età dei flavi e Traiano

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Testo

ETA’ DEI FLAVI E DI TRAIANO
Con la morte di Nerone (68)→crisi.
Si contesero nel giro di un anno la successione 4 imperatori:
- Galba: nobilitas senatoria, riaffermare principio della libertas. 69 assassinato dai pretoriani
- Otone: sostenitore del regime appena abbattuto. Si uccise dopo essere stato sconfitto da Vitellio nel 69.
- Vitellio: comandante delle legioni stanziate lungo il Reno, appoggiato dagli eserciti delle province orientali. Morte ignominiosa dic. 69.
- Vespasiano: dal 66 impegnato a reprimere la rivolta giudaica in Palestina, sostenuto da truppe orientali e danubiane .unica scelta possibile.
Con lui ha inizio la dinastia dei Flavi.
Nato a Rieti di famiglia di modeste origini. Non poteva quindi vantare di legami con l’antica dinastia.
Si preoccupò innanzitutto di dare stabilità all’impero, ottenendo il riconoscimento giuridico mediante la lex de imperio Vespasiani.
Principato per la prima volta assumeva i contorni di una magistratura a vita.
Nel senato vennero immessi nuovi uomini, provenienti dai municipi italici e dalle province; vedeva ridimensionate le sue prerogative tradizionali. Si ponevano così le basi per una coesistenza pacifica tra princeps e senato.
V. si presenta come il restauratore della pace e della concordia. Rifiuta lo sfarzo e lontano da qualsiasi atteggiamento autocratico. Volto a impegnarsi a un’opera di riorganizzazione amministrativa, economica e militare dello Stato:
- risanamento casse pubbliche
- stanziamenti per opere edilizie
- riforma dell’arruolamento legionario
roma resurgens è il motto che appare sulle monete prodotte in quel periodo.
Stato romano aveva ritrovato solidità e stabilità al suo interno
Morì improvvisamente nel 79.
Gli successe il figlio Tito. Salì al potere con fama non priva di ombre: - valoroso generale in Palestina – spietato prefetto del pretorio
In particolare destava preoccupazione per il possibile volgersi di una politica filo-orientale il suo amore per Berenice, principessa ebrea, ma arrivato al governo subito rinunciò a lei per dissipare ogni sospetto.
- Intraprese grandi opere di edilizia pubblica
- Non ricorse a procedimenti di lesa maestà
- Non tollerò le odiose figure dei delatori
- Dagli splendidi giochi con cui fu inaugurato il teatro Flavio si intende che lui voleva continuare la politica demagogica adottata fin dai tempi di Cesare nei confronti delle plebi urbane.
Con Domiziano, ultimo dei Flavi si perse l’equilibrio, egli volle ritornare alla politica autocratica di Caligola e Nerone.
- si fece chiamare dominus et deus
- sottopose al suo totale controllo le nomine senatorie mediante la censura perpetua
- ma diversamente da C. e N. si fece custode dei tradizionali culti italici (no sette filosofiche e religiose che provenivano dall’oriente…)
ostilità della nobilitas acuì i sospetti e fece ritornare al sistema di delazioni, processi ed esecuzioni che aveva caratterizzato l’epoca giulio-claudia.
18 settembre del 96 morì vittima di una congiura senatoria.
Ceto senatorio continuava ad alimentare l’opposizione alle spinte assolutistiche del principato. Fu Nerva,un anziano esponente della nobilitas italica, che riuscì a riannodare i rapporti tra princeps e senato.
- Riuscì a placare le agitazioni dei legionari e delle coorti pretorie
- Curò la riforma delle finanze pubbliche
- Mise fine alla lex maiestate
- Si preoccupò della restaurazione morale dello stato romano
- Principio dinastico fu sostituito quello dell’adozione, che avrebbe dovuto garantire la “scelta del mogliore”
Furono i pretoriani a decidere il successore.
Traiano, ufficiale di carriera di origine spagnola, che godeva del favore delle truppe.
- non osteggiò il senato a cui lasciò l’illusione di poter ancora intervenire nel controllo civiled ella città. →ma d’altra parte sotto Taiano gran parte del senato risaliva alle antiche gentes e altri erano ominidi rango equestre → ovviamente d’accordo all’istituzione imperiale.
- Questa rinnovata concordia consentì di attuare riforme economiche e amministrative che incisero molto sulle province donandogli stabilità politica e prosperità sociale.
- Annessa la Dacia, l’Armenia
- Vasto progr. di lavori pubblici
- Campagne italiche furono bonificate
- Nuove vie carovaniere e marittime
- Nuovi giacimenti minerari scoperti e sfruttati
Si apriva così uno dei periodi più floridi e felici diciamo dal punto di vista materialistico
I PRINCIPI E LA CULTURA
Principato di Nerone → periodo di straordinaria vitalità artistica e letteraria.
