Tacito: La vita e le opere

Materie:Riassunto
Categoria:Latino

Voto:

2 (2)
Download:3146
Data:16.06.2005
Numero di pagine:13
Formato di file:.doc (Microsoft Word)
Download   Anteprima
tacito-vita-opere_1.zip (Dimensione: 13.4 Kb)
trucheck.it_tacito:-la-vita-e-le-opere.doc     60 Kb
readme.txt     59 Bytes


Testo

TACITO
La vita e le opere
Le scarse notizie biografiche di Cornelio Tacito provengono da qualche passo della sua opera o da accenni nelle lettere di Plinio il Giovane, ma il suo nomen, i luoghi di nascita e di morte sono incerti. Probabilmente, era originario delle Gallie dove il suo nomen e il suo cognomen erano diffusi. Plinio il Vecchio in una sua opera fa riferimento al procuratore imperiale Cornelius Tacitus (forse il padre dello storico) che operò nella Gallia Belgica durante il principato di Nerone. In base a una lettera di Plinio il Giovane, Tacito sarebbe nato verso il 55-57, infatti, Plinio diceva che erano aetate, digitate propemodo aequales (non coetanei) e quando egli era adulescentus, Tacito, allora già famoso, rappresentava per lui un modello.
A Roma, Tacito seguì gli studi di chi era destinato ai pubblici honores (la carriera politica), anche perché proveniente da una famiglia agiata come dimostrano l’amicizia con Plinio il Giovane e il matrimonio con la figlia di Giulio Agricola. Dopo il 78, Tacito inizia il cursus honorum ed entra nel senato: fu questore forse già sotto Vespasiano, edile o tribuno della plebe sotto Domiziano, pretore (88), membro del collegio sacerdotale dei quindecemviri, forse propretore in Gallia Bellica o legato legionario in Germania (89-93), consul suffectus sotto Nerva, sostenne con Plinio il Giovane l’accusa di concussione dei provinciali d’Africa contro il governatore Mario Prisco (100), forse ebbe il proconsolato d’Asia da Traiano (111). Probabilmente, Tacito è morto nel 117d.C. (sotto Adriano), infatti, negli Annales vi è un riferimento alle nuove conquiste di Traiano in Mesopotamia (115).
Tacito, considerato con Livio il più grande storico della letteratura latina, ha scritto due brevi opere monografiche (Agricola e Germania), due vaste opere annalistiche (Historiae; Annales) ed orazioni che non ci sono pervenute. Egli si dedicò al genere giudiziario e a quello epidittico e da Plinio sappiamo che la sua eloquenza si imponeva per la maestosa solennità (semnòtes). Nel Dialogus de oratoribus,infine, Tacito propone il tema dell’oratoria e della sua decadenza.
Il Dialogus de oratoribus
Sin dal XVI secolo ci sono stati dubbi sull’attribuzione dell’opera a Tacito perché in essa emerge un contrasto tra lo stile su modello neociceroniano proposto dalla scuola di Quintiliano e quello irregolare, aspro e asimmetrico delle opere storiche di Tacito, ma oggi l’attribuzione è generalmente accettata. La data di composizione oscilla tra l’80 (anno in cui il dialogo è ambientato) e il primo decennio del nuovo secolo (in base alla dedica a Fabio Giusto, che, tuttavia, potrebbe essere stata aggiunta durante la pubblicazione). Tacito, come nei dialoghi ciceroniani di argomento filosofico e retorico per es. il De oratore, riporta una conversazione a cui molto giovane aveva assistito nella casa di Curiazio Materno con Marco Apro, Giulio Secondo e Vistano Messala nel sesto anno del principato di Vespasiano. Apro rimprovera Materno di tralasciare l’eloquenza (elogiata come l’attività più nobile, piacevole e proficua), per dedicarsi alla poesia che può “offendere le orecchie dei potenti” e che costringe chi vi si dedica ad una vita solitaria e appartata; per Materno, invece, la poesia favorisce la libertà dello spirito e una serenità che la vita forense non garantisce; Messala parla delle cause dell’attuale decadenza dell’oratoria affermando, in contrapposizione ad Apro, la superiorità dell’antica oratoria e motivandone la crisi con l’abbandono dei sistemi educativi del passato (il fatto che i giovani non si esercitavano più nei fori e nei tribunali) e l’incompetenza dei maestri. Dopo un’estesa lacuna, interviene Curiazio Materno che spiega la scomparsa della grande eloquenza con motivazioni politiche (la libertà politica di cui necessita l’eloquenza comporta licenza, disordine e discordie civili, quindi in uno stato in cui è garantita la pace, quale il principato, l’eloquenza viene meno).
