Storiografia latina nel I secolo d.C.

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Testo

LA STORIOGRAFIA NEL I SECOLO d.C.
Secondo Tacito dopo la battaglia di Azio, quando tutto il potere finì nelle mani di un’unica persona, la fine della libertà repubblicana segnò anche la fine di una tradizione storiografica veritiera.
Eppure nei primi decenni dell’impero furono molti a trattare il tema del passaggio da res publica alla nuova realtà istituzionale del principatus. Questo passaggio viene avvertito come la questione fondamentale della storia di Roma.
La storiografia era sempre stato il genere preferito dell’aristocrazia, perché era il culto delle memorie nazionali e strumento di meditazione politica sullo Stato. E’ vero che in età augustea c’era stato uno storico come Livio, che era un personaggio estraneo alla nobilitas, ma per la maggior parte gli storici dell’età imperiale furono di estrazione senatoria.
Ed è logico che questi storici ricostruissero gli eventi dal punto di vista dell’élite senatoria, ormai estromessa dal potere, presentando quindi il principato come soppressione violenta della libertà.
Diciamo quindi che la storiografia del I sec. d.C. non è una storiografia trionfale, epica; il linea di massima è una storiografia in sordina, che ha come tematiche principali la libertà perduta e la sconfitta e la nostalgia dell’età repubblicana.
Anche per questo motivo viene spesso usato l’impianto annalistico, in ricordo degli Annales redatti ogni anno in età repubblicana secondo il succedersi delle cariche pubbliche.
Naturalmente questi storici furono ampiamente avversati dagli imperatori che si succedettero in questo secolo. Non è un caso se le opere storiografiche di questo periodo sono in massime parte scomparse: vennero censurate e fatte sparire dalla circolazione.
Le poche informazioni sugli storiografi di questi periodo ci vengono da qualche riferimento di Quintiliano e Tacito.
Pare che il maggiore degli storiografi anti - imperiali fosse Cremuzio Cordo, che trattò il periodo delle guerre civili schierandosi dalla parte di Bruto e Cassio, da lui presentati come gli ultimi paladini della libertas repubblicana.
I suoi Annales vennero dati alle fiamme per ordine del prefetto del pretorio di Tiberio, per cui non ci rimane nulla di lui se non il resoconto di un’autodifesa che pronunciò in senato per rispondere alle accuse di lesa maestà, poco prima di morire (25 d.C.).
Un altro storiografo importante fu Seneca il Vecchio, padre di Seneca, le cui Historiae interpretavano l’impero come il punto d’arrivo della naturale decadenza di Roma. Quella di Seneca era una “teoria fisiologica”, che vedeva lo Stato Romano come una sorta di organismo vivente che nasce (fondazione di Roma) giunge all’apogeo (età repubblicana) e decade (guerre civili ed Impero).
Ricordiamo anche Aufidio Basso, molto apprezzato come storico e scrittore.
Scrisse il Bellum Germanicum e una storia contemporanea che arrivava fino a Tiberio e voleva porsi in continuità con quella di Livio.
Non tutti gli storici di età imperiale si opposero al principato.
Esisteva anche una storiografia del consenso al nuovo regime. Gli esponenti di questa storiografia, però, non appartenevano al ceto senatorio, che era stato danneggiato dal nuovo regime; erano invece esponenti dei ceti emergenti, che avevano ottenuto un miglioramento sul piano socio – economico e quindi appoggiavano la nuova realtà istituzionale attraverso una vera e propria propaganda.
La piccola nobiltà italica al nuovo regime deve un’ascesa che può coronarsi addirittura con l’accesso al senato e alle magistrature più alte.
Da questi ceti l’impero sta traendo personale efficiente e leale per l’amministrazione civile e l’esercito.
Diversamente dalle opere di Cremuzio Cordo, Seneca il Vecchio e Aufidio Basso, le opere di autori filo –imperiali sono giunte fino a noi, in quanto non furono evidentemente sottoposte a censura.
Il maggiore storico filo – imperiale fu Velleio Patercolo, che apparteneva al ceto equestre e visse tra il 20 a.C. e il 33 d.C. Ufficiale dell’esercito ai tempi di Augusto e collaboratore di Tiberio, scrisse un’Historia Romana in 2 libri, di cui il primo è in gran parte perduto.
L’opera è dedicata a Marco Vinicio, che fu console nel 30 d.C.
