d’altra parte anche Ariosto descrive Medoro come un uomo europeo. Dice che la sua voce stordisce: è un complimento, perché è affascinante. È una donna che ha caratteristiche diverse da quelle classiche, si salva perché descrive un mondo diverso.
Milone contrappone un canto al lavoro, sperando che Demetra doni un grande raccolto per lavorare molto. Dà consigli sul momento della giornata in cui conviene fare determinate attività. Sottolinea l’arsura e la sete, per alleviare la quale c’erano schiavi addetti a dare da bere agli aratori: quest’usanza era già indicata nello scudo di Achille. Avevano diritto e bere e al pranzo: lenticchie e crescione, forniti da quello che Catone chiamava “fattore”, non il proprietario ma il gestore, che ne dava il meno possibile. Però non c’è niente di drammatico, non suscita pietà, è solo la descrizione di un mondo che i dotti non conoscevano, ha caratteristiche realistiche, però non si poteva fare un inno al lavoro. In questo mondo ci si può anche innamorare, ma di gente adatta.
Mimi
Ne scrive 2,si parla anche di amore. Si discute su quale sia l’origine del genere:
• Secondo qualcuno, ha origini culturali: scritto per un avvenimento.
• Secondo altri, e più probabilmente, nasce da farse teatrali improvvisate: infatti ha almeno 2 interlocutori.
Ne parla Aristofane per primo, per questo si è pensato che fosse collegato alle falloforie, ma non è vero. Il mimo diventa genere letterario con Sofrone, siciliano; come Teocrito dà dignità letteraria alle bucoliche, Sofrone al mimo. Quindi non è Teocrito l’inventore del mito perché lo è qualcun altro.
L’amore di Cinisca
Un certo Eschine (strano: è un nome aristocratico) è innamorato di Cinisca e racconta ad uno la sua vicenda; il finale è encomiastico. Descrive quanto è successo: lui, un Argivo e Agide (un Tessalo guidatore di cavalli: colui al quale si lasciavano i cavalli nelle gare) si incontrano ad un banchetto ci dà una delle poche informazioni sul modo di mangiare dei greci. Mangiano cipolle e lumache, non si sa se marine o terrestri, né come sono cotte: se non è specificato, doveva essere noto. Uccide 2 polli e un maialino: deve stare bene per permettersi la carne! È una trasformazione dell’antico banchetto: il simposio in epoca classica era un luogo di discussione, ora non c’è più discussione, ma è un momento d’incontro tra amici, per fare una mangiata e una bevuta. È pur sempre gente umile. Le dosi di vino, nel banchetto classico, erano fatte per mantenere la mente lucida per pensare, ora invece servono per far durare di più il banchetto. Finiscono con un brindisi, facendo dei nomi. C’era con loro una donna, l’amante di Eschine, che partecipava al banchetto; il fatto che sia l’unica donna tra 4 uomini ad un banchetto è indice della posizione della donna, che non è più relegata in casa, anche se bisogna tenere conto che sta parlando di un mondo di cui la letteratura non si era mai occupata, ma comunque prima non doveva avere una libertà estrema! Di norma se c’erano donne, erano prostitute. Lei taceva. Uno la prende in giro, le chiede se non parla perché ha visto il lupo (c’era la credenza che si diventava muti), lei arrossisce. Lui sospetta che lei lo tradisca: ha un rivale più bello (lui lo definisce spilungone): c’erano voci che lei stesse con lo spilungone. Lui la manda via, lei non se è più fatta vedere, per dire da quanto, dice: 20 giorni, poi 8, poi 9, aggiungine altri 2 → sembra che lui si sia continuato a dire “se non si fa sentire entro 20 giorni non ci penso più”, e che poi si sia dato una proroga. Se ricorda anche i numeri, è proprio ossessionato! È disperato e non sa più come fare, poi gli viene in mente che un suo amico è partito per il mare ed è guarito, e vuole partire anche lui: parte come soldato mercenario. L’amico però risponde con una lode encomiastica a Tolomeo (è stato composto proprio quando lui era ad Alessandria,e doveva tenerselo buono). Dice che Tolomeo dà una buona paga ai mercenari, ha tutte le caratteristiche migliori: è un encomio sfacciato, dice che è generoso con chi lo ama, e ancora di più con chi non lo ama. Poi attenua l’elogio eccessivo: quando si chiede, dà tutto, però non bisogna esagerare. L’amico dice che se Eschine vuole arruolarsi, deve sbrigarsi prima della vecchiaia.
