Menecmi

Materie:Riassunto
Categoria:Latino

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Testo

Titolo: Menecmi (T)

PERSONAGGI


SPAZZOLA PARASSITA
MENECMO I
MENECMO II (SOSICLE)
EROZIA ETERA
CILINDRO CUOCO
MESSENIONE SERVO
UNA SCHIAVA
MATRONA, moglie di Menecmo I
VECCHIO, suocero di Menecmo I
UN MEDICO
(SCHIAVI)

La scena è a Epidamno.
ARGOMENTO
(acrostico)


Mosco, mercante siculo, era padre di due gemelli,
Sosicle e Menecmo,
E quand'uno di questi, vale a dire Menecmo, fu
rapito, il genitore
Ne morì dalla pena. Allora venne dato a Sosicle il
nome di Menecmo.
E quando questi fu cresciuto, corse per ogni terra
ricercando il suo
Carissimo fratello. Infine giunse nel paese ove l'altro
era vissuto.
Moglie e amante e tutti i cittadini scambian questo per
quello. Finalmente
Il nodo viene sciolto e i due Menecmi si salutan col
nome di fratelli.

PROLOGO


Signori spettatori, prima di tutto, salute. Auguri a voi e, se permettete, anche a me. Sapete chi vi porto? Plauto. Be', non ce l'ho sul palmo della mano, ma sulla punta della lingua. Spalancate le orecchie e accoglietelo come si deve, per piacere. E state attenti perché adesso vi scodello, il più brevemente che posso, il riassunto della commedia.
Sapete come capita, no?, nelle commedie. Gli autori fan finta che tutto succeda ad Atene, perché tutto abbia l'aria più greca che è possibile. Io invece dirò soltanto dove il fatto avvenne. Perché l'argomento, l'argomento di questa commedia, grecizza si, ma non atticizza. In realtà sicilianizza. E questo è il prologo del prologo. Ora il riassunto, per filo e per segno. Sì, ve lo servirò a larghi sorsi, perché io sono generoso, e non uso il contagocce o il cucchiaino, io, io vado a damigiane.
C'era una volta a Siracusa un vecchio mercante che aveva due figli gemelli, simili ma tanto simili tra loro che non riusciva a distinguerli né quella che li allattava né quella che li aveva partoriti. Così almeno mi ha detto uno che li ha visti. Quanto a me, io non li ho mai incontrati, che nessuno se lo metta in testa. I bambini compiono sette anni. Il padre arma una grossa nave, la carica di mercanzie, imbarca uno dei figli e con lui naviga verso Taranto, diretto a quel mercato. L'altro figlio, lo lascia a casa con la madre. A Taranto, quando sbarcano, c'è festa, con gran movimento, gente da tutte le parti, come succede in questi casi. Tra la folla, nella ressa, il bambino si smarrisce, lontano dal suo papà. Un tale di Epidamno, un mercante, lo vede, se lo porta via e lo conduce al suo paese. Disperato per la perdita del figlio, il padre si ammala e in pochi giorni, sempre a Taranto, tira l'ultimo fiato. Torniamo ora a Siracusa: non appena arriva la notizia che a Taranto gli è morto il figlio e il nipote è scomparso, il nonno, che a quel nipote voleva un bene dell'anima, il nonno cosa fa? Al bambino rimasto dà il nome di quello perduto, Menecmo, che era poi anche il nome suo, del nonno. È un nome facile da ricordare, per me, perché io ho ascoltato quelli che andavano gridandolo. A scanso di equivoci ve lo ripeto: i due gemelli hanno lo stesso nome, capito? Adesso mi tocca di ritornare a Epidamno - a piedi ahimè - per potervi riferire tutta la vicenda. Oh, se qualcuno di voi ha qualche affare da sistemare a Epidamno, me lo dica senza complimenti e disponga di me. Basta che mi dia un po' di grana per sistemare il negozio. Se non sgancia quattrini, vuol dire che è uno scherzo; se li sgancia, è una fregatura. Però adesso ritorno là donde ero partito e mi ci pianto. Quel tale di Epidamno, di cui vi ho parlato, ma sì, quello che s'è portato via il bambino, non aveva figli, niente, ma soldi sì, e parecchi. Adotta come figlio, allora, il bambino rapito, gli procura una moglie ben dotata e, giunto alla fine dei suoi giorni, lo lascia suo erede universale. Come morì? Per caso. Un giorno che era diluviato, mentre era diretto in campagna, entrò in un fiume impetuoso, poco fuori di città. Rapida la corrente rapì il rapitore, trascinandolo per i piedi e portandolo in grandissima malora. Le sue grandi ricchezze passarono al figlio adottivo, il quale, per vostra notizia, abita in questa casa qui. E ora passiamo all'altro, che vive a Siracusa, il quale però oggi viene a Epidamno con un servo, sempre alla ricerca del suo fratello germano. La vedete questa città? È Epidamno, fin che si recita questa commedia. Se la commedia cambia, la città diviene un'altra. Cambiano anche i ruoli degli attori: ora uno fa il ruffiano, ora il giovinetto, ora il vecchio, il povero, il mendico, il re, l'astrologo, il parassita...

ATTO I


SPAZZOLA
SPAZZOLA
La gioventù del paese mi ha dato un nome: Spazzola. Perché a tavola, quando mangio, io spazzo, faccio piazza pulita. Volete sentire la mia? Chi stringe in catene i prigionieri, chi mette in ceppi gli schiavi fuggitivi, fa una grossa stupidaggine. A un disgraziato, se gli raddoppi i castighi, gli cresce la voglia di fuggire e di fare delle carognate. E poi hai un bel legarli! Quelli incatenati per i piedi segano l'anello con la lima, o con un sasso sradicano il chiodo. Roba da ridere. Se vuoi tenerlo stretto, uno, che non ti scappi, devi legarlo con la pappatoria. Tiengli il becco a tavola imbandita. Finché gli dai da pappare e trincare a volontà, ogni giorno che passa, puoi giurarci che non la taglia, la corda, fosse anche in gioco la sua testa. Lo tieni facile se lo tieni così. Perché queste catene magna magna sono così elastiche che, più le molli, più stringono forte. Guardate me, che vado da Menecmo, a cui sono stato aggiudicato da un pezzo. Ci vado da solo, e volentieri, a farmi legare. Lui mica si limita a sfamarla, la gente, lui la rimette in sesto, la cura, l'ingrassa. Un medico più bravo non esiste. È anche, bisogna dirlo, una buona forchetta, che offre pranzi da festa dell'Abbondanza. La mensa? Nessuno la prepara come lui. La pappatoria? Te la serve a mucchi così alti che, per beccare la roba che sta in cima, devi levarti dritto sul triclinio. Però a me è capitato un maledetto intervallo, in questi giorni che non finivano mai. Ero confinato a casa mia, con i miei cari, io che compro e mangio solo ciò che è più caro. E i miei cari mi piantano in asso non appena vengono serviti. Toh, la porta si apre. È proprio lui, Menecmo, che sta uscendo di casa.

MENECMO I SPAZZOLA
MENECMO (parlando rivolto all'interno)
Non fossi così stupida, così prepotente, così ottusa, tu dovresti odiare tutto ciò che è odioso a tuo marito. Però bada: donna avvisata! Se ci ricaschi ancora io ti rispedisco a tuo padre, io ti ripudio. Sempre la stessa solfa! Non appena sto per uscire, tu mi richiami, mi trattieni, mi tempesti di domande. Dove vado, cosa faccio, che combino, cosa cerco, che porto, e fuori che cosa ho combinato. Ma io chi ho sposato? Una donna o un doganiere? Mi tocca di dire tutto, tutto quello che ho fatto e che farò. Sinora son stato troppo buono, ora basta. Ascoltami bene. Visto e considerato che io ti passo tutto in abbondanza, serve lana vestiti porpora e oro, e che non ti manca nulla di nulla, tu, se capisci qualcosa, tu la smetti di tampinarmi e di spiarmi. E così, tanto per cominciare, in premio del tuo zelo, e perché non mi vada spiando per nulla, ti comunico che oggi mi troverò una battona e mangerò con lei fuori di casa.
SPAZZOLA
E che ti credi, Menecmo? Di strapazzare tua moglie? Eh no, tu strapazzi me, se mangi fuori di casa.
MENECMO
Ah! Ce l'ho fatta a scrostarla dalla porta, mia moglie. Ma ce n'è voluto! Mariti puttanieri, dove siete? Cosa aspettate a coprirmi di regali? Cosa aspettate a congratularvi con me, che fortissimamente ho combattuto? Guardate questo mantello. L'ho fregato alla mia signora per regalarlo a una puttana. E così che si fa: a una carceriera tutta occhi, fregatura coi fiocchi. Questo è bello, questo è giusto, questo è divertente, e fatto a regola d'arte. A mio danno l'ho preso a quel malanno di mogliera per darlo a un altro malanno. Però ho strappato la preda al nemico, per il bene dell'alleato.
SPAZZOLA
Ehi, signorino, c'è niente per me in questa preda?
MENECMO
Povero me! È un tranello.
SPAZZOLA
Macché tranello! È un aiuto.
MENECMO
Chi va là?
SPAZZOLA
Sono io.
MENECMO
Salute, mia speranza e ausilio.
SPAZZOLA
Salute a te.
MENECMO
Che fai?
SPAZZOLA
Tengo in pugno il mio estro.
MENECMO
Non potevi arrivare in miglior punto.
SPAZZOLA
È la mia specialità. Ce l'ho in testa, il manuale dei momenti giusti.
MENECMO
Vuoi vedere qualcosa di gustoso?
SPAZZOLA
E chi l'ha cucinato? Mi basta un'occhiata agli avanzi per capire se c'è qualche magagna.
MENECMO
Dimmi: l'hai mai veduto, in un quadro, Ganimede rapito dall'aquila o Adone portato via da Venere?
SPAZZOLA
Certo che l'ho veduto. Ma cosa c'entro io con il quadro?
MENECMO
Guardami bene. Non gli somiglio?
SPAZZOLA
Ma come ti sei combinato?
MENECMO
Dimmi che sono carino.
SPAZZOLA
Dimmi dove si mangia.
MENECMO
Prima rispondi tu.
SPAZZOLA
Sì sì, sei proprio carino.
MENECMO
Non sai dire altro?
SPAZZOLA
Carino e spiritoso.
MENECMO
Va' avanti.
SPAZZOLA
Accidenti, no, se non so il motivo. Va be', hai litigato con tua moglie. Ragion di più per stare in guardia, con te.
MENECMO
Di nascosto, in barba a mia moglie, noi lo seppelliremo, lo porremo sul rogo allegramente, questo giorno.
SPAZZOLA
Dio come parli bene! Debbo accenderlo subito, il fuoco? È già morto a metà, questo giorno. Dall'ombelico in giù.
MENECMO
Se m'interrompi sempre, sei tu a farla lunga.
SPAZZOLA
Menecmo, cavami quest'occhio, buttalo via, se dico ancora una parola senza tuo ordine.
MENECMO
Allontanati un poco dalla porta.
SPAZZOLA
Ecco fatto.
MENECMO
Un altro po'.
SPAZZOLA
Va bene?
MENECMO
Via ancora, coraggio, lungi dalla tana del leone.
SPAZZOLA
Ma lo sai che saresti un ottimo cocchiere?
MENECMO
E perché?
SPAZZOLA
Ti guardi sempre indietro, che tua moglie non ti acchiappi.
MENECMO
Ma cosa dici?
SPAZZOLA
Io? Io dico sì e no come vuoi tu.
MENECMO
Tu, al fiuto, sapresti riconoscere un odore?
(SPAZZOLA)
Meglio di un cane da tartufi.
MENECMO
Questo mantello qui, che ci ho addosso, annusalo bene. Di cosa sa? Scappi?
SPAZZOLA
Le vesti delle donne, devi nasarle di sopra, perché di sotto il naso ti si infogna.
MENECMO
Qui devi annusare. Qui. Ma lo sai che sei delicato?
SPAZZOLA
Per forza!
MENECMO
E allora, che odore è? Rispondi.
SPAZZOLA
Furto, mangime e femmina.
MENECMO
L'hai detto. Tra poco sarà nelle mani di Erozia, questo mantello. Ma sì, della mia cara cocottina. Ora do l'ordine che si prepari il pranzo per me, per te e per lei.
SPAZZOLA
Bravo!
MENECMO
Brinderemo sinché non sorga la stella del mattino di domani.
SPAZZOLA
Parole d'oro. Evviva! Busso subito alla porta?
MENECMO
Bussa, cioè no. Aspetta un pochino.
SPAZZOLA
Mi allontani il bicchiere di un chilometro.
MENECMO
Bussa piano, tic tic.
SPAZZOLA
Di cosa hai paura? Che la porta sia di pastafrolla?
MENECMO
Fermati, perbacco, fermati. Eccola che vien fuori. Guardala, è il sole. Non è oscurato, il sole, dallo splendore della sua persona?

