La scuola nell'antica Roma

Materie:Appunti
Categoria:Latino

Voto:

2 (2)
Download:991
Data:16.07.2007
Numero di pagine:9
Formato di file:.doc (Microsoft Word)
Download   Anteprima
scuola-antica-roma_1.zip (Dimensione: 19.66 Kb)
trucheck.it_la-scuola-nellr     122.5 Kb
readme.txt     59 Bytes


Testo

La scuola nell’ antica Roma
Sistema scolastico:
Sebbene la cultura a Roma fosse tenuta in larga considerazione, la scuola non si affermò molto presto.
Il suo sorgere è senza dubbio da attribuirsi al contatto con la civiltà greca, molto più progredita da questo punto di vista.
Fino ad allora l’istruzione era impartita in casa dal padre. Era, infatti, compito del paterfamilias impartire una cultura minima ai propri figli.Questa constava principalmente di tre cose:
1. L’insegnamento dei sani costumi morali tramandati degli antichi e cioè del mos maiorum (Facevano parte di questo ad esempio lo spirito di sottomissione alle leggi dello stato e degli dei, il coraggio di difendere la propria patria anche a costo della vita, l’amicizia, la fiducia nella parola data ecc…) Questi primi insegnamenti servivano ad iniziare la formazione di un futuro cives romanus, il cittadino cioè impegnato nella vita politica dello Stato (negotium);
2. L’insegnamento delle nozioni fondamentali della scrittura e della lettura;
3. La narrazione delle gesta dei personaggi storici più illustri.
Solamente nel II secolo cambiarono le cose.Il compito di educare i figli spettava ancora al paterfamilias il quale, però, a differenza di prima, li affidava sempre più spesso ai liberti, schiavi liberati, provenienti dall’Oriente, forniti di una certa educazione.Da questi i bambini (Dai sette anni in su) imparavano i rudimenti dell’aritmetica, della scrittura e della lettura e sotto la loro guida leggevano, riccamente presenti nei propri libri scolastici, le gloriose leggende degli avi.
Ovviamente questo trattamento potevano permetterselo solo le famiglie ricche.Per i meno abbienti la situazione era diversa.
Questi mandavano, infatti, i loro figli nelle scuole pubbliche, in epoca imperiale , comunque, largamente frequentate anche dai ricchi.In queste scuole il maestro, detto litteratores o praeceptores o ludimagister, raccoglieva un ristretto (In confronto ad oggi) numero d’alunni, dai sette ai dodici anni ed il suo compito era di insegnare a leggere e a scrivere. In seguito si perfezionavano nella scrittura, nel far di conto e nello stenografare guidati rispettivamente dal librarius, dal calculator e dal notarius.
Sopra viene usato , non erroneamente, il termine far di conto. Lo studio dell’aritmetica nell’antica Roma comprendeva solo due cose .La prima era il “saper fare i conti “ addirittura con l’ausilio delle mani; la seconda era saper riportare i calcoli sul foglio: scrivere i numeri , insomma. Per evidenziare il fatto che a Roma non avesse molta importanza l’aritmetica , poniamo la nostra attenzione sul modo ,appunto , che i romani avevano di rappresentare graficamente i numeri .Essi utilizzavano ,per lo più,segni che riproducevano i movimenti delle mani nell’atto di fare i conti . Possiamo facilmente accorgercene col numero uno latino (I) . Esso altro non è che la rappresentazione di un dito alzato. Guardando adesso il numero cinque (V) possiamo scorgervi la rappresentazione molto schematica di mano con tutte e cinque le dita aperte. Poniamo, infine la stessa attenzione al numero dieci (X). Esso rappresenta due mani aperte incrociate fra di loro .S’interessavano così poco della matematica ,dice ironicamente Indro Montanelli, che non fecero nemmeno lo sforzo di inventare dei veri e propri simboli ma si limitarono a copiare la realtà.
Allo stesso modo diedero poca importanza alla geometria che per loro si fermava al sapere disegnare le figure .Queste due materie vennero meglio trattate a Roma solo dopo che arrivarono dalla Grecia dei professori.
Abbiamo sopra chiamato queste scuole “pubbliche”. Bisogna evidenziare che pubblico non significava come ad oggi statale, bensì collettivo, libero a tutti. I maestri, infatti, non erano stipendiati dallo Stato ma dagli stessi genitori degli alunni e lo stipendio non era per niente alto né, tanto meno, facile da percepire poiché spesso i genitori non li pagavano puntualmente. Molti bambini, sia maschi sia femmine smettevano di studiare proprio a quest’età, avendo ormai raggiunto un livello di cultura soddisfacente per il tempo. La seconda tappa dello studio dei giovani, che avevano la possibilità e l’intenzione di continuare, andava dai dodici ai quattordici anni. I ragazzi di questa fascia prendevano lezione dal grammaticus.Compito di questi, com’ è facilmente intuibile dal nome, era quello di insegnare la grammatica ma anche i rudimenti di greco, qualcosa di matematica, l’astronomia, la musica e geografia fusa a mitologia e storia. Era raro che una femmina prendesse lezioni dal grammaticus perché, in genere, intorno ai quattordici anni, erano già sposate.