È interessante per l’elemento encomiastico e per la “nuova” donna, diversa da com’era descritta finora: ora può scegliere di andare con un altro, non è sposata per volontà altrui.
Incantatrici
È un mimo, ricorda Sofrone (per il titolo). È un racconto d’amore: Simeta, abbandonata dall’uomo che ama, decide di fare un incantesimo: c’è l’elemento magico. Nella seconda parte Simeta racconta alla luna la sua vicenda d’amore. Il racconto è intervallato da un ritornello. Descrive quest’amore: è uno degli interessi maggiori di Teocrito e dell’ellenismo. L’ha chiamata una che è morta ad andare alla processione, vede lui a Delfi e se ne innamora. Lui è appena uscito dalla nobile palestra: era nobile in età classica perché ci si esercitava per le Olimpiadi (un buon atleta era anche un buon soldato, quindi un eroe), qui però non siamo in Grecia e non c’erano Olimpiadi, la palestra è fine a se stessa. Non c’era più l’attività militare, la palestra era diventata autonoma, un modo di passare il tempo. Lei però dopo l’incontro soffre: è la sofferenza d’amore che si impossessa di una persona producendo tormento ed effetti fisici: colore giallo, caduta di capelli, dimagrimento: la sofferenza logora il corpo (ripreso da Saffo). Lui passa tutto il tempo in palestra: si vede che razza di bellimbusto è!!
Saffo diceva che diventava gelata, sudava, non parlava, si irrigidiva. Qui ci sono più paragoni, si dilunga e diluisce, perdendo di efficacia. Lei ha tanta più libertà: l’ha mandato a chiamare. La donna prende l’iniziativa: è diversa dalla posizione classica. È una donna nuova, adatta ad un uomo nuovo, socialmente inutile, che passa le giornate in palestra, è solo καλός, pieno di sé, ne approfitta, vanitoso e ipocrita. Lascia da lei l’ampolla d’olio, con cui si ungevano gli sportivi: ci tiene solo a quello. Lei scopre che lui è innamorato di un’altra: ricorre alla magia. È un’epoca in cui la magia prende piede, entra anche a Roma. Tutte le volte che la religione va in crisi subentra l’elemento magico, che invece viene guardato male quando la religione è in auge. Fa un sacrificio a Selene, dea tradizionale, però è notte, è un sacrificio più magico che religioso, usa filtri mortali: o torna da me, o muore. Alla fine però si pente, capisce che è stato solo un momento di rabbia e ha paura di fargli del male. Secondo qualcuno leopardi si è ispirato a Teocrito nel dialogo con la luna. Il ritornello è tipo una formula magica: si inquadra nel rito.
Siracusane
Altro mimo. Da qui si pensa che Teocrito sia di Siracusa, si trasferiscono ad Alessandria con lui. Questo mimo è stato esaltato, ora la critica lo demolisce. È un quadro grazioso fine a se stesso. È suddiviso in tre fasi, con tre ambientazioni diverse, con un cambio di registro.
1. CASA
2. STRADA
3. PALAZZO DI TOLOMEO
Nei primi due punti il tono è colloquiale e semplice, nel terzo è più elevato, cantatrice: inno in onore di Adone. GORGO e PRASSINOA stanno andando al palazzo di Tolomeo per la festa di Adone (motivo encomiastico). È un pezzo che non si vedevano. La più vecchia ad un certo punto si siede: non ce la fa più, è una lunga strada ed è molto affollata. Si può notare un atteggiamento diverso: dicono peste e corna dei loro mariti cretini: hanno una libertà nell’esprimersi che la donna classica non aveva. Il marito stufo che a Siracusa queste due parlassero sempre insieme, quando si sono trasferiti ha scelto una “tana”, non una casa, lontana. La più vecchia, più esperta, le dice di non parlare male del marito davanti al bambino. Hanno libertà però è l’uomo che va a fare la spesa: o vuole controllare le spese, o se no è una contraddizione! Il bambino non era mai comparso in età classica, in quanto non ancora perfetto (se non come figura incosciente, proiezione del genos). È una conversazione di tutti i giorni di due donne che si incontrano. Poi escono dalla casa e continuano a chiacchierare. Si lamentano della folla, inserisce un piccolo elogio a Tolomeo → apprezzano la sicurezza di oggi nel girare ad Alessandria.
