Orazio - Epistulae - Libro 1,1

Materie:Traduzione
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Testo

[1,1]
Prima dicte mihi, summa dicende Camena,
spectatum satis et donatum iam rude quaeris,
Maecenas, iterum antiquo me includere ludo?
Non eadem est aetas, non mens. Veianius armis

5 Herculis ad postem fixis latet abditus agro,
ne populum extrema totiens exoret harena.
Est mihi purgatum crebro qui personet aurem:
'Solue senescentem mature sanus equum, ne
peccet ad extremum ridendus et ilia ducat.'

10 Nunc itaque et uersus et cetera ludicra pono,
quid uerum atque decens, curo et rogo et omnis in hoc sum;
condo et compono quae mox depromere possim.
Ac ne forte roges quo me duce, quo Lare tuter;
nullius addictus iurare in uerba magistri,

15 quo me cumque rapit tempestas, deferor hospes.
Nunc agilis fio et mersor ciuilibus undis,
uirtutis uerae custos rigidusque satelles;
nunc in Aristippi furtim praecepta relabor
et mihi res, non me rebus subiungere conor.

20 Vt nox longa quibus mentitur amica, diesque
longa uidetur opus debentibus, ut piger annus
pupillis quos dura premit custodia matrum,
sic mihi tarda fluunt ingrataque tempora quae spem
consiliumque morantur agendi nauiter id quod

25 aeque pauperibus prodest, lucupletibus aeque,
aeque neglectum pueris senibusque nocebit.
Restat ut his ego me ipse regam solerque elementis.
Non possis oculo quantum contendere Lynceus,
non tamen idcirco contemnas lippus inungui;

30 nec, quia desperes inuicti membra Glyconis,
nodosa corpus nolis prohibere cheragra.
Est quadam prodire tenus, si non datur ultra.
Feruet auaritia miseroque cupidine pectus:
sunt uerba et uoces quibus hunc lenire dolorem

35 possis et magnam morbi deponere partem.
Laudis amore tumes: sunt certa piacula quae te
ter pure lecto poterunt recreare libello.
Inuidus, iracundus, iners, uinosus, amator,
nemo adeo ferus est, ut non mitescere possit,

40 si modo culturae patientem commodet aurem.
Virtus est uitium fugere et sapientia prima
stultitia caruisse. Vides, quae maxima credis
esse mala, exiguum censum turpemque repulsam,
quanto deuites animi capitisque labore;

45 impiger extremos curris mercator ad Indos,
per mare pauperiem fugiens, per saxa, per ignes;
ne cures ea quae stulte miraris et optas,
discere et audire et meliori credere non uis?
Quis circum pagos et circum compita pugnax

50 magna coronari contemnat Olympia, cui spes,
cui sit condicio dulcis sine puluere palmae?
Vilius argentum est auro, uirtutibus aurum.
'O ciues, ciues, quaerenda pecunia primum est;
uirtus post nummos!' Haec Ianus summus ab imo

55 prodocet, haec recinunt iuuenes dictata senesque
laeuo suspensi loculos tabulamque lacerto.
Est animus tibi, sunt mores, est lingua fidesque,
sed quadringentis sex septem milia desunt:
plebs eris. At pueri ludentes: 'Rex eris' aiunt,

60 'si recte facies': hic murus aeneus esto
nil conscire sibi, nulla pallescere culpa.
Roscia, dic sodes, melior lex an puerorum est
nenia, quae regnum recte facientibus offert,
et maribus Curiis et decantata Camillis?

65 Isne tibi melius suadet, qui 'rem facias, rem,
si possis, recte, si non, quocumque modo rem,'
ut propius spectes lacrimosa poemata Pupi,
an qui Fortunae te responsare subperbae
liberum et erectum praesens hortatur et aptat?

70 Quodsi me populus Romanus forte roget, cur
non ut porticibus sic iudiciis fruar isdem,
nec sequar aut fugiam quae diligit ipse uel odit,
olim quod uolpes aegroto cauta leoni
respondit, referam: 'Quia me uestigia terrent,

75 omnia te aduersum spectantia, nulla retrorsum.'
Belua multorum es capitum. Nam quid sequar aut quem?
Pars hominum gestit conducere publica; sunt qui
frustis et pomis uiduas uenentur auaras
excipiantque senes, quos in uiuaria mittant;

80 multis occulto crescit res fenore. Verum
esto aliis alios rebus studiisque teneri:
idem eadem possunt horam durare probantes?
'Nullus in orbe sinus Bais praelucet amoenis',
si dixit diues, lacus et mare sentit amorem

85 festinantis eri; cui si uitiosa libido
fecerit auspicium, cras ferramenta Teanum
tolletis, fabri. Lectus genialis in aula est:
nil ait esse prius, melius nil caelibe uita;
si non est, iurat bene solis esse maritis.

