Letteratura latina nell'età augustea

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Testo

LETTERATURA LATINA

CARATTERI DELLA LETTERATURA DELL’ETÀ AUGUSTEA

L’età augustea storicamente comprende la produzione letteraria dalla morte di Cesare a quella di augusto mentre temporalmente va dal 43 a.C. (morte di Cesare) al 17 d.C. (morte di Ovidio).
Il nome “augustea” deriva dal cognomen “Augusto”. In realtà Caio Giulio Cesare Ottaviano assunse il nome di Augusto nel 27 a.C., e per il primo decennio la sua figura non appare determinante; la datazione, tuttavia, è utile perché nel 44-43 a.C. muoiono Cesare e Cicerone (perni politico-letterari di Roma) e da quel momento le figure dominanti della nuova poesia (Virgilio, Ovidio, Orazio e Tito Livio) hanno precisi e documentati rapporti con Augusto. Tale periodizzazione non va presa in maniera vincolante, perché uscendo ad esempio dal campo della poesia, nell’opera di Sallustio, sebbene cada in età augustea, i problemi dell’età augustea non giocano alcun ruolo.
Virgilio e Orazio forniscono riferimenti più precisi e rientrano pienamente nell’età augustea, in quanto pienamente inseriti nell’ambiente politico di Ottaviano; anche le Bucoliche di Virgilio e le Epodi di Orazio, che subiscono solo a tratti dell’influsso di Ottaviano, risentono della crisi generale su cui si basa lo sviluppo del partito di Ottaviano.
Il tema dominante delle opere composte tra la morte di Cesare e la battaglia di Anzio, è quello della “grande paura” che imperversa a Roma e nella provincia per la guerra civile tra “cesaricidi”, Antonio e Ottaviano e che rimangono a lungo nella letteratura augustea: nelle Georgiche, ad esempio, pubblicate in clima di pace, c’è un forte richiamo alle guerre civili; gravi ricordi sono contenuti nella prima raccolta delle Odi di Orazio e nell’Eneide la guerra tra Troiani e Latini è vista come una guerra civile.
Dopo la battaglia di Anzio, Ottaviano appare come colui che può portare un nuovo periodo di prosperità e di pace nell’impero; Virgilio e Ovidio che hanno subito le conseguenze della guerra civile (il primo con la perdita e poi il recupero di terreni e il secondo combattendo dalla parte sbagliata a Filippi), ottengono da Ottaviano protezione e sostegno ed essi pongono in lui ogni speranza di pace.
Inizia, dopo Anzio, una fase di concordia e ricostruzione, in cui i poeti e i letterati hanno spesso un ruolo attivo e individuale. La nuova ideologia produce opere di grande equilibrio classico, come le Odi di Orazio e i capolavori di Virgilio, in cui tuttavia si trova tutta la contraddizione che esiste tra Ottaviano uomo di pace e Ottaviano distruttore e protagonista della guerra civile. Così Enea deve fondare la città del futuro ma per farlo deve farsi portatore di guerra.
E questo ricordo della guerra civile sarà cancellato solo dal testamento politico di Augusto, le Res Gestae.
Sul piano letterario la produzione augustea è eccezionale: Virgilio, Orazio, Properzio, Tibullo, Ovidio e, per la storiografia, Tito Livio. Il tratto più vistoso di questa fioritura di capolavori è la volontà di competere con la Grecia classica: la letteratura dell’età augustea non imita, vuole produrre qualcosa che stia sullo stesso piano del modello, un equivalente romano che sappia imporsi come sua continuazione ma che sappia assumere le funzioni di riferimento e di guida.

ORAZIO

Vita

Quinto Orazio Flacco nacque nel 65 a.C. in

una colonia romana, da famiglia modesta, che però riuscì ugualmente ad ofrirgli un’ottima educazione: studiò a Roma e perfezionò i suoi studi in Grecia. Ma lì incontrò vari problemi a causa della difficile situazione politica: in Grecia si erano rifiugiati gli uccisori di Cesare e Orazio, in cerca di gloria e convinto di riportare la libertà, si arruolò nell’armata di Bruto e divenne tribuno militare.. In seguito ad una dura sconfitta, gli fu concesso di tornare a Roma, dove fu costretto a scrivere su commissione per vivere.
Finalmente Virgilio e Vario gli presentarono Mecenate, uomo di lettere e protettore dei letterati, che lo ammette nel circolo dei suoi amici e gli dona un podere in campagna. Quando morì, Orazio passò sotto l’ala di Augusto, con cui aveva un rapporto di amicizia, ma non di servilismo.
Morì nell’8 a.C.

Opere

Orazio scrisse molte opere. Fra le più famose ricordiamo:
Epodi – sono 17 componimenti il cui nome rimanda alla forma metrica: epodo è il verso più corto che segue a un verso più lungo, formando assieme un distico, di tono aggressivo. Il genere è molto vario, naturalmente l’introduzione è un proemio a Mecenate.
Satire – contano più di 2000 versi e sono divise in due libri, di cui il primo dedicato a Mecenate. Nell’aggressività delle Satire è nascosta un’intensa ricerca di analisi dei vizi che non serve per cercare di tracciare un modello ideale di virtù, ma per individuare la strada che pochi potranno percorrere fra lo schifo della società. Non prende di mira il mondo nobiliare, ma tutto il popolo.
Odi – (o Carmina) sono divise in tre libri, a cui poi si aggiungerà un quarto. Il metro è molto vario.
Interessante è la disposizione delle odi, simile al modello alessandrino: le odi di apertura e chiusura di ogni libro sono dedicate a personaggi famosi. Sedi privilegiate sono anche il secondo, il penultimo e la posizione centrale. Si possono aggiungere, a volere del poeta, carmi di contenuto simile, un ciclo di carmi con un proema dedicato all’ideologia nazionale. Le odi di Orazio non danno voce a libere meditazioni, ma si rivolgono ad un “tu” immaginario o reale.
Si dice che le Odi comincino dove le Satire finiscono: sono una specie di raccolta di perle di saggezza epicuree tratte dai risultati delle Satire e spesso dal semplice buon senso, ma scritte in modo da rientrare in senso vero e proprio nella cultura europea. Il punto centrale è la coscienza della brevità della vita che spinge ad appropiarsi delle gioie del momento, senza progetti futuri. Orazio usa spesso la campagna come locus amoenus, ma soprattutto il nido personale. Il tema dell’amicizia è ricorrentissimo, perché essa svolge un ruolo fondamentale nella vita del poeta, così come il tema della vocazione poetica.
Epistole – si tratta naturalmente di una raccolta di lettere. E’ divisa in 2 libri. Il primo comprende 20 poesie in esametri; il secondo contiene due epistole di argomento letterario.

Le sue opere non derivano da altre fonti: Orazio è un tipo originale. Forse ha preso qualcosina da Svetonio.

ERUDIZIONE E DISCIPLINE TECNICHE IN ETA’ AUGUSTEA

La fondazione a Roma di tre biblioteche indica l’aumentata domanda di lettura. Una di queste biblioteche, la Palatina, è diretta da Igino. Questi però cadde in disgrazia e morì in miseria. Il fatto che un personaggio di origine servile fosse direttore di una biblioteca stava a significare che ora la strada dell’ascesa sociale poteva passare anche attraverso le attività culturali e non più solo economiche. Le opere di Igino andarono tutte perdute.
Per quanto riguarda la cultura scientifica, la letteratura latina precedente all’età imperiale ne è molto carente, perché difficilmente si rinunciava alla prosa oratoria per adottare la terminologia precisa necessaria a scrivere le opere scientifiche.
Durante l’età imperiale, invece, la produzione di testi scientifici è molto maggiore. Ad esempio, in architettura, troviamo le opere di Vitruvio. Negli anni in cui Augusto si dedicò ad un programma di rinnovamento dell’edilizia pubblica, Vitruvio pubblicò il trattato De architectura, in 10 libri, dedicato ad Augusto. Purtroppo ci sono rimaste solo le opere scritte e non i disegni che correlavano l’opera.
Vitruvio vede l’architettura come l’imitazione dell’ordine provvidenziale della natura, per cui l’architetto deve conoscere bene tutte le scienze, deve avere veramente una cultura enciclopedica.
In realtà Vitruvio esagera: la conoscenza di tutte queste scienze (es. filosofia) serve più che altro ad aumentare il prestigio sociale e culturale dell’architetto.
TESTI
- L’architetto
In questo brano Vitruvio illustra le doti che ogni architetto, se vuole essere veramente tale, deve possedere. Oltre alle normali doti che deve possedere per essere un semplice architetto, deve:
- deve avere una istruzione letteraria per trasformare in appunti le idee;
- conoscere la storia per conoscere il significato simbolico delle figure ornamentali (ad esempio le cariatidi derivano dalle donne di Caria, città greca schieratasi con i persiani; al termine della guerra i Greci la occuparono, uccisero tutti gli uomini e fecero subire alle donne l’oppressione della vergogna lasciando lo loro le stole e gli ornamenti matronali ma riducendole in schiavitù: Gli architetti del tempo rappresentarono le donne sotto pesanti carichi per ricordare ai posteri la loro colpa e il loro castigo);
- conoscere la filosofia per essere libero dalla presunzione, non avido e avere gentilezza d’animo. La filosofia, inoltre, spiega la natura delle cose e insegna a conoscere i problemi posti dalla natura (basti pensare al problemi delle condotte idrauliche);
- studiare la musica (l’architetto progettava anche le macchine da guerra) perché le baliste, le catapulte e gli scorpioni vengono registrate per lanciare diritto con delle corde che devono vibrare ad un determinato tono;
- conoscere la medicina per sapere ciò che può essere utile o dannoso agli uomini (influssi del clima, caratteristiche dell’aria, dei luoghi o delle acque);
- deve avere cognizioni giuridiche per stipulare gli atti e per altri problemi che potrebbero sorgere dalla vicinanza degli edifici;
- conoscere l’astronomia per la costruzione delle meridiane.
La conoscenza di un architetto deve essere tanto vasta che la sua preparazione deve cominciare fin da giovane.

- Il patrimonio più sicuro
Il brano tratta di un naufragio del filosofo presocratico Aristippo nell’isola di Rodi. Egli temeva per la sua vita ma si salvò e ricevette grandi doni, recandosi al ginnasio e disputando di filosofia. Ciò vuol dire che l’uomo sapiente è cittadino di ogni città e può affrontare impavido ogni avversità della sorte; chi si basa sulla ricchezza, invece, affronta una vita incerta e malsicura.

ORIENTAMENTI DELLA STORIOGRAFIA NELL’ETA’ DI AUGUSTO

TESTI

Velleio Patercolo (consenso)
- Il rientro di Ottaviano in Italia nel 29

a.C.
Raccontare con quale entusiasmo Ottaviano sia stato accolto al suo rientro a Roma, richiederebbe un testo di storia apposito. Nulla potrebbero chiedere di più gli uomini agli Dei o gli Dei concere agli uomini, che non sia stato fatto da Augusto per lo stato, per il popolo romano e per il mondo. Restiuì forza alle leggi, autorità ai tribunali e maestà al senato e restaurata la primitiva e antica struttura dello stato; riprese il lavoro nei campi, e gli uomini furono sicuri nella persona e nei beni, furono rivisti gli elenchi dei senatori senza asprezza e ciascuno di essi venne chamato a collaborare per il miglioramento della città. Rifiutò con forza la dittatura. Unica cosa cui fu constretto contro la sua volontà di aumentare a 11 i consolati. Ciò che fece augusto, le guerre, la pacificazione e le opere, non lascerebbero riposo ad uno storico che volesse raccontarle.