Il senso di diffidenza e di disprezzo nei confronti degli stranieri è espresso dai loro pregiudizi. Pio guarda i cavalli da guerra del re. C’è troppa folla e non riescono ad entrare: la più vecchia dice che a forza di tentare anche gli Achei sono entrati a Troia: fa sfoggio del proprio mito. L’altra risponde. Entrano nel palazzo, ammirano gli arazzi e il lusso, uno di fianco a loro dice di stare zitte perché non ne può più della loro pronuncia: evidentemente questo è greco → c’è una forma di disprezzo nei confronti della pronuncia più dura del dorico, anche all’interno della comunità greca. Lei non si fa zittire, anzi rivendica con orgoglio le sue origini, e già che c’è, il Peloponneso e Bellerofonte. Qui ci sono le lodi di Adone (Canto della cantatrice → vedi Del Corno). È un po’ più elevato come tono perché cerca di riprodurre il registro linguistico.

E’ l’autore emblematico della nuova cultura. Cosa succede all'epica? Accanto all’epillio, quella tradizionale continua, è quella che deve partecipare ad agoni, che però non interessa i dotti: è un livello più basso, ha un pubblico molto vasto e probabilmente diffusione orale. Di questo filone non abbiamo nulla (solo una serie di titoli e autori).
Apollonio Rodio è autore delle “Argonautiche”, che però fa parte della nuova epica; fra i titoli che abbiamo dell’epica tradizionale sappiamo che altri due scrissero le “Argonautiche”, uno scrisse “Imprese di Eracle”; un altro “I fatti di Tebe”; un altro “Versi su Dioniso”. Ci sono anche poemi epici di argomento storico, su Alessandro e i suoi successori.
L'epica tradizionale continua su due filoni:
1) mitico: tradizionale, con Dioniso, Tebe e gli Argonauti (è quello più seguito);
2) storico: ce n’era stato uno sulle guerre persiane, ora si celebra la storia di Alessandro. È un filone meno prolifico e meno ampio, ma prosegue anche questo.
I dotti ellenistici rifiutano il μεγα βιβλιον: essi propongono un componimento in 4 libri secondo il canone aristotelico. E' quello che fa Apollonio Rodio, è l'unico rappresentante dell'epica nuova; questa è la risposta del dotto all'epica. Apollonio compone un poema epico, di argomento epico, secondo le nuove regole.
Da dove viene il nome Rodio? Alcuni dicono che significa che sia nato a Rodi; altri ad Alessandria, e che si sia trasferito poi a Rodi; comunque non importa. La tradizione sosteneva che dopo aver scritto le Argonautiche le avrebbe lette ai dotti ellenistici e soprattutto a Callimaco, di cui era l’allievo prediletto, e che l'aveva fatto diventare direttore della Biblioteca. Si diceva che Apollonio, avendo scritto un μεγα βιβλιοιν, avesse ricevuto insulti da Callimaco, che invece si aspettava qualcosa di più simile alla sua poetica, e che poi se ne fosse andato a Cos o a Rodi a riscrivere un’opera, Ibis, dove avrebbe scritto di tutti i colori su Callimaco. Anche Ovidio aveva scritto un’Ibis contro qualcuno (non si sa bene chi). È strano però che sia stata scritta contro Callimaco! Non sappiamo di preciso a chi fosse rivolta, ma non certamente verso Callimaco. Infatti si è capito che Callimaco non aveva dissapori con Apollonio, citando come prova il prologo degli Aιτια dove parla dei Telchini, tra i quali non c’era Apollonio. Chi sostiene la versione dell’odio dei due, dice che i Telchini erano definiti ignoranti, e Callimaco non poteva certo definire ignorante un suo allievo. L’opera di Apollonio se era un poema epico rispondeva totalmente alla nuova poetica teorizzata da Callimaco: non poteva prendersela con lui! Già il Colonna ha notato solo il primo libro presentava delle correzioni, gli altri no, allora sostenne che quello che Apollonio aveva fatto leggere ai dotti non era l’intera opera, ma solo il primo libro; la definisce una προ εκτωσις c non una prima edizione, ma pre-edizione. Dopo averla letta a Callimaco e agli altri, operò 4 modifiche (a 4 versi), fa una “correzione d'autore”, cioè rende i versi più belli.
Perchè solo un libro ha delle correzioni? Appunto perché è una pre-edizione, prima di pubblicarlo ha voluto sentire le opinioni; gli altri invece escono solo una volta finiti, e non sappiamo quali siano state le correzioni. Lo stesso fatto ci sono state solo 4 correzioni significa che l'opera era stata accolta bene, se no l'avrebbe modificata di più, o non l’avrebbe pubblicata del tutto.
