Ovidio

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Testo

OVIDIO
Vita. Publio Ovidio Nasone nacque a Sulmona nel 43 a.c. da famiglia benestante, di antica dignità equestre. Morì in esilio a Tomi sul Mar Nero nel 17 d.c. Solo di pochi anni + giovane di Tibullo e di Properzio, Ovidio appartiene tuttavia alla cosiddetta seconda generazione augustea. Le notizie sulla sua vita vengono quasi tutte da Ovidio stesso e soprattutto da un'elegia dei Tristia in cui il poeta traccia, in propria difesa, una specie di autobiografia. Fu mandato dal padre a Roma xchè completasse i suoi studi, ebbe i maestri migliori (retori di indirizzo asiano). Fin da allora si veniva rivelando la sua vocazione di poeta. Secondo una consuetudine ormai consolidata, x completare la sua educazione si recò in Grecia, ad Atene, dove soggiornò quasi un anno-, visitò poi anche l'Egitto e l'Asia minore. Era ormai tempo di iniziare la carriera pubblica e Ovidio ricoprì qualche magistratura minore (il padre ci contava molto), ma presto lascia la carriera x dedicarsi alla poesia. Fu ammesso nell'ambiente dei letterati che si riunivano attorno a Messalla e fu in rapporto con molti dei poeti del tempo (Gallo, Orazio, Tibullo e Properzio) l pubblica le sue opere Ovidio, al culmine di un largo successo tra il pubblico, era ormai riconosciuto come il maggior poeta vivente di Roma. All'improvviso la disgrazia si abbatté su di lui: coinvolto in un oscuro intrigo di corte, Ovidio venne "relegato" da Augusto nella lontana Tomi, sulla costa settentrionale del Mar Nero. Il provvedimento fu emanato direttamente dal principe senza un processo né un giudizio, e senza che il poeta avesse la possibilità di difendersi. La relegatio era un provvedimento + lieve dell'exilium: non comportava la perdita della cittadinanza e confisca dei beni. La severità del principe fu singolarmente ostinata: Ovidio non riuscirà mai a ottenere né il richiamo, né il trasferimento in una sede meno disagiata. Ovidio parla di due capi d'accusa: carmen et error (una poesia e uno sbaglio). X quanto riguarda il carmen si tratta dell'Ars Amatoria (motivo di condanna x il suo carattere licenzioso e libertino). Riguardo all'error Ovidio è molto reticente: nega l'esistenza di un fatto da cui, a quanto pare, Ovidio si sentì particolarmente colpito, ma nega che vi sia stata da parte sua alcuna responsabilità. Ovidio si sente innocente. Si pensa che egli sia stato testimone di un episodio connesso a uno scandalo a corte: infatti nel medesimo anno (8 d.c.) Giulia Minore, nipote di Augusto, fu mandata in esilio x comportamento immorale. Augusto che, impegnato in una rigida politica moralizzatrice, aveva già condannato all'esilio sua figlia x analoghe ragioni, coinvolse il poeta, che in qualche modo era stato compromesso. Dopo la morte di Augusto (14 d.c.) neppure Tiberio dette ascolto alle reiterate suppliche del poeta x un atto di clemenza. Morì a Tomi nel 17 d.c.

La produzione giovanile (Amores, Heroides, Ars) è vasta: tutta elegiaca, tutta di argomento amoroso, ma con caratteri di notevole varietà. Ovidio dispiega un vivace interesse di sperimentatore, esplorando continuamente nuove possibilità del genere elegiaco, quasi tutte già contenute in nuce in isolati tentativi dei suoi predecessori (Prop. x l'epistola elegiaca, Prop. e Tibullo x la didascalia galante).