Velleio aveva cominciato la carriera militare sotto il padre di Vinicio, e trovava nel giovane console un autorevole protettore.
Velleio si sarà rivolto a Vinicio con un’esplicita dichiarazione di devozione nella prefazione, ma la sezione iniziale dell’opera è perduta; vi sono comunque numerosi riferimenti ai meriti del padre e del nonno di Vinicio.
Essendo stato perduto quasi tutto il primo libro, manca a quest’opera anche il titolo. Il titolo Historia Romana venne apposto successivamente, in età medioevale.
La narrazione comprende la storia di Roma dai tempi della Guerra di Troia (che avrebbe portato Enea a spostarsi nel Lazio) fino ai tempi recenti.
Del primo libro, che arriva fino alla fine delle guerre puniche, ci è rimasta la storia del ritorno degli eroi da Troia, in cui Patercolo spiega la fondazione di molte delle città greche e latine.
E’ perduta invece tutta la parte relativa alla fondazione di Roma fino all’inizio delle guerre macedoni (171 a.C.).
L’opera di presentava dunque come una sorta di storia universale, della quale Roma rappresentava il culmine. All’interno della storia romana, invece, il culmine era il regno di Tiberio, celebrato con grande enfasi negli ultimi capitoli.
E’ interessante considerare anche la dilatazione temporale che troviamo nell’opera di Patercolo. Il primo libro condensa quasi un millennio di storia, il secondo appena 175 anni.
Anche all’interno del secondo libro, i primi 85 anni vengono trattati in 40 capitoli, mentre i successivi 90 anni (dal consolato di Cesare in poi) in 91. Già questa sproporzione ci mostra come per Patercolo l’unica storia degna di essere narrata in maniera estesa è la storia imperiale; ha dunque intento essenzialmente celebrativo.
Fino agli inizi delle guerre civili l’interesse di Patercolo è modesto, con racconti sommari e nessi storici poco approfonditi. Hanno maggior spicco soprattutto i ritratti di personaggi famosi e gli aneddoti esemplari: è abbastanza evidente un orientamento moralistico.
Per l’età tardo – augustea e tiberiana il racconto è molto più documentato e ampio e continee informazioni non disponibili in altre fonti. E’ possibile che per questa parte Patercolo si sia fondato, oltre che sull’informazione diretta, anche si documenti ufficiali.
Questa parte della narrazione è condizionata dall’ammirazione di Velleio per Tiberio. E’ un entusiasmo sincero che si fonda anche su episodi in cui l’autore è stato coinvolto direttamente. Tiberio è il grande generale di cui Velleio è stato più volte ufficiale, ed è il membro di una famiglia di tradizione bellica, alla quale la famiglia di Velleio era legata e a cui devono la loro scalata sociale.
Abbiamo visto che il motivo essenzialmente per cui Velleio è filo – imperiale è perché Velleio era esponente di una classe emergente, che guardava con favore al nuovo regime.
L’importanza di questi autori filoimperiali è proprio quella di dare un’ottica diversa da quella che viene data dalla storiografia senatoria.
Molte volte nella letteratura latina e greca abbiamo visto opinioni negative espresse da esponenti dell’antica classe dominante sulla scalata sociale di nuovi ceti: in questo periodo abbiamo, per esempio, Tacito che dice che a Roma si concentra la feccia dell’Impero.
Ma di rado abbiamo visto le opinioni degli esponenti del ceto emergente, che evidentemente non vedranno questi cambiamenti in maniera positiva, non come un corrompimento della base romana dello stato.
Il tono di Patercolo nei confronti di Tiberio non è dunque una propaganda a fini esclusivamente servili, ma il riflesso della fedeltà e della fiducia incondizionata che i funzionari avevano nei confronti degli imperatori.
Con questo non voglio naturalmente dire che la storiografia di Velleio Patercolo non sia di parte: è tanto di parte quanto lo è Tacito quanto lo poteva essere Cremuzio Cordo, ecc.
Ovviamente non lo potevano essere perché gli avvenimenti erano troppo recenti e troppo rivoluzionari per poter avere una valutazione distaccata e quindi oggettiva. Il punto è però che avendo più versioni dei fatti noi possiamo oggi ricostruire una visione più veritiera.
Intanto sicuramente la rivalutazione che la storiografia moderna ha compiuto sulla figura di Tiberio, che invece era stata fortemente demonizzata dalla storiografia senatoria, è stata possibile proprio grazie al bilanciamento operato da autori minori come Patercolo.
