Orazio

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Testo

Orazio: "non siamo che polvere e ombra"

Le nevi si sono sciolte ormai ritornano i raccolti di campi e le chiome agli alberi, la terra muta l'aspetto e i fiumi abbassandosi scorrono lungo le sponde; la Grazia con le Ninfee e le sorelle gemelle osa guidare nude le danze. Non sperare cose eterne, ammonisce l'anno e l'ora che rapisce il giorno che da la vita. I freddi si addolciscono per gli Zefiri, l'estate destinata a finire caccia la primavera non appena l'autunno fruttifero avrà prodotto i suoi frutti e ben presto sopravviene l'inverno pigro. I rapidi mesi riparano i danni degli astri; noi invece quando siamo caduti dove il padre di Enea, il ricco Tullo e Aneo (sono caduti), siamo polvere ed ombra. Chi sa se gli dei del cielo aggiungono un giorno in più (il tempo del domani) alla somma odierna dei giorni? Tutte le cose che avrai dato all'animo amico sfuggirà alle mani avide dell'erede. Una volta che tu sarai morto e Minosse avrà fatto su di te splendide sentenze, o Torquato, non la nobiltà, non la fecondia, non la vita dignitosa ti restituiranno: infatti né Diana libera l'onesto Ippolito dalle tenebre infernali né Teseo è in grado di rompere le catene del Lete per l'amato Piritoo.

la fonte Bandusia

O Fonte Bandusia, più limpida del cristallo, degna del vino dolce e dei fiori, domani riceverai da me un capretto, al quale, fronte gonfia dalle corna appena spuntate, le battaglie d’amore sono destinate. Invano: la prole del gregge ruzzante infatti macchierà col sangue rosso le tue acque fresche. L’atroce ora della spietata Canicula non riesce a toccarti e offri la frescura piacevole ai tori stanchi (d’aratura), al bestiame vagabondo. Anche tu, sarai tra le fontane celebrate, perché parlo di un leccio che sovrasta la grotta, da cui balzano giù le tue acque che parlano.

La salvezza

A postumo

Ahi, Postumo, gli anni scorrono fugaci, Postumo, e non la devozione potrà far ritardare le rughe della vecchiaia incombente, e la morte indomabile; no, nemmeno se anche tu tentassi di placare Plutone, implacabile, colui che rinchiude Gerione dai tre corpi e Titio con le livide acque, con trecento tori, quanti sono i giorni, naturalmente noi, quanti mangiamo il frutto delle terre, vi navigheremo o re, o povera gente dei campi. Veramente cercheremo di stare lontani dalla sanguinosa guerra, dai flutti che si frangono sopra l’Adriatico dal suono cupo, vanamente temeremo lo scirocco che reca danno tutti gli autunni che nuoce ai corpi. Bisogna guardare il luttuoso Cocito che scorre con lento corso e la stirpe di Danao maledetta e Sisifo, figlio di Eolo, dannato ad una perenne fatica. Dovremo lasciare le nostre terre, le case, le leggiadre donne: e tra queste piante che coltivi, nulla, tranne gli odiosi cipressi, seguirà te caduco lor padrone. E l’erede più degno berrà fino in fondo il Cecubo, che hai chiuso con cento chiavi, e anzi bagnerà col vino eccellente il pavimento, migliore a quelli dei pranzi dei pontefici.

GODI LA DOLCEZZA DELLA PRIMAVERA
Si discioglie il gelo pungente al gradito ritorno della primavera e del Favonio, e gli argani attirano le navi secche e non più il gregge gode dell'ovile o il contadino del fuoco,nè i campi biancheggiano per le candide nevi.
Già la Venere Citerea cinduce le danze sotto la luna e congiunte con le ninfe le amabili grazie percuotono il suolo ora con un piede ora con l'altro,mentre Vulcano ardente va a visitare le laboriose officine.
Ora conviene o cingere con il verde mirto il capo rolucente o con un fiore,recarsi verso le terre (che sono) disgelate; ora anche nelle luci ombrose conviene fare un sacrificio a Fauno,sia che si chieda un'agnella sia che si preferisca un capretto.
La pallida morte con piede imparziale percuote i tuguri dei poveri e gli alti palazzi dei grandi.
Mio caro Sestio,la breve durata complessiva della vita non vieta di concepire una speranza a lungo termine: tra breve ti incalzerà la notte e le favolose ombre dei morti e la casa grama dei morti; perciò appena sarai andato,ne trarrai più a sorte la regalità del simposio con gli astragali,ne ti stupirai (x il tenero Licida), perciò arde la gioventù ora per tutti e presto arderanno d'amore le vergini.

La vocazione di poeta

O Mecenate, discendente da antenati (che furono) re, o mio sostegno e dolce ornamento mio: vi son i quelli a cui piace la polvere raccolta con la biga nelle gare olimpiche e cui la meta sfiorata con la ruote roventi e le palme della vittoria solleva agli dei, dominatori del mondo; questi è felice, se la folla dei volubili Quiriti gareggia per innalzarlo alle tre maggiori magistrature; quegli, se potè radunare nel proprio granaio tutto il frumento che si spazza dall'aia della Libia. Chi gode a sminuzzare col serchiello le zolle del campo ereditato dal padre, neppure col miraggio delle ricchezze di Attalo, tu lo indurresti a solcare con un legno di Cipro, timodo navigatore, il mare mirtoo. Il mercante, sbigottito dal libeccio in lotta con le onde icarie, loda la pace e la campagna del suo paesello; ma subito dopo, insofferente della strettezza, ripara le barche sconquassate dalla tempesta.
C'è che si diletta a vuotare tazze di annoso Massico e ad accorciar le giornate di lavoro, sdraiato ora sotto un verdeggiante corbezzolo, ora presso la tranquilla sorgente d'un sacro fiume. A molti piacciono l'accampamento e il suono della tromba, misto a quello del lituo, e la guerre detestate dalle madri. Il cacciatore, dimentico della tenera sposa, pernotta sotto il cielo gelato, sia che i suoi brachetti fedeli abbiano scovata una cerva, sia che un cinghiale marsico abbia spezzate le attorte reti. Ma le corone di edera, premio delle dotte fronti, congiungono agli dei superni; me il bosco ombroso e le danze leggere delle Ninfe con i Satiri distinguono dal volgo, se Euterpe non arresta la melodia del flauto e Polinnia non rifiuta di accordare la lira di Lesbo. che se tu mi poni nella schiera dei poeti lirici, io leverò il capo fino a toccare le stelle.