- Tiberio in guerra
Tiberio fu grande generale in guerra quanto principe in pace. L’unione del suo esercito con quello che lo ragguinse successivamente aveva costituito un esercito tanto grande che mai si era vista cosa simile. Nonostante i possibili vantaggi numerici, Tiberio tuttavia si rese conto che un esercito di tali dimensioni non avrebbe potuto essere bene organizzato e controllato e decise di allontanare le truppe che si erano aggiunte al suo esercito. Tornato a Siscia all’inizio dell’inverno, organizzò l’esercito, e per tutta la durata della guerra in Germania e in Pannonia, egli fu sempre vicino ai suoi uomini e i suoi beni erano i beni di tutti e fu sempre di esempio a tutti.

Valerio Massimo (consenso)
- Amore fraterno di Tiberio
Tiberio nutrì verso il fratello Druso un affetto profondo. Saputo che era gravemente malato in Germania, partì immediatamente e procedette a tappe forzate, con un solo compagno in territorio nemico, abitato da un popolo barbaro che era stato da poco sottomesse. Gli furono scorta nel viaggio l’amore fraterno, gli dei che proteggono le piùalte virtù e Giove protettore dell’impero di Roma. Quando Druso seppe che ilfratello stava arrivando, sebbene moribondo e senza forze, diede ordine alle legioni di rendere onore al comandante supremo, fece costruire per lui una tenda vicino alla sua e reso onore al fratello, morì. Solo l’amore di Castore e Polluce può essere paragonato a questo.

Curzio Rufo (intrattenimento)
- Il nodo di Gordio
Alessandro raccolse il suo esercito per affrontare Dario; nella Frigi, che stava attraversondo, vi era la città di Gordio, dal nome del padre del re Mida. Alessandro, dopo averla conquistata, entrò nel tempio di Giove dove era conservato il carro su cui aveva viaggiato il Re. Era un carro normale tranne che nel giogo che era legato con molti nodi di cui erano invisibili i capi, per cui era impossibile scioglierli. Egli sapeva che esisteva una profezia che diceva che chi avesse sciolto l’intreccio, sarebbe diventato signore dell’Asia. Alessandro voleva essere lui a realizzare la profezia e pensò a lungo, davanti al popolo, come risolvere l’intreccio. I suoi uomini temevano che un fallimento assumesse ilsignificato di un infausto presagio; allora Alessandro si scosse e disse “Non importa nulla in qual modi si sciolgono i nodi” e li tagliò con la spada. In tal modo o eluse o realizzò la predizione dell’oracolo.

- Alessandro trascina i suoi
Alessandro si apprestava ad assediare la città dei Sudraci quando un indovino gli disse di non farlo perché la sua vita era in pericolo. Egli lo respinse dicendo che uno che si apprestava a fare cose tanto grandi non poteva essere fermato da un indovino impegolato nella superstizione. Ordinò quindi di avvicinare la scala e salì per primo; i suoi uomini ebbero un attimo di timore, ma quando videro che avevano lasciato solo il loro capo si precipitarono su per le scale con tanto impeto che molte di queste si spezzarono. Alessandro così rimase da solo e invece che accettare il consiglio dei suoi uomini che gli dicevano di saltare a tetrra che l’avrebbero preso, con un balzo superò il muro ed entrò nella città e cominciò a combattere appoggiao ad un albero i cui rami lo proteggevano in parte. Uccise molti nemici e tutti avevano paura di avvicinarsi e lo colpivano da lontano con i dardi. Il suo scudo era pesante per i dardi infissi e il suo elmo era rotto per le pietre ed Alessandro era tanto stanco che le gambe cominciarono a piegarsi; subito i nemici si fecero intorno ma egli ne uccise due e gli altri si ritirarono per la paura: Ma Alessandro non potè difendersi da una freccia di due cubiti lanciata da un indiano che lo colpì al fianco. Questi, credendo di averlo ucciso si lanciò su di lui per spogliarne il corpo; ma quando mise le mani su Alessandro, questi offeso da tale oltraggio, richiamò l’anima che lo abbandonava e colpì l’indiano con la spada uccidendolo.

LA PRIMA ETA’ IMPERIALE

CULTURA E SPETTACOLO: LA LETTERATURA DELLA PRIMA ETA’ IMPERIALE

La fine del mecenatismo

La scomparsa di Mecenate crea un forte distacco tra i letterati e il potere. Il rinvigorirsi di una storiografia contraria al principato, fa sì che nasca un nuovo atteggiamento di ostilità verso la dinastia giulio-claudia. Nemmeno Claudio riuscì, durante il suo principato, a cambiare la situazione, sebbene avesse la fama di erudito e avesse scritto già alcune opere.
Nerone è il primo che ritenta la ripresa del mecenatismo: sono di questo periodo, ad esempio, le poesie di stile classico o la poesia bucolica di Calpurnio Siculo, tutte ispirate a Virgilio che rappresentava la mediazione tra potere e poesia. Nerone istituì i Neronia, una gara di canto, musica, poesia e oratoria. E’ un fatto importante perché mostra l’indirizzo che Nerone voleva dare a queste manifestazioni culturali, rendendole pubbliche e spettacolari, oltre all’intento di riprendere il mecenatismo. Tutta la vita di Nerone è vista come una performance.
Sotto i Flavi questa moda delle gare poetiche pubbliche si diffonde moltissimo, ma in modo nettamente differente dall’indirizzo di Nerone: i Flavi parlano di un programma di restaurazione morale e civile (non quindi di aperture ellenizzanti come Nerone). In questo periodo la poesia epica ha una forte ripresa con modello Virgilio, mentre in prosa si assume come modello Cicerone. L’idea di ripresa del mecenatismo viene del tutto abbandonata e si impone un nuovo gu-

sto.

Letteratura e teatro

L’attività sempre crescente del librettista mostra da un lato che gli autori di quel tempo erano obbligati a rivolgersi al teatro per avere proventi maggiori, dall’altro che l’opera teatrale veniva sempre più apprezzata, in special modo la pantomima. Era questa una rappresentazione teatrale, spesso di carattere intensamente drammatico, in cui un attore cantava, accompagnato da musica, il testo del libretto (fabula saltica), mentre un secondo attore mimava la vicenda. Il successo di questo genere teatrale fu ad dir poco ENORME: solo i giochi del circo non riscuotono un successo inferiore. La letteratura assume un aspetto “teatrale”.

Seneca il Vecchio e le declamazioni

Si diffondono, durante l’età imperiale, le declamazioni pubbliche. La declamatio era un esercizio delle scuole di retorica, e Seneca il Vecchio ce ne dà testimonianza in un’opera frutto dei ricordi di scuola. Seneca il Vecchio nacque a Cordova (Spagna) intorno al 50 a.C. Divise la sua lunga vita tra Roma e la Spagna, frequentando i più elevati ambienti sociali romani. La sua opera testimonia il cambiamento che hanno portato sull’attività retorica a Roma l’avvento del principato e la scomparsa della libertà politica. A causa di questa scomparsa, era andata svanendo la funzione civile della retorica, che consiste ora in inutili esercitazioni (le declamazioni, appunto), che vertono su argomenti romanzeschi e fittizi, scelti per attirare l’attenzione degli alunni o del pubblico generico. Alle declamazioni come spettacolo pubblico parteciperanno anche personaggi di spicco della politica.
I due esercizi della declamatio erano la controversia, che consisteva in un dibattito di una causa immaginaria, e la suasoria, che consisteva nel tentativo da parte dell’oratore di orientare le scelte di un famoso personaggio di fronte ad una scelta difficile immaginaria. Dato il carattere fittizio, gli oratori cercavano di stupire non con il fatto, ma con colorazioni del discorso o presentando la situazione in modo imprevedibile, sempre usando molte figure retoriche ritmate.

Le recitazioni, o la letteratura come spettacolo

Altra forma di intrattenimento pubblico sono le recitationes: lettura di un’opera letteraria a opera dell’autore davanti ad un pubblico di invitati (genere introdotto da Asinio Pollione).
Ma, come sempre, il cambiamento di pubblico (ed è anche il caso delle declamationes), porta con sé trasformazioni dei caratteri dell’opera: la letteratura è sempre più spettacolare, teatrale, va alla ricerca dell’applauso del pubblico (non più appartenete ad una classe ristretta, ma a tutte le classi), e quindi cerca di stupirlo con artifici della lingua simili a “giochi di prestigio”. Questa ricerca dell’applauso tende a spezzare l’organicità dell’opera, perché si tende a creare dei “pezzi di bravura” autonomi.
Questo tipo di letteratura del I sec. È caratterizzata da una forte componente anticlassica, che si manifesta sia sul piano dei contenuti (temi insoliti, esotici, spettacolari), sia su quello formale, con un’esasperata ricerca di tensione espressiva che ha fatto parlare di “manierismo” stilistico.

SENECA

Nacque a Cordova in Spagna intorno al 4 a.C. (suo padre è Seneca il Vecchio). Fu educato nelle scuole retoriche e filosofiche a Roma. Ebbe molto successo nella carriera politica (tanto che Caligola ne volle la morte). Riuscì a sfuggirgli, ma non si salvò invece dall’accusa fatta da parte dell’imperatore Claudio di coinvolgimento nell’adulterio della sorella di Caligola. Fu Agrippina che, nel 49 d.C., riuscì ad ottenere il suo ritorno dall’esilio e lo scelse come tutore del figlio, il futuro imperatore Nerone. Accompagnando l’ascesa al trono del giovanissimo Nerone, Seneca entrò di fatto alla guida dello Stato: è il periodo del buon governo di Nerone ispirato a principi di equilibrio e concordia fra i poteri del principe e del senato. Ben presto questo periodo finì, e Seneca fu costretto a gravi compromessi, finchè non si ritirò alla vita privata. Nerone, però farà in modo che venga coinvolto nella “congiura di Pisone” e quindi condannato a morte. Seneca si suicidò nello stesso anno, il 65

d.C.
Le sue opere sono specialmente di carattere filosofico, per lo più raccolti nei Dialogi (non è un errore: è proprio Dialogi), di carattere etico e psicologico. Scrisse alcune opere filosofiche indirizzate a Nerone, alcune opere di carattere scientifico, alcune tragedie di argomento greco dal carattere fosco e cupo.
Sicuramente è inventata la leggenda della corrispondenza tra Seneca e San Paolo, che ne alimentò la fortuna nel Medioevo.