EROZIA SPAZZOLA MENECMO I
EROZIA
Menecmo, anima mia! Ti saluto.
SPAZZOLA
E me, niente?
EROZIA
E tu cosa c'entri? Sei in più.
SPAZZOLA
Come i giocatori di riserva.
MENECMO
Io, qui, comando e voglio che si prepari la battaglia. A casa tua, Erozia.
EROZIA
Sarà provveduto oggi stesso.
MENECMO (a Spazzola)
Nel vivo della battaglia, noi due berremo, io e te. Dirà il bicchiere chi di noi due è il combattente migliore. (A Erozia) E tu deciderai con chi passare questa notte, Erozia. Dolcezza mia, più ti guardo e più detesto mia moglie.
EROZIA
Però nel frattempo non puoi fare a meno di metterti addosso qualcosa di suo. Che roba è questa?
MENECMO
Rosellina mia, con questo svesto lei e vesto te.
EROZIA
Tra tutti i miei pretendenti, tu batti tutti e stai più in alto di tutti.
SPAZZOLA
Liscialo, liscialo, brutta slandra, finché c'è qualcosa da cuccargli. Se ne fossi innamorata, gli avresti già mangiato il naso a morsi.
MENECMO
Spazzola, tieni. Ciò che ho promesso in voto, voglio offrirlo.
SPAZZOLA
Passa. Ma dopo, per favore, facci un ballo con il mantello. Così.
MENECMO
Ballare io? Sei matto?
SPAZZOLA
Matto io? Magari tu. Se non balli, levatela, quella roba.
MENECMO
A mio rischio e pericolo l'ho strappata, oggi. Rischiò meno Ercole quando fregò la cintura alla regina delle amazzoni. Prendila, ti prego, Erozia, poiché tu vivi per la mia gioia.
EROZIA
Così, così han da fare gli amanti degni di questo nome.
SPAZZOLA
Che han fretta di finire all'elemosina.
MENECMO
Quattro mine ho sganciato, quattro, per regalarla a mia moglie l'anno scorso.
SPAZZOLA
Quattro mine Kaput, se il conto torna.
MENECMO
Erozia, sai cosa desidero da te?
EROZIA
Certo che lo so. Farò quello che vuoi.
MENECMO
Da' gli ordini per il pranzo, allora. Sono tre coperti. Fa' cercare al mercato qualcosa di super. Animelle di porco, prosciutto, testa di maiale o qualcosa del genere. Preparali ben cotti e servi in tavola, che mi venga una fame da squalo. Ma presto.
EROZIA
Ma subito, per Castore.
MENECMO
Intanto noi facciamo una capata al foro. Ritorniamo subito. Mentre la pappa cuoce, noi ci faremo una bevutina.
EROZIA
Vieni quando vuoi. Sarà tutto pronto.
MENECMO
E presto, mi raccomando. (A Spazzola) Vieni meco, tu.
SPAZZOLA
Ti seguo, ti seguo, non temere. Io non ti mollo neanche per tutto l'oro del mondo.
EROZIA (alle sue schiave)
Chiamatemi subito Cilindro, il cuoco. Lo voglio subito qui.

EROZIA CILINDRO
EROZIA
Acchiappa sporta e argento. To', sono tre nummi.
CILINDRO
Son qui.
EROZIA
Va' e torna con la roba. Giusto per tre persone. Né scarso né abbondante.
CILINDRO
Gli invitati, che tipi sono?
EROZIA
Io e Menecmo, e il suo parassita.
CILINDRO
Allora siete in dieci. Spazzola da solo fa per otto.
EROZIA
Io ti ho detto chi c'è. Arrangiati.
CILINDRO
D'accordo. La cena è già cotta. Falli accomodare.
EROZIA
Ritorna presto.
CILINDRO
Sarò qui in un attimo.

ATTO II


MENECMO II MESSENIONE
MENECMO
O Messenione, Messenione! C'è gioia più grande, per un navigante, che scorgere la terra di lontano?
MESSENIONE
Più grande ancora, dico io, è quando si rivede la patria. Ma vuoi dirmi, per favore, perché siamo venuti a Epidamno? O siamo come il mare, noi, che gira intorno a tutte le isole?
MENECMO
Siamo qui per cercare mio fratello.
MESSENIONE
Non finirà mai questa ricerca? Sono sei anni che ci proviamo. Istria, Spagna, Marsiglia, Illiria, l'Adriatico, la Magna Grecia, tutti i porti d'Italia, ovunque il mare si frange: ne abbiamo fatta di strada! Se tu cercassi un ago, ammesso che esista, l'avresti già trovato. Chi andiamo cercando? Tra i vivi un morto. Se fosse vivo, l'avremmo incontrato da un pezzo.
MENECMO
Mi basterebbe questo: la certezza. Almeno trovassi uno che mi garantisse che è morto. Troncherei subito ogni ricerca. Ma intanto, sinché son vivo, io non ci rinuncio. Lo so io quanto mi è caro mio fratello.
MESSENIONE
Tu vai cercando la luna nel pozzo. Suvvia, ritorniamo a casa nostra. O dobbiamo fare un reportage?
MENECMO
Fa' quel che ti dico, mangia quel che ti passo, guardati dai malanni e bada di non scocciarmi. Non sarai tu a guidarmi.
MESSENIONE (tra sé)
Sì, basta questo per ricordarmi chi sono: uno schiavo. Non poteva dirlo più chiaro con meno parole. Eppure io non posso tacere. O Menecmo, mi ascolti? il nostro bagaglio, per quanto io lo guardi, non è che un bagaglio estivo. Per Giove, se non ritorni a casa, ti troverai senza niente, e allora altro che ricerca del gemello! Saranno gemiti. E sai che razza di gente c'è in questo paese. Trincatori, buontemponi, e fior di imbroglioni, ladri matricolati e così via. E le puttane? Seduttrici come non ce n'è altre sulla terra. Perciò lo chiamano Epidamno. Nessuno ci passa senza danno.
MENECMO
Ci penso io. Tu dammi qui la borsa.
MESSENIONE
Per farne che?
MENECMO
A sentirti, mi son preso paura. Di te.
MESSENIONE
Di cosa hai paura?
MENECMO
Che tu mi rechi danno a Epidamno. Se c'è un donnaiolo, quello sei tu. Io poi sono un tipo ruvido e violento. Se tengo io la cassa, mi schivo due pericoli: che tu ceda alla tentazione e che io m'infuri di brutto.
MESSENIONE
Prendila e tienla stretta. Mi fai un piacere.

CILINDRO MENECMO II MESSENIONE
CILINDRO
Tutto bene con la spesa. Gli schiafferò davanti, agli invitati, un pranzetto coi fiocchi. To', guarda chi si vede, Menecmo. Povera la mia schiena! Gli invitati son già dinanzi alla porta e io ritorno solo adesso dalla spesa. Sarà bene che vada a parlargli. Salute, Menecmo.
MENECMO
Chiunque tu sia, che gli dèi ti proteggano.
CILINDRO
Chiunque io sia? Ma non lo sai chi sono?
MENECMO
Perché dovrei saperlo?
CILINDRO
Gli altri invitati, dove sono?
MENECMO
Ma quali invitati vai cercando?
CILINDRO
Il tuo parassita.
MENECMO
Il mio parassita?
CILINDRO
Questo è diventato matto.
MESSENIONE
Cosa ti dicevo? Qui gli imbroglioni sono come mosche.
MENECMO (a Cilindro)
Ragazzo, di quale parassita stai parlando?
CILINDRO
Di Spazzola, no?
MESSENIONE
La spazzola ce l'ho dentro il sacco, e sta sicura.
CILINDRO
Menecmo, sei in anticipo sul pranzo. Io ritorno adesso dalla spesa.
MENECMO
Dimmi un po' ragazzo: quando viene, qui, un porcellino da sacrificare?
CILINDRO
Un nummo.
MENECMO
To', eccoti un nummo. Fatti curare a mie spese. Una cosa è certa: chiunque tu sia, sei malato nella testa, visto che vai scocciando gente che non conosci neppure.
CILINDRO
Ma io sono Cilindro! Non ricordi più il mio nome?
MENECMO
Cilindro o Culindro, vattene in malora... Non ti conosco e non voglio conoscerti, io.
CILINDRO
Io conosco il tuo nome, Menecmo.
MENECMO
Per quanto ne so, è il mio nome. Quando mi chiami col mio nome parli da sano. Ma dove mi hai conosciuto?
CILINDRO
Dove ti ho conosciuto? La mia padrona, Erozia, non è la tua amichetta?
MENECMO
No che non lo è. E non so neanche chi tu sia.
CILINDRO
Non sai chi sono? Ma scusa, chi ti versa da bere quando stai da noi?
MESSENIONE
Mi dispiace solo una cosa, che non ho niente per rompergli la testa.
MENECMO
Tu mi versi da bere? A me che prima di oggi non l'avevo mai vista, Epidamno?
CILINDRO
Dici di no?
MENECMO
Dico di no e ancora no.
CILINDRO
Ma tu non abiti lì?
MENECMO
Che gli dèi li mandino in rovina, quelli che ci stanno.
CILINDRO
È impazzito, si getta addosso il malocchio. Mi ascolti, Menecmo?
MENECMO
Che vuoi?
CILINDRO
Dammi retta, riprenditi il tuo nummo. Accidenti, Menecmo, tu non sei mica sano se ti auguri la malasorte. Se ti rimane un poco di giudizio, fallo portare a te il porcellino da sacrificare.
MESSENIONE
Ma che razza di scemo! Che razza di scocciatore!
CILINDRO
Gli piace scherzare, è un tipo così. Basta che non ci sia sua moglie. Allora, che cosa dici? che cosa dici?, ripeto. Su, da' un'occhiata alla spesa che ho fatto per voi tre, tu e la donna e il parassita. Basta o debbo comprare dell'altro?
MENECMO
Ma quale donna, quale parassita vai dicendo?
MESSENIONE
Ma che razza di bidone stai covando, che continui a rompergli le scatole?
CILINDRO
E tu che c'entri? Mica ti conosco, te. Io parlo a lui perché lo conosco.
MESSENIONE
Una cosa è sicura: tu sei lo scemo del villaggio.
CILINDRO
Be', faccio cuocere tutto, allora. Sarà pronto in men che non si dica. Non allontanarti troppo dalla casa, eh. Ti serve altro?
MENECMO
Che tu vada diritto sulla croce.
CILINDRO
No, va' tu dentro casa, e mettiti a tavola. Io intanto affido questi viveri al fuoco di Vulcano. Adesso rientro e glielo dico, a Erozia, che tu sei qui davanti, così che ti faccia accomodare. Sempre meglio che stare fuori, no?
MENECMO
Se ne è andato? Era ora. Capisco bene, adesso, che non parlavi a vanvera.
MESSENIONE
Però attenzione. Credo che in questa casa abiti una meretrice, stando a ciò che diceva quello scemo.
MENECMO
Che strano, però. Conosceva il mio nome.
MESSENIONE
Niente di strano, è un trucco delle puttane. Mandano al porto schiavetti e servette e, quando arriva una nave forestiera, loro vanno curiosando, che gente è, come si chiama, donde viene, eccetera. E subito gli si appiccicano, le sanguisughe, lo spellano vivo e lo rimandano nudo a casa sua. Sai cosa c'è in questo porto? Una nave corsara. Dobbiamo tenere gli occhi aperti, penso io.
MENECMO
Non dici mica male.
MESSENIONE
Lo saprò se tu starai in guardia.
MENECMO
Zitto! La porta sta cigolando. Vediamo un po' chi viene fuori.
MESSENIONE
Io intanto metto giù i bagagli. (Ai marinai che sono al seguito di Menecmo II) Ehi, voi, culi di marina. Datele un'occhiata.