L’ultima tappa del giovane studioso era dal rethores vale a dire il maestro di retorica.Sulla base, spesso, di manuali da loro stessi compilati, insegnavano l’arte oratoria e cioè l’arte del saper parlare bene in pubblico.Spiegavano quindi le tecniche argomentative capaci di colpire l’attenzione della gente, le parti del discorso, la fonetica, i trucchi per ricordare a memoria l’orazione e per cavarsi d’impiccio ad ogni domanda postagli, le pause, gli accenti ecc……
All’inizio i rethores erano dotti provenienti dall’estero, giunti schiavi in Italia e poi liberati.In seguito si affermarono, comunque, anche molti romani in questa professione.
Lo scopo dei giovani che frequentavano la scuola del rethores era di diventare magistrati o avvocati i quali, seppure per una legge del 204 a.C. non potevano essere pagati, erano ben visti dalla gente che spesso non esitavano ad elargire ingenti somme di danaro come regalo. Per perfezionarsi nell’eloquenza e nella filosofia i figli delle più ricche famiglie andavano ad Atene o a Rodi.
Solamente nell’età imperiale, sotto i Flavi, le scuole iniziarono a diventare pubbliche, nel senso più moderno della parola, e cioè finanziate dallo Stato.Fu l’imperatore Vespasiano il primo a decidere di pagare un maestro.Si trattava di Quintiliano, celebre maestro di retorica, il quale si dice fosse pagato circa 100.000 sesterzi per svolgere la funzione di pubblico professore di retorica (rethores).
L’anno scolastico cominciava a marzo dopo le Quinquatrus, feste dedicate alla dea Minerva che era la protettrice degli alunni e in generale di tutti gli studiosi.Vi erano vacanze durante le feste, ogni nove giorni per le nundinae e in estate per due mesi circa.
I ragazzi si recavano a scuola di buon mattino, accompagnati da uno schiavo. A mezzogiorno s’interrompevano le lezioni e gli scolari ritornavano a casa per il praendium (pranzo) finito il quale ritornavano a scuola per continuare a studiare fino alle quattro del pomeriggio.Nei giorni di vacanze e in generale nel tempo libero non avevano , comunque , il tempo di divertirsi e di riposarsi. Prontamente infatti il padre gli affidava esercizi di grammatica o , più spesso, lo mandava a lavorare nei campi . Ciò avveniva tra le famiglie meno abbienti per necessità economica ma anche tra le famiglie benestanti .I ricchi paterfamilias erano infatti del parere che il proprio figlio dovesse iniziare a capire quanto fosse duro il lavoro e che comunque facesse un po’ di “ginnastica”. Difatti a Roma, al contrario che in Grecia e specialmente a Sparta, la ginnastica non rientrava tra le materie cosiddette scolastiche . Ciò avveniva soprattutto perché i giovani dovevano curarsi del perfezionamento e dell’allenamento fisico solo dopo aver ottenuto quello mentale e culturale , intorno, quindi, ai 16 anni . I maschi , infatti , proprio intorno ai 16 anni venivano indirizzati all’addestramento militare che a Roma era veramente pesante ma al termine del quale uscivano, come erano soliti dire i romani , vir e cioè uomini coraggiosi ,audaci ,pronti a morire per la difesa degli dei , della famiglia e della patria . Diverso era il modo di trascorrere il tempo libero per i figli dei “ politici “romani e soprattutto per i figli dei senatori . Questi erano costretti dal padre, fin da piccolissimi (A volte anche a quattro anni) ad assistere ai senatoconsulti, e cioè alle assemblee in cui i senatori dibattevano sui problemi della città . Senza dubbio queste assemblee erano molto noiose specialmente per un bambino che non capiva nulla di politica e dei modi di amministrare una città e che , come è giusto che sia ,proverebbe sicuramente più piacere a stare con i suoi coetanei a giocare. Ma ciò non poteva essere poiché un senatore sperava che il proprio figlio si facesse onore o nelle armi o nella politica e per entrare a pieno nella mentalità e nel modo di pensare di un politicante romano era veramente molto utile vivere tra loro.