I Dialogi e la saggezza stoica

Seneca scrive, fra le altre cose, delle consolatio. Questo genere si costituisce attorno a vari temi morali (fugacità del tempo, precarietà della vita, …) su cui Seneca rifletterà spesso. Due delle consolationes di Seneca sono databili attorno al periodo dell’esilio e da entrambe si nota il forte desiderio di ritornare in patria: in una infatti Seneca consola una madre preoccupata per il figlio esule, nell’altra adula indirettamente un imperatore per cercare di ottenere il permesso di ritorno a Roma.
I Dialogi costituiscono trattazioni autonome di aspetti dell’etica stoica (lo stoicismo è la filosofia del saggio, che dice che l’essenza della felicità non è nei piaceri ma nella virtù). Ne fanno parte il De ira, una sorta di analisi delle passioni umane (da dove provengono e modi per dominarle), e il De vita beata, che affronta il problema della felicità e del ruolo che in essa svolgono i piaceri terreni, entrambe dedicate al fratello. Tutte queste opere servivano in realtà a Seneca per fronteggiare le accuse di incoerenza fra i princìpi professati e la sua vita concreta, in cui aveva accumulato un immenso patrimonio (anche grazie all’usura). Seneca si giustifica soprattutto dicendo che le ricchezze sono giuste se servono per arrivare alla virtù: l’importante non è non possedere ricchezze, ma non farsi possedere da esse. Il distacco dello stoico dai beni terreni è anche il tema che unisce la trilogia di dialoghi dedicati a Sereno, un amico: il primo dialogo esalta l’imperturbabilità del saggio stoico di fronte alle ingiurie e alle avversità; il secondo affronta il problema della partecipazione del saggio alla vita politica: la soluzione è una mediazione tra l’agire troppo e il troppo poco; il terzo parla della scelta di una vita appartata: il saggio vi è obbligato dalla situazione politica che gli impedisce di giovare agli altri.
In altre opere sono affrontati il problema della fugacità della vita, che tale ci sembra perché non ne sappiamo afferrare l’essenza, e quello della contraddizione fra il progetto provvidenziale e la sorte che spesso sembra premiare i malvagi e punire gli onesti: Seneca spiega dicendo che la volontà divina vuole solo mettere alla prova i buoni per esercitarne la virtù.

Filosofia e potere

Alcuni anni dopo il ritiro dalla vita pubblica, Seneca scrive il De beneficiis, in cui si tratta della natura e degli atti di beneficenza, della relazione tra benefattore e beneficiato, dei doveri di gratitudine, della vergogna che colpisce gli ingrati (si riferisce forse a come Nerone si è comportato nei suoi confronti?) e del fatto che la beneficenza è l’elemento coesivo dello Stato sociale, per cui ogni cittadino è responsabile dell’equilibrio dello Stato.
Per quanto riguarda quest’ultimo, l’opera in cui Seneca ha meglio descritto la sua idea politica è il De clementia, dedicato a Nerone, in cui l’autore traccia un ideale programma politico ispirato all’equità e alla moderazione. La monarchia illuminata è il tipo di governo che più si addice agli ideali di uno stoico, secondo il principio dell’universo governato dalla ragione universale. Il problema è trovare un buon sovrano, che avrà come unico freno la sua coscienza. Egli dovrà essere clemente con i suoi sudditi, e attraverso questa clemenza egli dovrà ottenere il consenso e la dedizione che sono alla base di uno Stato stabile. In questo quadro l’educazione del princeps assume un’importanza fondamentale, come la filosofia che diventa garante e ispiratrice della direzione politica dello Stato.
Seneca si impegnò al lungo per realizzare questo progetto, ma Nerone lo tradì.

La pratica quotidiana della filosofia: le Epistole a Lucilio

Ritiratosi dalla scena pubblica dopo la delusione arrecatagli da Nerone, Seneca orienta tutta la produzione successiva alla coltivazione della coscienza individuale. Le Epistulae ad Lucilium sono una raccolta di lettere filosofiche, che si ispirano al modello epistolare di Platone e di Epicuro: le lettere infatti istituiscono un colloquium con l’amico creando un’intimità quotidiana che, fornendo esempi tratti direttamente dalla vita, si rivela più efficace dell’insegnamento comune. Attraverso lettere scritte giorno per giorno vengono scandite le tappe del processo di perfezione interiore. Dopo che il destinatario ha acquisito alcuni princìpi fondamentali, le lettere cominciano ad assomigliare sempre più ad un trattato filosofico.
Il tema epistolare, inoltre, si adduce perfettamente alla filosofia senecana priva di sistematicità e incline alla trattazione di parti autonome.
La considerazione della condizione umana che accomuna tutti, spinge Seneca ad un’aspra critica verso la schiavitù.
Il distacco dal mondo eleva l’otium a valore supremo: otium non come inerzia, ma come ricerca del bene, nella convinzione che le conquiste dello spirito possano giovare a tutti, posteri compresi.
Il fine ultimo dello stoico è la libertà interiore, a cui si accompagna la meditazione quotidiana sulla morte, simbolo della propria indipendenza dal mondo.

Stile di Seneca

Cercando di riprodurre la lingua parlata, Seneca frantuma l’impianto del pensiero e preferisce un susseguirsi di frasi aguzze e sentenze, in antitesi con il periodo armonioso di Cicerone. Questa tecnica produce l’effetto di sfaccettare l’idea secondo tutte le angolazioni possibili.

Le tragedie

Sono nove, tutte di argomento mitologico greco tratte dai grandi tragici Eschilo, Sofocle e Euripide.
Sono le sole tragedie scritte da un latino rimasteci e sono un documento importante che testimonia la rinascita del teatro tragico latino: attreverso il teatro era possibile esprimere la propria opposizione al regime giulio-claudio.
Si pensa che le tragedie di Seneca fossero dedicate più alla lettura che alla rappresentazione.
Tutte le storie narrate nelle tragedie si delineano come un conflitto fra ragione e passione, e spesso vengono ripresi i temi filosofici. Il conflitto riguarda tutto il mondo. Frequentissima è la figura del tiranno sanguinario tormentato dalla paura e dall’angoscia.

L’Apokolokyntosis

In latino, il titolo sarebbe Ludus de morte Claudii, un titolo abbastanza strano! Il titolo in greco si riferisce alla zucca, forse presa come emblema di stupidità del divinizzato Claudio: la traduzione del titolo è infatti “deificazione di una zucca”.
Strano il fatto che Seneca abbia scritto precedentemente un’elogio funebre per Claudio. Forse si è voluto sfogare esprimendo così i suoi veri sentimenti verso il defunto imperatore.
Si parla della morte di Claudio e della sua ascesa all’olimpo, dove questi pretendeva di essere divinizzato. Naturalmente viene gettato negli inferi dove finisce per essere schiavo di un liberto.
Il genere è quello della satira menippea, che alterna prosa e versi.

La fortuna

La fortuna di Seneca è imponente, specialmente presso i Cristiani e durante il Medioevo.
Le sue tragedie fungono da modello per il teatro rinascimentale italiano e Shakespeare.
In Italia suo imitatore fu soprattutto Alfieri.

I GENERI POETICI DELL’ETA’ GIULIO-CLAUDIA

(pag.69, 75/77)

PLINIO IL VECCHIO E IL SAPERE SPECIALISTICO

Vita e opere

Nacque a Como nel 23 d.C. Partecipa alla vita

militare e conosce personaggi importanti tra cui Tito,m che diventerà imperatore. Le campagne in Germania gli suggeriscono l’ispirazione per i Bella Germaniae, a cui si ispirerà Tacito.
Dopo la morte di Claudio condusse vita appartata, anche per la sua ostilità a Nerone. Si dedicò all’oratoria e all’avvocatura (evitando così impegni politici). Scrisse un manuale di retorica, lo Studiosus, e uno studio sui problemi della grammatica, il Dubius sermo.
Con l’ascesa di Vespasiano Plinio diventa improvvisamente procuratore imperiale. In questo periodo scrive le sue opere più famose: la prima è A fine Aufidi Bassi, una storia di Roma (di cui non ci è rimasto nulla) tra il 50 e il 70 d.C., tra la fine di Claudio e l’ascesa di Vespasiano, impresa delicatissima perché si trattava di eventi freschi. Infatti Plinio non volle che fosse pubblicato quando era ancora vivo, anche perché si trattava fdi un opera pro-Flavia e non voleva essere accusato di servilismo verso Vespasiano.
La seconda è Naturalis historia, l’unica opera rimastaci. E’ divisa il 37 libri e destinata a fare da inventario delle conoscenze dell’uomo. Plinio dovette leggere tantisismo prima di scriverla.
Nell’introduzione presenta l’imperatore Tito.
Plinio muore nel 79 d.C. travolto da un’eruzione, alla quale si era esposto per salvar dei cittadini.

Plinio il Vecchio e l’enciclopedismo

In questo periodo sono numerose le opere che tentano di tracciare una sistemazione del sapere, allo scopo di indebolire lo sperimentalismo autonomo, ma nessuno era riuscito a scrivere un’enciclopedia come quella di Plinio.
Dato l’avanzamento della scienza in Grecia è facile che molti di questi testi fossero la rielaborazione di simili scritti greci.
Il bosogno di informazione cresceva a Roma, perché stanno nascendo in questo periodo nuovi ceti, più specializzati (medici, architetti, tecnici, …9 e anche i politici hanno bisogno di nuove conoscenze economiche, finanziarie, …
Contemporaneamente, l’informazione scientifica è anche intrattenimento, sin dall’età di Seneca. Si diffondono i paradossografi, che scrivono raccolte di aneddoti, curiosità scientifiche, notizie. Che dicono essere frutto di esperienza personale, in quanto i paradossografi erano grandi viaggiatori. Il più famoso paradossografo fu Licinio Muciano, che soggiornò a lungo in Oriente (motivi militari).
In ogni caso si tratta di dilettanti che hanno il solo pregio di essere curiosi. Mancano di stile e sistematicità. Soprattutto manca il collegamento tra esperienza pratica e tradizione: le nuove conoscenze non portano cambiamenti, ma solo aggiunte di notizie accanto ai modelli tradizionali.
L’oera di Plinio il Vechchio è la più compiuta del genere, persino migliore delle opere greche.

Eclettismo e progetto enciclopedico

E’ una circostanza favorevole a Plinio che si trovasse vicino alle posizioni stoiche. L’idea che l’Universo è una complessa solidarietà, retta dalla Preveggenza divina, che l’uomo deve conoscere, è adattissima alla stesura di un’enciclopedia. Ma Plinio è eclettico e perciò non si riferisce solo al sapere stoico, perché altrimenti il materiale a disposizione sarebbe troppo poco: dello stoicismo riprende più che altro la missione del saggio.
Importante è lo spirito di servizio di Plinio, che porta senso pratico e serietà morale nella composizione dell’enciclopedia.
Stilisticamente, Plinio il Vecchio è considerato uno dei peggiori scrittori latini! Tanto la tradizione romana di questo genere letterario non vantava altri abili scrittori con cui confrontarsi, e data l’ampiezza del lavoro er aimpossibile l’elaborazione stilistica. Oltrewtutto in quel periodo si cercava molto di “smontare” le architetture stilistiche di cicerone: il risultato per Plinio è una gran confusione. Nella sua opera si trovano stili diversi, persino parti di retorica.
Sitta comunque di un’opera adatta alla consultazione, e in questo è quella del tempo organizzata nel modo migliore.

Fortuna della Naturalis historia

Purtroppo si cominciò subito a manipolare l’opera, facendone riassunti e antologie. Ma fortunatamente l’opera non andò persa per questo perché venne copiata per intero nel Medioevo. L’opera di Plinio divenne fondamentale per i suoi smisurati indici di fonti e autori e il suo nome crebbe d’importanza: un uomo che aveva rinunciato ad ogni originalità per farsi portavoce del sapere, un uomo-schedario.
Anche gli Umanisti studiarono Plinio il Vecchio e notarono che molti rimedi medici erano sbagliati o per giunta pericolosi. Gli Umanisti continuarono a dare fede a Plinio imputando gli errori alla tradizione manoscritta, ma in realtà la fede nell’autorità di Plinio vacillava sempre di più.
Ora il valore di Plinio non è più pratico, ma storico.