Le poche correzioni fanno pensare ad una lettura solo del primo libro, e ad un'accoglienza positiva, come se gli siano stati dati solo alcuni suggerimenti per migliorare questi 4 versi. Quindi non c’è stata una grana tra i due!
Poi si può definire μεγα βιβλιοιν un'opera in 4 libri? La struttura dell'opera e i cambiamenti che apporta sono congruenti con la nuova poetica teorizzata da Callimaco, in più rende anche onore a Callimaco in una parte dell'opera. Per la struttura e le caratteristiche non può non essere piaciuta a Callimaco! Deve esserci stata una confusione: quando parla di μεγα βιβλιοιν, Callimaco attacca l'opera epica tradizionale; l'epica di Apollonio corrisponde alle caratteristiche della nuova poesia, quindi non può aver irritato Callimaco. Apollonio probabilmente se ne sarà andato altrove non per una lite con Callimaco, come voleva la tradizione, ma per i fatti suoi, non ne sappiamo il motivo, comunque non ci fu nessuna lite fra i due. Il fatto che Callimaco non lo metta fra i Telechini è una prova, Apollonio non è nemico della vera arte, è stato suo allievo!
Le Argonautiche
Le Argonautiche nascono dallo stesso soggetto di poemi tradizionali, il mito di andare a prendere il Vello d'oro nella Colchide; Apollonio ne ha fatto un poema totalmente nuovo, avendo presente Omero, rispetto al quale opera continue modifiche. Mostra che si sta mettendo in gara con Omero. Una prova è che in Omero l'aurora sorge 27 volte con lo stesso aggettivo: ποδοδακτυλος; in Apollonio nasce sempre 27 volte, ma sempre con aggettivi o espressioni diverse: dimostra che è possibile modernizzare Omero, nella sua epoca le formule non hanno più ragione di esistere.
Il mito degli Argonauti era conosciuto, ma non aveva mai costituito l'argomento per un poema epico, era lontano dagli interessi dell’epica perché non aveva un vero eroe, non esprime valori. Ora questo mito va bene perché:
• Ora l'Oriente è conosciuto
• Medea è una maga: la maga prima era una figura negativa, ma con la crisi della religione, la magia prende il sopravvento. C’è interesse per la magia, e il mito mostra la figura di una maga.
Ora che c'è interesse per l’esotico e per la magia, il mito va bene, è perfetto per l’epoca. Apollonio lo tratta alla nuova maniera.
L’amore di Medea
I primi due libri si ispirano all’Odissea: visita gli stessi luoghi di Odisseo, li riprende per emulare Omero, per mettersi in gara con lui. Il terzo libro stranamente ha una nuova invocazione alla musa (la musa della poesia amorosa); si stacca perché per la prima volta si fa dell’amore argomento di un poema epico. Anche Nausicaa e Calipso erano innamorate, però erano episodi brevi e senza grosse conseguenze, invece qui è l’amore a muovere la trama, è un sentimento studiato in Medea, che arriva a tradire il padre e la patria per amore. Medea ha influenzato Virgilio, ma è sproporzionato: Virgilio dedica a Didone 1/12 dell’opera, Apollonio ¼! L’amore non era mai stato argomento di un poema epico perché non rientrava nei valori, poi non era mai stato cantato nella sua genesi, ma solo come dato di fatto, e omosessuale, ora la famiglia è l’unico luogo dove si vive, quindi acquista importanza e bisogna studiarlo in tutte le sue fasi. L’amore di Didone non aveva bisogno di intervento divino perché i due erano fatti l’uno per l’altra; che nell’Eneide finisca male e qui no non è importante, anche perché nel mito Medea poi finisce male, Apollonio non ha bisogno di scriverlo. L’amore di Medea e Giasone deve essere profetizzato da Eros perché i due non hanno niente in comune. È descritto con una notte insonne, Medea è lacerata nell’animo tra Giasone e la famiglia: Medea ne vede le conseguenze, esce sconfitta da questa notte di tormenti, con la contraddizione sottolineata dalla critica neoidealista, oggi sminuita ma non giustificata: Medea è ritratta con profondità, con un notevole studio psicologico, ma è descritta come una ragazzina che si innamora per la prima volta e non ne è preparata: c’è ingenuità. Questo stona applicato ad una maga: sarà anche giovane, però è una maga potentissima, che conosce tutti i filtri e controlla la natura. È la persona meno adatta a provare sentimenti che la possano dominare, non dovrebbe essere preda di una passione. Apollonio non fonde queste due personalità, ma presenta prima Medea che cede all’amore, poi compare la maga: sono due facce inconciliabili, due piani diversi in due momenti diversi. Virgilio non fa quest’errore: Didone non è ingenua, ma ha esperienza e c’è senso del dovere che lotta contro l’amore.