La visione positiva dell’impero coincide per Velleio con una valutazione negativa dell’ultima repubblica che caratterizzava tutta la letteratura latina da Sallustio in poi. Anche per Velleio con la sconfitta di Cartagine era venuto meno il metus hostilis che imponeva il rispetto dell’antica disciplina. Da qui la decadenza morale e politica che ha portato alle guerre civili.
Velleio però accetta quella visione data inizialmente al principato come restaurazione della res publica: una restaurazione che, dati i grandi meriti di Augusto e Tiberio, ha finalmente invertito il corso del processo di decadenza di Roma e ha portato ad un nuovo regime che si pone in continuità con i momenti migliori della storia romana.
Un altro elemento importante dell’opera di Patercolo, al di là delle valutazioni sull’impero, è proprio il carattere di compendio.
Velleio Patercolo fa più volte riferimento alla succinta sommarietà dell’opera, che non è da considerarsi una vera e propria opera di storia, ma una sorta di vademecum per potersi orientare nella storia romana.
Il fatto che Patercolo lo riconosca non vuol dire che quest’opera sia da considerare un’anteprima di un’opera più ampia. Se voleva dare quest’impressione era solo a fini di complimento e di un’ostentazione di modestia.
Però in effetti proprio questa sommarietà rende l’Historia Romana un’opera di consumo.
Leggere l’opera di Livio, per esempio, era un’impresa che richiedeva molto tempo e denaro, in quanto era un’opera colossale che, seppur non particolarmente difficile come scrittura, risultava complessa in quanto ad ordine logico.
Uno strumento che potesse dare un rapido orientamento sulla storia del passato era invece molto utile per persone di cultura modesta, come i membri degli stessi ceti emergenti che si trovavano a contatto con la cultura per la prima volta.
Anche lo stesso Cornelio Nepote aveva scritto un breve compendio di storia universale per un pubblico di cultura medio – bassa.
VALERIO MASSIMO
In un terreno intermedio tra storiografia e retorica si pone la raccolta di exempla di Valerio Massimo.
Valerio Massimo visse sotto Augusto e Tiberio e operò un’ascesa sociale appoggiandosi a Sesto Pompeo, discendente di Pompeo il Grande. Sesto Pompeo fu console nel 14 d.C. e governatore d’Asia. Al termine dell’opera Valerio Massimo rende omaggio al suo mecenate morto da poco.
L’opera di Valerio Massimo venne pubblicata nel 31 d.C.; in essa Valerio Massimo scredita fortemente la figura di Seiano che, nell’ultimo libro, pone ad esempio supremo di scelleratezza.
I Facta e dicta memorabilia sono una raccolta di oltre mille aneddoti storici in 9 libri. Ogni libro è diviso in capitoli, dedicati ciascuno ad un tema, per esempio alla moderazione, alla pudicizia, ecc.
Ogni capitolo è diviso in due sezioni: prima gli esempi romani, poi gli esempi stranieri.
La linearità dei racconti rende difficile l’identificazione delle fonti. Quasi sicuramente attinse molto da Livio e Cicerone, ma anche da Sallustio e da altri storici, in genere semplificando.
In Valerio Massimo non c’è l’interesse per l’interpretazione storica degli aneddoti, né per un resoconti e una discussione delle diverse versioni. Il racconto è anzi ridotto ad una linea unitaria, perché l’autore tende ad evidenziare soprattutto il senso morale, che in genere è implicito nella stessa assegnazione ad un determinato capitolo e che viene sottolineato solo con pochi cenni dell’autore.
Più ampi interventi di commento morale si trovano nella prefazione ai singoli capitoli e libri.
L’esemplificazione delle virtutes, distinta da quella dei doveri (officia) pone l’accento su qualità come fortitudo, patientia, disciplina, severitas, il che non vuole essere una rassegna dei luoghi comuni né una ritratto di un mondo virtuoso che non esiste più. Esse anzi costituiscono un nuovo codice di valori su cui Tiberio sosteneva di fondare la propria azione di governo e di voler rifondare l’intera società romana.
A Tiberio infatti è dedicata quest’opera, in quanto, dopo la morte di Sesto Pompeo, Valerio Massimo si avvicinò all’imperatore. Tiberio è celebrato come reggitore della terra e del mare per consenso di tutte le genti, come garante delle virtù di cui l’opera dà esempio.