Le idee di Materno coincidono con quelle di Tacito nelle opere storiche: l’autore riconosce la funzione del principato in contrapposizione alla degenerazione dell’antica libertas in licentia, ma ammira per gli uomini, le tradizioni e i valori spirituali della repubblica e, quindi, propone un ideale di vita che permetta al magnus vir di salvaguardare la propria innocentia, dignità e libertà spirituale anche in un contesto di servilismo e di adulazione cercando, comunque, di mediare tra gli antichi mores (patrimonio ideale del senato) e nuove forme del potere.
L’Agricola
L’opera, indicata nei manoscritti con il titolo De vita et moribus Iulii Agricolae o De vita Iulii Agricolae, fu conclusa nel 97 e pubblicata l’anno successivo. Dopo il proemio, Tacito parla delle origini, della formazione e della carriera di Agricola fino all’assunzione della carica di governatore della Britannia (78), a partire da cui hanno inizio un excursus geografico ed etnografico sull’isola, i suoi abitanti, i prodotti del suolo e poi la ricostruzione della conquista e della dominazione romana. Nella parte centrale dell’opera è descritta l’attività di Agricola nei sette anni trascorsi in Britannia (provvedimenti di riforma amministrativa e civile, operazioni militari, lo scontro con i Calèdoni e la vittoria romana). Segue il richiamo del princeps Domiziano, invidioso dei successi del suo generale, che costringe Agricola ad interrompere il suo operato e al ritiro a vita privata nella capitale, poi la rinunzia al proconsolato d’Asia e la morte prematura e sospetta (93). Nell’epilogo, infine, ne sono esaltate le virtù. E’ difficile individuare il genere letterario di appartenenza dell’Agricola, infatti, potrebbe essere considerata:
1. una laudatio funebris per le caratteristiche dell’esordio e, soprattutto, dell’epilogo in cui l’autore rivolge al defunto un’apostrofe ricca di fervore e commozione;
2. una biografia per la presenza di notizie come il luogo di nascita, le origini familiari, il ritratto fisico e morale, la formazione, le gesta, la morte e le esequie;
3. un exitus inlustrium virorum per la presenza di un riferimento alle biografie di Trasea Peto e di Elvidio Prisco composte da Rustico e da Senecione che avevano come modello gli scritti di Platone sulla morte di Socrate, infatti, lo stesso Tacito, nell’incipit dell’Agricola, dichiara di voler imitare chi ha tramandato ai posteri clarorum virorum facta moresque;
4. un pamphlet politico per il carattere pubblico ed esemplare di Agricola attraverso la cui integrità, Tacito denuncia i crimini di Domiziano ed elogia il principato di Nerva e di Traiano;
5. una monografia storica per la presenza di un proemio in cui si dichiarano le ragioni dell’opera, di un exursus geo- etnografico sui Britanni, della descrizione della battaglia tra Caledoni e Romani e dei discorsi contrapposti di Agricola e Calgaco (capo dei Caledoni).
Nell’opera, quindi, si incrociano diversi generi letterari che permettono di mescolare gli interessi privati con la riflessione sulla storia contemporanea di Roma e sul suo destino, ma l’unità dell’opera è data dalla tensione e dalla passione dell’autore, dalla complessità del suo pensiero politico, dalla forza sentenziosa e drammatica della narrazione.
Tacito presenta Agricola come un modello di comportamento politico perché, nonostante il regime tirannico, egli ha continuato a servire lo Stato romano finché ha potuto: l’autore polemizza apertamente contro chi ha preferito un’ambitiosa mors (il suicidio degli stoici) piuttosto che l’onestà di funzionari come Agricola. Secondo la tradizione romana, Tacito sostiene la subordinazione dei propri interessi a quella della res publica e ai valori della civitas, ma, soprattutto, l’elogio della medietas: l’uomo giusto che vive in un contesto tirannico deve mediare tra il deforme obsequium (il servilismo) e l’abrupta contumacia (la sterile opposizione).