Amores. Sono una raccolta di elegie secondo la maniera inaugurata da Cornelio Gallo: e da Gallo Ovidio deriva il suo titolo. L'opera ebbe 2 edizioni: la prima perduta, la seconda in 3 libri rispettivamente di 15, 20, 15 componimenti, che conserviamo. Ovidio assume in queste elegie la voce del poeta-amante che canta il suo amore x una donna, chiamata Corinna dal nome di un'antica poetessa lirica greca (si ricollegava a Catullo). Gli Amores sono caratterizzati da una poetica nuova: in Ovidio l'elegia non comporta + una drammatica scelta esistenziale. Gli Amores non cercano mai di dare l'impressione di una poesia dominata e condizionata dall'amore esclusivo x una donna. Corinna è assente da molte elegie e si affacciano qui e là varie figure femminili, con cui Ovidio si mostra occasionalmente coinvolto. Il poeta fa anche capire che l'identità di Corinna doveva essere un mistero x il pubblico romano. (Corinna è stata giudicata figura inconsistente, addirittura un'invenzione libresca o tutt'al + la sintesi di svariate esperienze biografiche). La raccolta ovidiana parla piuttosto del mondo degli amori, di quella società urbana che costituisce il pubblico privilegiato dell'elegia. Il protagonista degli Amores è un dongiovanni, un libertino anticonformista e spregiudicato, che aggredisce la morale tradizionale romana con un'impertinenza inaudita. Ovidio accentua l'anticonformismo dell'elegia ma ne riduce le ambizioni ideologiche e morali: egli banalizza l'amore, ne fa solo un gioco divertente che non pretende di occupare tutti gli interessi dell'individuo, né di dare senso a un'intera vita. Egli rinuncia dunque agli aspetti + rivoluzionari della precedente poesia neoterica ed elegiaca, che attribuiva all'amore una centralità tra i valori e di fatto riconduce la poesia d'amore entro uno spazio di libertinismo audace ma al tempo stesso circoscritto entro i ristretti confini di un piacevole gioco. Rapporto con la tradizione elegiaca: quasi tutte le elegie degli Amores ripropongono variamente temi, situazioni e spunti delle elegie tibulliane e properziane (il punto di riferimento è soprattutto Properzio); dal punto di vista compositiva un'elegia degli Amores è molto diversa dai suoi corrispettivi tibulliani e properziani: Ovidio pone subito con chiarezza il tema e la situazione che ne sviluppa le implicazioni (il gusto educato alla scuola retorica si avverte nella costruzione ordinata e sistematica). Un aspetto originale della raccolta ovidiana consiste nel gioco raffinato con la tradizione letteraria che finisce x portare all'assurdo il genere dell'elegia latina: gli Amores di fatto svuotano l'ideale di amore elegiaco con una ironia aperta a giocosa, magari proprio quando pretendono di applicarne il codice con perfetta coerenza. L'amore elegiaco finisce insomma x diventare in Ovidio un gioco di finzioni reciprocamente accettate, una specie di perfetto galateo della società galante.
