Le satire di Persio e Giovenale

Materie:Traduzione
Categoria:Latino

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Testo

Persio (traduzione dalla satira prima)
I 1-18
O affanni degli uomini!O quanto c’è di vano nelle cose! ”Chi leggerà queste cose?” A me tu chiedi questo? Nessuno per Ercole.”Nessuno?” o due o nessuno.”Cosa turpe e miserabile” Perché? Temi che Polidamante o le troiane preferirebbero a me La beone? Sciocchezze! Se la torbida Roma sottraesse qualcosa non ti farti avanti , non correggere l’ago storto in quella bilancia e non guardare al di fuori di te.
Infatti a Roma chi non – Se è lecito dirlo – ma è lecito ogni volta che guardo alla canizia e a questo nostro vivere triste e alle cose che facciamo una volta lasciato il gioco delle noci, quando sappiamo di zii virtuosi allora abbiate pazienza…Non voglio…Che devo fare?Ma sono petulante nel fegato: Scoppio a ridere.
Scriviamo rinchiusi, questo i versi, quello libero dalla metrica, (scriviamo) qualcosa di grande che soffi un polmone di ampio fiato. Certamente leggerai queste cose davanti al popolo pettinato e che indossa la toga nuova con la sardonica di compleanno pallido quando avrai bagnato la gola con gargarismi modulati distrutto l’occhio lascivo.
114-134
Lucilio ha fatto a pezzi la città, te Lucio, te Muccio, e ha rotto i denti in quelli; il sottile Flacco esamina ogni vizio come un amico che sorride e ammesso nel cuore gioca astuto a tenere sulle spine la gente con sfoggiata la sua capacità critica; A me non è consentito brontolare? Né di nascosto, né con una fossa, mai? Qui tuttavia io scaverò ho visto, ho visto io stesso o libretto: Chi non ha le orecchie da asino? Io questo mio segreto, questo mio ridere come niente fosse te lo vendo al prezzo di nessuna Iliade. Chiunque tu sia che toccato dal soffio dell’audace Cratino, che impallidisci studiando l’irato Eupolide con il vecchio sublime, dà uno sguardo a queste cose, se per caso non ascolti qualcosa di già cotto. Quindi lettore che bruci con me con l’orecchio caloroso, non questo misero che ha intenzione di giocare con i sandali dei greci, e uno che potrebbe dire a un guercio “ è guercio!” , credendosi qualcuno, perché orgoglioso con una carica italica ha infranto le misure truccate dell’edile Arreto, e neppure colui che sottile sa imbrogliare i numeri sulla tavola e le figure geometriche impresse nella polvere, pronto a godere molto, se una prostituta volesse tirare la barba a un cinico petulante. A costoro di mattina darei l’editto, dopo pranzo offrirei Calliroe.
Choliambi
Né ho mai bagnato le labbra alla fonte del ronzino né mi ricordo di aver mai sognato sul parnaso dalle due cime, perché diventassi improvvisamente poeta. Le abitanti dell’Elicona e la pallida Pirene le lascio a coloro le cui immagini sono lambite dalle edere flessibili; io stesso porto il nostro carme alle cerimonie sacre dei vati. Chi ha tirato fuori dal pappagallo il suo “Salve” chi ha insegnato alla gazza a ripetere le nostre parole? Il ventre maestro dell’arte e elargitore di ingegno, è l’artefice dell’imitare le voci negate. Ma se risplendesse la speranza del denaro che inganna crederesti (di sentire) i corvi poeti, le gazze poetesse cantare il nettare di PeGaso.
Giovenale (traduzione dalla satira prima)
1-14
Io sempre e soltanto ascoltatore? Proprio mai replicherò tormentato tantevolte dalla teseide di un rauco Cordo? Impunemente quello mi avrà recitato le togate questo le elegie? Impunemente quel Telefo smisurato consumerà il mio tempo, o un Oreste pieno anche sul margine del voluminoso libro scritto anche sul retro e non ancora finito? A nessuno è nota la propria casa più di quanto a me il bosco sacro di Marte e la grotta di Vulcano vicina al monte di Eolo. Che cosa i venti spingano, quali ombre tormenti Eaco, donde un altro (eroe) sottragga l’oro di una piccola pelliccia rubata, quanti frassini scagli Monico, sempre lo gridano a gran voce i platani di Frontone e i muri sono abbattuti e le colonne sono sradicate da un assiduo lettore. Aspettati questa stessa cosa dal migliore o dal più infimo poeta.

73-90
Se vuoi essere qualcuno osa essere degno della breve Giaro o del carcere. L’onestà è lodata ma trema di freddo. Ai criminali si devono i giardini, i palazzi, i banchetti, l’argento antico, e i calici ornati di capri all’esterno. A un seduttore di nuore venali permetterebbe che qualcuno dorma, le spose oscene, e un amante che indossa la toga pretesta? Se la natura lo nega l’indignazione fa il verso, qualunque sia io o un Cluvenio. Da quando Deucalione fra le nuvole che si innalzano sul mare con una nave giunse al monte e chiese la sorte e poco a poco le pietre molli si riscaldarono per il soffio della vita, e da quando Pyrra offrì vergini nude ai maschi, qualsiasi cosa fanno gli uomini desiderio, timore, ira, pi8acere, godimento, conversazione è materia varia del nostro libretto. E quando l’abbondanza del vizio fù più feconda? Quando si sopportò di più la piaga dell’avarizia?Quando il gioco d’azzardo ha avuto di questi comportamenti? E non si và alla tavola da gioco con le piccole cassettine, ma si gioca messa come posta in gioco la cassaforte.

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