La Germania (De origine et situ Germanorum)
E’ una breve monografia di argomento geo etnografico composta e pubblicata nel 98, priva del proemio e divisa in due parti. Nella prima vi sono un cenno alla posizione geografica e ai confini della regione e la descrizione degli aspetti comuni a tutte le tribù germaniche (origini, aspetto fisico della stirpe, configurazione del territorio, clima, prodotti del suolo, usi, credenze, istituzioni e costumi dei Germani nella vita pubblica e privata), mentre nella seconda sono analizzate le caratteristiche particolari delle singole popolazioni germaniche (circa 70 popoli). L’opera si conclude con un riferimento a genti misteriose e lontane, forse semiferine, di cui Tacito decide di non parlare.
L’excursus etnografico sui Germani trova precedenti già nel De bello Gallico di Cesare, forse nelle opere perdute di Sallustio e di Livio, nelle opere di Cremuzio Cordo, Fenestella, Aufidio Basso e Plinio il Vecchio, mentre le notizie geografiche provengono dalle opere di Pomponio Mela, Posidonio e Stradone, tuttavia, Tacito nomina tra le sue fonti solo Cesare (il summus auctorum).
I popoli dell’Europa meridionale consideravano la Germania un paese lontano e favoloso che solo Pytheas di Marsiglia aveva visitato nel 345 a.C. I primi contatti dei Romani con le popolazioni germaniche si ebbero solo alla fine del II secolo a.C. negli scontri del 102 e del 101a.C. contro i Cimbri e i Teutoni e dopo 50 anni nella battaglia contro Ariovisto che aveva minacciato di assoggettare la Gallia attraversando il Reno. Successivamente, Druso (12-9 a.C.) assoggettò i popoli stabilitisi tra Reno ed Elba, Tiberio consolidò la conquista e in seguito alla sconfitta dei Romani a Teutoburgo (a.C.), la politica antigermanica di Roma divenne più difensiva.
Tacito presenta un popolo vigoroso, fiero, integro fisicamente e moralmente, incontaminato da mescolanze con altre genti, costituito da guerrieri forti e coraggiosi che rifiutano il lusso e che sono pronti a morire per i loro capi. Anche le donne si caratterizzano per il coraggio, la fierezza e l’energia, infatti, in dote ricevono buoi, cavalli e armi, in battaglia sostengono i loro uomini spronandoli al sacrificio e rimangono fedeli ai loro mariti fino alla morte. In modo indiretto e allusivo, Tacito propone un confronto tra l’integrità dei Germani e la corruzione dei Romani spiegando così perché i Germani rappresentano una minaccia per il futuro dell’impero. Nel cap. 37, infatti, Tacito dice che sono ormai trascorsi 640 anni dalla prima battaglia contro una popolazione germanica, per un totale di 210 anni di guerra in cui “si dura a vincere la Germania” e motiva la difficoltà di sottomissione delle tribù germaniche con il loro amore per la libertas, evidenziando come la virtus di un popolo sia indivisibile dalla sua libertà. Nel cap.25, il confronto tra i due popoli concerne la diversa condizione degli schiavi nella società germanica in cui, raramente, (solo nelle tribù governate dai re) i liberti, il cui stato di inferiorità è simbolo di libertà, influenzano la casa, in contrapposizione con la situazione romana dei liberti di corte. Il confronto polemico tra i due popoli è, tuttavia, più forte nella parte conclusiva dell’opera che riguarda gli usi e i costumi dei riti funebri: i Germani considerano il sepolcro “un cumulo di zolle”, infatti, disdegnano i monumenti funebri maestosi, mettono al defunto solo la propria armatura e in alcuni casi ne si brucia anche il cavallo, i lamenti e le lacrime hanno breve durata, mentre il dolore e la tristezza durano a lungo, alle donne si addice il piangere e agli uomini il ricordare; per i Romani, invece, il rito funebre è un’esibizione di prestigio e di potere. Sia il contenuto che lo stile della conclusione sono sentenziosi ed in essa emerge un esplicito riferimento all’antica pratica romana degli elogi funebri.
Tacito, tuttavia, evidenzia anche i caratteri negativi dei Germani, per esempio la sudicia indolenza, la crudeltà, la rissosità, l’ubriachezza, l’inettitudine alle attività non guerresche (quando non c’è la guerra, i Germani si dedicano alla caccia, all’ozio, al sonno e al cibo lasciando la cura della casa, dei penati e dei campi alle donne, ai vecchi e ai meno validi della famiglia) con sarcasmo e angoscia perché, in realtà, essi rappresentano per Roma una fonte di speranza e salvezza: la fortuna le può, ormai, garantire solo “la discordia tra i nemici”.
T70: Il proemio dell’Agricola
Nel proemio, Tacito introduce i temi principali della sua riflessione: la celebrazione della virtus; il confronto fra il passato glorioso e il presente indegno; gli interessi politici che lo hanno spinto a condannare il principato di Domiziano (che ha espulso i filosofi dalla città, represso e censurato le personalità più ingegnose, soffocato la libertà e la cultura) e ad apprezzare il governo di Nerva (che ha conciliato principato e libertà); la visione pessimistica dell’uomo e della storia.
L’epoca storica di Tacito, nonostante non abbia dato grande importanza agli uomini contemporanei, è riuscita a tramandare ai posteri le azioni e la vita di uomini illustri che con qualche nobile virtù sono riusciti a superare l’ignoranza del bene e l’invidia, anche se in passato vi era una maggiore inclinazione a compiere atti degni di memoria e una maggiore propensione a celebrarne la virtù per il compenso della buona coscienza tanto che, molti avevano narrato la propria vita per fiducia in sé (per es. Rutilio e Scauro). Tacito chiede indulgenza a causa dell’ostilità e della durezza dei suoi tempi nei confronti delle virtù, infatti, ricorda che Rustico e Senecione avevano subito la colpa capitale per aver lodato rispettivamente Peto Trasea e Prisco Elvidio e le loro opere erano state bruciate nel foro (anche se ciò non fu sufficiente ad eliminare la voce del popolo romano, la libertà del senato e la coscienza di tutti gli uomini). L’esilio dei “maestri di sapienza” e di “ogni nobile arte” hanno contribuito a una grande prova di pazienza: domina la servitù e a causa dello spionaggio gli uomini sono stati privati anche della facoltà di parlarsi e ascoltarsi a vicenda, e, qualora potessero, dimenticherebbero a comando.
Nonostante Nerva Cesare abbia conciliato il principato e la libertà, Traiano accresca quotidianamente la felicità presente e la sicurezza sia valida fiducia nella realizzazione della speranza, “per la naturale debolezza umana i rimedi operano meno prontamente dei mali”: come il corpo cresce lentamente e all’improvviso si estingue, così è più facile “soffocare l’attività degli ingegni e l’emulazione che richiamarle in vita” a causa della dolcezza dell’ignavia e dell’inerzia. In 15 anni, molti sono morti per casi fortuiti o per la ferocia dell’imperatore e tra quelli rimasti in silenzio, i giovani sono invecchiati e i vecchi si sono avvicinati al confine dell’esistenza. Il confronto tra il ricordo della servitù passata e la testimonianza del bene presente fa da sfondo a un libro che Tacito destina ad onorare il suocero Agricola e che, secondo l’autore, merita lode o perlomeno indulgenza per la devozione dell’intento.

