Seneca: l'orribile spettacolo del circo

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Testo

Seneca:
l’orribile spettacolo
del circo
I
l sommo scopritore dell’interiorità, Seneca, non fu il filosofo dello smarrimento nel vuoto metafisico, ma l’appassionato comunicatore di ricette per vivere bene, per giungere all’euthymia del sapiens, disprezzando le opinioni correnti, i falsi piaceri, gli idoli della folla e ponendosi perfino contro il potere, contro la politica-spettacolo di Nerone, l’“imperatore-istrione”, cantore e auriga nei giochi circensi.
È soprattutto in alcune delle sue “Epistulae morales ad Lucilium” che Seneca palesa il suo disgusto e la sua condanna per i giochi circensi (sia per gli spettacoli delle fiere, sia per quelli dei gladiatori, sia per quelli ippici).
Nella settima lettera dell’epistolario, Seneca afferma: “Nulla è altrettanto dannoso alla moralità quanto intrattenersi oziosamente in qualche spettacolo, perché in queste occasioni i vizi s’insinuano più facilmente nell’animo attraverso il piacere”. Narra di aver assistito casualmente ad uno spettacolo di mezzogiorno e afferma stupefatto di aver visto cruente scene di sangue.
Nell’anfiteatro si svolgevano due tipi di spettacoli: al mattino il pubblico assisteva a lotte tra bestie feroci o tra fiere e gladiatori; durante il pomeriggio gareggiavano soltanto i gladiatori.
Spesso durante l’intervallo di mezzogiorno invece di rappresentare spettacoli comici e incruenti, il pubblico veniva intrattenuto con altri spettacoli atroci: in particolare si costringevano uomini condannati per aver commesso un delitto a combattere tra loro all’ultimo sangue e sprovvisti di armi difensive.
Seneca, era così disgustato, dai costumi a lui contemporanei che nel paragrafo 45 della 90° epistula, parlando degli uomini primitivi scrive “quelli […] risparmiavano persino gli animali, esseri privi di parola, e in quei lontani tempi un uomo era quanto mai lontano dall’uccidere un altro uomo, non dico in un impeto d’ira o per paura, ma solo per godersi lo spettacolo”.
I suoi contemporanei amavano, invece, assistere a spettacoli cruenti e gridavano a squarciagola per
incitare i gladiatori: “Uccidilo, sferzalo, brucialo! Perché affronta la spada con tanta timidezza? Perché non uccide con decisione? Perché non sa crepare volentieri? A colpi di frusta lo si spinge a ferire. Che si scambino l’uno l’altro i colpi a petto nudo e ben in mostra.” ( Ep. 7,5).
E l’uomo ? La “ sacra res homini” ? che valore può avere in una realtà in cui gli uomini vengono “uccisi per gioco e per passatempo”( Ep. 95,33)? Perché “ se prima era un sacrilegio ammaestrare un uomo a vibrare e a ricevere colpi, ora lo si presenta nudo e inerme davanti al pubblico ed è uno spettacolo appagante quello che ci è offerto da un uomo con la sua morte?” ( Ep.95,33)
Perché un “gran numero di persone seguono una pratica sportiva mentre sono poche che applicano la mente?” (Ep.80,2) Perché “sono spiritualmente deboli quelli di cui ammiriamo i bicipiti e le spalle”, continua Seneca nella stessa lettera.
Quella dell’autore latino sembra una delle poche voci isolate di dissenso: gli abitanti dell’ Urbe e delle provincie sembravano riconoscersi in queste esibizioni di fasto da parte del potere, che muovevano gli istinti più bassi della folla e gli imperatori utilizzavano gli spettacoli come strumento di organizzazione del consenso , al punto che lo storico Cassio Dione scrisse : “se le distribuzioni di grano e denaro soddisfano i singoli individui, ci vogliono gli spettacoli per l’appagamento delle masse”.
I ludi si tenevano a Roma in occasione di determinate feste religiose. Comprendevano manifestazioni sportive e rappresentazioni teatrali.