Heroides. Contemporaneamente alla produzione degli Amores, Ovidio attende ad un'opera nuova, le Heroides. Si tratta di epistole poetiche in distici elegiaci che si immaginano scritte da famose eroine del mito ai loro mitici amanti dai quali, il + delle volte, sono state abbandonate. L'opera consta di 21 epistole. Non tutte sono state scritte nello stesso periodo e non tutte presentano la stessa tipologia. Bisogna distinguere la prima sezione, formata da 15 epistole autonome, dalla sezione costituita da sei epistole 16-21 che sono articolate in 3 coppie, ciascuna della quali consta della lettera di un eroe alla donna amata e della risposta di lei. Queste epistole doppie furono pubblicate + tardi (sono un esperimento ulteriore, suggerito da una provocazione letteraria dell'amico poeta Sabino, che aveva scritto lettere di risposta a nome degli eroi. Un caso a sé è costituito dall'epistola di Saffo a Faone: in questo caso chi scrive non è un'eroina, ma una poetessa (l'emblema stesso dell'appassionata poesia d'amore) protagonista di una storia attinta non a un preciso modello letterario ma alle tradizione delle biografie leggendarie dei poeti (o dubbi sull'autenticità del componimento). Nell'Ars Ovidio afferma la novità delle Heroides dal punto di vista del genere letterario; il poeta ha cmq utilizzato spunti ed esperienze varie della tradizione greco-latina. Un precedente preciso era costituito da un isolato tentativo properziano (nel IV libro): l'appassionata lettera elegiaca scritta da Aretusa al suo uomo lontano. Una lettera, in quanto propone un dialogo con un assente è, secondo gli antichi, solo "la metà di un dialogo": tende xciò a ripiegarsi dalla parte di chi scrive, facendosi "immagine della sua anima". Alla componente persuasiva (le eroine cercano di convincere i destinatari) le Heroides accompagnano dunque, coerentemente con la scelta della forma epistolare, una forte tendenza introspettiva- monologica. L'eroina parla anche a se stessa e di se stessa, rappresentando, nel flusso della scrittura, sentimenti, oscillazioni, punti di vista e processi mentali analizzati con acutezza di indagine psicologica. Invece di ricreare liberamente i suoi personaggi Ovidio sceglie di ricavare x le sue eroine uno spazio negli interstizi di uno o + grandi testi precedenti. Le eroine di Ovidio, nel compiere un estremo tentativo x rimediare alla loro infelicità, guardano alla propria storia ricomponendone i tratti (che il lettore conosce o ricorda) attraverso un filtro fortemente soggettivo. Il mito, su cui tanto si eserciterà la poesia di Ovidio, rinuncia nelle Heroides alla dignità e alla grandezza eroica e viene ridotto a una dimensione "elegiaca", adattato a una femminilità sofferente e fragile che identifica nell'amore tutto il proprio orizzonte e lamenta il dolore di un'esistenza tradita, sacrificata a ragioni tanto + forti e brutali. Il sentimento delle Heroides non esclude affatto quell'ironia che è una caratteristica notevole di quasi tutta la poesia di Ovidio.

Opere didascaliche. L'elegia latina ospitava al proprio interno una componente didascalica: il poeta poteva insegnare agli altri, poteva indicare loro, x somiglianza o differenza da sé, una strada vantaggiosa in amore. Liberandosi infine della convenzione elegiaca secondo cui l'amante parla di se stesso, Ovidio assume ora decisamente il ruolo imparziale del magister amoris, depositario di una tecnica e capace di trasmetterla ad un pubblico di discenti.
