Lettere a Lucilio (Seneca), libro VI lettera VII

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Testo

LETTERA VII

COME SI DEVE SCRIVERE. LA CAUSA DEGLI ERRORI И CHE

NOI PRESTIAMO SEMPRE TROPPO ASCOLTO AGLI ADULATORI

INVECE DI CERCARE LA VERITА

La tua lettera mi ha dato un grande piacere: permetti di adoperare espressioni del comune linguaggio e non riportarle al significato della dottrina stoica. Noi crediamo secondo queste dottrine che il piacere sia un vizio: e sia pure. Tuttavia noi per solito usiamo questa parola per significare semplicemente un allegro stato d'animo. Ebbene, io ti dico che il piacere, se noi riportiamo la parola al nostro vocabolario, и cosa disonorante e che la vera gioia puт toccare solo al sapiente: la vera gioia infatti и elevazione dell'anima fidente nei suoi beni e nelle sue veritа. Perт nel nostro comune linguaggio noi diciamo di aver provato una gran gioia perchй un amico и stato eletto console, perchй si и sposato o perchй ha avuto un figlio, tutte cose che sono cosм poco gioie che spesso sono principio di futuri dolori: carattere essenziale della vera gioia и non cessare mai e non mai voltarsi nel contrario. Pertanto quando il nostro Virgilio dice: "e le cattive gioie dell'animo " si esprime con bella chiarezza ma non con molta proprietа giacchй non vi puт essere vera gioia che sia cattiva. Egli diede questo nome ai piaceri, ed espresse chiaro il suo pensiero, perchй egli alludeva agli uomini lieti del proprio male. Tuttavia non a torto ti avevo detto che mi aveva dato un piacere grande la tua lettera: infatti benchй anche un uomo ignorante possa gioire per un onesto motivo, pure questo sentimento privo di freno e pronto a volgersi verso altri oggetti, per me и ancora piacere suscitato da una falsa apparenza di bene, disordinato e sconveniente. Ma per tornare all'argomento, senti che cosa mi ha fatto piacere nella tua lettera. Tu hai l'assoluto dominio della parola e non ti lasci mai trasportare dal tuo discorso oltre il segno che tu hai posto. Vi sono molti che si lasciano trasportare dalla piacente bellezza della parola a scrivere cose del tutto estranee al tema che si erano proposti. Questo a te non accade. La tua espressione и sempre concisa e rispondente alla cosa, tu parli quanto vuoi, e riesci sempre a significare colla tua parola piщ di quello che essa dice: questo и segno di cosa anche piщ importante, cioи che anche l'animo nulla ha di superfluo, nulla di vana gonfiezza. Trovo perт delle metafore veramente ardite se anche non tanto da diventare pericolose, e trovo certe immagini che alcuni pensano dover essere vietate a noi e concesse solamente ai poeti. Io credo perт che costoro non abbiano letto gli antichi, i quali ancora non andavano alla ricerca di quelle espressioni che solleticano il gusto dei lettori. Essi parlavano con semplicitа col solo fine di significare nettamente le cose e sono pieni di similitudini che io credo necessarie non per la stessa ragione per cui sono necessarie ai moderni poeti, ma per venire in aiuto alla nostra debolezza. per portare concorde il pensiero di chi parla e di chi ascolta sulla veritа che si vuol far presente al pensiero.
Adesso io leggo molto Sestio, uomo acuto che scrive di filosofia in lingua greca ma con costume romano. Mi ha fatto impressione in lui questa immagine: quando c'и il sospetto che il nemico possa venire da diverse parti, l'esercito deve marciare disposto in quadrato sempre pronto alla battaglia. "La stessa cosa" egli dice, "deve fare il sapiente; spieghi da ogni parte tutte le sue virtщ in modo che da qualunque parte sorga il nemico, quivi sia pronta la milizia di difesa. obbediente senza confusione al cenno del capitano. " Negli eserciti, ordinati dai grandi capitani, il segnale dato da un solo percorre ugualmente le file dei fanti e dei cavalieri, e tutti ricevono insieme il comando del capo; questo ordinamento, ci dice Sestio, и anche piщ necessario per noi. Quelli infatti spesso hanno temuto un nemico che non esisteva, e hanno ritenuta molto pericolosa una marcia che poi и stata invece perfettamente sicura. Per gli stolti non vi и mai tranquillitа in nessun posto, c'и sempre qualche cosa da temere di sopra e di sotto, da un lato e dall'altro, vi sono sempre pericoli che seguono alle spalle e altri che si presentano di fronte. Tutto fa loro paura, si sentono sempre impreparati e si spaventano persino all'arrivo dei soccorsi. Il sapiente invece и sempre interiormente fortificato e pronto a sostenere ogni assalto, non cederа mai ai colpi che gli possono essere dati dalla povertа, dai domestici lutti, da ogni forma di obbrobrio e di dolori, marcerа imperturbato contro tutte le avversitа e anche in mezzo ad esse. Molte cose inceppano la nostra azione e molte debilitano le nostre forze. Per molto tempo siamo rimasti a giacere fra i vizi, e noti и facile purgarcene; non ne siamo infatti solamente insozzati ma ne siamo addirittura avvelenati.