(Leggere la notte di Medea e confrontarla con la vicenda di Didone.)
La figura di Giasone
Giasone è diversissimo da Enea! Il Rossi sostiene che Enea abbia delle indecisioni: ma è solo perché in Enea lottano il vir e il pater. In Giasone non c’è niente che lotti, è totalmente fallito. Didone si innamora della sofferenza di Enea, che ha responsabilità pari alle sue, c’è comprensione prima dell’amore. Medea invece è diversa da Giasone perché Giasone non esiste! Non è più un’epoca di eroi, non si può creare un eroe. Medea non è un eroe, lotta e perde con l’amore, poi non si trasforma in un eroe, ma ha dei trucchi che può dare a Giasone. Giasone dell’eroe ha solo l’aspetto: bello, alto, biondo, occhi azzurri: Medea è colpita dalla bellezza, non dalla personalità che non ha. Giasone è descritto come monosandalos = un sandalo solo a ne perde uno attraversando un ruscello. Apollonio gli attribuisce quest’aggettivo che ha un significato particolare: ha dimenticato un sandalo nell’Ade e dovrà andare a riprenderlo presto o sfortunato. Non ha casa, né patria, né regno. Anche Odisseo è sfortunato, ma è un eroe; il momento non permette di trasformare la sfortuna in eroe. Al momento di scegliere il capo della spedizione, lui cede il posto ad Eracle, eroe riconosciuto. Nella prima parte il comando di Eracle guida la spedizione, poi si toglie perché Ila, il suo eromenos, in una sosta viene rapito dalle ninfe, così va a cercarlo. Eracle ha accettato la direzione della spedizione, però quando un fatto personale lo coinvolge, molla la spedizione.
In una gara trovano il re Amato che sfida tutti i suoi ospiti a gare di pugilato; tra i vari eroi con Giasone c’è Polluce, il protettore dei pugili, e lui vince la gara. L’unico caso in cui è Giasone a risolvere la situazione è quando si trovano nell’isola di Lenno, dove ci sono solo donne, perché hanno ucciso tutti gli uomini. La regina si innamora di lui grazie al suo fascino irresistibile: Giasone risolve i problemi quando di tratta di essere bello. Qui si inserisce un altro mito: Giasone ha amato anche questa oltre a Medea; infatti in un’opera di Ovidio ci sono 2 lettere a Giasone: una è di Medea dopo essere stata abbandonata, l’altra è di una regina, anche lei abbandonata da Giasone.
Il viaggio segue le tappe di Odisseo nei primi due libri; nel terzo parla dell’amore, nel quarto c’è il ritorno → per variare, cambiano tappe, si dirigono verso il nord, attraverso fiumi e terre. Al ritorno si fermano presso Circe, cugina di Medea, che purifica Medea dal fatto che, quando il padre di Medea aveva mandato i suoi fratelli per seguirla,lei aveva attirato il fratello in trappola perché Giasone lo potesse uccidere (di nuovo è stata lei a risolvere la situazione). Circe la purifica, pare che qui si sposino. Poi tornano a casa: c’è una visione circolare: tornano dove sono partiti, non come nell’Odissea dove il punto di partenza è diverso da quello di arrivo. Però qui non è il cerchio come espressione massima di telos, completezza, non è una conclusione, ma il tornare dove sono partiti è annullare la funzione del viaggio.
Argonautiche vs poemi omerici
La differenza con l’Odissea e i poemi omerici si nota anche confrontando gli inizi di Iliade e Odissea con quello delle Argonautiche: nei primi versi di Iliade e Odissea sono già presenti gli eroi, Achille e Odisseo, invece qui presenta prima la vicenda, l’invocazione alla musa è messa alla fine. È più forte la voce del poeta: nell’Iliade e nell’Odisssea era la musa a cantare o narrare le vicende, Apollonio invece dice “io canto un racconto”: è molto più forte; là era la musa che cantava e il poeta aiutava, aveva solo la funzione di comporre, qui invece è lui che canta.
