L'elegia, specchio di un mondo in crisi

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Testo

L’ELEGIA, specchio di un mondo in crisi

Al di là dei luoghi comuni imposti dal genere letterario, l’elegia romana lascia intravedere alcuni aspetti significativi della società augustea che sotto la patina di una ritrovata concordia è in realtà pervasa da una profonda crisi ideale e morale, che invano Augusto cercò di arrestare con il ricorso a nuove leggi o con provvedimenti repressivi.
Attraverso l’elegia ci appare l’immagine di un mondo profondamente in crisi, in cui i valori tradizionali hanno perduto ogni significato, siano essi morali, istituzionali o religiosi: è la stessa società a cui Virgilio ed Orazio cercano di proporre nuovi fondamenti etico-ideologici, fedeli al programma di “ristrutturazione” di Augusto che alla propaganda cercò di far seguire misure legislative concrete, come ad esempio la lex de adulteriis del 18 a. C. con cui si riprometteva di stabilire la forza e l’autorità dell’istituto matrimoniale. E che tale istituto fosse in crisi ce lo dimostra anche il fatto che le vicende amorose dei poeti elegiaci si svolgono sempre al di fuori del matrimonio, secondo un foedus tuttavia non meno sacro e solenne, ma che non dalla legge, bensì dall’amore che continuamente si rinnova, riceve la sua sanzione.
La crisi dell’istituto familiare diventa ancora più evidente nell’opera di Ovidio, pittore di una società aristocratica e ricca, immersa in un clima di edonismo, di permissività, di consumismo , in cui anche l’adulterio diventava un gioco alla moda, entrava a far parte di un codice di comportamento ormai largamente ammesso dall’alta società, ed a cui Augusto tentò invano di porre un freno con provvedimenti repressivi che coinvolsero anche lo stesso poeta.
Un ideale che sembrava affiorare dalle opere degli elegiaci è quello della paupertas intesa come amore per un tipo di vita semplice ed umbratile, come rifiuto del lusso, dei viaggi, come disprezzo per la corsa al guadagno e per l’avidità delle ricchezze:

Me mea paupertas vita traducat inerti
(Tib., Eleg. I,1,15)

Bisogna però stare ben attenti a non confondere tale richiamo alla paupertas con un ideale ascetico o di un rifiuto della comodità o del consumismo: essa si concretizzava semplicemente nel disprezzo del lavoro in quanto nemico di ogni forma, più o meno nascosta, di estetismo.
I poeti elegiaci (e con loro la Roma- bene) non rifiutavano affatto le ricchezze ma solo la strada che ad esse conduce (il commercio, i negotia), e grazie alla loro posizione economico- sociale (appartenevano in genere all’alta borghesia di rango equestre) potevano ben permettersi di vivere il loro ideale di “semplicità” senza contaminarsi con i negotia. Accanto al crollo dell’istituto matrimoniale e del “valore” del lavoro è evidente il venir meno della religione tradizionale: essa è presente con le sue divinità, divenute però cifre riassuntive di un mondo mitico, metafore cariche di cultura e di storia da utilizzare con funzione estetica o allusiva. Tutt’al più diventano oggetto di curiosità erudita (Fasti di Ovidio) o di elegie eziologiche (Elegie Romane di Properzio) o pretesto per intessere belle fiabe ricche di fascino ma non di religiosa commozione (Metamorfosi di Ovidio). I templi con i loro porticati in Ovidio sono soltanto luoghi da tenere d’occhio per incontri galanti, né più né meno del Foro, del Teatro e del Circo.
L’unica vera religione è quella dell’Amore a cui il poeta si consacra interamente; le uniche divinità a cui presta fede sono i communes deos, gli dei di fronte ai quali è stato stretto il foedus. L’amore infine è in grado di trionfare anche sulla morte e di garantire, se coltivato con fedeltà e sincerità un luogo privilegiato nei Campi Elisi “dove- come scrive Properzio- l’aria beata accarezza le rose dell’Elisio, dove risuona la cetra armoniosa ed i bronzi rotondi di Cibale ed i plettri lidi per i cori Mitrati” (Prop., Eleg. IV, 7, 59-62).
Alla stessa fantasia si abbandona Tibullo accarezzando un sogno in cui si fondono l’amore e la morte:
“Qui canti e danze non cessano mai e gli uccelli qua e là vaganti fanno risuonare un dolce canto. La terra non coltivata produce aromi ed ovunque un suolo benigno fa crescere cespi di rose profumate”
Al centro di questo paesaggio di fiaba è naturalmente Amore:
« Ac iuvenum series teneris inmixta puellis ludit, et adsidue proeliae miscet Amor »
(Tib., Eleg.I, 3, 58-64)

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