Sotto i Flavi c’è una sorta di ritorna all’età classica; entriamo in una fase caratterizzata da nuova severità, misura e disciplina, si ritorna a prendere come modelli Cicerone e Virgilio, anche dal punto di vista stilistico e la prosa e lo stile baroccheggiante di Seneca viene spesso criticato anche dalla figura più prestigiosa di questo periodo, il retore Quintiliano, che appunto andisce il suo stile irrequieto, irregolare e fascinoso.
Epica storica e drammatica di Lucano lascia spazio a quella mitologica di Stazio e Flacco, o agli esperimenti di Italico, che tenta di ricongiungere il racconto storico con l’apparato del mito di derivazione omerica. Personalità più consapevoli come Tacito preferiscono non esporsi. Poeta più umorale e vivace è Marziale che si limita a recuperare i toni irriverenti di Catullo ma solo nel privato,ma la cui produzione fa vedere come la riv poetica prodottasi dopo Ovidio e culminata con Seneca tragico non fosse stata dimenticata; uomo che meglio sintetizza lo spirito dell’epoca è Plinio il Vecchio.
Quello che colpisce: uso virtuosistico e tecnico della tradizione, le scelte espressive si traducono in un’operazione colta e raffinata di manipolazione dei modelli antichi come recenti.
Età di Nerone: mecenatismo, età dei Flavi→sostanziale indifferenza alla questione.
Manca un rapporto motivato e stabile tra principato e cultura, così come tra i privati committenti e i singoli scrittori, iniziative restano occasionali. La dipendenza dei poeti dal pubblico poteva tradursi nella necessità di ossequiare il principe. Tono encomiastico e panegiristico, per questo non può destare stupore.
Con l’età dei Flavi si sancisce definitivamente il distacco tra governanti e filosofi, che vengono espulsi sia da Vespasiano, sia da Domiziano. Ma V. istituisce la prima cattedra pubblica di retorica a spese dello Stato, affidata a Quintiliano. Scelta che aveva un preciso significato: favorire una cultura di tipo tecnico ponendola sotto il controllo diretto dell’amministrazione statale, e significativamente offre poi a Q. il compito di educare i futuri principi.
Non mancò tuttavia una letteratura di opposizione. Materno scrisse due praetextae di chiara marca filorepubblicana, Domitius (probabilmente Enobarbo che aveva partecipato alla congiura di vs Cesare) e Cato (l’Uticense, che si era sacrificato per la libertas). Unica pervenuta integralmente è l’Octavia →rappresentazione di nerone come sanguinario fa pensare che sia stato composto nell’ambito dell’opposizione senatoria.
Tacito nell’Agricola esprimeva, sotto il nuovo principato, sentimenti di rinascita, condivisi anche da altri, nel Panegirico per Traiano di Plinio il Giovane, nei versi antidomizianei di Giovenale, nella prefazione delle Storie di Floro→grazie a Traiano l’impero è “quasi ringiovanito dalla decrepitudine in cui era caduto”.
Svolta politiva è cmq più formale che sostanziale, significativo che né Tacito narri gli eventi di questo periodo né Giovenale ne faccia riferimenti.
Traiano si disinteressa alla culturam solo fondazione di due biblioteche, una greca e una latina annesse alla Basilica Ulpia. Vita culturale dovette riferirsi dopo i primi anni a quella dell’età precedente.
Poesia: attività salottiera; continua la pratica delle recitationes pubbliche e i ludi iniziati da Domiziano.
Oratoria: si risolve in virtuosismi encomiastici del Panegirico a Traiano.
Biografie letterari di Svetonio denotano una assenza di profondità morale e intellettuale.
La cultura romana sembra così avviarsi verso una decadenza.
GRAMMATICIE FILLOLOGI DEL I SECOLO D.C.
Età imperiale: crescente diffusione della cultura e degli studi collegata sia all’ascesa di nuovi ceti sociali che all’esigenza, da parte dello Stato di poter contare su una burocrazia efficiente. → provvedimenti imperiali: cattedre pubbliche e biblioteche.
Ciò portò a un processo di tecnicizzazione delle discipline filologiche e grammaticali. Che acquistano un loro speciale statuto autonomo, conseguenza più importante è: ricerche sull’origine della lingue accantonate per un’impostazione più tecnico-pratica, di carattere essenzialmente normativo e classificatorio. Nuovo indirizzo appare già nell’attività di Remmio Palemone più illustre grammaticus di età giulio-claudia. Autore di un Ars grammatica, perduta, in essa per la prima volta: definite e studiate le parti del discorso.
Attività del gramamticus non si limitava al lavoro linguistico ma era anche di commento e interpretazione dei testi.
Palemone istituzionalizzò lo studio dei moderni e dei contemporanei, abbandonando gli scrittori arcaici, Virgilio divenne il primo “classico” latino della scuola.