EROZIA MENECMO II MESSENIONE
EROZIA (verso l'interno)
La porta, lasciala così e sparisci. Non voglio che sia chiusa. E poi datti da fare, là dentro, che tutto sia a posto. (Alle schiave) Voi stendete i letti, bruciate i profumi. Il lusso è il miele degli innamorati. Rovina per loro, guadagno per noi. Ma dov'è quello che il cuoco dice che è davanti a casa? Eccolo, lo vedo, l'uomo che è mia risorsa e provvidenza. Ragion per cui è necessario che sia, secondo il suo merito, il preferito in casa mia. Ora vado da lui e gli parlo. Animuccia mia, ma perché resti li fuori? La mia porta è sempre aperta per te, più che la casa tua. Sì perché la tua vera casa è questa. È tutto pronto, sai, proprio come hai voluto e comandato. Non c'è mica da aspettare. Il pranzo è servito, come lo desideravi. Quando credi, puoi accomodarti a tavola.
MENECMO
Ma con chi sta parlando questa donna?
EROZIA
Con te, no?
MENECMO
E chi ti ha mai conosciuta? Chi ti conosce, te?
EROZIA
Venere ha voluto che, tra tutti gli uomini, io amassi te solo. E non senza merito tuo, perché soltanto tu, con la tua munificenza, mi dai ragione di fiorire.
MENECMO
Che è, Messenione? È pazza o sbronza, questa donna, che si rivolge a uno sconosciuto in maniera tanto familiare?
MESSENIONE
Te l'ho detto, no? Qui fanno così. Ora cadono foglie ma prima di tre giorni, se restiamo, ti cascheranno addosso gli alberi. Sono fatte così, le puttane di Epidamno. Tutte succhiatrici di quattrini. Ma lascia che le risponda io. Ehi, donna, parlo a te.
EROZIA
Che c'è?
MESSENIONE
Quest'uomo, dove l'hai conosciuto?
EROZIA
Dove lui mi conosce da un pezzo. A Epidamno.
MESSENIONE
Epidamno? Se mai ci ha messo piede, prima di oggi, in questa città.
EROZIA
Scherzi, eh? Menecmo mio, per favore, vuoi venire dentro? Starai più comodo, no?
MENECMO
Accidenti, anche lei mi chiama col mio nome! Sono sbalordito. Ma che faccenda è questa?
MESSENIONE
Ha nasato l'odore di pecunia che ti porti dietro.
MENECMO
Sì, hai fatto bene a mettermi in guardia. Tienla tu, la borsa. Così potrò sapere se costei ama più me o la pecunia.
EROZIA
Avanti, entriamo. Si pranza!
MENECMO
Un invito gentile, il tuo. Grazie, no.
EROZIA
No? Ma allora perché mi hai appena detto di far cuocere il pranzo?
MENECMO
L'ho detto io? Il pranzo?
EROZIA
Sicuro. Per te e il tuo parassita.
MENECMO
Ma quale parassita, accidenti? Giuro che questa donna è suonata.
EROZIA
Spazzola!
MENECMO
Spazzola, dici. Per pulir le scarpe?
EROZIA
Spazzola, sì, quello che è venuto insieme a te quando mi hai regalato il mantello che avevi fregato a tua moglie.
MENECMO
Cosa? Ti ho regalato un mantello, a te, che ho fregato a mia moglie? Vaneggi? Di sicuro questa qui dorme e sogna in piedi come un cavallo.
EROZIA
Ci provi gusto a prendermi in giro? A negare quello che c'è stato?
MENECMO
Dimmi bene. Che cos'è che nego che c'è stato?
EROZIA
Tu oggi mi hai regalato un mantello di tua moglie.
MENECMO
Lo nego e torno a negarlo. Punto primo, io non ho moglie e non l'ho mai avuta. Secondo, da quando sono nato non ho mai messo piede in casa tua. Ho pranzato sulla nave, poi sono sbarcato, ti ho incontrata.
EROZIA
Povera me, sono perduta! Ma di che nave stai parlando?
MENECMO
Una nave di legno, spesso malconcia, spesso riparata, e ribattuta a colpi di martello. Più o meno come la bottega di un pellicciaio, con i suoi pali messi in fila.
EROZIA
E adesso basta, per piacere! Smettila con gli scherzi e vieni dentro.
MENECMO
Non so chi stai cercando, donna. Certo non me.
EROZIA
Così io non conosco Menecmo figlio di Mosco? Non so che sei nato in Sicilia, a Siracusa? Che là regnava Agatocle, cui succedette Finzia, e poi Liparone, che morendo lasciò il trono a Gerone che tuttora lo tiene?
MENECMO
Accidenti, donna, non sbagli mica.
MESSENIONE
Per Giove! Che venga di laggiù, questa donna che ti conosce così bene?
MENECMO
Per Ercole! Mi pare che non posso mica dir sempre di no.
MESSENIONE
Non smollare! Se passi quella porta, sei perduto.
MENECMO
Taci un momento. La cosa si mette bene. Alla donna, dica quel che vuole, risponderò sempre di sì, pur di godere dell'alloggio. Bellezza, se prima ti davo sulla voce, non era mica per niente. Avevo paura che questo tipo qui spifferasse tutto a mia moglie, mantello e pranzo eccetera. E ora, se lo desideri, entriamo.
EROZIA
Non aspetti il parassita?
MENECMO
No che non l'aspetto. Di lui me ne faccio un fico, di lui. Se arriva, anzi, tu non lasciarlo entrare.
EROZIA
Bene, questo mi va a fagiolo. Ma a te vorrei chiedere un favore.
MENECMO
Aspetto i tuoi comandi.
EROZIA
Quel mantello, sai, che mi hai regalato, dovresti portarlo dal ricamatore. Ma sì, per farlo ritoccare, per aggiungergli qualcosina di bello.
MENECMO
Perbacco, è una buona idea. Dopo non sarà più riconoscibile e mia moglie, se t'incontra, non si accorgerà di nulla.
EROZIA
Quando te ne andrai, portalo via con te.
MENECMO
Perfetto.
EROZIA
E adesso entriamo.
MENECMO
Ti seguo subito. Debbo dirgli una parola, a quello. Ehi, Messenione, vieni qui. (Erozia entra in casa.)
MESSENIONE
Che c'è?
MENECMO
Che bisogno c'è?
MESSENIONE
C'è bisogno, sì.
MENECMO
Lo so che cosa vuoi dirmi.
MESSENIONE
Tanto peggio.
MENECMO
Ce l'ho in pugno, l'affare! L'operazione è partita bene. Tu fa' prima che puoi e portali alla locanda, questi della ciurma, e cerca di ritornare prima che faccia notte.
MESSENIONE
Padrone mio, tu mica le conosci, le puttane di qui.
MENECMO
Zitto e mosca, tu. Sono io che pago, io, se faccio delle cretinate. La donna è una balorda, un'ignorante. C'è da far bottino, da quel che ho capito.
MESSENIONE
Sono fritto! Ma ci vai già, là dentro? Sei un uomo perduto. La nave dei pirati ha ramponato la nostra navicella. Ma che sciocco sono, che voglio far da balia al mio padrone. Mi ha comprato perché gli obbedissi, non perché gli comandassi. Via con me, ragazzi, che dopo io ritorno qui, come ha detto il padrone.

ATTO III


SPAZZOLA
SPAZZOLA
I trenta li ho passati, li ho, ma in tutti questi anni mai l'avevo fatta, mai, la figura di oggi. Balengo d'un balengo, vado a cacciarmi in mezzo all'assemblea, e me ne sto lì a bocca aperta, io, e intanto Menecmo se la squaglia, alla faccia mia, e torna dalla sua amica senza rimorchiarmi. Che dio maledica quello che le ha inventate, le assemblee, che rubano il tempo a chi non ha tempo da perdere. Ma mandateci i disoccupati, mandateci i fannulloni, e spogliateli nudi se non corrono all'appello. Ecco chi deve andarci: chi mangia sì e no una volta al giorno, chi non ha niente da fare, chi non invita a pranzo e manco viene invitato. Andassero così, le faccende, mica l'avrai perduto il pranzo di oggi, il pranzo che volevano offrirmi, com'è vero che vivo. Andiamo. Mi consola il pensiero che forse ci saranno degli avanzi. Ma che cavolo vedo? Menecmo se ne esce con una corona in testa. Il pranzo è andato a ramengo. Però l'ho trovato in tempo, meno male. Ma guardiamo un po' cosa combina. Poi lo abbordo e gli parlo.