Sulla base della sede in cui si svolgevano erano distinti in circenses (nel circo), scaenici o theatrales (in teatri stabili o improvvisati), compitalicii (nelle pubbliche piazze). Si possono inoltre dividere in stativi, se si celebravano sempre a una data fissa; votivi, se si svolgevano soltanto in particolari circostanze o per sciogliere un voto o una promessa; straordinari, quando si indicevano in occasioni eccezionali.
Fra i più antichi ludi vi erano quelli consuali, celebrati da Romolo, in onore del dio Consolio, con corse di carri ed esercizi atletici e guerreschi. A Romolo era anche attribuita l’istituzione delle feste equerie (Equirria), festeggiate due volte all’anno (27 febbraio e 14 marzo).
Di remota origine erano i ludi troiani, che comprendevano gare sportive compiute dai giovani dell’aristocrazia.
Altri ludi prestigiosi erano quelli romani o magni, istituiti da Tarquinio Prisco, come scrisse Livio. All’inizio prevedevano solo gare ippiche e di pugili. Inizialmente di un giorno, in seguito la loro durata venne ampliata a 16 giorni (4-19 settembre) e furono affidati agli edili curuli.
I ludi Capitolini venivano celebrati alle idi di ottobre, in onore della vittoria sui galli; quelli plebeii, celebrati nel mese di novembre, in onore della conciliazione tra patrizi e plebei.
I ludi Apollinares, in onore di Apollo, con cadenza annuale, furono celebrati all’inizio il 13 luglio, e poi ebbero una durata di otto giorni (6-13 luglio) e consistevano in sacrifici religiosi, gare circensi e rappresentazioni sceniche.
I ludi Megalenses, in onore di Cibele, la Magna Mater, venivano celebrati dal 4 al 10 aprile.
I ludi Cereales, in onore di Cerere, venivano celebrati ad aprile.
I ludi Florales, che assicuravano la protezione della dea Flora per la prossima fioritura, si celebravano in primavera e avevano carattere licenzioso.
In età imperiale, ebbero molta importanza anche i ludi Saeculares, che inizialmente si tenevano ogni cento anni, duravano tre giorni e tre notti a cominciare dalla sera del 3 maggio.

I ludi circenses, ovvero tutti quelli che si svolgevano nel circo, sono rimasti i più famosi a Roma ed iniziavano, come d’uso, con cerimonie di carattere religioso e civile, in particolare con solenni processioni alla quali partecipava il magistrato che preparava i giochi, seduto sopra il carro proprio dei trionfatori, vestito di toga purpurea e recante nella destra uno scettro d’avorio sormontato dall’aquila. Il carro era accompagnato da clientes, magristrati, giovani nobili, colori militari, tibicines, portatori di vasi, e d’argento con i profumi per i sacrifici. Chiudevano il corteo le vittime destinate ai sacrifici, preceduti dalla statua di un dio o di un imperatore e da consoli, pontefici, sacerdoti e ministri del tempo. Quando la processione giungeva nel circo, si compivano i sacrifici, al termine dei quali, ciascuno dei magistrati e dei personaggi del corteo prendeva il posto assegnato e ammirava i ludi circenses.
I ludi circenses consistevano soprattutto nelle corse ippiche con i carri e nelle venationes.
Le venationes inizialmente erano state esibizioni di animali esotici, ma divennero in età imperiale veri e propri combattimenti. All’età di Nerone, si facevano scontrare uomini contro bestie feroci – orsi, tigri, leoni, cinghiali, tori, rinoceronti, elefanti – con o senza armi. Una variante era la lotta di animali tra loro. Possiamo immaginare l’effetto grandioso di centinaia di belve, che mediante gabbie azionate da contrappesi (nel Colosseo ve n’erano 32) venivano contemporaneamente sollevate e liberate nell’arena attraverso botole. In qualche caso trovavano ad attenderle uomini del tutto inermi di cui potevano liberamente fare scempio: condannati a morte in genere, ma questa sorte toccò anche a molti cristiani in tutta l’epoca delle persecuzioni. Coloro che combattevano con le fiere si dicevano bestiari. Ordinatamente i venatores erano armati di scudi quadrangolari, di elmi e di spada corta; portavano l’avambraccio avvolto di fasce e sul petto corrazze a maglie. Talora, invece della spada si servivano di giavellotti, e in molti casi si rendeva più facile l’uccisione della fiera gettandole un panno bianco sugli occhi.