Valerio Massimo, come Patercolo, probabilmente non è insincero in questo apprezzamento, perché aveva trovato anche lui un valido mecenate in un personaggio ben inserito nel regime, ne aveva ricavato vantaggi sociali, e non doveva aver motivo di sentirsi estraneo né ostile al nuovo ordinamento statale.
In ultimo è necessario fare un appunto: Valerio Massimo viene convenzionalmente posto tra gli storici, ma abbiamo spiegato che in realtà non è uno storico, come egli stesso ammette. Il suo è semplicemente un repertorio di aneddoti ordinati per tema, molto utile a coloro che, nei discorsi pubblici come orazioni giudiziarie e celebrative, avevano bisogno di aneddoti a cui fare riferimento. Valerio Massimo nel proemio della sua opera dichiara espressamente che il suo intento è risparmiare ai suoi lettori la fatica di andare a cercare gli esempi nei testi tanto vari e tanto vasti degli storici.
Lo scopo è dunque dichiaratamente utilitario per una fascia di pubblico di cultura media come i ceti che si stanno affermando in questo periodo.
Del resto, dice, è ormai del tutto assurdo scrivere un’opera sulla storia universale di Roma dopo che autori come Livio hanno già riportato in un’opera tutte le fonti reperibili.

SVETONIO
Svetonio è il principale esponente di un genere storiografico: la biografia.
Bisogna tener conto che tradizionalmente la biografia era considerato un genere minore rispetto alla storia; semmai poteva integrarla. Però bisognava anche considerare che nell’ultimo secolo e mezzo anche il meccanismo storico era cambiato. Essendo il potere concentrato nelle mani di uno solo, scrivere una biografia di un imperatore poteva significare comunque dare un riesame complessivo sia delle origini del regime imperiale, sia della sua evoluzione.
Del resto anche lo stesso Tacito nella biografia di Agricola pochi anni prima aveva trattato di problematiche che abbracciavano tutta la dinamica politica contemporanea.
Anche lo stesso Plutarco, nella letteratura greca, scrive le Vite Parallele con un intento più o meno simile: scrivere la storia attraverso le biografie delle figure totalizzanti della storia stessa.
Ma sia in Tacito sia in Plutarco, l’utilizzo della biografia (nel caso di Tacito della laudatio funebre) è un modo per trattare anche i grandi problemi politici dell’impero.
Svetonio nasce da una famiglia equestre e visse tra il 70 e il 122 d.C. Intraprese una brillante carriera come funzionario imperiale, che gli permise di accedere ai documenti d’archivio per le sue opere.
Dall’enciclopedia greca della Suda sappiamo che Svetonio scrisse anche opere di carattere antiquario su costumi e istituzioni, di carattere lessicografico, sui segni critici usati dai grammatici greci e latini, ecc.
Di queste conserviamo però solo pochi estratti.
Due sono le opere di Svetonio che possediamo: le Vite dei Cesari e il De viris illustribus.
Le Vite ci sono rimaste quasi integre, al contrario del De viris, della quale conserviamo solo la sezione De grammaticis et rhetoribus.
Il De viris illustribus era una raccolta di biografie di poeti, storici, oratori, filosofi e grammatici. Anche se ci è rimasto poco, possiamo notare che all’opera di Svetonio si attinsero notizie sulle vite di scrittori antichi.
Per esempio profili biografici apposti alle edizioni dei testi classici riprendevano quasi interamente Svetonio (è il caso di una vita di Terenzio). Le notizie su autori latini aggiunte da San Gerolamo alla sua traduzone del Chronicon di Eusebio derivano interamente da Svetonio.
Quindi anche se gran parte di quest’opera è andata perduta, possiamo presumere che molti altri autori ne abbiano fatto uso.
Ogni sezione del De viris illustribus doveva essere costruita come il De grammaticis: prima l’indice degli autori trattati, poi una breve introduzione allo sviluppo di quella branca delle lettere a Roma, poi la serie delle biografie molto brevi e schematiche e l’elenco delle opere.

Le Vite dei Cesari comprendono le biografie di tutti i 12 imperatori da Cesare a Domiziano, suddivise in 8 libri (Otone, Galba e Vitellio si trovano nel VII e Vespasiano Tito e Domiziano nell’VIII).
Secondo gli interessi propri del genere biografico, Svetonio si occupa di far conoscere il personaggio protagonista illustrandone non solo le azioni pubbliche, ma anche tutte le vicende, il carattere, l’aspetto.