MENECMO II SPAZZOLA
MENECMO (rivolgendosi verso l'interno)
Sta' tranquilla, te lo riporto oggi stesso, rinnovato di tutto punto, il tuo mantello. Dirai che non è più lo stesso. Nessuno lo riconoscerà.
SPAZZOLA
Ha mangiato, ha bevuto, lui, col parassita fuori della porta, e adesso porta il mantello al ricamatore. Canchero, non sono più io se non faccio vendetta dell'offesa. Aspetta che ti metto a posto.
MENECMO
Dèi immortali! Chi mai ha ricevuto da voi, in un sol giorno, benefici così? Uno che manco se l'aspettava! Ho mangiato, ho bevuto e fatto l'amore. Ho rimediato anche questo mantello, che lei può salutare.
SPAZZOLA
Canchero, qui nascosto mica lo sento bene. Lui ci ha la pancia piena, lui; che parli di me e della parte che toccava a me?
MENECMO
Lei dice che gliel'ho regalato io, il mantello, dopo averlo fregato a mia moglie. Prende lucciole per lanterne, come se fossimo in confidenza, noi due, ma io le do spago. Lei diceva una cosa, io pure. Perché farla lunga? Mai stato così bene, e con una spesa così piccola.
SPAZZOLA
Adesso l'aggancio. Dio, che voglia di dirgliene quattro di traverso.
MENECMO
Chi è quel tipo che mi viene incontro?
SPAZZOLA
Che mi dici, uomo? Razza di leggera, sei più leggero di una piuma. Tu sei un rifiuto, un bidone e una caccola di topo. Cosa ti ho fatto per darmi quella fregatura? Perché mi hai seminato, al foro? L'hai fatto in mia assenza il funerale al pranzo. E con che faccia? Non ci avevo anch'io la mia parte?
MENECMO
Ragazzo, per piacere! Cos'hai da spartire con me, cosa vuoi? Perché lanci improperi da cretino contro uno che neanche conosci? Che cosa vuoi in cambio? La malora?
SPAZZOLA
La malora me l'hai già data, canchero.
MENECMO
Avanti, ragazzo, dimmi come ti chiami.
SPAZZOLA
Sfotti anche? Come se non lo sapessi.
MENECMO
Che io mi sappia, non ti ho mai visto né conosciuto prima di oggi. Però, chiunque tu sia, fammi un piacere: se non vuoi rompere, fila.
SPAZZOLA
Menecmo, sveglia!
MENECMO
Sono sveglio, accidenti, a quel che so.
SPAZZOLA
Tu non mi conosci, me?
MENECMO
Se ti conoscessi, mica lo negherei.
SPAZZOLA
Il parassita tuo, mica lo conosci?
MENECMO
Ragazzo, tu non sei a posto con la testa, a quanto pare.
SPAZZOLA
Rispondimi: questo mantello, questo qui, l'hai o non l'hai fregato a tua moglie? L'hai o non l'hai regalato a Erozia?
MENECMO
Io non ce l'ho, la moglie, e a Erozia non ho dato nulla, e non ho fregato nessun mantello.
SPAZZOLA
Ma tu ragioni? Che canchero di affare! Non ti ho visto io, con i miei occhi, venir fuori di casa con il mantello addosso?
MENECMO
Attento a te! Credi che siano tutti dei finocchi perché lo sei tu? Osi dire che mi hai veduto, me, vestito da donna?
SPAZZOLA
Lo dico e lo ripeto.
MENECMO
Ma tu sei pazzo, pazzo tre volte. Ma vattene in malora, o fatti benedire.
SPAZZOLA
Ma io glielo dico, a tua moglie, canchero se non glielo dico come è andato l'affare. Nessuno mi fermerà. Ti ricadranno sulla testa, a te, tutte le tue contumelie. Quel pranzo non l'avrai sbafato impunemente. Ci penso io, ci penso.
MENECMO
Ma che storia è questa? Perché mi sfottono tutti quelli che mi incontrano? Boh! Ma la porta sta cigolando.

SCHIAVA MENECMO II
SCHIAVA
Menecmo, Erozia dice che ti sarebbe grata se portassi all'orefice questo braccialetto, gli facessi aggiungere un'oncia d'oro e lo facessi rimettere a nuovo.
MENECMO
Questo e altro e tutto quel che vuole. Dille che ci penso io, per ciò che desidera.
SCHIAVA
Il braccialetto, lo sai che storia ha?
MENECMO
È d'oro, vedo, ma non so altro.
SCHIAVA
Ma è quello che hai preso di nascosto dall'armadio di tua moglie. L'hai detto tu.
MENECMO
Non mi sono mai sognato.
SCHIAVA
Ma scusa, non ti ricordi? Se non ti ricordi, dammelo indietro.
MENECMO
Ferma. Sì, sì, adesso mi viene in mente. È quello che le ho regalato. Proprio quello. E le armille che le ho dato insieme, dove sono?
SCHIAVA
Mica gliele hai date.
MENECMO
Ah già, le ho dato solo il braccialetto.
SCHIAVA
Posso riferirle che ci pensi tu?
MENECMO
Dille che sarà fatto. Mantello e braccialetto glieli farò riportare insieme.
SCHIAVA
Menecmo mio carissimo, regalami un paio di orecchini. Fammi fare due pendenti del peso di due nummi. Ti rivedrò più volentieri, quando ritornerai da noi.
MENECMO
Come no. Tu dammi l'oro che io pagherò la mano d'opera.
SCHIAVA
Metticelo tu, l'oro, per favore. Io te lo ridarò.
MENECMO
Eh no, dammelo tu. Io dopo ti renderò il doppio.
SCHIAVA
Ma io non ce l'ho.
MENECMO
Va be', me lo darai quando ce l'avrai.
SCHIAVA
Ti serve altro?
MENECMO
Dille che io penso a tutto... (sottovoce) che penserò a vendere tutto al miglior prezzo che si può spuntare. È rientrata in casa? Sì, è rientrata, ha chiuso la porta. Gli dèi mi amano, mi aiutano, mi coprono di doni. Ma che ci faccio, qui? Gambe, visto che mi si offre l'occasione di squagliarmela da questi luoghi puttaneschi. Svelto, Menecmo! Forza con i piedi! Via questa corona, via. La getto verso sinistra, così, se qualcuno mi vien dietro, penserà che son passato di lì. Corro a raggiungere il mio servo, se ce la faccio. Voglio che sappia, dalla mia bocca, quanti beni mi offrono gli dèi. (Si avvia verso destra.)

ATTO IV


MATRONA SPAZZOLA
MATRONA
Dovrei sopportarlo, io, questo schifo di matrimonio con un marito che mi sgraffigna tutto di nascosto e lo regala alla sua puttana?
SPAZZOLA
Perché non stai zitta? Voglio che tu lo peschi sul fatto. Vieni un pochino qua. Lui, sbronzo, con la corona in testa, l'ha portato dal ricamatore, il tuo mantello, quello che oggi ti ha rubato di casa. Ma eccola qui, la corona che portava in testa. Racconto forse delle balle, io? Ecco, se ne è andato per di qua. Se vuoi puoi seguire le sue tracce. Canchero, è già qui che ritorna. Però non ha mica il mantello.
MATRONA
E adesso come debbo fare con lui?
SPAZZOLA
Fa' come sempre. Trattalo a pesci in faccia. Ecco la mia opinione. Ora mettiamoci in disparte. Tu spialo di nascosto.