LUCANO

Vita e opere

Nacque in Spagna nel 39 d.C., nipote di Seneca. La sua formazione avviene a Roma. Entra nella corte di Nerone ed è per un po’ di tempo suo intimo amico (scrive addirittura delle laudes di Nerone). Ma l’amicizia si spezza (forse per gelosia da parte di Nerone o per lo spirito repubblicano di Lucano). Quindi, incavolatissimo, Lucano aderisce alla congiura di Pisone, ma come tutti gli altri riceverà l’ordine di suicidarsi. Muore a meno di 26 anni.

Il suo poema principale è il Bellum civile o Pharsalia, in 10 libri. Ci restano solo i titoli di numerose opere di vario genere.

Una storia versificata?

Lucano è un poeta molto versatile, per la varietà di opere che ci ha lasciato, ma che comunque mantiene
sempre una totale adesione ai gusti neroniani. Ma non nella Pharsalia, in cui esplicitamente (anche se non era stata scritta con questo intento) critica il regime imperiale.

Riassunto:
Si comincia con un elogio di Nerone, con la spiegazione delle cause della guerra tra Pompeo e Cesare, e con la descrizione del passaggio di quest’ultimo sul Rubicone. Mentre la popolazione è spaventata e discute riguardo allo schieramento da prendere, Pompeo fugge sotto

le pressioni di Cesare, che riesce ad entrare a Roma. Ripresosi, Pompeo scatena una terribile battaglia contro Cesare a Marsiglia assediata. Un pompeiano consulta l’oracolo di Delfi, ma il responso è ambiguo. Cesare arriva in Epiro. Nel frattempo il figlio di Pompeo interroga una maga che rianima (negromanzia) un soldato caduto in battaglia, il quale gli predice la sua rovina, della sua famiglia, e della politica di Roma. Quindi Pompeo, venuto a sapere della predizione, sconsiglia la guerra ma non è ascoltato:

Cesare vince in Tessaglia e Pompeo fugge in Egitto, dopo aver suggerito di ritentare a sconfiggere Cesare con nuovi alleati. Ma in Egitto Pompeo trova la morte e un’umilissima sepoltura (la sua testa viene addirittura offerta a Cesare – che la rifiuta - arrivato in Egitto). Intanto Catone ha assunto il comando dell’esercito repubblicano e attraversa tutto il deserto senza consultare alcun oracolo, perché sa che non servirebbe a nulla. Cesare banchetta con Cleopatra nei pressi della tomba di Alessandro Magno, mentre gli Alessandrini tentano una sollevazione contro di lui.
Il poema si interrompe bruscamente qui.

La critica antica ha censurato molto il poema di Lucano, per l’abuso di sentenza che trasformano l’opera quasi in un’orazione, per la rinuncia agli interventi delle divinità e per l’andamento “Annalistico” tipico di un’opera storica.
La verità dei fatti è stata naturalmente deformata per fini ideologici, a volte solo sottolineando con più forza certi eventi, altre volte inventandolo di sana pianta (predizione della rovina della politica di Roma e di Pompeo).

Lucano e Virgilio: la distruzione dei miti augustei

Attraverso queste critiche è possibile confrontare la Pharsalia all’Eneide di Virgilio come un’ “anti-Eneide”, mentre Lucano diventa un “anti-Virgilio”.
Il poema epico, nelle mani di Lucano, cambia le sue caratteristiche: da monumento per la gloria dello stato e dell’esercito, diventa la denuncia della perdita della moralità e del potere dell’ingiustizia. Tutto ciò avviene come attraverso ad un capovolgimento delle affermazioni dell’Eneide, in un tono di indignazione verso Virgilio che viene accusato di aver ingannato i lettori coprendo con un velo mistico la fine della libertà e la trasformazione in tirannide. Lucano sembra avere come obiettivo proprio lo smascherare questo inganno e lo fa attraverso una narrazione “vera”: non vengono più rielaborati racconti mistici e l’intervento della divinità è messo da una parte.
Ma Lucano non si rivolge a Virgilio solo per criticarlo: in fondo è la stessa persona che nelle Georgiche appare sconcertata dall’orrore delle guerre civili e che confida nella bontà del destino.
Per Lucano, invece, ogni illusione deve essere abbandonata.

L’elogio di Nerone e l’evoluzione della poetica lucana

Questo pessimismo di Lucano sembra evolversi lungo il poema. Sembra che all’inizio abbia sperato anch’egli nell’ascesa al trono di Nerone, ma poi abbia cominciato a delinearsi la polemica anti-virgiliana, cominciando a parlare apertamente degli orrori delle guerre civili e non utilizzandole come sottofondo come fa Virgilio nell’Eneide. Nell’elogio iniziale si leggono una serie di motivi ripresi da Virgilio riguardo alla glorificazione di Augusto. A quei tempi era abbastanza diffuso l’uso di confrontare Nerone ad Augusto, proprio perché anche Nerone era asceso al trono nel momento in cui infuriava il conflitto civile, e si sperava che, come Augusto, l’avrebbe placato. Lucano, comunque, crede più nel nuovo Augusto che nel primo e con l’elogio sembra dire a Virgilio che ha sbagliato principe.
Ma nel resto dell’opera Nerone non viene più nominato e questa si tratta dell’ultima speranza nella provvidenza di Lucano. Il resto del poema è perciò molto pessimistico.

Lucano e l’anti-mito di Roma

Il pessimismo di Lucano approda nell’ “anti-mito” di Roma, contrapposto naturalmente a quello virgiliano. Come l’Eneide, la Pharsalia ruota attorno a delle profezie che però non predicono il futuro glorioso di Roma, ma la sua decadenza. L’episodio più importante di questo genere è la negromanzia: con questo flash nel mondo dell’oltretomba Lucano vuole riprendere la discesa agli inferi di Enea, collocando addirittura l’episodio nel VI libro come Virgilio.

I personaggi del poema

Il protagonista non è uno come nell’Eneide, ma tre: Cesare, Pompeo e Catone.
Cesare è grande, malefico e rappresenta l’avversa fortuna che si scatena come furor su Roma. Si nota l’ammirazione che Lucano nutre per il suo personaggio, che in fondo rappresenta tutte quelle forze irrazionali sconfitte nell’Eneide. Cesare è violento, irascibile, impaziente e, per rendere meglio l’idea, Lucano lo spoglia anche di una sua vera qualità: la clemenza verso i vinti.
Pompeo è invece un personaggio passivo, artificio studiato apposta per limitarne le responsabilità: deve essere solo la brama di potere di Cesare a rovinare Roma e si deve capire bene!! Pompeo diventa un Enea dalla fortuna avversa, una figura tragica che è l’unica a seguire uno sviluppo psicologico. Da alte posizioni di potere, Pompeo comincia a perdere autorità e ciò lo porta a chiudersi sempre più nella sfera privata e famigliare, cogliendo la malvagità dei fati.
Questa consapevolezza è invece per Catone nota dall’ inizio del poema. Nella sua figura risiede la crisi dello stoicismo che credeva che la storia seguisse un disegno predestinato dalla divinità. Di fronte ad un destino quale la rovina di Roma, Catone non aderisce più volontariamente a questo disegno divino, matura la convinzione che la giustizia non sia più da ricercare negli dei, ma nella coscienza.
Gli altri sono personaggi minori, il cui carattere è deciso dallo schieramento: mentre i pompeiani sono coraggiosi e giusti, l’esercito di Cesare è formato da uomini assetati di sangue e di prede.
La moglie di Pompeo, Cornelia, è il ritratto della fedeltà e dell’amore al marito.

Lo stile

Il ritmo narrativo è incalzante, ardente, concitato. l’Io del poeta è praticamente onnipresente per giudicare ogni fatto. E’ uno stile senza misura e che non rispetta la metrica, seguendo così la passione e non la moda del tempo. E poi il genere epico antico non era più adeguato ai tempi, perché lo sviluppo degli eventi ha tradito il mondo ideale dei miti e degli dei.
La struttura retorica è necessaria: si tratta del racconto di un’ideologia e per non farlo scadere solo in un messaggio disperato, Lucano è costretto a ricorrere a questi schematismi.

LA NOVELLA ED IL ROMANZO IN GRECIA E A ROMA

PETRONIO

Vita e opere

Se non lo si considera come un cortigiano di Nerone, si sa ben poco della sua vita; al contrario, di lui si ha un ritratto perfetto nel libro XVI degli Annali e Tacito ci narra che fu costretto da Nerone stesso a suicidarsi.

Di Petronio abbiamo un lunghissimo frammento del Satyricon e probabilmente deriva da due grecismi che vogliono dire “Storie di satiri”. Ha forse scritto l’Anthologia palatina.
La diffusione di Petronio fu frenata da pregiudizi morali.

Il Satyricon

Molte discussioni sono state aperte intorno al Satyricon: incertezze sull’autore, la data di composizione, il titolo ed il suo significato, la trama, l’estensione, il genere letterario e le motivazioni che hanno spinto l’autore a scrivere quest’opera.

Autore e datazione
Petronius Arbiter è l’autore del Satyricon. Ma chi è? Oggi si identifica questo personaggio con un cortigiano che, alla corte di Nerone, svolgeva il ruolo di elegantiae arbiter per il sovrano. Il Petronio di cui ci parla Tacito è un personaggio paradossale, raffinatissimo, che fu eccezionale anche nella morte: si tagliò le vene (per ordine di Nerone) e, rallentando la morte, banchettò parlando di poesia. Si trattava comunque di un uomo serio, che denunciò tutti i maltrattamenti verso i suoi servi. E queste caratteristiche sembrano proprie di colui che dovrebbe essere l’autore del Satyricon.
Comunque tutti gli elementi concordano in una datazione non oltre il periodo neroniano (e guarda caso il nostro Petronio è vissuto proprio in quel periodo).
Il latino parlato dai personaggi minori è profondamente diverso da quello che i critici conoscono, più volgare, e questo ci aiuta a ricostruire la lingua popolare del tempo. Il contrasto tra la lingua parlata dal narratore e quella dei liberti è voluto.

La trama del romanzo
Il frammento che ci resta corrisponde alla Cena di Trimalcione, che deve aver attratto fortemente il censore, dato che si tratta dell’unica parte non tagliata.
Il riassunto di questa Cena è molto complesso e lungo quindi non l’ho letto.

Il genere letterario: menippea e romanzo
Pochi sono i romanzi antichi, due latini (il Satyricon di Petronio e le Metamorfosi di Apuleio) e numerosi greci.
I romanzi greci sono omogenei ed hanno dei tratti in comune, soprattutto il fatto che la trama sia quasi invariabile (innamorati che, per stare insieme, devono superare mille avversità), il tono quasi sempre serio, il paesaggio variabile, l’amore è pudico.
Nel romanzo di Petronio l’amore è visto in modo molto diverso: il partner preferito dal protagonista è maschile, il sesso è molto esplicito e provoca spesso situazioni comiche, come una parodia del romanzo greco. D’altronde in quel periodo si diffonde una letteratura novellistica spesso piccante e amorale (come i Milesiaka di Aristide, ripresi da Sisenna), di cui molte opere sono andata perdute, probabilmente apposta.
Ma il romanzo di Petronio è comunque il più complesso del genere, specialmente la trama, che si presenta come una numerosissima serie di scenette unite da richiami, come personaggi che ritornano molto più tardi della prima apparizione.
Anche la forma è molto complessa e comprende prosa e poesia. La funzione della poesia in questo caso è comica perché dovrebbe servire da commento, ma finisce sempre per non c’entrare niente con quello che succede.
Questa alternanza di prosa e poesia ci riconduce alla satira menippea (Varrone aveva intitolato le sue composizioni satiriche, molto varie per temi e forma, Satire Menippee: vi si alternavano toni seri e giocosi, situazioni volgari e non, il tutto ben composto – vedi anche l’Apokolokyntosis di Seneca). Comunque la satira menippea è più breve e rivolta contro un bersaglio esplicito.

