IV Catilinaria di Cicerone

Materie:Traduzione
Categoria:Latino

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Testo

Exordium e propositio
Capitolo I
Vedo, senatori, che le bocche e gli occhi di tutti voi erano rivolti a me, vedo che voi eravate turbati non solo del pericolo vostro e della repubblica, ma anche in vero, quand’anche sia stato respinto, del mio. Mi è nei mali e gradita nei dolori la vostra benevolenza verso di me, ma – per gli dei immortali!- abbandonatela e, dimentichi della mia salute, pensate a voi e ai vostri figli. Se mi è toccata in sorte questa condizione di console, per sopportare tutte le amarezze, tutti i dolori e le torture sopporterò non solo con forza, ma in vero anche con piacere, purché con le mie fatiche si conferiscano salute e dignità a voi ed al popolo romano.
Io sono, senatori, quel console al quale non il foro, sede della giustizia, non il campo, consacrato agli auspici dei consoli, non la curia, sommo ausilio di tutte le genti, non la casa, rifugio comune, non infine questo seggio d’onore (sedia curule) fu mai privo del pericolo della morte e delle trappole. Io ho taciuto molte cose, molte le ho sopportate, a molte ho rinunciato, molte le ho espiate con qualche dolore nel vostro timore. Adesso se gli dei immortali avessero voluto che questa fosse la fine del mio consolato, salverei voi e il popolo Romano dal colpo più misero, i vostri figli e le vergini Vestali da un’asperrima arroganza, e templi e santuari, questa bellissima patria di tutti noi da una disonestissima fiamma, tutta l’Italia dalla guerra e dalla devastazione, qualunque sorte mi fosse posta davanti, si sopporti. E infatti, se Publio Lentulo, spinto dagli indovini, ha reputato che il suo nome sarebbe stato fatale per la distruzione della repubblica, perché io non dovrei rallegrarmi che il mio consolato sia stato quasi fatale alla salute del popolo Romano?
Capitolo II
Insomma, senatori, abbiate cura di voi, provvedete alla patria, salvate voi, i coniugi, i figli e le vostre sorti, difendete il nome e la salute del popolo Romano; cessate di aver riguardo di me e di pensare a me. Infatti per prima cosa devo sperare che tutti gli dei, che proteggono questa città, per ciò che io merito, contraccambino; quindi, se mi dovrà capitare qualcosa, morirò con animo giusto e preparato. Infatti non può piombare addosso a un uomo forte né una morte turpe, né una precoce per chi ha raggiunto la carica consolare, né misera per un sapiente. Né tuttavia io insensibile a tal punto da essere commosso dall’afflizione e dalle lacrime del presente fratello carissimo e amatissimo, dalle quali mi vedete assediato. D’altra parte spesso richiama il mio pensiero a casa mia moglie mezza morta di paura, mia figlia prostrata dal terrore e il figlio piccolino, che mi sembra lo Stato abbracci quasi come un pegno della mia dedizione consolare, e quel genero, che aspettando la fine di questo giorno mi sta di fronte. Sono commosso da tutte queste cose, ma solo nel senso che tutti siano salvi con voi, quand’anche una qualche violenza mi abbia ucciso, piuttosto che morire loro e noi in una qualche rovina dello Stato.
Perciò, senatori, dedicatevi alla salvezza della repubblica, volgetevi intorno e osservate tutte le tempeste, che uccideranno se non provvederete. Non Tiberio Gracco, poiché volle essere eletto per la seconda volta tribuno della plebe, non Gaio Gracco, poiché tentò di agitare i contadini, non Lucio Saturnino, poiché uccise Gaio Menio, è esposto ad un pericolo e alla severità del vostro giudizio; sono in vostra mano loro, che per l’incendio della città, per l’offesa di tutti voi, per accogliere Catilina, rimasero a Roma; sono in mano vostra le lettere, i sigilli, la scrittura autografa, infine la confessione di ciascuno; sono corrotti gli Allobrogi, si spingono gli schiavi alla rivolta, Catilina è chiamato; si prese la decisione, affinché, assassinati tutti, non rimanesse nessuno né di certo per deplorare il nome del popolo Romano e per lamentare la calamità di tale incendio.
Capitolo III
Tutte queste i delatori riferirono, hanno confessato, voi già giudicaste con numerose deliberazioni, dapprima poiché mi ringraziaste con parole straordinarie e decretaste che grazie alla mia virtù e alla mia diligenza era stata svelata la congiura degli uomini corrotti; poi poiché stimaste che dovevano essere messi agli arresti domiciliari lui ed altri, riguardo ai quali avete già deliberato; e soprattutto poiché stabiliste una festa solenne di ringraziamento in mio nome, onore che prima di me non fu conferito a nessun magistrato; da ultimo, ieri, deste agli ambasciatori Allobrogi e a Tito Volturcio grandissime ricompense. Tutte queste sono di tale portata, che sembra che essi, che furono dati nominalmente agli arresti domiciliari, siano stati condannati da voi senza alcun indugio.