90 Quo teneam uoltus mutantem Protea nodo?
Quid pauper? Ride: mutat cenacula, lectos,
balnea, tonsores, conducto nauigio aeque
nauseat ac locuples, quem ducit priua triremis.
Si curatus inaequali tonsore capillos

95 occurri, rides; si forte subucula pexae
trita subest tunicae, uel si toga dissidet impar,
rides: quid, mea cum pugnat sententia secum,
quod petiit spernit, repetit quod nuper omisit,
aestuat et uitae disconuenit ordine toto,

100 diruit, aedificat, mutat quadrata rotundis?
Insanire putas sollemnia me neque rides
nec medici credis nec curatoris egere
a praetore dati, rerum tutela mearum
cum sis et praue sectum stomacheris ob unguem

105 de te pendentis, te respicientis amici.
Ad summam: sapiens uno minor est Ioue, diues,
liber, honoratus, pulcher, rex denique regum,
praecipue sanus, nisi cum pituita molesta est.
Orazio – Epistulae - Liber 1,1

[1,1] Avviata e dovendo terminare
col tuo nome l'opera mia,
mi chiedi, Mecenate,
di rimettermi come un tempo in gara,
dopo che troppo ho dato
spettacolo di me
e ricevuto ormai
la bacchetta del congedo.
Ma non è piú quell'età, quello spirito.
Appese le armi nel tempio di Ercole,
Veianio si è rifugiato in campagna
per non dovere al popolo
implorare la grazia
dai bordi dell'arena.
Spesso sento una voce risuonare
nelle mie orecchie all'erta:
'Stacca per tempo
il cavallo che invecchia,
se hai buon senso,
prima che sfiancato stramazzi
e desti il riso sul traguardo'.
Cosí con gli altri futili piaceri
lascio la poesia.
Ora m'interrogo
solo su cosa sia la verità,
la convenienza, e medito su questo;
raccolgo e ordino
tutto ciò che mi potrà poi servire.
E non mi domandare a che maestro,
a quale scuola chieda sicurezza:
non mi sono venduto a nessun credo
e cosí dove il corso mi trascina
arrivo come un ospite.
A volte mi prende la furia
e m'immergo nelle lotte civili,
custode della verità ideale,
suo inflessibile seguace;
poi, senza rendermene conto,
scivolo nelle norme di Aristippo
e tento di dominare le cose,
non di esserne dominato.
Come lunga sembra la notte
se l'amata t'inganna,
lungo il giorno per chi lavora al soldo
e lento l'anno
per i ragazzi oppressi
dal rigido controllo della madre;
cosí penose e pigre
per me trascorrono le ore
che rimandano la speranza
e il proposito d'iniziare a volo
quell'opera che giova a ricchi e poveri
e nuoce negletta a giovani e vecchi.
Fissare dei principi
e in questi cercare conforto:
non resta altro.
Se non puoi spingerti cosí lontano
con lo sguardo come Linceo,
non vedo perché rifiutare
di medicarsi gli occhi infermi;
e se non puoi sperare
di possedere i muscoli
dell'invitto Glicone,
non c'è ragione per lasciare
che la gotta nodosa
inchiodi il nostro corpo.
Si andrà fin dove ci è concesso,
se oltre non si può.
Vi sono,
per l'animo che arde d'avarizia
e d'insana passione,
parole e formule
che possono lenire il suo dolore
e allontanare gran parte del male.
Se poi ti gonfia una smania di gloria,
vi sono rituali
che, solo a ripeterli fedelmente
tre volte,
possono guarirti senza timore.
Nessuno,
invidioso irascibile pigro,
beone, libertino,
è selvaggio cosí
che non lo si possa ammansire,
se accetta di ascoltare
con attenzione
i precetti della saggezza.
Evitare il vizio, questa è virtú,
ed esser privi di pazzia
il principio della saggezza.
Tu vedi
con che affanno morale e con che rischi
sfuggi a quei mali che credi peggiori,
un censo modesto e una vergognosa
sconfitta elettorale:
a trafficare senza tregua
ti spingi sino all'estremo dell'India,
varcando mari, monti e fiamme,
per fuggire la povertà,
e non ti curi di ascoltare, apprendere,