Realismo e parodia
Dunque: il Satyricon deve la struttura e la trama alla narrativa, mentre la forma alla tradizione menippea; ma la sua originalità è unica.
Innanzitutto la forte carica realistica: nella narrazione i luoghi non sono visti astrattamente, ma si tratta di luoghi tipici. La mentalità e il linguaggio delle varie classi sociali sono riprodotti fedelmente, e questo potrebbe sembrare n tratto comune ad altre opere, ed invece è proprio nelle altre satire che si trova il contrasto. In queste infatti l’autore costruisce il personaggio attraverso un filtro morale, che anche senza commenti particolari rende chiara l’idea su quel personaggio. Petronio invece non dà alcuno strumento di giudizio, anche perché il narratore stesso si trova all’interno della vicenda. La visione dunque è reale e disincantata. Pochi sono i personaggi che si prodigano in prediche morali.
Dunque la vocazione satirica è incompleta, mentre vi è il predominio della vocazione parodica. I versi hanno funzione comica, abbiamo visto, e questo anche per l’ironia con cui guardano la vita e le sue delusioni: la parodia petroniana è un modo di vedere le cose in modo ambiguo.
In questo tipo di parodia sono molto frequenti i richiami alla grande letteratura in modo diverso dal solito (ad esempio un’ancella cita Virgilio per convincere la padrona a concedersi ad un corteggiatore). Numerose sono le illusioni all’Odissea, per la sua struttura tipo viaggio, e si è persino pensato che il Satyricon fosse una parodia della stessa Odissea.

LA SATIRA SOTTO IL PRINCIPATO: PERSIO E GIOVENALE

PERSIO

Vita e opere

E’ di origine etrusca e proviene da una ricca famiglia equestre (34 d.C.). Fu presto orfano di padre e inviato a studiare presso le più rinomate scuole di retorica e grammatica. Ma fu Cornuto, un suo maestro, che lo mise in contatto con l’opposizione senatoria al regime. Condusse vita austera, studiò molto e morì ventottenne.
Persio non pubblicò nulla di quello che produsse. Fu un suo amico, Basso, che se ne prese cura. Furono pubblicate le prime prove poetiche e il libro delle Satire.

Riassunto delle Satire:
Dopo un prologo che polemizza sulle mode letterarie del tempo, seguono sei componimenti satirici, che illustrano:
• i vezzi della poesia contemporanea e la degenerazione morale che le accompagna;
• la religiosità ipocrita di chi non è onesto e chiede agli dei solo che siano appagati i suoi desideri di potere;
• la vita di un giovane signore che non si preoccupa affatto della vita morale (è spinto a farlo);
• la necessità dei politici di conoscere se stessi prima di insegnare agli altri;
• (rivolta al maestro Cornuto) il tema della libertà secondo la dottrina stoica (il saggio si fa guidare dalla propria coscienza)
• (rivolta all’amico Basso) il vizio dell’avarizia, additando come modello lo stoico che usa moderatamente i suoi beni.

Satira e stoicismo

Per il suo spirito polemico e per il suo sarcasmo è normale che Persio abbia scelto il genere satirico.
Spesso nei suoi componimenti Persio torna sulle ragioni delle sue scelte letterarie: la sua

poesia è soprattutto etica, vuole smascherare la corruzione e il vizio. Secondo lui la poesia vive in questo periodo una degenerazione del gusto, segno di indegnità morale: per questo Persio vuole il ritorno ad una poesia semplice che mostri la vera realtà e non le sue apparenze ingannevoli.
Nella descrizione delle forme del vizio e della corruzione Persio usa molto spesso le immagini del corpo e del sesso, che usa per deformare in modo macabro il reale secondo la tradizione satirica. La fenomenologia del vizio diventa l’aspetto principale della poesia di Persio, che relega così in secondo piano la descrizione positiva degli esiti della liberazione morale. Persio non è il maestro che accompagna l’alunno in un cammino in cui entrambi sembrano imparare qualcosa: egli è un maestro inflessibile che enuncia una verità dogmatica destinata a coloro che, al contrario di lui, sono preda del vizio.

L’asprezza dello stile

La predicazione di Persio avviene attraverso un linguaggio oscuro e spoglio, privo di retorica, proprio per l’esigenza realistica che lo anima. Spesso a tale scopo usa un nesso urtante per la sua asprezza sia dal punto di vista fonetico che semantico.
La lingua è dunque quella usata quotidianamente, ma rafforzata in modo da non sembrare banale, da illuminare nuovi aspetti della realtà (come è la funzione delle metafore da Persio usatissime).

Persio e il suo manifesto letterario: i Choliambi

I Choliambi dovrebbero costituire il prologo dell’opera di Persio. In essi il poeta nega che la propria poesia derivi da ispirazione divina e perciò si professa “mezzo poeta” perché crede in una poesia più umile ma più attinente alla realtà. Bersaglio di Persio comunque non sono tutti i poeti, ma solo i poetastri contemporanei, tronfi e vuoti.
I Choliambi sono simbolo dell’oscurità di Persio, cioè della difficoltà di lettura della sua poesia, ricca di metafore e con un lavoro di limatura veramente perfetto.

GIOVENALE

Vita e opere

Le notizie della vita di Giovenale sono poche e incerte, derivate da rari suoi cenni o dagli epigrammi dell’amico Marziale. Dovrebbe essere nato nel basso Lazio intorno al 50 a.C. da famiglia benestante. Sembra che sia stato avvocato e si sia poi dato alle declamazioni e quindi alla poesia. Come Marziale visse sotto i potenti, in condizioni economiche disagiate. Morì sicuramente dopo il 127 a.C.

Scrisse 16 satire suddivise in 5 libri, scritte nell’età matura.

Riassunto:

le sue satire sono di vario genere. Tra le tante, la prima spiega i motivi per cui è diventato poeta satirico (per la corruzione morale diffusa), anche se per non compromettersi troppo attacca le generazioni passate e non le presenti. Le sue satire in generale hanno come frequente bersaglio l’omosessualità, un “vizio turpe”, ma spesso fanno dell’ironia, come la 4° satira in cui si narra del consiglio riunito da Domiziano per discutere su una questione importantissima: come cucinare il rombo offerto in dono all’imperatore. Critica i vizi delle donne, rimpiange il mecenatismo… insomma, critica vari aspetti della vita presente.

La satira “indignata”

Di fronte alla società corrotta e disonesta contemporanea, la letteratura mitologica è ridicola: Giovenale crede che l’unico genere letterario adatto a quei tempi sia la satira e che la musa del

poeta debba essere l’indignazione. Al contrario di Persio e Orazio, però, Giovenale non crede che la satira modifichi il comportamento degli uomini. Rifiutando di dare delle risposte ai problemi che affliggono la società, il poeta rifiuta il pensiero moralistico romano (che diceva di restare indifferenti di fronte al mondo esterno e di coltivare i beni interiori), ed in questo si differenzia da tutta la tradizione satirica. Giovenale preferisce lo sdegno all’indifferenza.
Agli occhi Di questo poeta moralista, la società romana sembra irrimediabilmente compromessa; egli si sente come un emarginato che osserva una scena confusa in cui il suo solo potere è l’invettiva. Si scaglia contro tutti, e specialmente le figure di più alto rilievo, i ricchi e le donne (misoginia), ed è a queste ultime che dedica un’intera satira.
In tutto questo sdegno trova ampio spazio la denuncia delle condizioni dei letterati che sono alla fame, degli umili, degli oppressi, in un forte atteggiamento democratico. Ma in realtà è tutta un’illusione: Giovenale disprezza i rozzi, il volgo, chiunque svolga un lavoro manuale: è pieno di orgoglio intellettuale che lo tiene ben distante da qualunque tipo di solidarietà sociale.
Egli ama i bei tempi passati, in cui la corruzione era solo un piccolo problema.
Nella seconda parte dell’opera Giovenale abbandona l’indignatio per assumere un atteggiamento più distaccato (proprio quello del pensiero moralistico romano), rassegnata. Ma qua e là si leggono i segni del furore di sempre.

Lo stile satirico sublime

Nella tradizione precedente la satira si occupava di questioni familiari, per cui il linguaggio adottato era umile. Ora che si parla di realtà eccezionali il linguaggio deve cambiare: diventa simile a quello della tragedia, un genere letterario opposto alla satira, ma ne rifiuta l’irrealtà. Per il tono dell’indignatio non è indicato il registro comico a cui era legata la tradizione satirica, ma un tipo di lingua sublime.
Attraverso questa espressione sublime Giovenale fa risaltare per contrasto lo schifo della materia trattata, che ha comunque già deformato.
Il suo stile è ricco di enfasi, ripetitivo nelle denuncie e nei topoi moralistici, in cui si mostrano gli influssi della scuola retorica che il poeta ha frequentato.

Fortuna

La sua fortuna inizia durante il Medioevo. Sappiamo comunque che Giovenale fu noto a Dante, Petrarca, Ariosto, Parini, Alfieri, Carducci e molti altri.

MARZIALE E L’EPIGRAMMA

Marziale nacque in Spagna intorno al 38 d.C. A Roma fu accolto dalla famiglia di Seneca e conobbe ambienti elevati. Li frequentò finchè non furono repressi dall’imperatore Nerone perché erano di opposte tendenze. Da allora Marziale visse modestamente, finchè, dopo la pubblicazione di alcuni epigrammi, ottenne il rango equestre. Non ne ebbe un gran vantaggio economico e ciò gli creò molte difficoltà.

Insofferente per la vita in città finisce per tornare in Spagna, dove però si sente a disagio per l’ambiente provinciale. Muore scontento.
Di Marziale ci restano gli Epigrammi in 12 libri ed altre raccolta di numerosi epigrammi.

L’epigramma come poesia realistica

Nell’età Flavia, oltre al recupero del genere epico, si ha una riscoperta dell’epigramma, uno dei generi più umili di poesia. Anche Catullo ne scrisse.
“Epigramma” vuol dire “iscrizione” e nasce nella Grecia arcaica. Si evolve quindi in componimento di pochi versi che serve ad esprimere lo stato d’animo di un momento. I temi sono naturalmente leggeri.
A Roma Catullo ne valorizza la forma breve per esprimere i sentimenti o per polemizzare.
Marziale sceglie l’epigramma per la sua versa-

tilità che egli contrappone ai generi epici, tanto lontani dalla reale vita quotidiana. Che Marziale pone alla base dei suoi epigrammi. Il successo è dovuto al fatto che questa forma poetica filtra e nobilita le esperienza di ognuno, per cui è facile trovare un epigramma da adattare, per esempio, ad un bigliettino da mandare con un regalo agli amici o da utilizzare per la commemorazione di un evento importante come un matrimonio o una festa.
La realtà è deformata per mezzo della satira che traccia una specie di schema di tipologie fisse: spilorci, medici imbroglioni, vanitosi, parassiti, … Ma negli epigrammi non si trova alcun tipo di giudizio o condanna. Gli epigrammi sono fatti per sorridere.