Ars Amatoria. Si presenta come un trattato in distici elegiaci. Costruito spiritosamente sui moduli del poema didascalico "serio" (g Lucrezio De Rerum Natura; Virgilio Georgiche). Il titolo stesso esibisce il carattere tecnico dell'opera, modellandosi probabilmente sull'espressione con cui si designava la tecnica retorica (ars oratoria). A questo stesso ambito rimanda la disposizione della materia: come nell'insegnamento retorico, anche in questo insegnamento galante al primo posto è l'inventio. Il libro I insegna infatti agli uomini come conquistare le donne. Il libro II insegna invece l'arte di consolidare e far durare nel tempo l'amore, una volta che lo si è conquistato. Poi Ovidio, certo sollecitato da una buona accoglienza dell'opera presso il pubblico, aggiunse un libro III, indirizzato al pubblico femminile, in cui anche alle donne veniva fornito un manuale di istruzioni che permettesse loro di affrontare ad armi pari la schermaglia galante. Dal punto di vista dei moduli espositivi e della strutturazione formale l'Ars segue puntigliosamente le convenzioni e le movenze del poema didascalico serio. Anzitutto il gesto del poeta-maestro, che si rivolge autorevolmente al suo allievo, ne sollecita l'attenzione ecc. e che procede sistematicamente alla trattazione della materia (e in ogni passaggio il carattere "insegnativi" del discorso è messo in molta evidenza). All'enunciazione dei principi generali segue l'illustrazione della casistica; l'esempio è costantemente usato in funzione di chiarimento. Ma in un aspetto di grande evidenza formale l'Ars si discosta da quel codice didascalico che x tanti altri aspetti esibisce: se infatti il poema didascalico era regolarmente in esametri, Ovidio, con la scelta del distico, ha voluto segnalare vistosamente le novità e il carattere ibrido del suo esperimento. Il poema didascalico affronta adesso una materia nuova, del tutto eterogenea rispetto alle tradizioni: l'amore, o meglio, la seduzione galante. La relazione d'amore elegiaca poteva tuttavia diventare materia d'insegnamento tecnico solo a patto di contraddire alcuni assunti fondamentali che caratterizzavano la concezione properziano e tibulliano: l'amore-furor, la passione dolorosa non è infatti compatibile con il progetto del sapienter amare (amare con perizia e assennatezza) che Ovidio propone ai suoi allievi nel proemio. Tutto il patrimonio di idee e immagini della poesia elegiaca viene riformulato didascalicamente sostituendo all'ideologia della sincerità un'ideologia della finzione. L'utilizzazione dell'impegnativa strumentazione e del tono proprio della poesia didascalica, che prevede nel poeta un atteggiamento "sapienziale" di depositario della verità, è evidentemente sproporzionato rispetto a una materia tanto frivola, e produce un calcolato effetto ironico: Ovidio prevede un lettore che si diverte x questo genere di incongruenze. Ma nella complessiva giocosità del tono, il praeceptor amoris ha un ideale umano da proporre seriamente ai suoi allievi. Ovidio in quest'opera offre come valore positivo l'immagine di un mondo piacevole, raffinato e moderno, e si congratula esplicitamente dei tempi nuovi, rimovendo come anacronistici quei tratti arcaicizzanti che il principe continuava a ritenere necessari al suo progetto di rinnovamento morale. Ovidio si fa maestro di una urbanitas sofisticata, fatta di buona educazione, dolcezza e affabilità dei modi, compiacenza capacità di adattamento agli altri, senso delle opportunità, finezza intellettuale, duttilità e apertura mentale.

Metamorfosi. Il passaggio ai generi maggiori. Già negli Amores la scelta della poesia "minore" non appariva così inevitabile come x gli altri elegiaci. X il poeta l'alternativa dei generi di maggiore prestigio si presentava come una promettente possibilità. (in effetti Ovidio aveva comporto una tragedia, la Medea, di cui restano 2 versi soltanto, che fu un successo). Esaurita la sperimentazione delle diverse forme di poesia erotica elegiaca, Ovidio si dedica a progetti di grande impegno, che devono consacrarlo come poeta versatile e completo, capace di affrontare senza timidezza anche quei generi e quei