Per così fare ritiene efficace procedere per species, ossia per categorie, secondo uno schema logico ben preciso:
Parte iniziale (famiglia, nascita, nome, educazione, carriera e vicende fino all’assunzione del potere), in ------------------ordine cronologico
Parte descrittiva (tratti salienti della personalità e caratteristiche del suo regno per categorie) senza badare ----------------------- all’ordine cronologico.
Le categorie sono: guerre, vita pubblica, vita privata, prodigi relativi alla sua ------------------------- --persona e morte. A sua volte queste categorie erano divise in sottocategorie.
Si andava a creare quindi nella trattazione un vero e proprio schema rigido entro cui inquadrare le informazioni che Svetonio reperiva.
Le uniche sostanziali modificazioni dello schema ce l’abbiamo nel libro di Galba, Otone e Vitellio, ed era causato dalla sostanziale brevità del loro regno.
Al di là delle modificazioni occasionali della struttura, tutte le vite sono accomunate dalla centralità della figura dell’imperatore e dalla tendenza a caratterizzarla sua attraverso episodi storicamente rilevanti, sia attraverso futilità e pettegolezzi; questo porta Svetonio spesso ad operare alterazioni storiche, tanto che a volte effetti di grande portata appaiono prodotti da cause insignificanti.
Questa grande attenzione alle frasi celebri (come alea iacta est) o agli aneddoti piccanti era una caratteristica propria del genere biografico, che, essendo l’arte del ritratto, sicuramente non è estranea ad un certo gusto del racconto.
Quindi si nota, come proprio del genere, anche una certa propensione per il meraviglioso ed il romanzesco, che si rivela nella gran quantità di presagi e prodigi registrati.
Ci sono anche temi peculiari di Svetonio, corrispondenti agli interessi e alle conoscenze di un erudito e di un alto funzionario statale: la grande attenzione agli studia degli imperatori e una grande quantità di informazioni di carattere giuridico, amministrativo ed economico, con tanto di cifre e documentazioni precise.
Svetonio infatti, essendo funzionario imperiale, aveva diretto accesso agli archivi dell’impero e a documenti ufficiali. Ma oltre a queste fonti più impegnative Svetonio sicuramente si rifece ai libelli satirici e scandalistici, per ottenere informazioni sui pettegolezzi.
E queste due tipologie di fonti, che per natura sono a due livelli diversi, vengono entrambe utilizzate da Svetonio in maniera totalmente acritica. Quello di Svetonio è semplicemente un reperimento di notizie, catalogate in maniera anche molto scientifica, ma senza la volontà di operarne una sintesi organica.
Il risultato non può che essere una figura totalmente incoerente e frammentaria, un insieme di vizi e virtù accostate senza un filo conduttore.
Si è molto discusso su questo aspetto di Svetonio: potrebbe essere dovuto ad un’incapacità dell’autore.
Ma alcuni critici ritengono che questa sia una scelta deliberata: ritengono che a Svetonio non interessi operare un’analisi psicologica del personaggio.
A Svetonio, secondo loro, interessano essenzialmente i fatti, dati precisi da inquadrare e catalogare con fare di amministratore, come è testimoniato dal grande interesse per le iniziative giuridiche e amministrative ed economico – fiscali.
Tra l’altro bisogna considerare anche la questione “editoriale”, dei destinatari a cui Svetonio si rivolge.
Svetonio è un esponente del ceto equestre, un ceto sì emergente, ma che comunque aveva una cultura media e che non si era tanto dedicato per troppi secoli a coltivare l’otium.
Era dunque un ceto più pragmatico di quello aristocratico, e quindi anche per questo motivo era più adatto alle cariche tecnico – amministrative che erano richieste da uno Stato come quello della Roma Imperiale.
Svetonio scrive per questo pubblico, che quindi era meno sensibile al valore artistico dell’introspezione psicologica, ma che da un lato poteva comprendere queste nozioni tecniche e dall’altro poteva considerare gli aneddoti sulla vita privata degli imperatori motivo di svago.
Le Vite dei Cesari, dunque, non sono né una grande opera storiografica che analizza criticamente i meccanismi storici del potere (Tacito) né una sorta di psicoanalisi per comprendere la personalità dei grandi personaggi storici (Plutarco).
Questa è sostanzialmente un’opera di consumo, pensata per un pubblico in cerca di evasione, oltre che di ammaestramento, un pubblico più frettoloso ma non per questo meno incline ad apprezzare l’ornamento retorico.

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