Il meccanismo dell’arguzia

I temi riguardano, oltre al solito epigramma funerario, le esperienze del poeta o il costume sociale del tempo.
Abbiamo detto che, a differenza degli altri epigrammi, quelli di Marziale sviluppano soprattutto l’aspetto comico-satirico della realtà (tecnica ripresa da Lucilio).
I versi terminano quasi sempre con una battuta brillante che corona il breve pensiero, secondo un modello già utilizzato in passato ma mai perfezionato: è Marziale a completarlo.
La divisione è semplice: vengono descritti la situazione, l’oggetto, il personaggio in un crescendo di attesa che si scarica improvvisamente in un paradosso, nella battuta finale.
Lo stile è adeguato al tipo di poesia realistica e divertente e spesso vede l’introduzione di termini osceni.

QUINTILIANO

Vita e opere

Quintiliano nacque in Spagnanel 35 d.C., da un padre maestro di retorica. Si trasferì da giovane a Roma e poiritornò in Soagna dove svolse attività forense. Tornò a Roma edivenne maestro di retorica (oltre che avvocato). Ebbe così tanto successo che Vespasiano gli affidò la prima cattedra statale con un ostipendio annuo e Domiziano gli affidò l’educazione dei suoi due nipoti.
Morì dopo il 95 d.C.

La sua opera più importante è l’Institutio oratoria, in 12 libri. Si dice che abbia scritto anche delle declamazioni, ma sono certamente spurie per il forte colorito stilistico.

I rimedi alla corruzione dell’eloquenza

Il problema della corruzione dell’eloquenza riguardava sia la sfera morale che quella letteraria: il primo aspetto è evidente nel diffuso malcostume e nella grande quantità di maestri corrotti; il secondo aspetto era relativo alle scelte letterarie, perché nelle virtù e vizi delllo stile molti vedevano le virtù e vizi del carattere. Per quanto riguarda lo stile Quintiliano avrebbe desiderato tornare al classicismo per eliminare lo stile corrotto contemporasneop, di cui, diceva, Seneca era stato il maggiore responsabile.
La corruzione dell’oratoria è causata (oltre che dai costumi) anche dal decadimento delle scuile e dalla vacuità degli insegnamenti di retorica. Dunque il problema di può rispolvere insegnando in modo migliore e l’Institutio oratoria si propone proprio di nidicare i modi di questo insegnamento.

Riassunto:
L’opera è dedicata ad Antonio Marcello, un oratore. Si parla dell’insegnamento delle basi della retorica, dei odveri degli insegnanti, dei modi attraverso i quali acquistare disinvoltura (leggendo i classici – qui Quintilkiano ci è molto utile per l’excursus storico-letterario sugli scrittori greci e latini), cerca di dimostrare che la cultura latina tiene il confrotno con quella greca, chiarisce i requisiti morali e culturale dell’oratore e accenna al problema del principe e dell’oratore.

Scopo di quest’opera fu quello di riprendere lo stile di Cicerone, per riptrovare la sanità di espressione che doveva indicare la saldezza dei costumi. L’esigenza di questa saldezza deriva dall’ascesa al trono di Vespasiano (quindi Nerone non c’è più), che reintroduce codici di comportamento eliminati da Nerone.
Quello stile di Seneca (il Nuovo Stile), che per Quintiliano aveav provocato tutto qiesto, contava ancora molti seguaci. Ai tempi dell’Institutio la situazione è cambiata: si afferma il nuovo classicismo, anche se resta l’esigenza di condannare alcuni tratti di stravaganza “intollerabili” nello stile: per esempio le sententiae senecane. In origine la sentenza era un giudizio, ora indica i tratti brillanti del discorso, soprattutto quelli a fine periodo. Le sententiae servono a vivacizzare il discorso e sono molto usate da Seneca. Sembra che sia una vergogna non terminare ogni frase con un applauso, e quindi con una sententia, e ciò non è possibile, perché non esistono tante buon sententiae quente sono le volte che la frase deve terminare.
Soprattutto, Quintiliano mirava alla sostanza delle cose e Senaca agli ascoltatori; per uno esiste l’esigenza del docere (autore unico attore), per l’altro del movere (pubblico primo attore).

Il programma educativo di Quintiliano

L’oratore ideale per Quintiliano è quello di tipo ciceroniano per la vastità della formazione culturale richiesta. Comunque nemmeno Quintiliano riesce a scrivere come Cicerone, infatti il suo stile non è così’ armonico e simmetrico. E’ piuttosto un ostile che rispecchia il suo ideale di vita: senza eccessi.
Per formare l’oratore Quintiliano suggerisce la lettura degli scrittori greci e latini.

L’oratore e il principe

Nell’ultimo libro della Institutio Quintiliano parla della questione dei rapporti tra oratore e principe. Per lui l’oratore deve essere un “burocrate della parola”, un funzionario che si serve dell’oratoria del trasmettere le direttive dell’imperatore. Egli accettava il principato come una necessità, mail ruolo dell’oratore in questo ambiente doveva essere dignitoso e non di servilismo: le sue doti servono prima alla sovcietà e poi al principe.
L’oratore è la guida del senato e del popolo romano: si tratta di un’illusione molto bella del ruolo che l’oratore ricorpriva a quel tempo, ma purtroppoTacito è più realistico: l’oratore può solo fare una disincantata denuncia dell’impotenza politica.

IL PERIODO DEGLI IMPERATORI PER ADOZIONE

(pag. 285/289)

PLINIO IL GIOVANE

Vita e opere

Nacque a Como intorno al 61 a.C. e alla morte di suo padre venne adottato dallo zio Plinio (da cui prese il nome). A Roma Quintiliano gli insegnò la retorica, quindi iniziò la carriera forense e il cursus honorum , fino a diventare ministro del tesoro. Sostenne con Tacito nel 100 l’accusa contro Mario Prisco, proconsole d’Asia.
Durante la sua vita furono imperatori Domiziano, Nerva e Traiano. Morì nel 113.

Scrisse il Panegyricus, una versione ampliata del discorso di ringraziamento fatto a Traiano in occasione della nomina a console; una raccolta di Epistulae in 10 libri.

Plinio e Traiano

Il termine Panegyricus indicava i discorsi tenuti nelle solennità panelleniche, e poi l’encomio del sovrano che raccomandava il senato la n9omina

dei magistrati.
Plinio esaltà le qualità di Traiano che ha reintrodotto la libertà di parola e di pensiero e attraverso cui si rinnoverà la collaborazione fra imperatore e senato, spezzata con la tirannide di Domiziano. Traiano è un modello per i principi futuri, basato sull’intesa politica, l’integrazione culturale.
Attraverso quesrti elogi, comunque, Plinio sembra voler educare il principe (temeva infatti che si potesse un giorno ritornare alla tirannide), quasi esercitare una forma di potere su di lui.
Il rapporto epistolare tra Plinio e Traiano ci dice che il primo era un funzionario scrupoloso e leale, che doveva informare Traiano di tutti i problemi di Roma. Questi è spesso infastidito per le domande continue di Plinio anche su questioni poco importanti. Riguardo ai cristiani, Traiano fu molto tollerante e disse a Plinio di non intervenire in caso di denuncie anonime e di lasciar perdere se il denunciato mostrava di non essere più cristiano.
Plinio e la società del suo tempo

Lo stesso Plinio ci comunica di non aver fatto caso alla posizione delle lettere nelle Epistulae: le lettere non seguono alcun ordine, sono dispiste a caso, forse per evitare al noia al lettore.
Ogni lettera affronta un tema diverso molto ben curato stilisticamente, e questo è il dato più distintivo dall’epistolario ciceroniano che, per la fretta, univa vari argomenti e accennava brevissimamente ad ognuno.
Da Cicerone Plinio prende le frasi limpide, l’armonia del periodo, … ma scrive frasi più lunghe (non ama infatti la brevitas dell’amico Tacito).
Si tratta praticamente di saggi brevi sulla vita mondana, intellettuale e civile, in cui si rivolge all’interlocutore con estrema cerimoniosità fino a diventare stucchevole. Quando descrive un paesaggip, un personaggio, un costume, … ha sempre una frase gentile o positiva per qualunque cosa.
Frequentava molto le sale delle declamazioni, dove non mancava di lodare entusiasticamente tutti i compagni che ascolta e se stesso.
Non è preoccupato della crisi della cultura, anche se avverte lo scarso interessamento degli ascoltatori, ormai poco numerosi.. Amava letture leggere e di intrattenimento, e i suoi rapporti sociali erano sepsso vuoti, ricchi solo di cerimoniosità.
Sicuramente si trovava in una posizione privilegiata (ricco, importante politicamente, stimato letterato) per osservare la sua epoca, e infatti nelle Epistulae compaiono personaggi come Tacito, Traiano, Svetonio, narrazioni di avvenimenti importanitssimi, tragici e non, e il nome di molti autori ci è noto solo grazie alle Epistulae di Plinio.

TACITO

Vita e opere

Publio (o Gaio?) Cornelio Tacito nacque intorno al 55 d.C., probabilmente in Gallia, da un famiglia equestre. Studiò a Roma e sposò la figlia di Gneo Giulio Agricola, un comandante. Grazie a lui divenne pretore. Fece un’ambasceria e pronunciò l’elogio funebre (era già un famosissimo oratore) per Virginio Rufo (console). Qualche anno dopo sostenne con Plinio il Giovane (del quale era molto amico) l’accusa contro Mario Prisco, accusato di corruzione, che fu effettivamente condannato. Tacito morì intorno al 117 d.C.
Per quanto riguarda le opere, le più famose sono le Historie, composte fra il 100 e il 110 e gli Annales, in sedici/diciotto libri, scritti dopo le Historie, di cui ci restano dei libri interi e dei frammenti.

Le cause della decadenza dell’oratoria

Sul Dialogus si dibatte un problema ancora

non risolto di autenticità.
Si riallaccia alla tradizione dei dialoghi ciceroniani su argomenti filosofici e retorici.

Riassunto:
Si tratta di una discussione in casa di Curiazio Materno, retore e tragediografo, alla quale Tacito dice di aver assistito in gioventù. Apro rimprovera Materno di trascurare l’eloquenza in favore della poesia drammatica e mentre i due dibattono su questo tema arriva Messala che sposta l’argomento alla decadenza dell’oratoria, causata dal deterioramento dell’ educazione. Materno è convinto (e rappresenta forse il portavoce di Tacito) che la grande oratoria sia possibile solo con la libertà o con l’anarchia, nel fervore dei tumulti e dei conflitti civili. E’ impraticabile in una società tranquilla e ordinata come quella conseguente la restaurazione dell’Impero. La pace che esso produce deve essere accettata senza i rimpianti per un passato che forniva sì un terreno più favorevole alle lettere, ma era anche molto instabile e pericoloso.

L’opinione di materno è una costante nel pensiero tacitiano: bisogna accettare l’Impero come unica forza capace di salvare lo stato dalle guerre civili, anche se restringe lo spazio per l’oratore ed il politico.

Agricola e la sterilità dell’opposizione

Si tratta del primo opuscolo storico di Tacito, edito all’inizio del regno di Traiano, per tramandare la memoria di suo suocero Giulio Agricola.
Viene riepilogata la sua vita, quindi si parla a lungo della conquista della Britannia, a lui dovuta, integrata con i suoi appunti.
Vengono esaltate la sua fedeltà, l’onestà, la capacità di governare anche sotto il pessimo principe Domiziano, che poi provocò la sua caduta (tutti i nodi vengono al pettine e lo scontro era inevitabile). Uomo incorrotto che muore silenziosamente, Agricola è esempio della possibilità di condurre anche sotto la tirannide una via mediana fra gli uomini più corrotti.
E’ notevolissima l’influenza di Cicerone nella composizione.