temi (come l'epica e la celebrazione nazionale) che la tradizione neoterico-elegiaca aveva escluso dalle proprie ambizioni e dai propri programmi letterari. Un nuovo genere di poema epico. Lo spazio del poema epico era stato occupato dall'Eneide con una realizzazione tanto prestigiosa da scoraggiare ogni spirito di emulazione. Ma Ovidio non si scoraggiò, accettando la sfida con consapevolezza dei propri mezzi e straordinaria capacità di innovazione: egli immaginò x il poema in esametri una strada completamente nuova. Le Metamorfosi sono un vasto poema narrativo in esametri che, in 15 libri, raccontano circa 250 storie mitologiche. Sono storie di carattere vario, spesso molto diverse l'una dall'altra, che contengono, magari del tutto marginalmente, un qualche tipo di trasformazione (x lo + si tratta di perdita della forma umana). Il poema secondo quanto Ovidio stesso ci dice nelle opere dell'esilio non ricevette l'ultima mano a causa della disgrazia abbattutasi sul poeta. Il poema è aperto da un proemio molto breve, in cui Ovidio formula il suo ambizioso progetto: "narrare di forme cambiate in nuovi corpi… in un canto ininterrotto dall'origine del mondo fino ai miei giorni". Risulta da queste parole che l'idea del poema ovidiana associa due componenti diverse, che appartengono a tradizioni e a poetiche tra loro divergenti. Annuncia infatti un poema la cui materia è selezionata e ordinata in base al principio "catalogico" caro agli alessandrini: verranno messe insieme le storie accomunate da un elemento tematico, la metamorfosi. M,a questo "catalogo" di metamorfosi sarà un vasto canto continuo, con un disegno unitario, secondo la tradizione del grande poema epico. (la formula compositiva "a catalogo" aveva origini lontane: la + prestigiosa opera di questo genere erano gli Aitia di Callimaco, una raccolta elegiaca in cui erano narrate storie diverse accomunate tutte dal fatto di contenere la causa, cioè l'origine, di nomi, culti, usanze, istituzioni). Ovidio nel proemio annuncia qualcosa di radicalmente diverso: la sua raccolta delle storie di metamorfosi dovrebbe seguire la trama di una narrazione grandiosa, il cui compasso cronologico sfida x ampiezza qualsiasi poema epico ed è paragonabile solo alle ambizioni della storiografia universale. L'idea su cui sono costruite le metamorfosi sembra suggerita già, nel breve spazio di una cinquantina di versi, in un tentativo virgiliano (nella VI egloga). Ovidio annuncia dunque un poema che, nella sua vastità, sia capace di contenere istanze letterarie opposte: da una parte il principio catalogico (callimacheo), che sfrutta le attrattive della varietà di argomenti e dell'episodio breve, circoscritto, finemente elaborato, dall'altra la grande complessità dell'epos, col suo ampio respiro e la continuità della sua narrazione. Non a caso, Ovidio sceglie una terminologia critica che, su quest'ultimo punto, si oppone esplicitamente a quella di Callimaco: il carmen perpetuum che egli propone al lettore è quasi un equivalente di quel "canto uno e ininterrotto" che Callimaco non aveva voluto fare e che gli avversari gli rimproveravano di non saper fare. L'opera presenta dunque una quantità estremamente variegata di storie diverse; ma anche un filo ininterrotto che traccia una continuità complessiva di tipo cronologico. Naturalmente la continuità cronologica è molto + evidente nella parte iniziale e nella parte finale. Ovidio segue soltanto alcune linee molto generali, non senza concedersi deliberate e vistosissime incongruenze. Struttura, modalità narrativa. Il passaggio da una storia all'altra è il punto + delicato del poema, quello in cui i diversi principi costruttivi dell'opera sottopongono il testo a tensioni contrastanti. Ovidio non ha mai cercato di dare un'impressione di naturalezza. La successione tra i