Lo stile di Plauto

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Testo

LO STILE DI PLAUTO

“Musas plautino sermone locuturas fuisse, si latine loqui vellent." ("Se le Muse avessero voluto esprimersi in latino avrebbero parlato con la lingua di Plauto")
così Quintiliano, nella sua "Instituto oratoria", ci tramanda il giudizio critico di Elio Stilone, il primo grande filologo latino del secolo II a.C.
Plauto è il primo autore della letteratura latina di cui conserviamo opere intere. Egli è anche il primo scrittore che si dedica esclusivamente ad un unico genere letterario, la commedia, operando una sintesi originale della commedia nuova greca e di elementi attinti alla tradizione popolare della farsa italica. Per questo, per le sue straordinarie capacità fantastiche ed espressive, per la straordinaria ricchezza, scioltezza, potenza del suo linguaggio, per la varietà metrica, si riconoscono unanimemente i tratti più originali ed il valore più genuino della sua arte. Già gli antichi riconoscevano nella ricchezza e nella varietà della metrica una caratteristica tipicamente plautina, lo dimostra l'epitaffio del poeta citato da Gellio (che lo aveva letto negli scritti di Varrone) dove si dice che, alla morte di Plauto: "numeri innumeri simul omnes conlacrimarunt" ("scoppiarono in pianto tutti insieme ritmi innumerevoli")
La fama di Plauto fu talmente grande che centocinquant'anni circa dopo la sua morte Terenzio Varrone, occupandosi del problema dell'autenticità delle sue opere, contò ben 130 commedie che circolavano sotto il suo nome: evidentemente l'attribuzione a Plauto era una garanzia di successo che spingeva commediografi e capocomici a false attribuzioni.
Varrone giudicò spurie 90 commedie, mentre riconobbe come plautine le altre 40, distinguendo al loro interno 21 commedie sulla cui autenticità tutti gli studiosi erano concordi, ed altre 19 di cui alcuni dubitavano, ma che Varrone riteneva plautine. Poichè i codici che ci conservano l'opera di Plauto contengono un corpus costituito proprio da 21 commedie, si può considerare certo che si tratta delle commedie "varroniane", sopravvissute grazie all'autorità del celebre filologo: il sigillo d'autenticità da lui appostovi fece sì che solo quelle ventuno continuassero ad essere trascritte in più copie e lette fino alla tarda antichità, così da venire poi ricopiate dagli amanuensi medievali, salvandosi dal naufragio in cui andò perduta la massima parte della produzione latina arcaica.
L'analisi accurata dei testi ha portato gli studiosi ad individuare una serie di procedimenti ricorrenti, sia di tipo scenico che di tipo linguistico e stilistico, che si debbono considerare tipicamente ed originalmente plautini:

- frequenti riferimenti ad usi e costumi romani: ad esempio, è frequente l'utilizzazione di similitudini e di metafore di tipo militare: il servo presenta spesso la sua lotta contro l'antagonista (padrone avaro, leone, soldato) come una battaglia o una guerra in cui egli fa parte del generale vittorioso, che sconfigge brillantemente il nemico e celebra il trionfo su di lui. L'abbondanza di riferimenti a situazioni militari non stupisce in testi scritti in un periodo storico in cui Roma passava vittoriosamente da una guerra all'altra. Tuttavia, se sono numerosi i riferimenti alla vita militare, non c'è traccia dei grandi avvenimenti dell'epoca: Canne, Zama, le guerre contro la Macedonia, la Siria , l'Etolia. C'è chi ha voluto vedere qualche allusione storica in alcuni passi delle sue opere; ma si tratta , comunque, di accenni vaghi e velati, tanto che si può dire che egli si mantenne lontano da i grandi affari di stato, e cercò altrove motivi ed ispirazione per le sue commedie.
- numerosissime battute di spirito: alcune, di espressività spesso iperbolica, comunicano l'esatta misura di una psicologia o l'atmosfera di uno stato d'animo. Ecco un avido sfruttatore: "Se mi trovassi a sacrificare al sommo Giove e avessi già in mano le viscere da offrire, se proprio in quel momento mi si offrisse un'occasione di guadagno, lascerei in tronco la cerimonia" (Pseud. 265 sgg); ecco un innamorato in cruccio: "Raccontano che le Baccanti abbiano fatto a pezzi Penteo: ma quelle, sono convinto, furono inezie belle e buone a paragone del modo in cui sono straziato io!" (Merc. 469 sgg); un usuraio fa la sua presentazione: "Non ho mai visto un anno più disgraziato di questo per far danaro a prestito. Siedo nel forno da mane a sera, senza interruzione, e non riesco a prestare uno scudo a chicchessia!" (Most. 532-5); ecco un parassita affamato: "Gola e ventre miei si godono le ferie…della fame!" (Capt. 469); ecco infine un brutalone scontroso che risponde al rituale "Salve!": "Non so che farmene della tua salute; me ne infischio, non me la auguro. Preferirei essere malato che star meglio in grazia della tua salute!" (Truc. 259-60). Altre battute si avvalgono di una lingua popolare, ma permeata di erudizione e di cultura: questo perché Plauto la riempie di espressioni greche o grecizzanti, quando addirittura non rinuncia, come in "Poenulus", a servirsi di idiomi perlomeno inusitati, come il punico. A ciò si aggiungano parole mezzo latine e mezzo greche, le quali dovevano suonare ridicole alle orecchie del pubblico (es. pultifagus = mangiapolenta), grecismi con terminazione latina ( atticissare = parlare greco), parole formate da più radici ( turpilucricupidus = desideroso di turpi guadagni) oltre a neologismi veri e propri ( dentifrangibula, riferito ai pugniche rompono i denti; emissicius, che si manda alla scoperta di qualcosa e perciò, riferito agli occhi, curioso, da spia); superlativi iperbolici e ridicoli (ipsissimus, stessissimo; occisissimus, uccisissimo).
Il sermo dei personaggi plautini è inoltre arricchito da fantasmagorici giochi di parole, identificazioni scherzose (ad es. "Ma è forse fumo questa ragazza che stai abbracciando?" "Perché mai?" "Perché ti stanno lacrimando gli occhi!" Asin.619), espressioni alle quali si aggiungono doppi sensi e, su un piano più propriamente stilistico, da allitterazioni, anafore ed ogni sorta di figura retorica.

- parodia dello stile tragico latino, soprattutto di Ennio, e interventi sulla struttura drammatica, con ampliamento dei dialoghi e specialmente dei monologhi: ad esempio, per quanto riguarda i toni di parodia mitologica e tragica che spesso affiorano, è importante la citazione di Pseudolus 703:" io te, te, turanne, te, te" e Bacchides 933 e segg. Con parodia del ciclo troiano.

- tendenza a dare spazio a momenti di puro divertimento e gioco, mirando più all'efficacia comica che alla funzionalità drammatica della singola scena.

Da un punto di vista metrico si ribadisce ancora una volta il concetto di un'evidentissima originalità dell'arte plautina. Plauto, pur ispirandosi probabilmente ai metri della commedia nuova greca, si mostra insofferente a qualsiasi schema precostituito e del tutto libero per quanto riguarda la prosodia e la metrica; mentre nei testi Menandrei conservati le parti scritte in metri, che comportavano l'accompagnamento musicale, sono scarsissime, in Plauto circa i due terzi del numero complessivo dei versi prevedevano il suono del flauto. Ciò significa che molte parti che nei modelli erano in trimetri giambici, cioè corrispondevano a semplici dialoghi (o monologhi) senza musica, furono riscritte da Plauto in forma di "recitativi" o di veri e propri pezzi cantati. Particolarmente rilevante è la presenza delle parti liriche e polimetriche, dai ritmi assai variati, mossi e vivaci: esse occupano complessivamente circa 3000 versi, cioè un settimo del totale, e avevano la funzione di dar rilievo, con il contributo determinante del ritmo e della musica, ai momenti di più forte concitazione e di più intensa emotività. E' probabile che il potenziamento dell'elemento lirico-musicale sia stato stimolato dalla consuetudine e dalla predilezione del pubblico romano per i tipi di spettacolo in cui la musica, il canto e la danza avevano un ruolo fondamentale.

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