Virtù dei barbari e corruzione dei Romani

E’ questo l’argomento della Germania, che si tratta di uno dei pochissimi trattati di interesse etnografico che ci restano, sebbene questo genere abbia goduto di un’ampia fortuna.
Le fonti derivano non dall’esperienza diretta ma da testi e specialmente da Plinio il Vecchio, che aveva partecipato a spedizioni nelle terre dei Germani.
L’obiettivo dell’opera tacitiana è forse quello di esaltare una civiltà ingenua e incorrotta, e ciò si nota per i numerosi paragoni tra le forze e la freschezza dei barbari e quelle dei Romani. Ma più probabilmente non si trattava di un elogio per i Germani, ma di un ammonimento per i Romani. Nell’opera Tacito guarda ammirato alle conquiste di Traiano e Germanico e si soffermerà spesso su riflessioni riguardo il confine con la Germania, direzione favorita per l’espansione.

I parallelismi della storia

Le Historie narrano eventi che vanno dal regno di Galba fino alla morte di Domiziano, dunque un periodo molto delicato.
Il 69, anno dell’inizio delle Historie, vede la successione di quattro imperatori (Galba, Otone, Vitellio e Vespasiano). Era in vigore una nuova legge, che permetteva all’imperatore di essere eletto anche al di fuori di Roma basta che avesse l’appoggio di numerose legioni.
L’elezione di Galba avviene in questo modo. Tacito scrive le Historie nel periodo di governo di Nerva e Traiano e diventa inevitabile il confronto fra Galba e Traiano: quest’ultimo sembra trovarsi in una situazione storica identica a quella di Galba.
Galba non fu in grado di evitare i numerosissimi scontri sanguinosi che caratterizzano questo periodo, la contrario di quello che accade nel regno di Traiano.
In questo contesto Tacito esprime la sua convinzione che il principato moderato è l’unica forma di governo che può frenare le lotte, basta che il principe non sia un tiranno come Dominziano o un inetto come Galba.
Lo stile è molto drammatico e Tacito è un maestro nella descrizione delle masse. Si trattano soprattutto temi di ingiustizia e violenza.

Le radici del principato

Negli Annales Tacito parla della storia del principato da Augusto a Nerone. La data di inizio fa pensare ad una prosecuzione dell’opera di Livio.

Riassunto:
• libri I-V: vicende interne ed esterne di Roma, carattere di Tiberio chiuso e ombroso, la salita al trono di un misterioso Seiano, il regime di crudeltà fino alla morte di Traiano;
• libri XI-XII: la seconda metà del principato di Claudio, avvelenato dalla seconda moglie Agrippina che mette sul trono il figlio Nerone (avuto da un vecchio matrimonio)
• libri XIII-XVI: il regno di Nerone, le influenze della madre, di Seneca e del prefetto Burro, l’imperatore è un depravato, vuole solo divertirsi e diventa un monarca, si sbarazza di tutti i nemici uccidendoli o mettendoli in prigione, uccide la madre, Seneca lo abbandona, il popolo è scontento, l’incendio di Roma, viene scoperta la congiura contro Nerone da parte di Pisone e seguaci.

Tacito, dipingendo un quadro tetro intorno alla famiglia dei Cesari, parla contemporaneamente del bisogno di mantenere il principato e del fatto che la sua storia segni anche il tramonto della libertà politica, nonché l’inizio del servilismo dell’aristocrazia verso il principe. Criticati anche coloro che si suicidano per essere “martiri del principato”, che di certo non risolvono la situazione.
Si parla spesso di Tacito come un artista drammatico, ed è vero: egli mette in scena delle vere e proprie tragedie, drammi che servono non ad emozionare, ma a riflettere sul principato. Queste vicende servono per portare alla luce il vero aspetto dei personaggi: il tentativo di scalata della società fa fare di tutto, e nessuno è esente da invidia, cupidigia, malvagità.
Negli Annales si perfeziona dunque il “ritratto”, già usato nelle Historie. Famosissimo è il ritratto indiretto di Tiberio (indiretto perché, attraverso fatti e non esplicitamente, se ne delinea il carattere): era torvo, austero, crudele, accigliato, taciturno, dal falso sorriso, pustoloso in vecchiaia.
Un altro genere di ritratto è quello paradossale, come quello di Petronio, di cui si evidenziano gli aspetti contraddittori: egli ha guadagnato la fama senza far nulla, grazie ad una vita molle, ma in politica aveva un’energia incredibile; è un negligente raffinato; la morte deve essere anch’essa elegante, preceduta dalla lettura non di passi filosofici, ma di poesie divertenti.
Fino al XIII libro, lo stile di Tacito è molto particolare: usa spesso termini arcaici, forme inusitate; il testo risulta meno scorrevole ed eloquente: la disarmonia del testo riflette le disarmonie della società; abbondano metafore violente, le personificazioni e la coloritura poetica.
Ma dal XIII libro in poi Tacito torna ad essere più tradizionale, lo stile diventa più ricco ed elevato, più normale: si parla del regno di Nerone, evento vicino nel tempo e da trattarsi dunque con minore distanziamento solenne.

SVETONIO E LA STORIOGRAFIA MINORE

Vita e opere

Gaio Svetonio Tranquillo nacque forse dopo il 70 d.C. da una famiglia di modeste condizioni. Grazie alla conoscenza di personaggi influenti entrò a corte con il compito di bibliotecario (sotto Traiano) e poi di addetto all’archivio imperiale e alla corrispopndenz del principe (sotto Adriano).
Dopo una disgrazia fu allontanato dalla corte e di lui non si sa più nulla.

Scrisse in greco e latino su svariati argomenti, ma i suoi scritti più famosi riguardano le biogra-

fie.
Scrisse De viris illustribus (stesso titolo dell’opera di Cornelio Nepote, più famosa), una raccolta di biografie di letterati suddivisa per generi (poeti, storici, oratori, grammatici e retori). Ci resta purtroppo solo la parte riguradante i grammatici più qualche frammento, soprattutto riguardo ai poeti, dai quali sono state ricostruite le vite di Terenzio, Virgilio, Orazio e Lucano.
Importantissimo anche il De vita Caesarum, una raccolta di 12 biografie di imperatori da Cesare a Domiziano, che ci è rimasta per intero.

La biografia in Svetonio

I predecessori di Svetonio nel campo delle biografie furono Varrone e Cornelio Nepote.
Nel De viris illustribus vengono fatti degli accenni alla vita, al modo di insegnare, alle conoscenze, la carattere. Stesso schema per il De vita Caesarum, in ordine cronologico inizialmente, poi sincronico per la descrizione del carattere e poi di nuovo cronologico per la fine della vita. E’ molto importante questo nuovo modo di narrare sincronicamente: in questo modo l’autore pone l’attenzione non sui singoli eventi storici, ma sul carattere del personaggio inserito in tale contesto storico. Si fa un giudizio moralistico, non storico.
E’ singolare la scelta di questo modello “alessandrino” per descrivere i Cesari, perché si trattava di uno schema usato per descrivere le vite degli uomini di cultura, non per i condottieri. Per questi ultimi personaggi era usato il modello “plutarcheo”, in cui la vita era descritta in ordine cronologico.
La scelta dell’uso della biografia per descrivere la storia dell’Impero mostra che Svetonio aveva capito che ormai la storia si svolgeva in chiave personalistica e che era la vita dei singoli imperatori a segnare le tappe più importanti della storia. Il gusto del pettegolezzo sulla vita privata degli mperatori, invece, serve a demistificare le loro figure.
Ne risulta un tipo di storiografia detta minore, che attinge alle fonti più varie, il cui destinatario è un pubblico di funzionari e burocrati, il solo in grado di capire la concretezza di Svetonio.
Lo stile di Svetonio è influenzato da scritti di tipo romani, gli elogia e le laudationes funebres, che elencavano imprese civili e militari. E’ semplice e privo di ricercatezze.

APULEIO

Vita e opere

Apuleio è di origini africane: nacque a Madaura (Numidia) intorno al 125 d.C. Grazie alla sua posizione agiata poté studiare a Cartagine e ad Atene. Viaggiò a Roma e in Oriente. Si sposò con la vedova Pudentilla, molto ricca, madre di un suo amico, Ponziano. Non molto tempo dopo i parenti della donna lo citarono in giudizio con l’accusa di magia, ma Apuleio fu assolto. Morì a Cartagine sicuramente dopo il 170 a.C., apprezzato da molti.
Scrisse il Metamorphoseon libri, un romanzo in 11 libri noto anche col nome di Asinus aureus; scrisse l’Apologia, Florida (brani oratori) e alcuni trattati filosofico.

Una figura complessa di oratore, scienziato, filosofo

Apuleio venne definito dai suoi stessi concittadini “filosofo platonico”, con sua grande gioia, perché credeva molto nella dignità del filosofo e

fu proprio su questa che basò la sua difesa dall’accusa di magia.
Per noi questo appellativo indica i multiformi studi ai quali Apuleio si dedicò durante il secondo periodo sofista, nel quale si moltiplicarono i retori e l’irrazionale penetrò nelle scelte religiose. Apuleio condivide molti aspetti di questa nuova corrente: la curiosità per la natura e l’occulto, l’iniziazione ai culti misterici, la pratica di conferenziere itinerante.
Per quanto riguarda la produzione filosofica e naturalistica di Apuleio, ci restano come testi di autenticità certa il De deo Socratis, il De Platone et eius dogmate e il De mundo. Il De mundo deriva da un altro testo aristotelico simile, il De Platone… sono due libri che sintetizzano il pensiero di Platone e testimoniano l’alto interessamento riguardo ai suoi insegnamenti. Il Deo Socratis è lo scritto più importante dei tre e tratta della dottrina dei demoni (esame dei mondi degli dei e degli uomini, posto dei demoni nella gerarchia e loro funzione di mediatori tra i due mondi, conclusione: il demone di Socrate, la voce interiore, è il tramite di un ordine divino che spinge il filosofo a cercare la verità). Lo stile è dinamico e molto coinvolgente.
Per quanto riguarda l’attività di oratore itinerante di Apuleio abbiamo la Florida, una raccolta di testi di conferenze e letture pubbliche di vario genere tenute da Apuleio in Africa.
L’Apologia invece è un’orazione giudiziaria che tratta del processo per magia, molto importante perché da essa ricaviamo vari dati biografici del poeta.

Riassunto:
Il processo sembra originato da ragioni di interesse economico ed è intentato da Erennio Rufino, suocero di Ponziano, che voleva preservare l’eredità di Pudentilla. Dapprima cerca l’appoggio di Ponziano stesso e, dopo la sua morte, del fratello minorenne Pudente.
Dopo essere caduta la prima accusa circa la morte di Ponziano, Apuleio viene accusato di magia, reato pagabile con la morte: solo con la magia Apuleio aveva potuto convincere Pudentilla a sposarlo. E qui comincia l’orazione vera e propria: Apuleio cerca di smontare l’accusa attraverso disquisizioni dotte, in modo da avere in mano gli avversari sotto il profilo culturale, quindi ribatte l’accusa specifica di magia proclamando orgoglioso di essere un filosofo, e infine ricostruisce i fatti mostrando che fu merito di Ponziano se i due si erano sposati. La prova che gli garantisce l’assoluzione è il testamento di Pudentilla, che designa come maggior erede non Apuleio ma il figlio Pudente.

