Hecyra: "la Suocera" di Terenzio

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Testo

Publio Afro Terenzio nacque a Cartagine nel 195 a.C. e giunse a Roma come schiavo del senatore T. Lucano, dal quale fu liberato "ob ingenium et formam" ("per ingegno e bellezza"). La sua vita si inserisce nel periodo di tempo compreso tra la fine della II guerra punica (201 a.C.) e l'inizio della III (149 a.C.) e si lega strettamente con la vicenda politica e culturale romana di quegli anni. Sulla vita di Terenzio abbiamo una biografia risalente a Svetonio: a questa attinse Donato, che la premise al suo commento delle commedie di Terenzio. Notizie biografiche, poi, si possono ricavare anche dai prologhi delle commedie stesse. A Roma egli divenne intimo di Scipione Emiliano e di Gaio Lelio, entrando quindi a far parte del circolo scipionico, del cui ideale di "humanitas" si fece portavoce. La sua posizione di prestigio suscitò però l’invidia dei suoi contemporanei, soprattutto degli altri letterati. Sul conto di Terenzio, sorsero così calunnie e pettegolezzi: lo si accusava di plagio e di essere addirittura un prestanome dei suoi importanti protettori, i veri effettivi autori delle sue commedie (era infatti considerato disdicevole per un "civis Romanus", impegnato politicamente, dedicare il proprio tempo alla composizione di commedie; le uniche attività a lui concesse erano l’oratoria o la storiografia). Da questa accusa, Terenzio si difende nel prologo della sua ultima commedia, l’"Adelphoe". Amareggiato dal complessivo insuccesso della sua produzione, ma anche evidentemente per diletto e soprattutto per studiare sul posto istituzioni e costumi greci da ritrarre nelle sue opere, Terenzio lasciò Roma nel 160 a.C. e volle fare un viaggio in Grecia e in Asia Minore, da cui però non fece più ritorno. Morì qualche anno più tardi, o a causa di una malattia, o a causa di un naufragio, oppure per il dolore procuratogli dalla perdita dei bagagli che contenevano molte commedie che aveva tradotto da originali di Menandro reperiti in Grecia. Di Terenzio ci sono pervenute, integralmente, 6 commedie “palliate” (cioè d'ambientazione greca), composte e rappresentate a Roma, di cui si conoscono, tramite le "didascalie", l'anno e l'occasione del primo allestimento. Egli esordì nel 166 a.C. con una commedia, l’ "Andria" ("La ragazza dell’isola di Andro"). Nel 165, fece rappresentare una seconda commedia, l’ "Hecyra" ("La suocera"): il pubblico, dopo le prime scene, abbandonò il teatro, preferendo assistere ad una contemporanea manifestazione di pugili e funamboli; fu un fiasco clamoroso. Nel 163, fece rappresentare l’ "Heautontimorumenos" ("Il punitore di se stesso"). Nel 169 furono, invece, rappresentate ben 2 commedie: l’ "Eunuchus" ("L'eunuco") e il "Phormio" ("Formione"). L’ "Eunucus" fu il più grande successo di Terenzio, perché è la sua commedia più simile alla comicità plautina. Nel 160, infine, durante i giochi funebri per celebrare la morte di Lucio Emilio Paolo, padre di Scipione Emiliano, Terenzio fece rappresentare la sua ultima commedia, l’ "Adelphoe" ("I fratelli"); nella stessa occasione tentò una seconda rappresentazione dell’ "Hecyra", ma anche questa volta il pubblico abbandonò il teatro, preferendo i gladiatori. Una terza rappresentazione avvenne durante i "Ludi Romani" dello stesso anno e, finalmente, durò dall’inizio alla fine: il pubblico rimase in teatro grazie alla presenza di Ambivio Turpione, attore molto celebre di quel tempo. Terenzio operò una vera e propria "riforma" nell'ambito del genere della palliata, ristrutturandolo dal punto di vista tecnico e introducendo in esso nuovi contenuti ideologici, in linea con le tendenze del circolo cui apparteneva. La sua carriera non fu certo facile come per Plauto, o almeno non ebbe lo stesso successo, perché la sua commedia non rispondeva ai gusti del grosso pubblico romano, non ancora pronto a un "salto di qualità" di questa portata: quella di Terenzio era, infatti, una commedia che voleva trasmettere un messaggio morale estraneo alla mentalità romana abituata al teatro plautino, che interpretava i rapporti interpersonali come basati sull’inganno, sulla violenza e sulle prevaricazioni. In effetti il pubblico ideale di Terenzio era il pubblico colto (che coincideva, in pratica, con lo stesso "circolo"), o sicuramente più raffinato di quello sboccato e "plebeo" che applaudiva le opere di Plauto. Un pubblico, in breve, elitario, il cui ideale artistico è un'opera che riproduca nel migliore dei modi le preziosità dell'originale greco. Quattro delle 6 commedie terenziane si rifanno, infatti, ad originali menandrei (a riprova di ciò, anche se in senso dispregiativo, Cesare definì il commediografo "dimidiatus Menander", ossia un "Menandro dimezzato"): solo l’"Hecyra" ed il "Phormio" riprendono commedie di un altro autore, Apollodoro di Caristo, un commediografo greco di cui però non si conosce nulla. Rispetto a Plauto, le commedie di Terenzio presentano maggiore fedeltà ai modelli greci, ma si tratta sempre di una fedeltà relativa: anche Terenzio ricorreva infatti alla "contaminatio". Tuttavia, tale tecnica non consiste,

Esempio



  


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