MENECMO I SPAZZOLA MATRONA
MENECMO
Ma quant'è cretino, quant'è scomodo questo uso. Un uso del buso! E chi è che ci casca? Chi conta di più, chi sta più in alto. Gli piace che un codazzo di clienti, buoni o cattivi cosa importa, tenga dietro ai suoi passi. E come cliente, chi viene scelto? La gente per bene? Balle. La gente con la grana. Chi è buono e povero peggio per lui, non esiste. Chi è perfido e ricco, ecco il cliente che ci vuole. Gentaglia senza legge né onore, quante noie procurano ai loro protettori! Negano l'evidenza, giurano il falso. Son pieni di liti, rubano e infinocchiano. Si son messi da parte un patrimonio a colpi di usura e di spergiuri. Non pensano che a fregare. Se gli fai causa, fai causa anche ai loro difensori, che son costretti a correre e sgolarsi, per nascondere le loro malefatte. E la questione vien discussa dinanzi al popolo, o al pretore, o al giudice. È capitata a me, oggi. Un cliente mi ha messo in croce, mi ha messo. Mi ha legato e bloccato, impedendomi di fare ciò che volevo, con chi volevo. Mi è toccato di dover difenderlo dinanzi agli edili per tutte le sue carognate, inventando ogni sorta di cavilli. Avevo detto più o meno quel che ci voleva, sulla lite, per arrivare a un accordo. Ecché si degna di prestar garanzia? E sì che non l'avevo mai visto un torto marcio come il suo. A inchiodarlo c'erano tre testimoni, tutti decisi e accaniti. Mi ha rovinato la giornata, che gli dèi lo stronchino! E stronchino anche me, che ho avuto la bella idea di fare una capata al foro. Risultato? Un magnifico giorno buttato via. Ho ordinato un pranzetto e l'amica mi attende, lo so. Son fuggito dal foro non appena ho potuto. Sarà fuori dai gangheri, Erozia, me l'immagino. Be', il mantello che le ho regalato, che ho fregato a mia moglie e dato a lei, placherà le sue ire.
SPAZZOLA (alla Matrona)
Che ne pensi?
MATRONA
Malmaritata a mal marito, sono.
SPAZZOLA
Hai sentito quel che dice?
MATRONA
L'ho sentito anche troppo.
MENECMO
Se ci ho un filo di giudizio, io mi ficco là dentro, dove sì che sto bene.
SPAZZOLA
Male ci starai. Aspetta!
MATRONA
Hai rubato? Tanto peggio per te!
SPAZZOLA
Piglia su!
MATRONA
Ma cosa ti credevi? Di farmela di nascosto?
MENECMO
Moglie mia, di cosa stai parlando?
MATRONA
E me lo chiedi?
MENECMO
A chi dovrei chiederlo? A lui?
MATRONA
Tieni giù quelle mani.
SPAZZOLA
Beccati anche questa.
MENECMO
Perché mi guardi male?
MATRONA
Dovresti saperlo.
SPAZZOLA
Certo che lo sa, ma fa finta, quel verme.
MENECMO
Insomma, che c'è?
MATRONA
Il mio mantello.
MENECMO
Il mantello?
MATRONA
Il mantello... qualcuno...
SPAZZOLA
Ma perché hai paura?
MENECMO
Paura io?
SPAZZOLA
Soltanto di una cosa. Quel mantello ti smantella. Te lo sei sbafato, il pranzo? Di nascosto? Senza di me? Donna, dagli addosso!
MENECMO
Ma perché non stai zitto?
SPAZZOLA
Zitto un corno. (Alla donna) Mi fa segno di non parlare.
MENECMO
No, per Giove! Io non segno e non sugno.
MATRONA
Ahimè, ahimè, quanto sono disgraziata!
MENECMO
Perché ti lamenti? Spiegami.
SPAZZOLA
Nega persino l'evidenza. Che faccia!
MENECMO
Su Giove e su tutti gli dèi, ti giuro, moglie mia, che non gli ho fatto segni. Ti basta?
SPAZZOLA
Va be', ti crede, su questo, ma perché non ritorni?
MENECMO
Dove debbo ritornare?
SPAZZOLA
Dal ricamatore, no? Corri a riprendere il mantello.
MENECMO
Di che mantello parli?
SPAZZOLA
Basta, non parlo più. Questa qui non si ricorda più manco della sua roba.
MENECMO
Forse un servo ha mancato gravemente? Servi o serve ti han risposto male? Dimmelo, gliela farò pagare.
MATRONA
Tu meni il can per l'aia.
MENECMO
Dio com'è seria. Non mi piace mica, quando fai così.
MATRONA
Tu meni il can per l'aia.
MENECMO
Forse ti ha offeso qualcuno della famiglia.
MATRONA
Tu meni il can per l'aia.
MENECMO
Ce l'avrai mica con me?
MATRONA
Ora non meni più il can per l'aia.
MENECMO
Eppure non ho fatto nulla di male, io.
MATRONA
Meni di nuovo il can per l'aia.
MENECMO
Moglie mia, non vuoi spiegarmi? Che cosa c'è che ti rattrista?
SPAZZOLA
Com'è bravo con la vasellina.
MENECMO
Ma non vuoi piantarla? Mica parlo con te.
MATRONA
Giù quelle manacce!
SPAZZOLA
Beccati anche questa. Corri, corri a sbafare senza di me; e poi sfottimi dinanzi alla casa, sbronzo e con la corona.
MENECMO
Per Giove! Non ho neanche mangiato, oggi, e lì dentro non ci ho messo piede.
SPAZZOLA
Hai il coraggio di negare?
MENECMO
Certo che lo nego.
SPAZZOLA
Non c'è nulla di più sfacciato di lui. Non ti ho visto io, qui, dinanzi a questa casa qui, con una corona di fiori sulla testa? Quando dicevi che mi manca un venerdì? E che non mi conosci? E che sei un forestiero?
MENECMO
Ma se io, dacché ti ho lasciato, ritorno a casa solo adesso!
SPAZZOLA
Ti conosco, io. Non mi facevi capace di vendicarmi, eh? Accidenti, ho detto tutto a tua moglie.
MENECMO
E cosa le hai detto?
SPAZZOLA
Non lo so. Chiedilo a lei.
MENECMO
E allora, moglie, che cosa ti ha raccontato? Cosa c'è? Perché te ne stai zitta? Non me lo vuoi dire?
MATRONA
Come se tu non sapessi. Mi han rubato un mantello.
MENECMO
Ti han rubato un mantello?
MATRONA
E me lo chiedi?
MENECMO
Se lo sapessi, non starei a chiederlo.
SPAZZOLA
Guarda che gancio! Guarda come maschera! Ma non ci riesci mica, non ci riesci. Lei sa tutto. Canchero, io ho aperto il rubinetto.
MENECMO
E allora?
MATRONA
Se non hai né pudore né vergogna, se non vuoi confessare spontaneamente, apri bene le orecchie. Te lo faccio sapere io perché sono arrabbiata e che cosa mi ha raccontato Spazzola. Da casa mi han rubato un mantello.
MENECMO
Un mantello? L'han rubato a me?
SPAZZOLA
Guarda che vuole rigirarti, quel puzzone. L'hanno rubato a lei, non a te! Se l'avessero rubato a te, ora sarebbe al sicuro.
MENECMO
Io con te non parlo. Ma tu, moglie, che cosa dici?
MATRONA
Un mantello, ti ripeto, è sparito di casa.
MENECMO
E chi l'ha preso?
MATRONA
Lo sa chi l'ha preso.
MENECMO
Ma chi?
MATRONA
Un tale che chiamano Menecmo.
MENECMO
Accidenti, che canagliata! E chi è questo Menecmo?
MATRONA
Io dico che sei tu.
MENECMO
Io?
MATRONA
Sì, tu.
MENECMO
E chi lo dice?
MATRONA
Io.
SPAZZOLA
E io pure. L'hai portato alla tua bella, Erozia, che abita qui.
MENECMO
Io ho dato?
MATRONA
Tu, tu in persona, dico io.
SPAZZOLA
Adesso porto qui una civetta, che ci pensi lei a fare tu tu. Noi siamo stanchi di ripeterlo.
MENECMO
Giuro su Giove e tutti gli dèi (bastano, per te?) che io non ho donato, moglie mia...
SPAZZOLA
Anche noi giuriamo, canchero. Non diciamo bugie noi.
MENECMO
Ma io non l'ho mica regalato, il mantello: l'ho dato in prestito.
MATRONA
Ecché io vado prestando la clamide tua o il tuo mantello? La donna presti roba da donna, l'uomo roba da uomo. Perché non lo riporti a casa il mantello?
MENECMO
Certo che lo faccio riportare.
MATRONA
Penso che lo farai, per il tuo bene. Perché tu, senza il mantello, in casa non ci entri. E adesso io mi ritiro.
SPAZZOLA
E a me, che ti ho aiutato, che me ne viene?
MATRONA
Ricambierò il servizio quando ruberanno in casa tua.
SPAZZOLA
E come potrebbe essere? Da me non c'è nulla da rubare. Voi due, marito e moglie, tutti insieme, che gli dèi vi mandino in malora! Non mi resta che correre al foro. Con questa famiglia mi sa che ho chiuso. (Si allontana.)
MENECMO
Mi lascia fuori di casa, mia moglie, e crede di farmi un gran dispetto. Come se non ce l'avessi un posto migliore per rifugiarmi. A te non vado bene? Pazienza, andrò bene a Erozia. Mica mi chiude fuori, quella, anzi mi chiude dentro insieme con lei. Adesso ci vado: per piacere, le dirò, rendimi quel mantello che ti ho dato. Poi gliene ricomprerò uno più bello. Ehi, portiere, ma dove sei? Apritemi e fate che Erozia venga qui.

EROZIA MENECMO I
EROZIA
Chi mi vuole?
MENECMO
Un uomo che è nemico di se stesso ma non della tua giovinezza.
EROZIA
Menecmo mio, cosa fai lì fuori? Vieni dentro, no?
MENECMO
Un minuto. Sai perché son venuto da te?
EROZIA
Certo che lo so. Per spassartela con me.
MENECMO
Eh no, purtroppo. Rendimi, invece, quel mantello, se non ti dispiace. Mia moglie ha saputo tutto per filo e per segno. Dopo te ne compro un altro, che valga il doppio, come vorrai tu.
EROZIA
Ma guarda che te l'ho dato poco fa, perché lo portassi dal ricamatore. Ti ho dato anche il braccialetto per l'orefice, che lo rimetta a nuovo.
MENECMO
Il mantello, il braccialetto, a me? Ma cosa vai trovando? Dal momento che te l'ho dato, sono andato direttamente al foro e ne ritorno solo adesso, adesso che ti rivedo.
EROZIA
Lo vedo, lo vedo dove vuoi arrivare. A rubarmi la roba che ti ho consegnato.
MENECMO
Mica te l'ho chiesta per rubartela. Ti dico e ti ripeto che mia moglie sa tutto.
EROZIA
T'ho chiesto io di regalarmi il mantello? Sei tu, soltanto tu, che hai voluto darmelo. Era un regalo, ma adesso lo rivuoi. Pazienza. Tientelo. Portalo via. Mettitelo addosso, tu o tua moglie. Chiudetelo a chiave, magari. Ma tu, qui dentro, d'ora in avanti, tu non ci metti più piede, puoi giurarci. Mi tratti così? È così che compensi i miei favori? Be', se non torni carico d'argento, puoi fare a meno di venire. Mica potrai più sfottermi, tu. Cercatene un'altra da prendere per il naso.
MENECMO
Per Giove, come vai sulle furie! Ehi, dico a te. Fermati un minuto. Torna indietro. Non vuoi fermarti? Per favore, ritorna qui, ti prego. Niente, è rientrata, ha chiuso la porta. E io? Più fuori di così! La moglie, l'amica, non c'è più nessuno che mi ascolti. Ora cerco qualcuno che mi spieghi, mi consigli, mi dica cosa debbo fare.

ATTO V


MENECMO II MATRONA
MENECMO
Ma che stupido, che imprudente a dar la borsa con i soldi a Messenione. Quello si è cacciato di sicuro in una bettola.
MATRONA
Voglio vedere quando ritorna a casa, mio marito. Ma guarda, eccolo là. Sono salva, sta riportandomi il mantello.
MENECMO
Chissà dove starà vagabondando, adesso.
MATRONA
Gli vado incontro e gli do il saluto che si merita. Vergogna! Non hai vergogna, svergognato, di venirmi innanzi conciato così?
MENECMO
Che c'è? Donna, cosa ti prende?
MATRONA
Faccia di bronzo! Hai il coraggio di fiatare? E di rivolgermi la parola?
MENECMO
Non posso parlare? Ma che cosa ho mai combinato?
MATRONA
E me lo domanda, lui! L'impudenza fatta persona, ecco che cosa sei.
MENECMO
Lo sai, donna, perché i Greci dan della cagna a Ecuba?
MATRONA
Non lo so.
MENECMO
Perché faceva come te. Tale e quale. Non appena vedeva qualcuno, gli abbaiava contro. Perciò finirono per darle il nome di cagna, giustamente.
MATRONA
No, non posso accettarle, queste vergogne. Meglio vivere senza marito che sopportare questi oltraggi.
MENECMO
Tu non sopporti tuo marito? Tu hai voglia di piantarlo? E a me che me ne frega? Oppure è questa l'usanza di qui? Appena arriva un forestiero, gli si racconta tutto?
MATRONA
Macché racconti e forestiero! Io non sopporto, ti dico, il tuo modo di fare. Meglio restare vedova.
MENECMO
Vedova? Per quel che me ne importa, puoi restare vedova in eterno.
MATRONA
Mi hai appena giurato di non aver preso il mio mantello, e ora me lo sbandieri sotto il naso. Non ti vergogni?
MENECMO
Donna, tu sei sfacciata e maligna e mica poco. Hai la faccia di dirmi che ti ho rubato questa roba? Ma a me l'ha data un'altra donna, perché gliela facessi accomodare.
MATRONA
Invece no e poi no. Ma io chiamo mio padre, io, e gli racconto tutte le porcate che mi fai. Corri, Decione, cerca mio padre e portalo qui. Digli come vanno le cose. Rivelerò tutti i tuoi delitti.
MENECMO
Delitti? E quali? Ma tu ci sei con la testa?
MATRONA
Il mio mantello, il mio oro, li rubi alla tua consorte e li regali alla tua puttana. È o non è così?
MENECMO
Ti prego, donna, consigliami tu, se lo sai: che cosa posso bere per mandar giù la tua petulanza? Io non so mica per chi mi hai preso. Boh, forse ti ho conosciuto in una favola.
MATRONA
Sfotti, sfotti, poi voglio vederti con mio padre. Eccolo che arriva. Voltati. Lo conosci lui?
MENECMO
Lo conosco quanto Calcante. Te e lui, io non vi ho mai veduti prima d'oggi.
MATRONA
Tu dici che non mi conosci? E mio padre?
MENECMO
E tuo nonno pure, se me lo porti qui.
MATRONA
Sei sempre lo stesso, tu. Non ti smentisci.