E per non passare da una metafora ad un'altra, ti farт una domanda che ho rivolto sovente a me stesso: perchй la stoltezza possa dominarci cosм tenacemente. Questo avviene anzitutto perchй non la respingiamo con forza e non aspiriamo con slancio alla guarigione, e poi perchй non prestiamo sufficiente fiducia alle veritа scoperte dai sapienti, non apriamo loro l'animo nostro, e con troppa leggerezza prendiamo a considerate questioni di tanta importanza. Chi sta ancora imparando e non sa precisamente quanto egli sia libero da vizi, come potrа sapere ciт che sia necessario per vincere i vizi stessi? Nessuno di noi approfondisce abbastanza questo tema: lo sfioriamo alla superficie e presi quali siamo da molteplici occupazioni riteniamo sufficiente dare alla filosofia esigui ritagli di tempo. Il principale impedimento poi и questo, che ci troviamo presto soddisfatti di noi stessi: se ci si imbatte in qualcuno che ci chiami uomini virtuosi, sani e moralmente puri, noi subito gli crediamo. E non ci sentiamo ancora contenti di una lode moderata. Noi accettiamo come dovuto quanto una spudorata adulazione ha messo insieme. Noi consentiamo a coloro che ci dicono ottimi sapientissimi uomini, pur sapendo che sono gente avvezza alle piщ gravi menzogne: e siamo verso noi stessi tanto indulgenti che vogliamo essere lodati per cose di cui facciamo proprio l'opposto. C'и chi sente dire di sй che и uomo mitissimo mentre condanna al supplizio, che и generoso mentre rapina il prossimo, che и temperante mentre vive dedito alle crapule e alla libidine. Ne segue che non vogliamo emendarci perchй crediamo di essere addirittura ottimi. Alessandro quando avanzava nell'India debellando popoli, non bene noti nemmeno ai confinanti, durante l'assedio di una cittа andava intorno per cercare nelle mura il punto debole: colpito da un dardo continuт per un pezzo a restare in sella e a proseguire l'opera sua, ma poi sentendo con lo stagnarsi del sangue crescere il dolore della ferita, ed intorpidirsi la gamba sospesa sul cavallo, costretto a fermarsi esclamт: "Tutti giurano che io sia figlio di Giove, ma questa ferita grida che io sono un uomo." Imitiamo Alessandro. Ognuno si lascia infatuare da un tanto di adulazioni. Ebbene, diciamo cosм: "Voi affermate che io sono uomo saggio, ma io invece vedo che bramo tante cose inutili, e non vinco il desiderio di tante cose nocive. Io non conosco nemmeno quel senso del limite che la sazietа mostra agli animali, non so quale misura io debba tenere nel mangiare e nel bere, quale capacitа abbia il mio stomaco.
Ed ora t'insegnerт il modo con cui puoi capire di non essere sapiente. Il sapiente и pieno di gioia, sempre ilare e imperturbato, vive in modo uguale a quello degli Dei. Ora esamina te stesso: se tu non sei mai afflitto, se nessuna speranza del futuro solletica nell'attesa l'anima tua, se nel succedersi dei giorni e delle notti и uguale il tenore dell'animo tuo sempre eretto e contento di sй, allora hai raggiunto la cima del bene umano. Ma se tu cerchi da ogni parte piaceri, sappi che ti manca tanto di sapienza quanto ti manca di gioia. A questa tu desideri pervenire: ma ti inganni se speri di raggiungerla fra le ricchezze e fra gli onori, se cioи cerchi la gioia in mezzo alle preoccupazioni. Queste cose clic tu cerchi perchй ti diano letizia e piacere sono cause di dolore. Tutti, io ti dico, aspirano alla gioia, ma non sanno dove possano trovarla grande e duratura: uno la cerca nei banchetti e nello sfarzo, un altro nell'ambizione e nella folla dei clienti sparsi intorno a lui, l'uno nell'amore di una donna e l'altro nella vana ostentazione della sua cultura, e in studi letterari che a nulla giovano per la nostra salute. Tutti costoro sono presi dall'amore di diletti falsi e fugaci quali l'ebbrezza di un'ora di follia che si paga poi con lungo tempo di fastidio, o il favore della moltitudine plaudente che si guadagna e si espia con grandi affannose preoccupazioni. Pensa dunque a questo, che l'effetto della sapienza и una uguale continuitа di gioia. Lo stato d'animo del sapiente и simile allo stato del mondo sopra la luna: ivi и sempre serenitа perfetta. Dunque se il sapiente non и mai senza gioia, hai ben ragione di voler essere sapiente. Questa gioia non nasce se non dalla coscienza delle virtщ: solo l'uomo forte, giusto, temperante puт gioire. "Ma dunque ", tu mi chiedi "gli stolti ed i malvagi non sono capaci di gioire?" Non di piщ dei leoni che hanno afferrata la preda: quando si sono affaticati coi vino e colla dissolutezza, quando hanno trascorso la notte fra bagordi, quando i piaceri addensati nel piccolo corpo oltre la sua capacitа cominciano a produrre suppurazione, allora miseri ripetono il famoso verso di Virgilio: " Come tra false gioie passammo l'ultima notte tu ben lo sai. " Gli uomini dissoluti passano tutta la notte tra false gioie come se fosse l'ultima: invece la gioia che accompagna gli Dei e gl'imitatori degli Dei, non ha interruzione e non ha fine. Cesserebbe se avesse origine in altri: ma siccome non proviene da dono altrui, cosм non и nemmeno soggetta all'altrui arbitrio. La fortuna nomi puт togliere ciт che non dа. Addio.

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