Tito Livio

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Testo

Tito Livio
Sulla sua vita abbiamo notizie da Plinio, Quintiliano, Tacito, Svetonio, Seneca; egli, invece, non fornisce cenni autobiografici. Nacque a Padova attorno al 59 a.C., probabilmente da famiglia agiata in quanto poté dedicarsi sempre agli otia senza chiedere protezione ad alcuno.
Padova era nota per la severità dei costumi, le tendenze conservatrici e repubblicane: a Filippi Livio era schierato con la fazione filo-senatoria. Sappiamo che Asinio Pollione, spirito velenoso dell’epoca, gli rimproverò la patavinitas (padovanità), con riferimento ad alcune espressioni linguistiche ed allo spirito conservatore ed un po’ provinciale dello storico.
Giunse a Roma dopo il 30 a.C., quando già aveva deciso di dedicarsi alla narrazione della storia romana dalle origini ai suoi tempi. Pubblico il I libro tra il 27 ed il 25 a.C., qui Ottaviano è già definito Augusto.
Probabilmente alterò la residenza romana con soggiorni a Padova, dove morì nel 17 d.C.
Livio è il primo storico latino a non aver rivestito cariche pubbliche e quindi a non avere esperienza politico-militare. E’ uno storico puro che nutre una visione della Storia poetica e morale, non politica e propagandistica.
E’ facile che abbia ricevuto una formazione filosofica e retorica, Seneca parla di molti suoi trattati filosofici, tuttavia non pervenutici.
I rapporti con Augusto sono di amicizia, dice Tacito che Livio era chiamato “pompeiano” dal princeps ma questo non nocque alla loro amicizia. Ci conferma così il carattere indipendente e l’imparzialità dello storico. Ci indica anche l’orientamento repubblicano di Livio, che aveva parlato di Bruto e Cassio come uomini insigni ed eroi, rifiutandosi di definirli “latrones et parricidi” – la fonte è sempre Tacito. Livio si inserisce nell’atmosfera di tolleranza e liberalità verso gli intellettuali che caratterizzo la prima fase del governo di Ottaviano; del resto condivide con Augusto la nostalgia per la vecchia Roma e per gli antiqui mores, e ammira la pax. Per Livio gli esempi di moralità nella Storia ci vengono dagli eroi del passato. Non ci è pervenuta la parte dell’opera liviana che trattava l’epoca augustea, tuttavia sappiamo che quei libri furono pubblicati solo dopo la morte di Augusto, e questa potrebbe essere una prova delle riserve politiche espresse dallo storico.