Vedi riassunto sul Del Corno.
Gli dei e gli eroi
Nell’Iliade tutto era voluto dagli dei, non c’era azione che gli dei non avessero deciso, pesato, discusso, c’era qualcosa dall’alto che guidava l’azione degli uomini, l’uomo non aveva responsabilità. Anche nell’Odissea c’era una lotta tra Odisseo e gli Dei, Atena continuava a fargli cambiare aspetto, ha fatto sì che Nausicaa lo accogliesse… l’intervento degli dei era costante. Le Argonautiche hanno gli dei perché li vuole il poema epico, ma sono dei ormai morti. Anche in Virgilio i concili degli dei sono deboli, poco sentiti, previsti dal genere letterario, ma non hanno molto senso. Apollonio Rodio vive in mondo dove gli dei sono in crisi, anche l’inno ad Apollo con cui inizia è obbedire ai dettami del genere letterario. Il poema epico prevedeva che ci fossero: era cosa voluta dal genere letterario e necessaria per far innamorare Medea, però Apollonio li vede in modo adatto alla sua epoca. Era deve andare a far innamorare Medea di Giasone, e per non andare da sola si porta dietro Atena. Pensano insieme a cosa fare, Era decide di far innamorare Medea, poi le due vanno da Afrodite e le spiegano il piano. Sono umane, Atena, dea che personifica il logos per eccellenza, ci pensa e non ha idee; quello che era il suo vanto, la verginità, diventa un limite; Afrodite si stava pettinando, riceve le amiche e si lamenta come una madre che non sa più cosa fare con il figlio che non le ubbidisce. Apollonio descrive una scena della buona società, riproduce le ripicche e le piccole gelosie alla corte di Tolomeo.
Come Omero elencava le navi, Apollonio fa il catalogo degli eroi. Quelli di Polluce non c’erano nell’Odissea; nell’incontro di pugilato descrive la radura nel bosco come un locus amoenus, è strano! è facile che chi perde muore: non è proprio il luogo adatto per un locus amoenus! Probabilmente era l’unica opportunità per inserire un locus amoenus. poi ci sono le arpie, già presenti in Omero, verranno riprese nell’Eneide: l’indovino tormentato dalle arpie rivela come passano attraverso le Simplegadi, già citate da Euripide nel prologo, e anche da Ennio. Poi c’è una variante del mito: un naufragio prima di giungere da Medea. Ci sono alcuni pezzi che non c’erano in Omero: è perché ci sono zone nuove, esplorate, che all’epoca di Omero non si conoscevano. Poi ci sono le Sirene, Scilla e Cariddi, i feaci come nell’Odissea, da cui riprende anche l’avventura della tempesta che li porta in Libia, e poi grazie ad Apollo tornano a casa. Conclude con un’invocazione ad Apollo, proprio com’era cominciata. Quando cita Omero lo fa da erudito; ci sono motivi eziologici: sfoggia la sua cultura, tipico dell’ellenismo.
Critica ad Apollonio
La parte migliore comunque non è la magia → trasformazione della materia, tipico di un mondo che non ha più un punto di riferimento solido. Quando parla di Circe, Omero la definisce θεα, dea, non dà importanza alla magia; Apollonio invece sottolinea la magia di Medea, il fatto che sia una maga. Non c’è mai lotta, Giasone non usa mai la spada ma gli artifici di Medea. La parte migliore è la descrizione dell’amore lirico, che comunque non è epica. C’è la novità dell’inserimento di qualcosa di nuovo, accettato dal mondo, ammira la contaminazione di un genere con un altro. Riprende Omero anche da un punto diverso: di fronte alle formule, agli aggettivi sempre uguali per facilitare la memorizzazione, Apollonio cambia sempre gli aggettivi. Riprende i paragoni, arricchendoli (come faceva anche Teocrito). Per tanto tempo si è dato questo giudizio su Apollonio: Omero è grande, pur avendo delle carenze (Quintilano dice ETIAM HOMERUS DORMITAT), ha dei punti piatti, banali; Apollonio invece è sempre costante, uguale a se stesso, ma è mediocre (questa è la critica dell’Anonimo del Sublime). La critica moderna invece sostiene che in Apollonio c’è uniformità tecnica, ma salva i quadretti, gli episodi, che sono validi in sé, mentre le parti del raccordo sono meno perfette, non è uguale a se stesso! Ci sono parti valide e parti meno.

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