Le gare ippiche si svolgevano nei circhi (es. il Circo Massimo, attrezzato per ospitare 250 mila spettatori). Il carro per le corse consisteva di due ruote, di un asse e di un parapetto semicircolare ornato spesso da fogliami in rilievo. Era detto, a seconda del numero di cavalli che lo trainavano bigae, trigae, quadrigae, ma si finì per aumentare ancora il numero degli animali rendendo più eccitanti e pericolose le prestazioni dei conducenti, in genere schiavi.
Vi erano accesissime rivalità che nascevano tra i tifosi delle diverse squadre (factiones), ciascuna distinta da un colore: alba (fazione bianca, che simboleggiava l’inverno), russata (fazione rossa, che simboleggiava l’estate), prasina (fazione verde, che simboleggiava la primavera), veneta (fazione azzurra, che simboleggiava l’autunno).
Le fazioni erano in origine le società che appaltavano ai magistrati incaricati dell’organizzazione tutto ciò di cui c’era bisogno, cavalli, aurighi, stallieri, carri e attrezzature varie.
Gli aurighi più famosi erano i beniamini del pubblico e potevano passare da una factio all’altra.
La corsa normalmente comprendeva sette giri intorno alla spina del circo e vincitori riuscivano i corridori che giungevano primi alla meta posta di fronte alle rimesse. Ogni corsa era ordinatamente effettuata da quattro carri concorrenti, i quali, appena compiute le operazioni di divisione e di estrazione a sorte, andavano a collocarsi nella rimessa assegnata a ciascuna fazione. Al segnale dell’inizio della corsa, i cancelli che chiudevano le rimesse si aprivano e le quadrighe uscivano.
Queste corse esigevano grandissime abilità: bisognava stringere il più possibile le curve evitando però di fracassare la ruota interna contro la meta (cippo o obelisco intorno al quale dovevano girare i carri), e rinfacciare l’avversario senza andargli a ridosso al punto da urtare il suo veicolo, il che avrebbe provocato una disastrosa e sovente letale caduta in mucchio. I giudici delle gare stavano presso le mete per meglio osservare lo svolgimento della corsa. Si diceva curriculum il percorso da una meta all’altra e missus la corsa di sette giri. Si consideravano vincitori i primi tre arrivati. Il premio più noto era la palma o la corona, ma non mancavano premi, specialmente durante l’impero di valore materiale come case, terreni, cavalli ecc.
Nel 9° paragrafo della 87esima dell epistulae ad Lucilium, Seneca allude con disprezzo alle corse ippiche nei circhi: “ Così non preferiresti a tutti i cavallini ben pasciuti e ai ginnetti d’Astruria e ai cavalli da trotto quell’unico cavallo strigliato personalmente da Catone?”
I giochi tra gladiatori (ludi gladiatorii) si svolgevano negli anfiteatri, un tipo di edificio di invenzione romana. Il più noto fu l’anfiteatro Flavio o Colosseo, che poteva ospitare circa 45- 50 mila spettatori, ma in tutto il territorio dell’impero ne vennero costruiti tanti.
I ludi gladiatori avevano probabilmente un’origine etrusca o campana. Vi erano vari tipi di combattimenti, tra essi, uno molto comune era quello tra il reziario, armato di una rete e di un tridente, che giocava sulla mobilità, e il secutor, armato di scopa corta e scudo.