VECCHIO MATRONA MENECMO II
VECCHIO
Faccio quel che posso, alla mia età. È necessario, dicono, che io mi affretti, e allora io cerco di affrettarmi. Ma se dicessi che mi è facile, direi una bugia. Non sono più quelle, le mie gambe, la vecchiaia me le ha fiaccate. Le forze mi hanno abbandonato e io trascino a fatica questo corpo sempre più pesante. Brutta vecchiaia, sei una brutta mercanzia. Quando arrivi, ti porti dietro tutti i malanni. A raccontarli uno per uno non la finirei più. E adesso c'è questa storia che mi brucia, mi tormenta. Cosa starà succedendo? Perché mia figlia mi fa correre senza neanche dirmi di cosa si tratta? Che cosa vorrà mai? Be', più o meno posso immaginarmelo, quel che è successo. E già, un litigio tra marito e moglie. Fanno tutte così. Ci hanno la dote, loro, e allora diventano asfissianti, prepotenti, e vogliono il marito sotto i piedi. Però anche loro, i mariti, non sono mica senza colpa. C'è un limite anche per la pazienza della donna. Una figlia mica lo fa chiamare, suo padre, se non c'è qualcosa di grosso. Mah, comunque sia, tra poco verrò a saperlo. Eccola là dinanzi alla casa. C'è anche suo marito, con una faccia. Proprio come temevo. Adesso la chiamo.
MATRONA
Gli vado incontro. Carissimo padre, ti saluto.
VECCHIO
Salute a te. Arrivo in tempo? Perché mi hai fatto chiamare? Perché sei così triste? E lui, perché se ne sta lontano da te, con quella faccia scura? Cosa c'è stato tra voi due? Un poco di burrasca? Dimmelo subito: di chi è la colpa? Ma falla breve, niente litanie.
MATRONA
Non ho nessuna colpa, io. Per questo puoi stare tranquillo, padre mio. Però non posso più viverci, qui, non ci resisto. Portami via, ti prego!
VECCHIO
Ma perché?
MATRONA
Padre, sono fatta ludibrio.
VECCHIO
Da chi?
MATRONA
Da colui al quale mi affidasti. Il mio sposo.
VECCHIO
Ancora un litigio. Ma quante volte te l'ho detto? Sta' attenta, che nessuno dei due venga da me a lamentarsi.
MATRONA
Padre mio, ma come potevo stare attenta?
VECCHIO
Lo chiedi a me?
MATRONA
No, se non vuoi.
VECCHIO
Te l'ho raccomandato tante volte, trattalo bene, e non spiarlo, cosa fa, dove va, cosa combina e via.
MATRONA
Ma lui se la intende con la puttana che sta qui vicino.
VECCHIO
Ah sì? Fa bene. E dopo questa storia se la terrà ancora più cara, dico io.
MATRONA
E qui va a sbevazzare.
VECCHIO
Qui o altrove, o dove gli gira, credi che per rispetto a te berrà di meno? Hai una bella pretesa. Vorresti proibirgli di colpo di andarsene a cena fuori casa o d'invitare qualcuno a casa sua? Ma cosa pretendi, che i mariti siano schiavi delle mogli? Vuoi mettergli in mano la conocchia e farlo sedere tra le serve, a cardare la lana?
MATRONA
Ma tu sei amico mio o di mio marito? Stai dalla mia parte e parli in suo favore.
VECCHIO
Se è in colpa, gli dirò di peggio. Però se lui ti offre vesti e serve e gioielli, se tiene fornita la dispensa, allora devi avere più giudizio, cara la mia figliola.
MATRONA
Ma lui l'oro e le vesti me li ruba dagli armadi. Mi spoglia, lui. Le gioie mie le porta di nascosto alle puttane.
VECCHIO
Male, molto male, se lo fa. Ma se non lo fa, fai male ad accusare un innocente.
MATRONA
Guarda, papà, che ce li ha ancora addosso, il mantello e il braccialetto che aveva portato alla puttana. Li riporta indietro, capisci, perché io l'ho smascherato.
VECCHIO
Lo saprò subito, io, come è andata. Ci penso io a interrogarlo. Avanti, Menecmo, per quale ragione state litigando? Voglio saperlo. Perché fai quella faccia? E lei, perché ti sta lontana ed è così arrabbiata?
MENECMO
Vecchio, chiunque tu sia, quale che sia il nome tuo, io chiamo il sommo Giove e gli dèi a testimoni...
VECCHIO
Ma di che? Ma di che cosa?
MENECMO
Che mai ho arrecato ingiuria a questa donna, che mi accusa di aver rubato e trafugato dalla sua casa questo mantello.
MATRONA
Lo giura?
MENECMO
Voglio diventare l'ultimo degli uomini, il più disperato dei disperati, se mai ho messo piede tra le mura della sua casa.
VECCHIO
Ti auguri questo? E sei sano di mente? E dici che non hai mai messo piede nella casa in cui abiti? Tu sei pazzo furioso!
MENECMO
E tu, vecchio, pretendi che io abiti in quella casa lì?
VECCHIO
Perché, non è vero?
MENECMO
Certo che non è vero.
VECCHIO
E dici anche che non stai scherzando? Oppure hai fatto trasloco questa notte? Vieni qui, figlia. Che mi dici? Avete per caso traslocato?
MATRONA
Traslocato dove? E perché mai?
VECCHIO
E che ne so.
MATRONA
Ma non lo vedi che ti sta sfottendo?
VECCHIO
Menecmo, basta con gli scherzi. Adesso devi essere serio.
MENECMO
Ma scusa, che ho a che fare con te? Da dove arrivi? E chi sei? Che cosa ti ho fatto? E a lei, che continua a tampinarmi, che cosa ho mai fatto?
MATRONA
Guardalo negli occhi, papà. Gli diventano verdi. E la fronte, le tempie? Sono verdi anche loro. Gli occhi gli sfavillano, eh!
MENECMO
Che fare? Loro dicono che sto diventando pazzo. Be', io faccio finta di esserlo davvero, così me li tolgo dalle scatole.
MATRONA
Guardalo come si dimena, come storce la bocca! Cosa posso fare, papà?
VECCHIO
Qui, vieni qui, e stagli lontana più che puoi, figlia mia.
MENECMO
Bacco, Bromio, evoé! Dove mi chiami, in quali foreste, per cacciare? Ti sento, sì, ti sento, ma non posso andar via da questi luoghi. Qui a sinistra c'è una cagna rabbiosa, che non mi lascia muovere. Di là c'è un lurido caprone, un'orribile bestia che, per tutta la vita, ha rovinato fior di galantuomini con i suoi falsi giuramenti.
VECCHIO
Bada alla tua testa!
MENECMO
Apollo mi comanda col suo oracolo. Bruciale gli occhi, a questa femmina, bruciali con le fiamme delle torce!
MATRONA
Padre, sono perduta. Vuol bruciarmi gli occhi!
MENECMO
Dicono che sono pazzo. Ah ah! E invece i pazzi sono loro.
VECCHIO
Ahimè, figlia mia!
MATRONA
Che cosa succede?
VECCHIO
Cosa dobbiamo fare? Mah! E se chiamassi i servi? Li porto qui perché lo sollevino di peso e lo leghino in casa, prima che faccia maggior scandalo.
MENECMO
Qui si mette male. Se non invento qualcosa, mi trascinano in casa loro. Apollo! Apollo! I pugni, i pugni sulla faccia, a questa donna, non vuoi che glieli perdoni, se non scompare dalla mia vista e non va in malissima malora? Farò come comandi, Apollo.
VECCHIO
Scappa, più svelta che puoi, che non ti rompa la testa.
MATRONA
Scappo. Ma tu, ti prego, sorveglialo, padre mio, che non si allontani da nessuna parte. Sono o non sono una donna disgraziata, io che debbo ascoltare queste cose? (Rientra in casa.)
MENECMO
Meno male, una l'ho cacciata via. E adesso a lui, al vecchio con tanto di barba e tremarella. Sì, Apollo, si, tu mi comandi di spaccargli le ossa, gli arti e le membra. Sì, proprio col suo bastone.
VECCHIO
Guai a te se mi tocchi. Guai se ti avvicini.
MENECMO
Farò quel che comandi, Apollo. Sì, prenderò la scure, la scure a due tagli, e disosserò questo vecchio, sì, gli farò le budella a spezzatino.
VECCHIO
In guardia, attenzione, prudenza. Qui c'è poco da scherzare. Capace che mi fa tutto il male che mi minaccia.
MENECMO
Quante cose, Apollo, mi comandi! Cavalli? Vuoi che prenda cavalli selvaggi e furiosi. E poi? Salto sul carro, frusto i cavalli, l'investo, questo leone decrepito che ha tanta puzza e nessun dente. Eccomi, sono già sul carro, le redini in pugno, la frusta. L'uomo è mio. Avanti, cavalli, al galoppo! Rimbombi forte il colpo degli zoccoli. Che le gambe si flettano, che scattino nella corsa sfrenata!
VECCHIO
Osi tu minacciarmi con una muta di cavalli?
MENECMO
Sono qui, Apollo! Ancora me lo ordini, sì, di assalirlo, sì, di ucciderlo, il vecchio che ho davanti. Ma chi mi prende per i capelli? Chi mi strappa dal carro? Chi è che si ribella agli ordini sacri di Apollo?
VECCHIO
Che brutto male, per Ercole! Atroce! O dèi, per la vostra pietà! Quest'uomo, che ora è pazzo, poc'anzi stava bene, benissimo. Di colpo è assalito dal morbo. Un medico! Corro a cercare un medico, che venga prima che può.

MENECMO II VECCHIO
MENECMO
Finalmente! Si son tolti dai piedi questi che per forza da sano mi vogliono matto? E io, che cosa aspetto? Che cosa aspetto a tornare sulla nave, sinché posso farlo senza danni? Cari spettatori, vi raccomando: se il vecchio ritorna, acqua in bocca. Nessuno glielo dica, da che parte me la sono squagliata. (Esce.)
VECCHIO
Ahi, che male; i lombi a star seduto, gli occhi a sbirciare, in attesa che il medico ritornasse dalle sue visite. Finalmente l'ha finito, quell'antipatico, il giro dei suoi malati. Dice che ha sistemato un braccio ad Apollo e un femore rotto a Esculapio. Ma è un medico o un fabbro che ho chiamato? Boh. Eccolo qui che arriva. Ma muovili, quei passi di formica!

MEDICO VECCHIO
MEDICO
Che male hai detto che ha? Ripetimelo, vecchio. È stregato o furioso? È caduto in letargo o è gonfio d'acqua?
VECCHIO
Sei tu che devi dirmelo: ti ho chiamato per questo. E per farlo guarire.
MEDICO
Facile, facilissimo. Guarirà. Te lo prometto sul mio onore.
VECCHIO
Voglio che abbia tutte le cure necessarie.
MEDICO
Come no. Tirerò seicento sospiri e più ogni giorno: figurati se non lo curerò con ogni cura.
VECCHIO
Eccolo, è lui. Vediamo un po' cosa combina.