Ma io mi sono proposto di consultarvi, senatori, come se la questione fosse impregiudicata, e cosa giudichiate sul fatto, e cosa stabiliate sulla pena. Annuncerò quelle cose, che sono proprie del console. Io vedevo che già da molto tempo lo Stato versava in grande disordine e si cercava di sollevare nuovi tumulti e provocare sciagure, ma non avrei mai creduto che potesse essere ordita dai cittadini questa tale, rovinosa congiura. Adesso dovete decretare prima di notte. Vedete quale delitto vi sia stato sottoposto. Se reputate che pochi siano complici di questo, sbagliate profondamente. Questo male è stato diffuso più di quanto si possa immaginare; si è espanso non solo per l’Italia, in vero ha anche traversato le Alpi e serpeggiando di nascosto ha già occupato molte province. Ciò non può essere represso in alcun modo con palliativi e rinvii; in qualunque modo sia approvato, lo dovete reprimere rapidamente.
Argumentatio (confirmatio e confutatio)
Capitolo IV
Vedo inoltre che ci sono ancora due opinioni, una di Decimo Silano, che ritiene che essi, che tentarono di cancellare queste cose, si debbano condannare a morte, un’altra di Gaio Cesare, che esclude la pena di morte, ammette tutte le durezze delle restanti pene. Entrambi, sia per la loro posizione, sia per la gravità delle cose propendono per la massima severità. L’uno non reputa sia conveniente facciano uso della vita per un solo istante e di quest’aria che noi tutti respiriamo essi, che cercarono di privare della vita il popolo Romano, di annientare il comando, di cancellare il nome del popolo Romano, e si ricordo che spesso si è fatto ricorso a questo genere di pena per i cittadini disonesti, in questa repubblica. L’altro comprende che la morte non è stata fissata dagli dei a punizione di una colpa, ma o come necessità della natura, o come riposo dalle fatiche e dalle miserie. Infatti i sapienti non la hanno mai affrontata malvolentieri, e i forti spesso anche volentieri. Il carcere in vero, e in particolare quello a vita, è stato certamente istituito come pena esemplare di un crimine nefasto. Ordina che siano ripartiti nei municipi. Questa cosa sembra implicare ingiustizia, se la vuoi imporre, difficoltà, se vuoi che la accettino.
Tuttavia è da decidere se piaccia. Io infatti mi assumerò l’incarico dell’esecuzione e, come spero, otterrò che non reputino sia proprio della loro dignità rifiutare ciò, che avrete stabilito per la salute di tutti. Arreca una grave pena ai municipi, se uno di loro rompesse le catene; li fa circondare da guardie terribili ed adeguate al delitto commesso da questi depravati; stabilisce che nessuno di loro, che condanna, possa evadere la pena o con il senato o con il popolo; distrugge anche la speranza, che solo usa consolare gli uomini nei momenti di disgrazia. Stabilisce che per di più vengano confiscati i beni, lascia solo la vita agli uomini malvagi; se la avesse distrutta, in una volta sola avrebbe sottratto molti dolori dell’animo e del corpo e tutte le pene dei delitti. Inoltre, affinché fosse paventato un qualche motivo di paura nella vita dei disonesti, gli antichi sostennero l’esistenza di certi supplizi di tal genere per gli empi, poiché capivano evidentemente, tolti questi, che la morte di per sé non sia molto da temere.
Capitolo VI
Per la qual cosa, se stabilirete ciò, mi darete un accompagnatore caro e gradito al popolo per recarmi all’assemblea; se avrete preferito seguire la proposta di Silano, facilmente il popolo Romano libererà me e voi dall’accusa di crudeltà e dimostrerò che questa era molto più indulgente. D’altronde, senatori, quale crudeltà può dover essere punita nell’enormità di tale delitto? Io infatti giudico secondo il mio intendimento. Infatti così mi sia concesso di godere della salvezza dello Stato con voi, com’è vero che io, poiché in questa causa sono piuttosto intransigente, non sono mosso da crudeltà dell’animo (infatti chi è più mite di me?) ma da una singolare umanità è misericordia. Mi sembra infatti di vedere questa città, luce di tutto il mondo e luce di tutte le genti, annientarsi improvvisamente in un incendio; prevedo miseri e insepolti mucchi di cittadini nella sepolta patria; mi si presenta davanti agli occhi l’immagine di Cetego che infuria con il suo delirio sui vostri corpi.