Locali e strumenti scolastici:
Le scuole erano site in modesti locali al pianterreno di rumorosissime strade del centro della città. Queste stanze dette tabernae pergulae erano per lo più affittate e arredate in maniera piuttosto semplice.Vi era una seggiola con spalliera (cathedra) oppure senza (sella) su cui sedeva il maestro il quale disponeva anche di una lavagna e di un pallottoliere (abacus) usato per insegnare l’aritmetica.Tutto attorno al maestro c’erano gli sgabelli su cui sedevano gli alunni.
A disposizione degli alunni erano le pugillares, delle tavolette che poggiavano sulle gambe (Non avendo a disposizione banchi) e che servivano per poggiare ciò che serviva per la scrittura.
Per scrivere i romani, ad immagine dei Greci, usavano fogli di papiro (charta) o carta di pecora (pergamena) sulle quali potevano scrivere servendosi di particolari attrezzi che erano:
1. Cannuccie appuntite dette calamus;
2. Penne d’uccello dette appunto pennae;
3. Il calamaio (atramentarium) in cui vi era l’inchiostro che era appunto l’atramentum
4. Un coltellino adatto a temperare il calamus.
L’atramentum nero veniva ricavato mescolando vari in gradienti tra cui la fuliggine di resine o di pece, feccia di vino, nero di seppia. Il miscuglio di queste cose dava un composto molto denso di colore nero scuro. E’ proprio per l’elevata densità che i caratteri scritti risultavano spesso molto evidenti. Ovviamente la resistenza dell’inchiostro variava col variare della qualità e della densità dell’inchiostro stesso. A volte addirittura bastava passare sul papiro una spugna bagnata per togliere ogni traccia. Questi fogli cancellati e riutilizzati erano detti palinsesto.
Veniva utilizzato anche un inchiostro rosso per dare risalto ai titoli.
Bisogna precisare che non esistevano libri.Si usava incollare vari fogli di papiro fra di loro uno di seguito all’altro in modo da formare una lunga striscia che poi si avvolgeva formando un rotolo detto volumen che era molto scomodo da consultare.
Di più facile utilizzo la pergamena (Inventata però soltanto nel II secolo). Essa veniva piegata e tagliata in modo da formare dei fogli piegati in quattro parti che erano i quaderni (quaterniones).Questi quaderni, cuciti insieme e riuniti sotto una copertina, prendevano un aspetto simile ai nostri libri ed erano conosciuti come codex. Seppure i codex erano più facili da utilizzare rispetto ai volumen, non riuscirono a sostituire quest’ultimi proprio perché il costo della pergamena era maggiore rispetto a quello del papiro.
I bambini alle prime prese con la scrittura e specie prima dell’età imperiale non usavano né la pergamena né il papiro ma delle apposite tavole cosparse di cera (tabulae o tabellae ceratae).
In esse le lettere venivano scritte grazie allo stilum costituito da una parte appuntita con cui scrivevano e da una parte larga e piatta che serviva a levigare la cera.
Chi studiava geometria tracciava le figure su di una tavoletta cosparsa di sabbia.