T71: L’anti-eroismo esemplare di Agricola
Agricola si rende conto che le sue vittorie militari in Britannia hanno determinato la gelosia di Domiziano, così decide di tornare di notte e si confonde tra i cortigiani, conducendo una vita appartata e tranquilla, ma le lodi dei cortigiani sul vigore, la fermezza e il coraggio militare del generale aizzano Domiziano contro di lui, contrapponendo così l’immagine del tiranno che tollera la gloria altrui e quella del funzionario onesto pronto a rinunciare al proconsolato. L’esemplarità civile e politica di Agricola spiega la polemica contro chi riteneva degni di lode solo coloro che avevano rifiutato di collaborare con il regime, infatti, Tacito presenta un esempio di moderazione, prudenza e disciplina che ripropone un valore tradizionale: il cittadino di Roma deve servire lo Stato ponendo in secondo piano le proprie ambizioni di gloria personale nonostante la loro nobiltà.
E’ l’anno in cui si devono sorteggiare i proconsolati d’Africa e d’Asia e la recente uccisione di Civica rappresenta per Agricola un avvertimento e per Domiziano un precedente. Alcuni cortigiani si recano da Agricola per sapere se accetti l’incarico. Dapprima ne elogiano la quiete e il riposo, poi offrono il loro aiuto a far accettare il suo rifiuto e, infine, lo conducono presso Domiziano che ascolta le preghiere, le giustificazioni e i ringraziamenti di Agricola e dà il suo consenso, senza, però, dare al generale l’onorario che di solito era offerto ai proconsolati perché, forse offeso dalla sua mancata richiesta o perché sarebbe sembrato comprare il rifiuto da lui stesso imposto. Il temperamento di Domiziano incline all’ira si contrappone alla moderazione e alla prudenza di Agricola che non si caratterizzava né per l’arroganza, né per l’inutile ostentazione di libertà: Tacito spiega come anche sotto un cattivo regime possano esservi grandi uomini e come, qualora manchino operosità ed energia, obbedienza e riserbo possano conferire la stessa gloria data da una morte ambiziosa che, spesso, non garantisce nessun vantaggio allo Stato.
T72. Fierezza e integrità delle donne germaniche
Descrivendo il valore militare dei Germani, Tacito esamina il ruolo delle donne in battaglia (la sacralità della loro testimonianza e la loro capacità di esortare gli eserciti vacillanti con l’insistenza delle loro suppliche e la minaccia della prigionia che i loro uomini temono più per le loro donne che per se stessi). Ora, Tacito propone un confronto moralistico tra le donne germaniche (monogame, caste, frugali, fedeli, coraggiose) e quelle romane (che partecipano a spettacoli e conviti, scrivono lettere d’amore, si sposano più volte, hanno amanti, limitano il numero dei figli, si vestono in modo sfarzoso e raffinato) a proposito dei costumi germanici relativi al matrimonio e alla famiglia.
Lo stile ricco di tensione emotiva e di sentenziosità morale esprime la carica ideologica e il pathos attraverso l’uso di espressioni poetiche, antitesi chiastiche, epanalessi, poliptoti, parallelismi di costruzione e strutture artificiosamente variate.
I matrimoni sono severamente regolati e ognuno ha solo una moglie, tranne pochissimi che, però, non lo fanno per avidità sensuale, ma solo perché molte famiglie ambiscono al connubio con la loro nobiltà. Presso questi popoli il marito porta in dote alla moglie buoi, un cavallo imbrogliato e uno scudo con framea e spada che devono essere consegnati inviolati ai figli e poi ai nipoti e in cambio di cui la moglie porta qualche arma. Le donne, infatti, non sono estranee ai “nobili pensieri” e alle “vicende della guerra”, anzi, vivono le fatiche e i pericoli, osando tanto quanto il marito sia in pace, che in guerra. Le donne vivono difese dal loro pudore, non corrotte dagli spettacoli o dai conviti, come gli uomini non conoscono la scrittura e gli adulteri sono rarissimi. Il castigo per l’adulterio è immediato ed è eseguito dal marito: la donna è denudata, le sono tagliati i capelli, è scacciata di casa e, sotto gli occhi dei parenti, è inseguita a sferzate per tutto il villaggio. Per una prostituta non c’è perdono perché la bellezza, la gioventù o la ricchezza non bastano a farle trovare un marito, anche i vizi non suscitano il riso e la corruzione non è definita moda. In alcune tribù, si sposano solo le vergini e solo una volta affinché sia da loro amato il matrimonio e non il marito ed, infine, limitare il numero dei figli o uccidere quelli nati in soprannumero è considerata una colpa infamante.