MENECMO I VECCHIO MEDICO
MENECMO
Avverso, perverso! Che giorno mi è capitato. Tutto ciò che credevo di fare di straforo, il parassita l'ha messo m piazza, coprendomi di vergogna, e di fifa. E bravo il mio Ulisse, che ha inguaiato così bene il suo re. A quello, se la scampo, gli sradico la vita sua dalle budella. Ho detto sua. Che sbaglio! Dovevo dire mia, mia perché l'hanno cresciuto il mio cibo, le mie spese. Ma io gli mangio il cuore, gli. E lei, la puttana? Mi ha fatto una bella puttanata. Le domando il mantello, per renderlo a mia moglie, e lei mi risponde che me l'ha già dato. Per Giove, io mi sento proprio un disgraziato.
VECCHIO
Lo senti che cosa sta dicendo?
MEDICO
Dice che è un disgraziato.
VECCHIO
Su, vagli più vicino.
MEDICO
Salute a te, Menecmo. Ma scusa, perché spalanchi così le tue braccia? Non capisci che aggravi la tua malattia?
MENECMO
Perché non ti appendi per il collo?
VECCHIO
Hai sentito?
MEDICO
Certo che ho sentito. Nemmeno un quintale di elleboro può servire in un caso così. Ma tu, Menecmo, cosa dici?
MENECMO
Ma tu cosa cerchi?
MEDICO
Rispondi alle mie domande. Tu, quando bevi, preferisci il rosso o il bianco?
MENECMO
Perché non vai sulla forca?
MEDICO
Ecco che ricomincia a vaneggiare.
MENECMO
Perché non mi chiedi se il pane che mangio è rosso? Oppure violetto? Oppure giallo? O se mangio uccelli con le squame e pesci con le piume?
VECCHIO
Senti! Senti come sta delirando. Dagli qualche pozione, prima che cada in convulsioni.
MEDICO
Aspetta un minuto. Io vado avanti con l'anamnesi.
VECCHIO
Mi fai morire con queste fregnacce.
MEDICO
Gli occhi, a te, non s'induriscono mai? Rispondimi.
MENECMO
Cosa? Razza di deficiente, mi hai preso per una locusta?
MEDICO
Un'altra cosa. Il tuo intestino, l'hai mai sentito gorgogliare?
MENECMO
A pancia piena, no; quando ho fame, sì.
MEDICO
Mica ha risposto da pazzo, questa volta. Riesci a dormire sino all'alba? Quando vai a letto, ti addormenti subito?
MENECMO
Quando sono in pari con i debiti, io dormo come un ghiro. Che Giove e gli altri dèi ti mandino in malora, te e la tua curiosità.
MEDICO
Ecco, ecco che si rimette a sragionare. (Al vecchio) Attento a quel che dice.
VECCHIO
Adesso parla come Nestore. Dovevi sentirlo prima, dovevi. A sua moglie dava della cagna, per giunta rabbiosa.
MENECMO
Che cosa ho detto?
VECCHIO
Farneticavi, te lo dico io.
MENECMO
Io farneticavo?
VECCHIO
Sì, tu, che minacciavi d'investirmi con la tua quadriga. Ti ho visto coi miei occhi. Sono io che ti accuso, io.
MENECMO
Tu hai rubato la sacra corona di Giove. Lo so io! Per questo ti han cacciato in galera. Lo so io. E poi ti hanno scarcerato per frustarti sotto la forca. Lo so io. Hai ucciso tuo padre e venduto tua madre: so anche questo. Basta così? Non ho risposto per le rime? Non rispondo da uomo ragionevole?
VECCHIO
Accidenti, medico, ti prego! Quel che devi fargli, faglielo subito. Non lo vedi che gli prende un attacco?
MEDICO
Vuoi insegnarmi il mio mestiere? Fallo condurre a casa mia.
VECCHIO
È il tuo parere?
MEDICO
Sicuro. Là potrò curarlo secondo il mio criterio.
VECCHIO
D'accordo, come consigli tu.
MEDICO
Gli faccio un bel trattamento di elleboro. Venti giorni filati.
MENECMO
Io invece ti appendo e ti ricamo con la frusta per trenta giorni di fila.
MEDICO (al vecchio)
Va', chiama gente e fallo accompagnare a casa mia.
VECCHIO
Quanti uomini ci vorranno?
MEDICO
Da come smania, io dico quattro uomini, non meno.
VECCHIO
Saranno subito qui. Tu intanto tienlo d'occhio, medico.
MEDICO
Eh no, io corro a casa, a far preparare tutto quel che serve. Da' ordine ai tuoi che lo conducano da me.
VECCHIO
Ci penso io. Sarà subito da te.
MEDICO
Allora vado.
VECCHIO
Stammi bene. (Il medico esce.)
MENECMO
Se ne è andato, il suocero, e il medico pure. Eccomi solo. Per Giove! Ma perché, ma percome la gente ora va sbraitando che io sono matto? Io che, da quando sono al mondo, non ho mai avuto un giorno di malattia. Mica do in smanie, io, mica sferro pugni e attacco lite. Io sono in me e vedo che gli altri sono in sé. Riconosco la gente, le parlo. E questi qui, che mi danno del pazzo, non saranno loro i pazzi? E ora che cosa faccio? Vorrei rientrare in casa mia, vorrei, ma mia moglie non vuole. E qui nessuno mi fa entrare. Insomma tutto mi va storto, a me. Be', io mi piazzo qui. Spero che almeno di notte qualcuno mi faccia entrare in casa.

MESSENIONE
MESSENIONE
Il servo perfetto? Eccone qui lo stampo. È quello che cura la roba del padrone, che guarda, che pensa, gli mette a posto le cose e, in sua assenza, le vigila e le difende come se lui fosse lì, e anche meglio. Il servo perfetto sa che deve aver riguardo della sua schiena più che della sua gola, delle sue gambe più che della sua pancia, se ci ha sale in zucca. E ci ha bene in testa una cosa: il trattamento che i padroni gli riservano, agli schiavi sfessati e sfaticati. Ceppi ai piedi, frustate sulla gobba, la macina da girare, la croce, la fame, lo sfinimento, il freddo cane, brrr! Eccolo il prezzo che pagano i lavativi. Questi mali me li temo, meli. Perciò è meglio esser dritto che storto, dico io. Le parole feriscon meno delle bastonate. Io le odio le bastonate. La farina macinata è più dolce della macina. Perciò io li eseguo, presto e bene, gli ordini del padrone, e così lo servo, così, e ci ho il mio interesse. Facciano come credono, gli altri; io farò come conviene a me. Avrò il mio bravo timor reverenziale, mi guarderò dalle carognate, sarò pronto a scattare in ogni caso, se il padrone comanda. Un servo che, anche senza colpa, sente timore, è un servo che serve, al suo padrone. Ma chi non ha paura di niente, avrà paura dopo, dopo la sua birbonata. Però io ho ancora poco da temere, perché è prossimo il giorno in cui il padrone, per ricompensa, mi renderà la libertà. Faccio il mio servizio con questa regola, io, che è quella che salva le mie spalle. Be', servi e bagagli li ho sistemati nella locanda. Bene, l'ordine era questo. Ora gli vado incontro. Una bussatina alla porta, tanto per fargli sapere che ci sono, toc toc, ed eccomi pronto a tirarlo fuori da questa spelonca, sano e salvo, il padrone mio. Basta che non arrivi troppo tardi, a battaglia finita.

VECCHIO MENECMO I MESSENIONE
SCHIAVI FUSTIGATORI
VECCHIO (agli schiavi)
Nel nome di dio e degli uomini! Stateci attenti, fatele come si deve le cose che vi ho ordinato e che vi ordino. Quell'uomo, sollevatelo di peso e portatelo alla casa del medico. Capito? Ne va delle vostre gambe, dei vostri fianchi. Se lui grida e minaccia, voi non fateci caso. Capito? Be', non vi spicciate? Esitate? Dovreste averlo preso su da un pezzo. Io corro dal medico. Sarò là quando arriverete.
MENECMO
Sono fritto! Ma che roba è questa? Accidenti, perché mi corrono addosso questi qui? Ma che volete voialtri? Perché mi circondate? Dove volete trascinarmi? Dove mi portate? Sono morto. Gente di Epidamno, cittadini, aiuto, pietà! E voi, perché non mi lasciate?
MESSENIONE
O dèi, cosa mi tocca di vedere! Lo portano via di peso, il mio padrone. Lo rapiscono, quegli sconosciuti.
MENECMO
Nessuno ha il coraggio di aiutarmi? Nessuno?
MESSENIONE
Ci son qua io, padrone! Avanti, coraggio! Che delitto, uomini di Epidamno! Che violenza! Sulla pubblica via, in tempo di pace, alla luce del sole, il mio padrone viene rapito, lui che è venuto tra voi da uomo libero. Lasciatelo subito, voialtri!
MENECMO
Ti prego! Dammi il tuo aiuto, chiunque tu sia! Non lasciare che mi facciano violenza così ingiustamente.
MESSENIONE
Subito! Corro in tuo aiuto, ti difendo, ti soccorro, io, con tutto il mio ardire. No, tu non morirai. Morirò io, piuttosto. Cavagli un occhio, padrone, a questo che ti tiene per le spalle. Forza, padrone! Agli altri ci penso io, io gli faccio la semina sul muso, una semina di cazzotti. Canchero, lo pagherete caro, questo rapimento. Mollatelo subito!
MENECMO
L'ho preso per un occhio, questo qui.
MESSENIONE
Fa' che gli resti un buco, al suo posto. A voi, ladri, canaglie, predoni!
SCHIAVI
Pietà, siamo perduti!
MESSENIONE
E allora mollatelo!
MENECMO
Perché mi siete saltati addosso? Dagli una pettinata a suon di pugni.
MESSENIONE
Via via, smammate, sulla forca! Eccoti la giunta, a te. Vuoi essere l'ultimo? Beccati questo premio. Scommetto che gli ho cambiato i connotati. Padrone! Sono arrivato giusto in tempo, in tuo soccorso.
MENECMO
Che gli dèi ti proteggano sempre, ragazzo, chiunque tu sia. Senza di te, oggi, non sarei arrivato fino a sera.
MESSENIONE
Padrone mio, se vuoi essere giusto, ora mi devi rendere libero.
MENECMO
Dovrei liberarti? Io?
MESSENIONE
Sicuro, padrone. Non ti ho forse salvato?
MENECMO
Ma che dici, ragazzo? Di certo ti sbagli.
MESSENIONE
Come mi sbaglio?
MENECMO
Ti sbagli perché io, lo giuro, non sono il tuo padrone.
MESSENIONE
Non vuoi piantarla?
MENECMO
Dico la verità. Nessuno dei miei schiavi ha fatto per me quello che hai fatto tu.
MESSENIONE
Non sono il tuo servo? Lasciami andar libero.
MENECMO
Per quanto mi riguarda, sii libero come il vento e vattene dove ti pare.
MESSENIONE
Me lo comandi?
MENECMO
Certo che te lo comando, dato e non concesso che io abbia potere su di te.
MESSENIONE
Patrono mio, salute. «Messenione, visto che ora libero sei, mi congratulo teco». «Grazie, vi credo». Ma, patrono mio, ti prego: disponi di me, comandami, come quando ero tuo schiavo. Resterò a casa tua e, quando te ne adrai, ti seguirò sino a casa.
MENECMO
Ma neanche per idea.
MESSENIONE
Adesso corro alla locanda, ti prendo i bagagli e la pecunia. La borsa è al sicuro nel baule, con il contante per il viaggio. Ti porterò tutto quanto prima.
MENECMO
Porta, porta, e fa' presto.
MESSENIONE
Ogni cosa ti sarà resa, intatta, come me l'hai affidata. Aspettami qui. (Esce.)
MENECMO
Ma che cose strane, che cose pazze mi stanno capitando oggi! Alcuni dicono che io non sono io e mi sbattono fuori. Un altro giura che è il mio schiavo e io, boh, gli ho concesso la libertà. Lui stesso, poi, dice che mi porterà borsa e danari. Se lo farà, io gli dirò che è libero di andarsene dove gli pare, in modo che poi, ritornato in sé, non venga a richiedermi i quattrini. Mio suocero e quel medico mi davano del pazzo. Sarà come sarà, ma tutto è strano. M sembra di vivere in sogno. E adesso? Adesso vado dalla meretrice, qui. Anche se se la prende, cercherò di convincerla a rendermi il mantello, perché bisogna che lo riporti a mia moglie. (Entra in casa di Erozia.)

