Ode XXX , Orazio

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Testo

ORAZIO – ODE XXX Donati Francesco IIC
Orazio si inscrive in quel folto gruppo di grandi poeti che hanno incaricato le loro opere di custodirli intatti nell’Olimpo della letteratura, difendendoli dal Nemico Tempo. La maggiore paura di uno scrittore che sa benissimo di essere grande è quella di essere dimenticato e Orazio, in questa ode, cerca di sventare il problema, paragonando la sua opera a Roma: come la fama dell’Urbe non verrà mai intaccata, anche il suo “monumentum” godrà di gloria eterna. E’ evidente come nei versi iniziali dell’ode Orazio crei subito un contrasto tra la fugacità e la precarietà del tempo e l’immobilità eterna della sua figura: “perennius”e “regalique situ pyramidum altius” sono in antitesi con “innumerabilis annorum series et fuga temporum”, il tutto legato con il verbo “diruere” che ha un preciso valore funzionale. Inoltre la sua saldezza è associata alla scena . che si ripeteva annualmente a Roma sul Campidoglio e il lento “scandere” del sacerdote e il sacro silenzio della vestale rappresentano la sacralità e l’importanza che affida alla sua opera
Anche il ritmo di questi versi iniziali cambia, da un inizio fermo, con “exegi”, a uno scorrere via, via più veloce, grazie all’uso di enjambement , mentre non cambia la decisione e la consapevolezza di Orazio, espressa con “non…moriar”, “crescam” e “dicar”. Quest’ultimo verbo è poi seguito da immagini naturali che ritornano alla mente del poeta: persino in questi luoghi, umili e nascosti, la fama di Orazio fa breccia, diviene “ex humili potens” e questo è quello che gli interessa maggiormente. Sottolineando la sua evoluzione, Orazio illustra anche il compito che si è assunto, ovvero quello di deducere “Aeolium carmen ad Italos …modos”. Il sostantivo “princeps” sta appunto a significare l’aspirazione a divenire il fondatore di un nuovo genere letterario, aspirazione già di Virgilio, Properzio, Lucrezio, ecc.
Questa affermazione ci conferma come il modello di ispirazione di Orazio sia essenzialmente la lirica di Lesbo, e principalmente quella di Alceo, più vicino a lui di quanto non lo fosse invece Saffo. Infatti alcune caratteristiche del poeta eolico sussistono in quello latino: l’attenzione per la natura(“qua violens obstrepit Aufidus”) e per gli argomenti politici. Ma l’analogia principale è sicuramente la metrica, poiché il metro qui utilizzato è eolico, in versi asclepiadei minori. Inoltre Orazio si ispira anche ad altri autori, come ad esempio Pindaro(vedi il primo verso) e alla poesia ellenistica, da cui forse deriva il gusto per l’eleganza della forma. E’ di fondamentale importanza l’”ego” del settimo verso che si erge a protagonista dell’ode. Ode che, essendo la trentesima del libro III di Orazio, ha una funzione di commiato nel quale il poeta, come si era soliti fare, illustra la propria opera facendo uso di alcuni cenni autobiografici. Infine l’ode si chiude con l’invocazione alla Musa Melpomene, ma è un’invocazione di tipo nuovo: Orazio cerca di non esaltarsi troppo lasciando la “superbiam” a lei, mentre in verità l’orgoglio è tutto suo.

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