T73.Notizie dai confini del mondo
Nel capitolo conclusivo della Germania, Tacito parla delle popolazioni che vivono nella parte più orientale della regione germanica, la cui identità etnica è dubbia, e riporta notizie favolose su Ellusii e Ossioni, popoli semiferini con volto umano e corpo di belva. Il mondo dei Fenni è quasi edenico perché essi non hanno armi, non conoscono il ferro (che, secondo gli antichi, determinava il passaggio dall’età di pace a quella di guerra e discordia civile), vivono sine cura nei confronti di uomini e dei e senza avarizia, ambizione e affanni. La loro esistenza pare aver realizzato l’ideale filosofico degli stoici e degli epicurei, ossia una vita secondo natura in cui la libertà elementare e assoluta deriva dall’assenza di bisogni. Tacito non condanna la civiltà, infatti, sottolinea come la società dei Finni non fondandosi sulla ratio, la civitas e l’humanitas, viva in una condizione non umana, per cui pessimisticamente l’autore conclude che la libertà e la felicità possono esistere solo oltre la società civile e, quindi, oltre il mondo umano.
Dopo aver parlato dei Suebi, Tacito presenta i Peucini, i Veneti e i Fenni. I Peucini hanno lingua, modi di vita e dimore simili a quelli dei Germani, sono sordidi, i loro capi sono indolenti e i loro lineamenti assomigliano a quelli dei Sarmati a causa dei matrimoni misti; i Veneti hanno usanze simili a quelle dei Sarmati, ma poiché hanno una sede fissa, portano scudi e camminano a piedi volentieri e rapidamente sono annoverati tra i Germani; i Fenni sono molto selvaggi e spaventosamente miseri: non hanno armi, cavalli o focolari, mangiano erba, vestono con le pelli, dormono sul terreno, la loro unica ricchezza sono le frecce appuntite con punte d’osso, vivono di caccia, le donne seguono dappertutto i loro uomini e rivendicano la loro parte di preda, i bambini e i vecchi si difendono dalle bestie e dalle intemperie solo con ripari di rami intrecciati, preferiscono non avere desideri, piuttosto che dedicarsi all’agricoltura, alle costruzioni o al commercio. Ciò che, invece, si sa degli Elusivi e degli Ossioni è favoloso (si dice che abbiano aspetto e viso di uomini, corpo e membra di belve) e Tacito decide di non parlarne in quanto “materia non accertata”.

Esempio