racconti può essere suggerita dai moventi + diversi, anche i + improbabili e stiracchiati (t Quintiliano criticherà in Ovidio il futile esibizionismo che faceva di ogni transizione una trovata ad effetto). L'agilità e la verità con cui sempre nuove storie possono essere introdotte, senza troppi vincoli di successione cronologica, sono molto incrementate dalla tecnica del racconto a cornice, un artificio caro alla narrativa ellenistica di cui Ovidio fa un uso sistematico: le storie delle Metamorfosi, oltre ad essere narrate di x sé, possono facilmente diventare la cornice che ospita il racconto di altre storie, attribuite al narratore principale (l'autore) o meglio ancora, a narratori secondari di volta in volta introdotti. Il gioco può diventare anche molto complicato: il lettore si trova disorientato d una fuga prospettica a volte vertiginosa, che solo il poeta narratore controlla e gestisce con un'arte raffinata. La tecnica del racconto è una risorsa da cui il poeta è capace di trarre una varietà di effetti: Ovidio di volta in volta sa regolare il racconto in base all'identità del narratore secondario o in relazione al personaggio che ascolta, o alle circostanze in cui il racconto si assume abbia luogo. Le Metamorfosi rappresentano in qualche modo la summa della mitologia greco-romana. Il mito non ha tuttavia x Ovidio una profondità religiosa, né particolari valenze culturali, morali o ideologiche (come in buna parte avviene x Virgilio): è soltanto un tesoro di favole da raccontare senza impegnarsi sul loro contenuto di verità (anzi, non nascondendo affatto lo scetticismo + disincantato). Il poema di Ovidio propone dunque al pubblico dell'età augustea un campionario di belle storie adatte ad un intrattenimento sofisticato. Oltre al piacere del racconto, il lettore esperto saprà infatti apprezzare la ricchezza di un testo la cui piena fruizione richiede competenze letterarie raffinate; infatti i materiali delle Metamorfosi sono attinti da tutta la grande tradizione della letteratura greca e latina. Le Metamorfosi allargano la struttura dell'epos fino a comprendere in esso una pluralità di tradizioni ed esperienze letterarie diverse: poesia cosmologica e didascalica, l'epos guerresco o avventuroso, la tragedia, l'epillio, la poesia eziologia, l'elegia amorosa, la bucolica. La visione del mondo. Lo spirito leggero, l'atteggiamento ironico e divertito, che domina nel poema non significa (come pure si è ritenuto) superficialità priva di idee. Nell'universo ovidiana, attraversato da un'irresistibile dinamismo, colpisce l'estrema facilità della metamorfosi; l'elasticità stessa del mondo ovidiana funziona come un efficace antidoto x i suoi problemi + angosciosi. La metamorfosi è normalmente il punto di arrivo di una storia, il momento in cui il mondo reagisce, con la propria innata duttilità, a una tensione insolubile, prossima al momento della rottura. Il mutamento si dimostra capace di sanare lacerazioni che altrimenti porterebbero a conseguenze insopportabili. Alla tragedia, all'orrore del delitto, al dolore insanabile della morte. La metamorfosi interviene spesso come sostituto della morte: una morte meno definitiva e dolorosa, xchè è anche inizio di una nuova esistenza. Potremmo dirlo con le parole di Pitagora: "noi chiamiamo col nascere il cominciare a essere altra cosa da quello che eravamo prima, e morire il cessare di essere quella stessa cosa" (i trasformazione come antidoto della morte). Ovidio poi vuole rappresentare e anche celebrare -naturalmente a modo suo- la "pienezza dei tempi" augustea: una cultura universalistica, capace di comprendere in se e far convivere gli aspetti + diversi della realtà. Interprete di sentimenti e idee probabilmente assai diffusi nella società, Ovidio sentiva di essere poeta in sintonia con la sua epoca.