Gli Ab Urbe condita libri
E’ questo il nome tradizionale dell’opera: l’intento è quello di redigere la storia di Roma a partire dalle origini. L’autore la definisce una volta “annales”, un’altra “libri”.
Comprendeva 142 libri pubblicati via via che venivano composti a pentadi, decadi o gruppi di quindici. E’ un’opera monumentale per estensione ed impegno. Iniziava con l’arrivo di Enea nel Lazio e giungeva alla morte di Druso in Germania (sconfitta di Teutoburgo) nel 9 a.C.. Secondo alcuni interpreti era intenzione dell’autore arrivare al 9 a.C., secondo altri al 14 d.C. con la morte di Augusto.
Fin da subito i volumina cominciarono a circolare ridotti in compendi o epitomi, e presto alcuni degli originali scomparvero. Ci sono pervenuti integri la prima decade (dalle origini al 293 a.C.), i libri dal XXI al XLV (dalla II guerra punica alla III guerra macedone). Del resto ci sono pervenute le perioche, un riassunto composto tra III e IV secolo d.C. sfruttando epitomi già esistenti: è un riassunto sommario di quasi tutta l’opera liviana.
Lo schema dell’opera è annalistico: narrazione anno per anno, che iniziava con il nome dei consoli e pretori dell’anno, l’elenco dei trionfi militari, i prodigia, i dibattiti politici, il resoconto della situazione politica e militare delle province e delle eventuali campagne militari, l’attività legislativa del Senato, i templi consacrati e i giochi. Talvolta l’autore è costretto ad interrompere la narrazione di eventi che proseguono l’anno successivo, ma cerca di organizzare il suo scritto in unità autonome (per esempio il I libro tratta l’età regia). L’età presente è più ampia e particolareggiata, dieci libri sono dedicati ai cinque anni intercorsi tra la morte di Pompeo e quella di Cicerone. Tutta l’opera p introdotta –come voleva la tradizione- da un proemio che spiega il perché, il metodo e la finalità. Emerge fin da subito il carattere morale: protagonista è la grandezza del popolo romano che dipende dalla qualità dei costumi e degli uomini, che eccellono in paupertas e parsimonia, virtù che tuttavia appartengono al passato. I romani dell’età contemporanea sono caratterizzati dalla brama di poteri e ricchezza. Si introduce il motivo moralistico che scaturisce dalla contrapposizione tra passato virtuoso e presente caratterizzato dalla decadenza morale.
L’età contemporanea è caratterizzata da “avaritia luxuriaque”, espressione liviana ma già sallustiana. Cicerone nel De oratore aveva affidato alla storia il compito di tramandare la memoria degli eventi passati selezionando quelli di valore esemplare (“historia magistra vitae”) senza alterarne la veridicità (“lux veritatis”): è questo il difficile del fare storia. Parimenti, anche per Livio la Storia ha valore pedagogico e deve proporre esempi virtuosi di storia della patria per invitare i contemporanei a fare altrettanto e restaurare gli antiqui mores.
Se le monografie di Sallustio e i Commentarii di Cesare avevano valore politico, l’opera di Livio ha valore parenetico.
Sempre nel proemio lo storico dice: forse il resoconto delle origini mitologiche e leggendarie è compito dei poeti, ma esse hanno valore sacrale e sono un forte cemento ideologico per il popolo, pertanto lo storico intende “nec adfirmare nec repellere”.
Livio non utilizza materiale di prima mano, ma quasi sempre documenti e scritti già citati da altri storici. Per la I decade si richiama agli annalisti romani, per la III e IV a Polibio. Davanti alle contraddizioni palesi tra due o più fonti non ne indaga la veridicità, ma sceglie, in base ad un criterio artistico, la fonte che consenta un approfondimento moralistico della vicenda e che sia favorevole a Roma. La ricerca del vero è subordinata alla finalità moralistica e didascalica. Diverge profondamente da Polibio, che, invece, si basa sul principio della verità storica, non solo narrando ma anche discutendo gli eventi, documentandosi, indagando le cause. Per lo storico greco gli aspetti gli aspetti letterari ed il sentimento patriottico non possono deformare l’indagine storica. In Livio il sentimento condiziona la storia, ed egli è indifferente agli aspetti prettamente politici e militari del passato. Grande spazio viene dato ai viri illustri della Storia ed in questo l’autore è condizionato da opere letterarie, non storiche: l’epos enniano e le tragedie euripidee (la rivalutata posizione della donna, il forte approfondimento psicologico, la grande tensione drammatica dei discorsi). E’ un’opera storica che subisce il fascino di opere letterarie.

La concezione della Storia e la religiosità
L’influsso epico è più forte nella descrizione della II guerra punica, così gli Ab Urbe condita libri acquisiscono una coloritura poetica.
Per Livio la Storia è un blocco unitario fondato su principi etici, ogni deviazione dal perfetto modello originario del passato ideale ha prodotto l’attuale esecrabile presente. E’ una visione moralistica. Protagonisti sono le grandi personalità politiche e militari, i viri che sono rappresentati come personificazione delle grandi virtutes, dell’amor patrio. L’autore nutre una concezione patriottica della Storia: la grandezza del popolo romano deriva dalla grandezza delle virtù dei suoi eroi, in base alle quali si riconosce la superiorità di Roma sui barbari.
In un luogo dell’opera Livio si abbandona all’ipotesi storiografica su cosa sarebbe successo se Alessandro Magno non fosse morto così giovane ma avesse attaccato l’Occidente: sarebbe stato sconfitto perché egli era uno solo, mentre l’esercito di Roma è guidato da tanti condottieri con le stesse doti del grande macedone.
Il successo di Roma è inevitabile, lo storico crede nella fatalità del dominio romano. Molte vittorie e sconfitte sono attribuite al rispetto o all’empietà verso gli dei.
Mentre per Polibio la sconfitta del console Flaminio nel 217 a.C. è dovuta ad errori tattici, per Livio –che ne parla nel XXII libro- il console aveva sfidato i prodigi divini che lo ammonivano a non coabattere. Alla uvbriı di Flaminio si contrappone la pietas di Fabio Massimo che non prende decisione alcuna senza aver consultato i libri sibillini. Trascurare le pratiche religiose produrrà la rovina della res publica.
La parte iniziale dell’opera –relativa all’origine dell’Urbe all’epoca repubblicana- dà molto spazio ai limiti ed alle leggende, quella di Romolo ad esempio, nei confronti delle quali decide “né di rifiutare né di accettare”. Storia e mito –la cui narrazione spetta ai poeti- sono ben distinti, posti su due piani diversi, ma Livio rispetta il mito perché il popolo vi crede ed esso è costitutivo della romanitas.