Per la sua abilità di oratore spesso Apuleio viene accostato a Cicerone, da cui riprende numerosi spunti ma non il gusto repubblicano, perché Apuleio ama i volgarismi, i neologismi, gli arcaismi… e tutto quanto compone il suo stile.
Quello che più affascina nell’opera è che Apuleio non si cura di rinnegare le sue competenze in materia di magia. In fondo egli distingue, nell’orazione, filosofia e magia solo per tipo di poteri e si autodefinisce più volte capace di dominare le forze naturali. Anche la figura di filosofo che egli traccia, capace di evocare l’intervento di demoni, è alquanto ambigua.

Apuleio e il romanzo

Le Metamorfosi è un romanzo erotico che si intreccia con la magia (ma guarda…).

Riassunto:
Il protagonista si chiama Lucio. I primi tre libri narrano le sue avventure nel viaggio verso la Tessaglia e dopo il suo arrivo, causategli da una forte curiosità. Tutte queste avventure sono cariche della carica misteriosa e magica del posto. Lucio è ospite di Milone e della moglie Panfila, dedita alla magia. Grazie alla serva Fòtide, Lucio riesce a spiare Panfila che si trasforma in gufo. Lucio è troppo curioso e vuole provare su di sé l’unguento che trasforma in gufo, per cui chiede aiuto a Fotide che però sbaglia unguento e lo trasforma in asino. Per ritornare umano Lucio dovrà mangiare delle rose.
Ma le peripezie a cui l’asino andrà incontro prima di poter mangiare le rose sono molte: nella prima viene rapito da alcuni briganti e liberato da un ragazzo. Nella caverna dei briganti si trovava infatti Carite, la ragazza del giovane che libera Lucio, a cui la sorvegliante della caverna racconta (in tre libri) la storia di Amore e Psiche. Durante le peripezie successive, l’asino è spinto dalla curiosità per il mondo e dalla voglia di trovare le rose. Ma qualcuno si accorge della sua natura ambivalente e così Lucio finisce nelle mani di un uomo che lo mostra agli amici. Destinato a congiungersi in un’arena con una condannata a morte, l’asino riesce a fuggire e arriva ad una spiaggia su cui si addormenta. Svegliatosi nel cuore della notte, Lucio prega alla Luna e il giorno dopo riesce a mangiare una corona di rose di un sacerdote di Iside, come la stessa dea gli aveva predetto in sogno.

Le Metamorfosi viene definito “romanzo”, ma in realtà è l’unione di vari generi letterari. Oltretutto, abbiamo poche testimonianze di romanzi latini, per cui è difficile dire se le Metamorfosi appartengano a questo genere o no. Apuleio riconduce l’essenza dell’opera (e così potremmo capire il genere) alle fabulae Milesiae. Ma il naufragio della traduzione di Sisenna rende oscuri le origini di questo genere. Comunque, sia le fabulae, sia le Metamorfosi sono di carattere erotico.
Le fonti delle Metamorfosi sono un po’ controverse. Esiste un romanzo attribuito a Luciano chiamato Lucio o L’asino, ed un altro scritto da un certo Lucio che tratta dello stesso argomento. Le questioni sono due: o Luciano e Apuleio hanno ripreso il tema da Lucio, oppure il Lucio è la versione originale (e l’autore Lucio non esiste). Comunque del testo di Apuleio non si sa quanto sia da attribuire a lui e quanto all’originale (tranne la novella di Amore e Psiche che di certo è di Apuleio). Tutto il quadro magico, comunque, appartiene ad Apuleio.
In ogni caso, il Lucio sembra avere il solo intento di intrattenimento senza scopi moralistici, mentre le Metamorfosi è in realtà il racconto esemplare: per esempio il fatto che tutta la vicenda e le disgrazie di Lucio avvengano per la sua curiosità, o la favola di Amore e Psiche che, al centro del romanzo, assume il valore di una premonizione del destino di Lucio.

Riassunto della favola di Amore e Psiche:
Psiche, la figlia minore di un re, suscita l’invidia di Venere a causa della sua bellezza e per questo viene data in preda ad un mostro. Ma Cupido la vede, se ne innamora e la salva, portandola nel suo castello e –divenendone l’amante. La fanciulla non sa di essere l’amante di un dio, né può vederlo o si separerà da lui. Istigata dalle sorelle invidiose, Psiche spia Amore che dorme e se ne divide per forza. Ma attraverso un’espiazione riuscirà e ricongiungersi a lui e a sposarlo, diventando una dea.

La favola di Amore e Psiche dunque ripropone in scala ridotta l’intero romanzo e ci propone la sua chiave di lettura. Infatti, se la favola non ci fosse, leggeremmo il romanzo come una serie di avventure, non come il romanzo di un’iniziazione ai riti misterici (espiazione di Psiche = purificazione e preghiera alla Luna di Lucio).
Le Metamorfosi sono dunque formate dall’elemento popolare (le vicende semplici) e da quello mistico-simbolico. Le riflessioni dell’asino servono ad allineare i due generi a dare una sensazione di continuità.

Lingua e stile

Apuleio ha piena padronanza di una grande varietà di registri che vengono poi combinati in tutti i modi portando l’attenzione del lettore più sulla forma che sul contenuto del testo.
Inoltre, è come se conoscesse dei formulari tratti da un repertorio di opere classiche che gli servono per descrivere scene di lutto, passioni, stati d’animo… Questo procedimento dà naturalmente vita ad una moltiplicazione dei tratti, che permettono ad Apuleio di utilizzare per ogni evento una frase di questo repertorio. La struttura del periodo si basa su questa tecnica, ed infatti tende a sfaccettare il concetto fino ai limiti del possibile.

La fortuna

Apuleio, per le sue doti “magiche”, riscosse molta fortuna nel Medioevo, ma la sua influenza più notevole è legata al romanzo, la cui diffusione si deve al ritrovamento del codice che ne contiene il testo da parte di Boccaccio. Con l’invenzione della stampa, poi, fu diffuso in tutta l’Europa e la favola di Amore e Psiche fu varie volte rielaborata.

TESTI

La difesa di Apuleio (Apuleio oratore)

Apuleio si sta difendendo dallíaccusa di magia. Dice che sicuramente ci sono molte cose che potrebbe dire, ma sono le solite ragioni che dicono tutti e perciò le lascierà perdere, perchè non sono quelle che cancellano i sospetti. A questo punto Apuleio nomina numerosi maghi e il pubblico protesta, come se si trattasse di uníinvocazione delle forze malefiche, al che l’oratore dice che si tratta di un pubblico di barbari, che non sanno che nominare qualcuno e praticarne l’arte sono due cose differenti. Così decide di parlare solo a Claudio Massimo (giudice) e di dimostrargli che non aveva alcun interesse a convincere con la magia Pudentilla a sposarlo. Lei è molto ricca, ma la dote è stata povera e tutta la sua eredità (è scritto nel testamento) andrà al figlio Pudente. Quindi Apuleio non guadagna denaro da questa unione.

Gellio (412, 413)

DA COSTANTINO AL SACCO DI ROMA
(pag. 481/485)

MACROBIO (no)

Di Teodosio Macrobio abbiamo poche notizie. Di certo non fu romano, anche lì ebbe una brillante carriera politica. La sua opera principale sono i Saturnali.

Il problema relativo alla critica delle opere di Macrobio riguarda essenzialmente la loro cronologia: una cosa è inserire questi scritti pagani nella Roma del IV secolo quando erano ancora numerosi i circoli di questa antica religione, altra cosa è porre la sua opera a metà del V secolo quando i cristiani avevano sconfitto tutte le altre religioni.
Più comunemente i Saturnali si collocano nel IV secolo. All’interno dei Saturnali compaiono molte personalità di rilievo; i due protagonisti sono Decio e Postumiano, che racconta al primo le conversazioni dotte che si tennero nelle case di alcuni aristocratici romani riuniti per le festività dei Saturnali. Si parla di problemi religiosi, come l’eredità della cultura religiosa e le questioni del paganesimo da contrapporre al Cristianesimo, e di Virgilio.
L’ambientazione è quella tipica del banchetto e i personaggi parlano secondo battute o interventi che rispondono molto bene al proprio carattere.
Le fonti di Macrobio sono molte, ma la sua bravura sta nel saperle fondere armoniosamente.

AMMIANO MARCELLINO

Ammiano Marcellino nacque ad Antiochia nel 330 a.C. da famiglia benestante greca. Partecipò a diverse campagne contro i Persiani. A Roma approfondì la sua conoscenza del latino e cominciò la sua opera storiografica, Rerum gestarum.
Di quest’opera, che partiva con il regno di Nerva e arrivava alla morte dell’imperatore Valente, non ci è rimasto molto, ma sappiamo che una grossa fetta dell’opera era dedicata all’imperatore Giuliano. Durante il suo regno,

infatti, il paganesimo riuscì momentaneamente a prendere il sopravvento sul Cristianesimo. Parte della bravura di Ammiano sta nel non disegnare Giuliano come il perfetto imperatore del ritorno al passato, ma nel descriverne anche i difetti.
La scelta del regno di Nerva come partenza indica il desiderio di continuare l’opera di Tacito, così come l’inquadramento profondamente pessimistico e la convinzione che ormai lo stato sia arirvato ad un punto critico lo riconducono allo stesso autore.
Forse Ammiano usa troppo la retorica, appiattendo a volte il discorso. Nella sua opera si trovano spesso grecismi lessicali e contraddizioni interne.

HISTORIA AUGUSTA

E’ l’opera più vicina per ricchezza d’informazione e vastità a quella di Ammiano Marcellino.
Si tratta di una raccolta di biografie che doveva comprendere le vita degl imperatori da Nerva ai predecessori di Diocleziano (Caro, Carino e Numeriano), ossia gli anni tra il 96 e il 284; mancano però le vite di Nerva e Traiano e di alcuni imperatori della metà del III secolo.
Autori di queste biografie sarebbero sei autori vissuti sotto Diocleziano e Costantino. Naturalmente non è sicuro che gli autori siano proprio sei, o addirittura se siano reali, nel qual caso la Historia Augusta sarebbe stata scritta d aun solo autore. Questa sembra la soluzione più attendibile.
Per quanto riguarda la datazione dell’opera, dato l’oriantamento filosenatorio e filopagano, si suppone che sia stata scritta versi gli anni dell’impero di Giuliano, o di Teodosio, o nella

seconda metà del VI secolo. Forse, per non esporsi alle reazioni dei suoi oppositori, l’anonimo autore ha pensato di antedatare l’opera.
Sono numerose le incongruenze e le confusioni. Chi volesse intendere l’opera come una parodia della storiografia ha tutti gli elementi per farlo: l’autore potrebbe rivolgersi scherzosamente attraverso la schematica divisione delle biografie contro il modello moderno che appiattiva la storiografia; ugualmente, chi volesse intendere la Historia augusta come un’opera seria vi può individuare, abbiamo detto, posizioni anticristiane e filosenatorie.
Comunque, modello di questo autore è l’opera di Svetonio.
Alcune biografie sono molto ampie, altre molto brevi. Spesso si soffermano su problemi poco importanti facendo perdere la concentrazione al lettore; sono piene di notizie false; sono piatte e monotone.

Esempio



  


  1. peppe

    sto cercando domande per terza prova di latino su marziale