Scaccia la tristezza dell’inverno

Vedi il Soratte che si innalza per la neve spessa, e non più gli alberi affaticati sostengono il peso e i corsi d’acqua si sono arrestati per il gelo acuto? Dissipa il freddo continuando a porre con larghezza legna sul fuoco e generosamente versa, o Taliarco, dall’anfora sabina, vino schietto di 4 anni. Lascia agli dei il resto, infatti non appena gli dei placano i venti che infuriano sul mare tempestoso, anche i cipressi e i vecchi frassini non si agitano. Quello che avverrà domani, non volerlo sapere, e qualunque giorno che ti darà la sorte, aggiungilo a guadagno, e non disprezzare, tu che sei giovane, i dolci amori e le danze, finchè da te che sei nel fiore (della giovinezza) sta lontana la vecchiaia. Adesso è il tempo di raggiungere, all’ora stabilita, il Campo, le piazze, coi bisbigli sommersi all’imbrunire; è questo il tempo di quel riso allegro…

L’ode del carpe diem

Tu non domandare (non è concesso sapere) quale limite a me, quale a te, hanno assegnato le divinità, non tentare gli oroscopi dei Babilonesi, o Leuconee. E’ meglio accettare quello che verrà, gli altri inverni che Giove donerà a noi, o se è l’ultimo, che ora squassa con gli scogli opposti il Mar Tirreno: sii saggia, filtra il vino e , poiché breve è il nostro cammino, recidi le speranze lontane. Mentre discorriamo, sarà gia passato il tempo invidioso: cogli la giornata, fidandoti del futuro il meno possibile.

Cleopatra è morta

Ora si deve bere, e con il piede battere la terra (danzare) sfrenatamente, ora sarebbe tempo di ornare il cuscino degli dei, o amici, con vivande dei sacerdoti Salii. Prima di ora non era lecito trarre fuori dalle cantine avite il Cecubo, mentre la regina al Campidoglio preparava folli rovine e morte all'impero, col suo gregge di uomini vergognosi dallo sconcio morbo, sfrenata nella sua speranza, inebriata dal favore della fortuna. Ma una sola nave scampata al fuoco placò la pazzia, e ricondusse la sua mente sconvolta dal vino Mareotico alla paurosa realtà, Cesare incalzando a forza di remi lei che fuggiva a volo dell'Italia, come uno sparviero incalza la tenera colomba, come un cacciatore la lepre che corre nella pianura della nevosa Emonia: per consegnare alla catena quella donna prodigiosa e fatale. Questa cercando di morire con una certa nobiltà, nè come donna ebbe paura della spada, nè ripiegò con la sua flotta lidi remoti. Ma osò guardare la reggia abbattuta con sereno sguardo, coraggiosa a toccare terribili serpenti per assorbire nel suo corpo nero veleno, rese più fiera della morte così deliberata:

Esortazione a Dellio

Ricorda di conservare l'animo sereno nei momenti difficili, e parimenti in quelli favorevoli, lontano dalla gioia smodata (insolente esultanza), o Dellio, destinato a morire, o se, triste, hai vissuto sempre, sia che che ti sarai reso felice con un Falerno di vecchia data, sdraiato su un prato appartato nei giorni di festa. Per cosa il grande pino e il grande pioppo amano unire con le fronde un'ombra gradita? Per cosa l'acqua cerca a fatica di andare qua e la col suo corpo in pendio? Qui fai portare vini e unguenti ed i fiori dalla vita troppo breve del ridente roseto, finchè le circostanze, l'età, e i fili neri delle tre sorelle lo consentono. Te ne andrai dai pascoli acquistati l'uno dopo l'altro e la casa e la villa che il biondo Tevere lambisce; te ne andrai e l'erede si impadronirà delle ricchezze ammucchiate (accumulate). Non importa che tu sia nato ricco e discenda dall'antico Inaco, o povero e di miserabile gente e sotto questo cielo ancora indugi (soggiorni), (sarai lo stesso) vittima-preda dell'inesorabile Orco: tutti siamo spinti nello stesso luogo, la sorte di ognuno viene agitata nell'urna, destinata ad uscire prima o poi, e a metterci nella barca (imbarcarci) per l'eterno esilio.

Immortalità di poeta

Un monumento ho compiuto, più durevole del bronzo, più alto della mole delle piramidi dei re, non lo potrà corrodere la pioggia divoratrice, non lo farà crollare il vento sfrenato o la serie infinita degli anni, la fuga delle stagioni. Non morirò del tutto: anzi gran parte di me eviterà la morte: e sempre la mia fama crescerà rinnovandosi presso i posteri, finchè il pontefice salirà al campidoglio con la vergine silenziosa. Si dirà, dove risuona l’Aufido impetuoso e dove Dauno regnò su genti campagnole, che io, povero d’acqua, divenuto grande da umili origini, per primo ho portato la poesia eolica in ritmi latini. Fa tuo l’orgoglio ottenuto a buon diritto e poni a me…

Esempio