Vita e opere di Seneca

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Testo

SENECA

Muore nel 65 d.C., appartiene al ceto senatorio
Ceto problemi con i princeps (Claudio e Nerone), i quali mantengono il senato, ma attuano una politica antisenatoria, attribuendo meno potere in provincia
Nerone all’inizio si riavvicina al senato richiamando Seneca dall’esilio (imposto da Caligola) grazie alla moglie Agrippina, ma si riallontana subendo una congiura di cui fa parte forse anche Seneca (costretto poi alla vita privata con il conseguente suicidio).
Seneca, scrivendo, tenta di sottolineare la validità del senato (stoici >) che, anche se perdono il potere politico, sono comunque degni di rispetto poiché professano una filosofia che li libera da ogni costrizione (politica, fisica, etica…); Seneca ridà così significatività alla figura dell’intellettuale che non riveste più un’istituzione pubblica.
(Per Seneca il principe deve avere clementia insegnata dai filosofi)
L’intellettuale viene ad assumere significato solo nella sfera privata.
Parla all’individuo, al singolo, che vive nell’angulus, nel secessus. Seneca riabilità così il significato di otium: ovvero il ritiro alla vita privata e momento in cui l’uomo si riappropria di se stesso (educa se stesso ai veri valori, ad una libertà interiore: virtù stoica)
Frutto di queste sue riflessioni sono le Lettere morales ad Lucilium, nelle quali avviene la risemantizzazione del significato del termine otium (ottica stoica: conseguimento della virtù) e il De brevitata vitae, nel quale parla di falsi occupati, di come l’uomo perde tempo…). Queste opere sono dei dialoghi (opere dialogiche); prende come modello Platone e Cicerone, con delle diversità. Le opere ciceroniane sono drammatiche (come recitate da più persone); nei dialoghi senechiani non avviene ciò: Seneca scrive sempre in prima persona, rivolgendosi ad un tu impersonale (non ci sono contesti o dialoghi a più voci).
Scrive poi dei trattati di stampo stoico (ad es. il De clementia) nei quali il maestro/filosofo deve educare il princeps secondo la clementia, ossia la virtù che ogni re giusto e buono deve avere.

Stile della prosa senechiana
Diversamente da Cicerone, il quale aveva un fine persuasivo, Seneca tende a persuadere, ma stimolando il sentimento, ossia movere, servendosi di un genus fractum (frammentario), insistendo sulle figure retoriche (anafora, climax, metafora). A livello di macrostruttura: non c’è concinnitas, ovvero assenza di termini logici che tengono insieme il discorso, assenza di nessi coordinanti. Seneca punta molto sulla sententia, sulla frase singola: condensa in una frase molto breve un concetto molto grande, importante, riassumendo lo stesso concetto sviluppato in precedenza (es.: “la morte non ci sta davanti: ci sta alle spalle”). È presente inoltre un continuo uso di ripetizioni e prevale la paratassi.

Tutto questo tende a sottolineare il senso di precarietà, la fragilità dell’uomo che ha perso un mondo di valori (mos maiorum, pietas, virtus, amicizia) appartenenti ormai solo al passato glorioso, ed entra in una crisi esistenziale che si manifesta con un linguaggio frantumato, spezzato, assenza di nessi coordinanti. Lo stile rispecchia il conflitto interiore che porta l’io ad una crisi.

De brevitate vitae
Scritto probabilmente nel 49, l’anno in cui Seneca tornò dall’esilio.
Dedicato all’amico Paolino, un funzionario imperiale.
Seneca sostiene che gli uomini hanno torto a lamentarsi per la brevità del tempo assegnato dalla natura alla loro esistenza; in realtà vita, si ut scias, longa est (2, 1: “la vita, se sai farne buon uso, è lunga”). Il fatto è che la maggioranza degli uomini la spreca, dissipandola in occupazioni vane e frivole: sono quelli che il filosofo chiama occupati, contrapposti al sapiente, che conosce il retto uso del tempo. Spreca il suo tempo chiunque non si dedica alla ricerca della verità e della saggezza. Questi si privano infatti della possibilità di assicurarsi l’autàrkeia, l’autosufficienza, cioè la libertà da ogni condizionamento esteriore.

“omnes dies tamquam vitam ordinat” – Programma ogni giorno come se fosse una vita.
“non ille diu vixit, sed diu fuit” – C’è differenza tra vivere ed esistere.

1,1
“protinus vivi” – Vivi subito, senza lasciar passare attimi non impiegati.
“non exiguum temporis habemus, sed multum perdidimus” – Non abbiamo avuto poco tempo, non l’abbiamo sfruttato.

1, 3-6
“nullam rem bene exerceri posse ab nomine occupato” – Niente può essere ben gestito da un uomo occupato.
“vivere tota vita discendum est et tota vita discendum est mori” – Per tutta la vita dobbiamo imparare a vivere e per tutta la vita dobbiamo imparare a morire.
“nihil sub alio fuit” – Alienato, essere di altri. Non essere più padroni di se stessi. L’io diventa l’essere degli altri.