affidandoti ai migliori di noi,
il rimedio contro quella chimera
che insegui da insensato?
Un campione di villaggio o di strada
rinuncerebbe forse
alla gloria di una corona olimpica,
se avesse la speranza,
la possibilità
di aggiudicarsi la vittoria ambita
senza alcuna fatica?
Piú vile dell'oro è l'argento
e piú l'oro della virtú.
'Oh cittadini, cittadini,
bisogna far fortuna innanzi tutto:
dopo il denaro verrà la virtú.'
Questa la massima che si proclama
da un capo all'altro
sotto il voltone della Borsa:
e tutti,
con borse e taccuini sotto il braccio,
giovani e vecchi,
ripetono in coro la lezione.
Hai animo, carattere,
eloquenza e onestà?
ma se ai quattrocentomila sesterzi
te ne mancano sei o settemila,
addio, sei plebeo.
Certo, giocando cantano i bambini:
're sarai, se bene farai'.
Questa sia la tua barriera di bronzo:
non aver nulla da rimproverarsi,
non dovere per colpa impallidire.
Ma dimmi, dimmi,
è migliore la legge Roscia
o quella cantilena di bambini
che offre al giusto un regno
e anche ai tempi virili s'intonava
di Curio e di Camillo?
Avanti, ti consiglia meglio
chi ingiunge: 'arraffa, arraffa,
onestamente
se puoi,
se no come ti riesce,
ma arraffa',
solo per vedere un po' piú da presso
i drammi strappalacrime di Pupio;
o chi, stretto al tuo fianco,
t'esorta a fronteggiare,
libero, a testa alta,
e te ne dà la forza,
l'arroganza della fortuna?
Se il popolo romano mi chiedesse
perché piú che le opinioni
ci accomunano i portici,
e come mai non segua i suoi amori
o non rifugga le sue avversioni,
risponderei come la volpe accorta
rispose nella favola
al leone ammalato:
'Mi atterriscono le orme;
guardano tutte verso te,
nessuna indietro'.
Sei un mostro dalle mille teste.
Quali opinioni, quali uomini
dovrei seguire?
Smania una parte per gli appalti pubblici;
altri con bocconcini e frutta
accalappiano vedove insaziabili
o irretiscono vecchi
per tenerli in riserva;
e molti di nascosto
si arricchiscono con l'usura.
Passi pure, ognuno ha le sue passioni,
ma sapesse perseverare
almeno un'ora
in ciò che si è scelto.
Se un ricco esclama:
'Baia, che meraviglia,
nessuna insenatura al mondo
è piú incantevole di quella',
subito lago e mare
soffrono l'entusiasmo dei signori;
ma se tien luogo degli auspici
un morboso capriccio:
'a Teano, domani,
portino i muratori i loro attrezzi'.
Nell'atrio c'è il letto nuziale?
'Niente è preferibile al celibato,
niente di meglio.'
Non c'è? 'Solo nel matrimonio
è la felicità, lo giuro.'
Come legarlo questo Pròteo
dagli innumerevoli volti?
E il povero?
Ridi, ridi: cambia stamberga,
letto, terme e barbiere;
ma sulla barca presa a nolo
soffre lo stesso mal di mare
che rode il ricco sulla sua trireme.
Se mi presento a te con i capelli
tagliati dal barbiere tutti a scale,
tu ridi;
se sotto la tunica nuova spunta
una camicia logora
o se ho indossato a sghimbescio la toga,
tu ridi.
E se il mio modo di pensare
fa a pugni con sé stesso,
disprezza ciò che amava,
cerca quanto ha lasciato,
oscilla ed è incoerente
in tutto il corso della vita,
costruisce, smantella,
muta i tondi in quadrati,
tu che ne dici?
Tu pensi che sia matto,
un matto come ce ne sono tanti;
non ridi; e non ritieni
che abbia bisogno del medico
o di un procuratore
nominato dal tribunale.
Eppure tu sei il mio patrono, e
ti sdegni per un'unghia mal curata
con l'amico che pende dal tuo viso
e si riflette in te.
Allora? il saggio
solo Giove ha sopra di sé,
è ricco libero onorato bello,
insomma è il re dei re,
e soprattutto è 'sano',
se non lo molesta il catarro.
Orazio – Lettere – Libro 1,1

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