Per lo sviluppo della cultura, in età imperiale, sorsero tantissime biblioteche pubbliche che vennero ad aggiungersi alle tante private già esistenti.
Alcune considerazioni sui maestri e sul sistema scolastico
Di notevole importante è analizzare il rapporto alunno-maestro e la considerazione che la società aveva dei maestri. Il maestro era considerato dai genitori colui a cui spettava il compito di educare l’animo dei giovani alla calma, alla saggezza, alla ricerca dell’uso della ragione in tutto.Era appunto per questo che il maestro aveva pieni poteri sull’alunno. Pieni poteri nel senso che poteva punire i suoi discepoli, se questi lo meritavano. Non erano rare le punizioni corporali che consistevano nel percuotere gli scolari con fruste (dette ferulea) e con sferze (flagellum). Molto spesso quest’autonomia di punizione portava i maestri ad essere molto severi con gli scolari svogliati o distratti.Gli alunni avevano quindi paura dei propri insegnanti ma non si può dire che né avessero per questo anche stima: solo paura.
A differenza dei giovani i genitori reputavano anche le percussioni utili metodi educativi. A loro avviso le bastonate contribuivano a fare crescere il ragazzo sicuro di sé, coraggioso , forte.
Sbaglieremmo però a pensare che tutti i maestri erano violenti. C’erano, infatti, quelli che seguivano i precetti di Quintiliano e condividevano le sue idee e i suoi desideri senza dubbio positivi e per nulla violenti.
Quintiliano, infatti, nella sua INSTITUTIO ORATORIA descrive la figura del perfetto maestro affermando che per essere considerato tale :
1. Deve essere come un padre per gli alunni;
2. Non deve avere né sopportare vizi;
3. Non deve essere né molto severo, né molto permissivo;
4. Deve essere paziente, comprensivo e riflessivo;
5. Non deve lasciarsi prendere dall’ira;
6. Deve correggere gli errori degli alunni senza traumatizzarli con rimproveri troppo severi ed immeritati;
7. Deve cercare di coinvolgere nello studio anche i meno interessati, i più svogliati, i più timorosi.
Egli desiderava insomma una maggiore stima e collaborazione tra maestro e alunno. Un’idea forse un po’ utopistica per quei tempi accolta e condivisa solo da una minima parte della società.Ma comunque credeva nell’istituzione della scuola e nella sua importanza
Ben diverso era il modo di pensare di Svetonio il quale aprì un’ intensissima polemica , che ancora oggi è ripresa, affermando che la scuola e la vita quotidiana erano troppo distaccate e che le materie studiate non avevano una grande applicazione nella vita pratica. Celebre la sua frase “non vita sed schola discimus” (Non impariamo per la vita ma per la scuola).

Bibliografia:
1. Mario Pintacuda Quirites ,antologia latina Ed. Palombo
2. Indro Montanelli Storia di Roma Ed Bur
3. Luisa Orsi Roma antica Ed.. De Agostini
4. La grande enciclopedia Ed.Peruzzo-Larousse
5. G.Gliozzi- A. Ruota Piazza Il nuovo tutto storia 1 Ed. Petrini
6. Storia antica e medioevale Ed. Scol B.Mondadori

Esempio