Fasti. Sono una specie di calendario poetico in distici elegiaci. Percorrendo ordinatamente il calendario dell'anno romano a partire dal 1° gennaio, il poeta, oltre a dare via via indicazione astronomiche sulle costellazioni, si sofferma sulle ricorrenze e le feste + significative e fornisce la spiegazione (mitologica, storica, erudita) di nomi, usi, riti. L'opera, prevista in 12 libri (uno x mese) era giunta esattamente a metà quando fu interrotta dall'esilio del poeta. A tomi Ovidio vi premette una dedica a Germanico. Gli Aitia romani: parallelamente alle Metamorfosi, Ovidio tentava con i Fasti un'impresa di grande impegno e prestigio, portando l'elegia a sperimentare una possibilità molto lontana dall'esperienza, ormai esaurita in tutte le sue variazioni, del tenerorum lusor amorum (il frivolo poeta dei teneri amori, come Ovidio stesso si definiva). La strada era stata indicata da Properzio che, nel proemio del IV libro, proponendosi come il "Callimaco romano" annunciava un ambizioso progetto: "canterò le cerimonie sacre, i giorni e gli antichi nomi dei luoghi". Con le cosiddette "elegie romane" quel progetto era stato realizzato solo in maniera sporadica e assai parziale, e la poesia latina attendeva ancora un equivalente degli Aitia di Callimaco, che Ovidio si apprestò appunto a fornire con i Fasti. I fasti sono dunque l'opera in cui Ovidio + decisamente si presenta come poeta ellenistico. Callimaco, il suo modello principale, gli suggerisce la tematica generale dell'opera e aspetti fondamentali della struttura. X le parti astronomiche è evidente il richiamo ad Arato. Questo poema ovidiano non sarebbe cmq concepibile al di fuori del vivo interesse della cultura e della letteratura augustea x le tradizioni nazionali e x la rustica Roma delle origini. Rapporti con l'ideologia augustea: Ovidio certamente non cercava valori attuali nel mondo arcaico e contadino che dava origine alle tante usanze curiose che egli si incaricava di indagare x conto dei suoi lettori: era attratto semmai, proprio dall'inattualità di quella vita fatta di povere cose, dal contrasto che faceva apprezzare gli agi urbani e i costumi sofisticati della moderna capitale del mondo.

La poesia dell'esilio. Nel suo esilio Ovidio ha vissuto, almeno fino all'anno 13 d.c. incluso, una stagione di notevole produttività, che indubbiamente rispondeva anche a fini pratici. La poesia deve adesso illustrare soprattutto la triste situazione del poeta esiliato, riflettere sulle cause della disgrazia, implorare aiuto.
Tristia. Sono 5 libri di elegie, composti e inviati a Roma l'uno di seguito all'altro tra il 9 e il 12 d.c.: le dimensioni dei componimenti e delle raccolte sono simili a quelle delle elegie amorose. Le elegie dei Tristia possono avere andamento prevalentemente narrativo (descrizione del viaggio) o monologico (considerazioni e sentimenti sul suo stato infelice) oppure si rivolgono ad amici x chiedere aiuto e conforto. Gli amici destinatari di queste elegie però non sono mai nominati x ragioni di prudenza. Queste elegie, anche se, in assenza del nome, non rispecchiano di solito in pieno le formalità epistolari, assumono però naturalmente il tono e l'andamento della lettera. (Un caso a sé è costituito dal II libro, che consta di un unico componimento di ben 578 versi. Ovidio si rivolge ad Augusto come in una "lettera aperta" e gli indirizza una puntigliosa apologia). Una nuova poesia autobiografica: al centro di queste elegie c'è un nuovo senso dell'autobiografia: la forza della tragedia personale e le difficoltà della nuova condizione di vita occupano con la loro urgenza tutto lo spazio della poesia e fanno ritrovare all'elegia quella coincidenza con la vita che proprio Ovidio negli Amores e nella didascalica erotica aveva giocosamente svuotato. Ovidio costruisce adesso un personaggio di poeta esule che ha come materia del canto la propria disperazione e la cui opera non può che riprodurre le tristi condizioni della sua vita.
Epistulae ex Ponto. 3 libri + un quarto postumo. Si presentano come vere e proprie lettere poetiche, ciascuna delle quali reca il nome del destinatario, e assume tratti del consueto formulato epistolare. Rinuncia a ogni considerazione di opportunità (nei Tristia il destinatario è anonimo) e si risolve a coinvolgere apertamente i vari personaggi a cui indirizza le sue epistole elegiache. Il componimento viene modulato sul destinatario. Ovidio cerca di raggiungere il massimo di persuasività collegando le richieste di aiuto al ruolo specifico che i diversi personaggi svolgono nella società e al rapporto che essi intrattengono col poeta. I primi 3 libri costituiscono una raccolta unitaria, strutturata secondo una sottile rete di simmetrie. I temi sono x lo + gli stessi dei Tristia: l'infelicità del poeta lontano ed esule, la fedeltà degli amici, l'impegno che il poeta si attende dalla moglie. La celebrazione dei fasti della casa imperiale conosce nelle Ex Ponto un notevole sviluppo che, nel IV libro, porterà l'elegia ad accrescere lo spettro dei suoi argomenti, fino a comprendere la descrizione a fini panegiristici di una battaglia.