Spesso si facevano combattere gladiatori a gruppi, privi di visiere (quindi ciechi), nani contro nani, donne contro donne, uomini contro uomini, gladiatori su carri da guerra. I gladiatori venivano educati in scuole specializzate in cui i lanistae (gli istruttori) assoggettavano le reclute a un vero allenamento. Gli allievi erano trattati bene: mangiavano abbondantemente e si provvedeva alle loro esigenze sessuali ma erano uomini dalla carriera breve. Avevano un’attività al massimo di 10 o 15 anni e sostenevano 2 o 3 combattimenti ogni anno. Chi soccombeva in un combattimento, se gliene rimaneva la forza poteva alzare il dito per chiedere grazia: se gli spettatori erano favorevoli agitavano i “sudoria” se no piegavano in basso il pollice della mano destra.
L’editor (organizzatore dei giochi) decideva ripetendo il gesto, la sorte dello sciagurato: se il verdetto era negativo, costui veniva sgozzato dall’avversario. C’erano anche combattimenti in cui la grazia era esclusa: il duello era all’ultimo sangue. I gladiatori più bravi, quelli che riuscivano a sopravvivere sino all’età di 30 o 35 anni, si ritiravano a vita privata e offrivano l’arma che li aveva resi famosi exvoto agli dèi. Altri venivano liberati o per la volontà del pubblico o dell’”editor” dei giochi. Essi erano detti rudiarii (da rudis, bacchetta).
Figura 7: mosaico rappresentante ludi
Vi furono altri ludi a Roma, diversi da quelli circensi, ma, poiché la loro trattazione risulterebbe avulsa alla tematica da trattare, mi limiterò ad accennarli brevemente.
Essi erano:
- i ludi scaenici che si svolgevano nei teatri;
- le naumachie, battaglie navali, introdotte nel 46 a.C., che si svolgevano in laghi o nell’arena, allagata, dell’anfiteatro. La più grandiosa fu quella promossa da Claudio sul lago di Fucino, con 100 navi e 19.000 uomini.
- gli agoni di tipo greco, diffusi in Italia soprattutto nelle città meridionali di fondazione ellenica, che comprendevano gare ginniche (corsa, salto, lotta, lanci), musicali ed ippiche (corse di cavalli, bighe, quadrighe).
Tutti questi giochi, seppur molto apprezzati dai Romani, erano di una drammaticità che toccherebbe anche un uomo senza cuore, ma Seneca, “il medico dell’anima” il filosofo del mondo interiore non poté e non potrebbe apprezzarli mai soprattutto pensando che, ai suoi tempi, era diffusa una politica in cui il consenso della plebe al princips nasceva da una vita che seguiva la celebre formula di Giovenale “panem et circenses”. i
Bibliografia essenziale
Studi
- Cfr. E. B. Stumpo – M.T.Tonelli, La memoria e la storia, Laboratorio, Le Monnier, Firenze 2000 pag.88
- Cfr. D.Bassi, Seneca a Lucilio. Studio e saggi, A. Razzolini, Firenze, 1912
- Cfr. P. Di Sacco – M. Serio, Scritture latine, Dalle origini all’età repubblicana, volume 1, Mondadori, Varese, 2003, pag.46
- Cfr. P. Di Sacco – M. Serio, Scritture latine. Dall’età Augustea al tardo impero, volume 2 Mondadori, Torino, 2003 pp 264 -267
- Cfr. G. Cecconi, A. Magnelli, G. Stivola, Ragioni e passioni, La Nuova Italia, Milano 2005 p.410
- Cfr. Buzzi, Civiltà del Mediterraneo, Selezione dal Reader’s Digest, Mondadori, Milano, 1986, p 248-249
- Cfr. E. Dupont, Teatro e società a Roma, Roma-Bari, 1991 p. 10-88
Traduzioni
- Lettere morali a Lucilio, Seneca, Mondadori, Milano, 2007, pp. 23-25; 489-493; 523-525; 621-623; 731; 1018; 1044
Sitografia
www.wikipedia.it
www.classicobiella.it
www.liceoberchet.it
www.digitlander.libero.it
i Realizzato da Francesca Arcidiacono, classe III A, liceo classico “Gulli e Pennisi”, anno scolastico 2007-2008
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