8, 1-3
“quasi nihil petitur, quasi nihil datur” – È richiesto come se non valesse nulla e lo danno come se fosse niente.
Il tempo non ha corpo né prezzo: è considerato di poco conto.
Alla morte si capisce il vero valore del tempo.

9, 1-5
Gli affaccendati, per vivere meglio, si organizzano la vita; ma questo la distrugge, poiché il futuro è incerto e bisogna vivere giorno per giorno. Bisogna vivere i giorni migliori prima che arrivi la vecchiaia, altrimenti ci si imbatte in essa impreparati, come succede agli affaccendati che hanno perso i loro giorni più belli.

18, 1-4
Seneca invita Paolino a ritirarsi alla vita privata, nel secessus, in quanto ha già dato nella vita pubblica senza mai rimanere senza impegni. Si trovano attività più importanti e piacevoli nello stare da soli. Infatti il lavoro pubblico non può dare serenità e tranquillità a chi cerca di vivere la propria vita pienamente.

10, 2-5 (Solo il passato ci appartiene)
Seneca piega quale deve essere il retto rapporto dell’uomo con le tre parti in cui viene diviso il tempo: presente, passato e futuro. Egli afferma che il passato, rispetto all’incerto futuro e al fuggevole e quasi inafferrabile presente, è l’unico che possiamo conoscere pienamente e che quindi ci appartiene. Ma il retto rapporto col passato è possibile solo al sapiente, che rievoca volentieri le azioni virtuose che ha compiuto. Gli occupati invece, sempre affaccendati in occupazioni inutili, non hanno né tempo né voglia di rievocare il passato: infatti si accorgerebbero con terrore di essersi affannati tanto per non concludere nulla.

12, 1-7 e 13, 1-3 (La galleria degli occupati)
Spreca il suo tempo chiunque si dedichi ad altro che non sia la ricerca della verità e della saggezza. C’è una lunga galleria degli occupati di cui fanno parte i faccendieri, i collezionisti, i fanatici dello sport e delle canzonette, i maniaci delle feste e gli eruditi, presentati in una luce amaramente caricaturale.

Epistulae morales ad Lucilium
L’opera filosofica più importante di Seneca, una raccolta di lettere scritte dopo il ritiro dall’attività politica (62 – 65).
Il destinatario è l’amico Lucilio Iuniore. Seneca, ormai giunto alla vecchiaia, vuole aiutare l’amico più giovane a raggiungere la sapienza. In realtà Seneca si rivolge ad un destinatario più ampio, ossia i posteri.
Spunti tratti dalla vita quotidiana utilizzati in funzione morale, il tono dell’esposizione è familiare e colloquiale, con un’assenza di sistematicità nella trattazione della materia e nella disposizione delle lettere all’interno della raccolta.
Il filo conduttore dell’opera sono i progressi di Lucilio, non solo di tipo intellettuale: è presene infatti un perfezionamento di tipo morale coincidente con la scelta dell’otium.
Seneca rievoca con affettuosa nostalgia i tempi della sua adolescenza e ricorda il padre.
La dottrina a cui aderisce e che propone ed illustra all’amico è quella stoica.
Cita spesso massime di Epicureo riguardo a temi epicurei come l’otium, l’amicizia e la preparazione alla morte.
Temi dell’epistolario: l’esortazione all’otium, l’invito al secessus, la ricerca del vero bene, consistente nella virtù; il tempo e la morte, vista come necessità naturale e liberazione dai mali dell’esistenza.
L’importante, per Seneca, è giungere alla verità, non importa con quale filosofia.
Non conta quanto si vive, ma come si vive.

1, 1-3; 5 (Il valore del tempo)
“magna pars vitae elabitur male agentibus, maxima nihil agentibus, tota vita aliud agentibus” – Gran parte della vita sfugge a fare il male, la parte più grande a non fare nulla, e tutta facendo altro.
“magna pars eius iam praeterit; quidquid aetatis retro est mors tenet” – Gran parte di quella è passata; tutto il tempo che sta alle spalle lo tiene la morte.
“ex crostino pendeas, si hodierno manum inieceris” – Sarai meno schiavo del domani se ti sarai reso padrone dell’oggi.
“Dum differtur vita transcurrit” – Mentre rinviamo i nostri impegni la vita passa.
“Omnia, Lucili, aliena sunt, tempus tantum nostrum est” – Tutto dipende dagli altri, solo il tempo è nostro.

82, 5-8
Con la filosofia ci si può difendere dalla fortuna; stolto chi crede di fare senza filosofia. La filosofia è uno stile di vita, solo grazie alla quale possiamo affrontare la morte, preparandoci quotidianamente.

101, 7-10
Tema del non rinviare, vivi subito. Vivere ogni giorno come se fosse tutta una vita; non hai più bisogno di pensare al futuro perché in quel giorno sarai appagato; non c’è più l’ansia del futuro.

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