L’ideologia politica
Livio è un conservatore, simpatizzante della nobilitas senatoria, esalta ed ammira profondamente il periodo repubblicano. E’ celebre l’episodio di Lucrezia. Augusto lo chiamava “pompeiano”.
Dopo la cacciata della monarchia vi è una riflessione sulla libertas, possibile solo quando il popolo è forte, quando è frutto della concordia tra le diverse classi sociali; ma essa non è più desiderabile quando degenera in disordine ed illegalità. A tal proposito critica i tribuni della plebe, demagoghi sediziosi.
In alcuni periodi storici il caos rende necessaria la figura di un uomo autorevole capace di comporre –anche con la forza- i contrasti sociali, garantire la pace interna, restaurare i valori morali e religiosi. Benché repubblicano non esclude del tutto la monarchia, ritiene il principato augusteo il male minore: ha in mente i mala, le guerre civili appena conclusesi. La restaurazione morale e religiosa propugnata dalla propaganda augustea è la stessa voluta da Livio.

La finalità educativa
Anche Sallustio contrappone presente e passato, ma si limita alla denuncia sociale e morale; Livio, invece, vuole proporre esempi storici all’imitazione dei contemporanei, con intento pedagogico e sotto una spinta più ottimistica.

La forma narrativa
La Storia è una galleria di fatti esemplari, che si imprimono nell’animo dei lettori per l’energia drammatica. Ricostruisce quadri di episodi storici, secondo una struttura che si articola in un inizio, uno svolgimento drammatico ed una conclusione in cui si risolve la tensione precedente. Allo stesso tempo c’è un flusso continuo, la narrazione è un unicum.
Per evitare la monotonia alterna passi cronachistici più tranquilli a momenti di tensione. Usa il ritratto del personaggio, l’excursus, i discorsi fatti pronunciare ai protagonisti della Storia, al fine di rendere la materia più appetitosa. I discorsi ci permettono di conoscere la psicologia dei personaggi e diventano veri passi tragici che molto risentono dell’influsso euripideo. E’ ancora il caso di Lucrezia, eroina degna di una tragedia.
Livio si cura poco dell’ambiente e dei paesaggi, gl’interessa, invece, l’interiorità dei personaggi.
La battaglia tra romani e cartaginesi nella II guerra punica è insieme epica e tragica; l’odio di Annibale per Roma, covato sin dall’infanzia, è anch’esso degno di un eroe tragico.

Lo stile
E’ fedele ai canoni dettati da Cicerone nel De oratore: l’opera storica deve essere anche letteraria, non bastano la rerum ratio (esposizione dei fatti) e la ricerca della cause degli eventi, ma è richiesta un’attenta elaborazione formale, uno stile compatto e scorrevole. La prosa liviana è ampia e solenne, disse Quintiliano: “lactea ubertas” (solenne fluidità) contrapponendola alla spezzata brevitas di Sallustio. Sempre Quintiliano, paragonando Livio ad Erodoto, sottolinea il canto come sua qualità, la limpidezza espressiva.
Nella prima decade vi è una patina arcaica condita di espressioni poetiche che va scemando nel corso dell’opera.

Esempio