MENECMO II MESSENIONE
MENECMO
Spudorato! Hai il coraggio di dirmi che mi hai già incontrato, dopo che ti avevo detto di venirmi incontro qui?
MESSENIONE
Ma come? Non ti ho io, poco fa, dinanzi a questa casa, strappato dalle grinfie di quattro manigoldi che ti stavano trascinando via di peso? Gridavi, tu, invocavi l'aiuto degli dèi e degli uomini. Subito mi precipito, combatto con tutta la mia forza, ti strappo alla loro resistenza. E allora tu, poiché ti avevo salvato, mi hai concesso la libertà. Però quando ti ho detto che andavo a prendere cassa e bagaglio, tu mi hai preceduto svelto per annullare ciò che avevi fatto.
MENECMO
Ah, ti ho ordinato di andartene libero?
MESSENIONE
Sicuro.
MENECMO
Sicuro? Ma io mi faccio servo, mi faccio, piuttosto che far libero te.

MENECMO I MESSENIONE MENECMO II
MENECMO I (esce dalla casa di Erozia e parla verso l'interno)
Manco se lo giurate sulla luce dei vostri occhi, manco così potete fare che io oggi abbia portato via mantello e braccialetto. Donnacce!
MESSENIONE
Per gli dèi immortali! Cosa vedo!
MENECMO II
Cos'è che vedi?
MESSENIONE
Il tuo riflesso!
MENECMO II
Che cosa significa?
MESSENIONE
L'immagine tua, il tuo ritratto. Tale e quale, sputato.
MENECMO II
Accidenti! È simile a me, simillimo, se mai conosco la mia faccia.
MENECMO I (a Messenione)
Salute a te, ragazzo che mi hai salvato, chiunque tu sia.
MESSENIONE
Ti prego, giovane, se non ti dispiace: mi vuoi dire il tuo nome?
MENECMO I
Non lo meriti proprio, che mi dispiaccia di compiacerti: io mi chiamo Menecmo.
MENECMO II
Accidenti! Anch'io mi chiamo Menecmo.
MENECMO I
Siciliano sono, di Siracusa.
MENECMO II
Ma è la mia patria.
MENECMO I
Ma cosa sento! Ma cosa dici!
MENECMO II
La pura verità.
MESSENIONE (indicando Menecmo I)
Questo qui lo conosco. Perbacco, è il mio padrone. Io sono il servo suo, ma credevo di esserlo di lui (indica Menecmo II). Credevo che lui fosse te e, tra l'altro, l'ho fatto imbestialire. (A Menecmo II) Ti prego di perdonarmi se ti ho detto qualcosa di storto e di villano.
MENECMO II
Tu dai i numeri, mi pare. Non ti ricordi che noi due, oggi, siamo sbarcati dalla nave?
MESSENIONE
Giusto! Sei tu il mio padrone, tu. (A Menecmo I) Se vuoi un servo, arrangiati a cercartelo, tu. (A Menecmo II) A te, salute! (A Menecmo I) A te, buonasera. (A Menecmo II) Insomma, io dico che Menecmo è questo qui.
MENECMO I
Io dico che Menecmo sono io.
MENECMO II
Tu sei Menecmo? Che favola è?
MENECMO I
Dico che sono Menecmo figlio di Mosco.
MENECMO II
Tu sei nato da mio padre?
MENECMO I
Ragazzo, sono nato dal mio. Il tuo tientelo. Che me ne faccio?
MESSENIONE
Dèi immortali! Esaudite l'insperata speranza che nasce nel mio cuore. Questi qui, se non mi sbaglio, questi qui sono i due gemelli. Il padre e la patria corrispondono, da quel che dicono. Ora io chiamo in disparte il mio padrone. Menecmo!
I DUE MENECMI
Che vuoi?
MESSENIONE
No, tutti e due no. Tra voi, chi è quello che è arrivato insieme a me sulla nave?
MENECMO I
Io no.
MENECMO II
Io sì.
MESSENIONE
Allora voglio te. Vieni qui.
MENECMO II
Eccomi, che c'è?
MESSENIONE
Quello lì, o è un simulatore o è il tuo fratello gemello. Perché io non l'ho mai visto, io, un uomo più simile all'altro. Te lo giuro: manco due gocce d'acqua, due gocce di latte sono più simili di voi due, tu e questo qui. E poi anche lui ricorda lo stesso padre, la stessa patria. Dunque. Meglio che andiamo da lui a interrogarlo.
MENECMO II
Dici bene, e ti ringrazio. Va' avanti tu, per favore. Sei libero, se scopri che è mio fratello.
MESSENIONE
Lo spero proprio.
MENECMO II
E io no?
MESSENIONE (a Menecmo I)
Tu stavi dicendo, se non sbaglio, che ti chiami Menecmo, no?
MENECMO I
Proprio così.
MESSENIONE
Anche lui si chiama Menecmo. Hai detto che sei nato in Sicilia, a Siracusa. E pure lui. Dici che tuo padre era Mosco. Era anche suo padre. Ora, voi due, potete aiutarmi e aiutare voi stessi.
MENECMO I
Tutto ciò che vuoi chiedermi, te lo sei meritato e strameritato. Io, uomo libero, sono tuo servo, come se mi avessi comperato.
MESSENIONE
La mia speranza è che scopriate che siete fratelli gemelli, nati nel medesimo giorno, dalla stessa madre e dallo stesso padre.
MENECMO I
Che cosa straordinaria vai dicendo! Possa tu mantenere la promessa.
MESSENIONE
Certo che posso. Ma adesso, vi prego, rispondete alle mie domande, l'uno e l'altro.
MENECMO I
Domanda, su. Ti risponderò senza tacer nulla di quanto è a mia conoscenza.
MESSENIONE
Ti chiami Menecmo?
MENECMO I
Lo giuro.
MESSENIONE
E tu pure?
MENECMO II
Sì.
MESSENIONE
Dici che Mosco fu tuo padre?
MENECMO I
Certo che lo fu.
MENECMO II
E anche mio.
MESSENIONE
Sei di Siracusa?
MENECMO I
Sicuro.
MESSENIONE
E tu?
MENECMO II
E come no?
MESSENIONE
Gli indizi combaciano perfettamente. Ma ancora una cosa, vi prego. Dimmi tu: qual è il ricordo più lontano che conservi della tua patria?
MENECMO I
Ricordo che partii con mio padre per Taranto, al mercato. Ma poi, nella gran confusione, restai diviso da mio padre e fui portato via.
MENECMO II
Sommo Giove, salvami!
MESSENIONE
Perché gridi? Perché non stai zitto? Quanti anni avevi quando tuo padre ti condusse seco?
MENECMO I
Sette anni. Stavo perdendo i primi denti da latte. Da allora non ho più rivisto mio padre.
MESSENIONE
Be'? Tuo padre, quanti figli aveva?
MENECMO I
Ne aveva due, per quel che mi ricordo.
MESSENIONE
Dei due, quale era il maggiore? Tu o l'altro?
MENECMO I
Eravamo della stessa età.
MESSENIONE
Come può essere?
MENECMO I
Eravamo gemelli.
MENECMO II
Gli dèi mi proteggono.
MESSENIONE
Guarda che se parli tu, io smetto.
MENECMO II
No no, taccio subito.
MESSENIONE
Rispondimi: avevate il medesimo nome?
MENECMO I
Certo che no. Io mi chiamavo Menecmo, come ora. L'altro si chiamava Sosicle.
MENECMO II
Ecco la prova! Non posso trattenermi dallo stringerti tra le braccia. Salve, fratello mio, gemello mio. Io sono Sosicle.
MENECMO I
Ma come mai, dopo, sei divenuto Menecmo?
MENECMO II
Quando ci giunse la notizia che tu... che nostro padre era morto, nostro nonno mi cambiò nome e mi diede il tuo.
MENECMO I
Ti credo sulla parola. Ma rispondimi ancora.
MENECMO II
Chiedi.
MENECMO I
Nostra madre, come si chiamava?
MENECMO II
Teussimarca.
MENECMO I
Corrisponde! Ti saluto, fratello, che rivedo dopo tanti anni, quando più non speravo.
MENECMO II
Anch'io ti saluto, fratello che non ho mai cessato di cercare, tra tante pene e fatiche. Sono felice di averti ritrovato.
MESSENIONE
Ma ecco perché ti chiamava col suo nome, la puttana. Si credeva, lei, che tu fossi lui, mentre ti invitava a pranzo.
MENECMO I
Eh già, io le avevo detto che preparasse il pranzo, qui, di straforo da mia moglie, alla quale avevo sottratto un mantello per regalarlo alla ragazza.
MENECMO II
Il mantello? Dici questo qui?
MENECMO I
Questo, sì. Ma come ti è arrivato tra le mani?
MENECMO II
La ragazza che mi invitava diceva che glielo avevo regalato io. Il pranzo era eccellente, e ho bevuto bene e ho fatto l'amore, anche. Il mantello e questo braccialetto, li ho portati via.
MENECMO I
Sono lieto, sono felice che per causa mia ti sia capitato qualcosa di bello. Quella che ti invitava, era convinta d'invitare me.
MESSENIONE
Ma perché ritardi tanto? Che aspetti a farmi libero come hai promesso?
MENECMO I
Dice bene, fratello. Parole sante. Fallo per me.
MENECMO II
Sii libero.
MENECMO I
Mi fa piacere che tu sia libero, Messenione.
MESSENIONE
Mi serve un augurio più caloroso, perché io resti libero per sempre.
MENECMO II
Fratello mio, poiché tutto si è svolto secondo i nostri auspici, ritorniamocene in patria tutti e due.
MENECMO I
Come vuoi tu, fratello. Sbaracco tutto quel che ho, lo metto all'asta. Ora entriamo da me.
MENECMO
Come vuoi tu.
MESSENIONE
Lo sapete che cosa vi chiedo?
MENECMO
Cosa?
MESSENIONE
Datelo a me, l'incarico di vendere.
MENECMO II
È tuo.
MESSENIONE
Faccio subito i bandi, vuoi?
MENECMO I
L'asta sarà tra sette giorni.
MESSENIONE
Vendita all'asta dei beni di Menecmo. Tra sette giorni, di mattina, si procederà. Saranno in vendita casa e terreni, servi e suppellettili, a qualsiasi prezzo ma a pronta cassa. Anche la moglie sarà in vendita, se qualche compratore si fa sotto. Calcolo che la vendita sfiorerà, tutto sommato, i cinque milioni di sesterzi.
E ora, spettatori, addio. A voi buona salute, a noi un bell'applauso.

Esempio