Invece, quando mi immagino Lentulo che regna, così che egli stesso confessò di aver sperato dai fati che Gabinio fosse alto dignitario di corte per lui, che Catilina fosse venuto con l’esercito, allora rabbrividisco per le lamentazioni delle madri di famiglia, allora la fuga delle vergini e dei fanciulli e l’offesa delle vergini Vestali, e, poiché mi sembra assai che queste cose siano misere e degne di compassione, perciò mi mostrerò severo e veemente nei confronti di questi, che vollero perpetrarle. Ma vi chiedo: se un padre di famiglia, dopo che i suoi figli sono stati assassinati da un servo, dopo che la moglie è stata uccisa, la casa bruciata, punisse il servo con una pena non la più aspra possibile, questi sembrerebbe a un altro clemente e misericordioso o assai disumano e crudele? A me in vero sembrerà importuno e crudele colui che non avrà lenito il proprio dolore e la propria sofferenza con il dolore e la sofferenza di chi nocque. Così noi per questi uomini, che noi, che i coniugi, che i nostri figli vollero trucidare, le case singole di uno e le cui nostre e questo unico domicilio della repubblica tentarono di distruggere, che ciò fecero, allo scopo di stanziare il popolo allobrogo sulle rovine di questa città e sulla cenere dell’impero distrutto dal fuoco, se saremo stati molto veementi, saremo ritenuti misericordiosi; se avremo voluto essere piuttosto remissivi, saremo inevitabilmente tacciati di somma crudeltà nel pericolo della patria e dei cittadini.
A meno che Lucio Cesare, uomo fortissimo e affezionatissimo alla repubblica, non sia sembrato a qualcuno piuttosto crudele due giorni fa, quando disse che il marito presente e in ascolto, di sua sorella, donna esemplare, doveva essere privato della vita, quando disse che il suo avo assassinato su ordine del console e suo figlio non ancora adolescente, mandato dal padre come messaggero, era stato ucciso in carcere a ragione. Poiché fu fatto similmente di questi, poiché era stato ordito il piano di distruggere la repubblica. Allora si trattò di fare una distribuzione politica di grano e di una contesa tra i partiti. E a quel tempo un avo di questo Lentulo, uomo illustrissimo, combatté armato Gracco. Egli allora ricevette una grave ferita, perché i sommi interessi dello Stato non fossero minimamente lesi; questi invece chiama i Galli a scardinare le fondamenta della repubblica, eccita la servitù, chiama Catilina, assegna a Cetego di trucidarci, e a Gabinio di uccidere gli altri cittadini, a Cassio di incendiare la città, a Catilina di devastare e distruggere tutta l’Italia. Sono del parere che temiate che sembri che per questo delitto tanto immane e nefando voi abbiate deciso qualcosa di troppo severo; invece si deve temere molto più che sembri che noi siamo stati crudeli nei confronti della patria con una diminuzione della pena piuttosto che troppo spietati nei confronti di cittadini violenti con una punizione severa.
Peroratio
Capitolo X
Ora, prima che ritorni alla sentenza, dirò poche cose su di me. Io, quanta è la schiera dei congiurati, che vedete essere assai grande, tanta è la moltitudine di nemici che vedo di aver suscitato; ma ritengo che sia turpe e debole e spregevole. Che se mai un giorno codesta schiera, eccitata dalla pazzia e dal crimine di qualcuno, avrà avuto più valore della dignità vostra e della repubblica, allora, o senatori, non mi pentirò mai delle mie azioni e opinioni. E infatti la morte, di cui essi mi minacciano molto violentemente, è stata predisposta per tutti; nessuno ha ottenuto tanto ringraziamento per la vita, quanto voi me ne conferiste con i vostri decreti; per tutti gli altri, infatti, avete decretato una festa di ringraziamento per aver bene amministrato lo Stato, per me solo per averlo salvato.
Sia pure celebre quello Scipione, per la cui saggezza e virtù Annibale fu costretto a tornare in Africa e a ritirarsi dall’Italia; sia celebrato con una straordinaria lode l’altro Africano, che distrusse due città a questo impero molto ostili, Cartagine e Numanzia; sia stimato uomo egregio quel Paolo, del quale una volta un re potentissimo e nobilissimo, Perse, ornò il carro trionfale; sia di eterna gloria Mario, che due volte liberò Roma dall’assedio e dal terrore della servitù; sia posto innanzi a tutti Pompeo, le cui gesta e virtù sono contenute nelle medesime regioni e confini nelle quali è contenuto il percorso del sole; ci sarà certamente un po’ di posto per la mia gloria tra le lodi di questi, a meno che per caso non valga di più aprire nelle nostre province un luogo dove possiamo recarci piuttosto che aver cura che anche quelli, che sono lontani, abbiano un luogo dove tornare da vincitori.

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