Caratteri dell'elegia triste. X creare uno strumento letterario adatto alla sua nuova situazione, Ovidio ha mobilitato ancora una volta le sue energie di sperimentatore, adattando l'elegia romana all'espressione di una realtà del tutto diversa da quella delle pene d'amore nella capitale del mondo. Questo progetto comportava un ripensamento dell'elegia precedente, una riconversione. Con le sue elegie tristi Ovidio risaliva consapevolmente a quelle che erano le origini stesse del genere, all'elegos come lamento funebre. L'esilio è presentato come una specie di morte, e l'esiliato un morto vivente. Le opere dell'esilio non sono inferiori al normale standard qualitativo della poesia ovidiana e non manca in esse una impegnativa ricerca della variatio. In concorrenza a una componente soggettiva e introspettiva, la poesia dell'esilio pone nel proprio programma un obiettivo pragmatico: quello di giovare al poeta, ottenendo quanto meno un'attenuazione della condanna. A questo scopo Ovidio deve mettere in moto dei meccanismi che riguardano tutti gli strati della gerarchia sociale. L'argomentazione apologetica, necessaria a dimostrare il ravvedimento e il lealismo del poeta, trapassa spontaneamente nell'encomio e nell'adulazione del sovrano. Anche le richieste rivolte ad amici altolocati che potrebbero intercedere in suo favore prevedono anzitutto la celebrazione de loro prestigio e della loro influenza. Ovidio paga anticipatamente il debito di riconoscenza nei confronti dei suoi sperati benefattori, indirizzando loro elogi, carmi di occasione, omaggi e celebrazioni varie. Le poesie ovidiane dell'esilio non contengono tuttavia solo l'offerta della poesia come strumento x la celebrazione del potere e delle gerarchie sociali, ma anche la rappresentazione del fallimento di questa offerta, e della frustrazione del poeta. Di fronte all'inutilità dei suoi tentativi, Ovidio è preso da sfiducia nelle possibilità persuasive della poesia cortigiana. Ma nelle sue stesse capacità intellettuali e artistiche egli trova una base su cui fondare una autonomia e una indipendenza che nessun potere è in grado di distruggere. La poesia, cui Ovidio doveva la propria condanna, diviene così x lui l'unico mezzo di consolazione e di liberazione dal male presente, e si propone come fondamento di una orgogliosa autosufficienza, fondata su ragioni spirituali.
Ibis. È un'operetta in distici elegiaci la cui composizione dovrebbe cadere nei primi tempi dell'esilio e si colloca nella tradizione poetica delle "maledizioni", che aveva avuto una certa fortuna nella poesia ellenistica. Ovidio si rifà esplicitamente all'omonimo poemetto perduto di Callimaco, in cui il poeta alessandrino, attraverso riferimenti a molte leggende rare, copriva di imprecazioni un nemico (forse Apollonio Rodio), presentandolo come l'uccello del titolo, considerato immondo xchè scruta col becco i propri escrementi. Il bersaglio dell'Ibis di Ovidio è un malvagio che cerca di peggiorare la situazione dell'esiliato e di trarre profitto dalla sua disgrazia: il poeta si dichiara costretto a usare x la prima volta la poesia come arma, piegando l'elegia a una funzione aggressiva considerata + consona al giambo. Il poemetto si caratterizza soprattutto x l'erudizione, talvolta oscura, con cui allude alle + terribili vicende della mitologia e della storia greca e romana: vicende che Ovidio ora augura al suo nemico di rivivere.

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