Ascondo Pediano, nato a Padova, agli inizi della nuova era. Con lui comincia la reazione allo stile baroccheggiante per la ripresa dello stile classico.
Fu soprattutto un erudito, interessato agli aspetti antiquari e storici del testo →commenti a delle opere di Cicero e uno scritto in difesa di Virgilio. Esaltato da Quintiliano e Italico, prob per i suoi modelli.
Marco Valerio Probo, maggior grammatico dell’epoco, secondo Svetonio non tenne mai una sua scuola, ma ebbe tuttavia larga influenza. Probio, senza dimenticare Virgilio e Orazio, e con l’occhio anche ai contemporanei, sposta l’interesse più indietro, fion a Lucrezio e Terenzio. Svetoni9o ci informa del suo metodo filologico che usava, 3 fasi:
- emendare →correggere gli errori di trasmissione
- distinguere → dividere le parole e aggiungere le interpunzioni necessarie
- adnotare →carredare il testo di note, per lo più linguistiche
di solito alle edizioni erano premesse delle Vitae (Petronio, Virgilio?).
QUINTILIANO
Nato a Calagurris, Spagna Tarragonese, tra il 35 e il 40 d.C. morì verso il 100 d.C.
Condotto a Roma per studiare, lo fa sotto i migliori mestri (Palemone, Afro).
- 60 torno in patria →retore.
- Galba lo vuole con sé per pertire verso l’Italia
- 78 Vespasiano gli affidò la 1° cattedra pubbl di retorica
- fino 88 insegna →a Roma grande influenza
- 94 Domiziano →educazione di due pronipoti
anche attività forense: in vita pubblica un’orazione, altre vennero divulgate senza il suo consenso, durante il processo, a scopo di lucro.
- 90 pubblica personalmente De causis corruptae eloquentiae, non pervenuto, nel quale affronta un tema sentito dalla cultura del suo secolo0: la decadenza dell’oratoria, cause secondo lui: -scarso livello delle scuole di declamazione, eccessiva spazio a esercitazioni fittizie e astratte.
- Ultimo periodo di vita:opera più famosa→Institutio oratoria, trattato retorico in 12 libri.
L’INSTITUTIO ORATORIA
Più della metà dei libri sono introdotti da prooemia. Precede l’opera una lettera all’editore Trifone, dalla quale capiamo che l’instituio ra da più parti sollecitata.
Retorica, nell’ordinamento romano degli studi era il gradino più alto, sui 17 anni i ragazzi venivano mandati da un rhetor, per diventare dei bravi oratori.
Q. decide di partire da molto prima, un libro, il 1° è infatti quasi totalmente dedicato alla pedagogia e alla grammatica.
- 2° libro: comincia a trattare in modo più specifico della scuola di retorica, metodi di insegnamento, questioni generali come “se la retorica sia utile” ecc.
- 3° libro: piccola storia della retorica, delineando le sue parti fondamentali e il compito dell’oratore
- 4° -6° : inventio
- 7°: dispositio
- 8°-9°: elocutio, le 3 fasi necessarie nella costruzione di un discorso
- 10°: il più famoso di tutta l’opera, contiene un excursus sugli scrittori greci e latini più idonei a formare il gusto del futuro oratore
- 11°: memoria e actio, ultime due parti della retorica. Appare divisa per generi una sintetica storia della letteratura antica
- 12°:immagine del perfetto oratore
interesse pedagogico è uno degli aspetti più originali, l’educazione non è fatto solo di contenuti ma è importante anche il modo in cui una disciplina viene insegnata., il buon maestro deve valutare l’indole di ogni alunno…ma importante è anche il compito della famiglia, nutrice e genitori.
Ogni uomo può imparare e migliorare, questo è il cosiddetto “ottimismo educativo” quintilianeo, gli uomini in sé sono inclini ad apprendere.
Per Q. è decisamente più utilie lo studio in una scuola pubblica per il crearsi di relazioni che dureranno tutta la vita e per confronto con gli altri alunni che tiene desta l’intelligenza e favorisce l’emulazione.
Centro ideale della scuola è il maestro che non deve avere solo competenze a livello formale ma anche saper insegnare, Q. paragona il maestro a un buon padre, a una nutrice, a un agricoltore che cura le sue pianticelle. La scuola immaginata da Q. nn è basata sul primato della tecnica ma dell’uomo.
Eredita da Cicerone una concezione umanistica della retorica, l’oratore deve essere completo. Cieceroniana è anche l’identificazione di ratio e oratio: la parola eloquente deve essere posta al servizion del vero e del bene, nozioni che non potremmo conoscere senza studi adeguati.
Ancora come in C. gli studi nell’Institutio non sono considerati sotto il punto di vista strettamente tecnico ma inseriti in una concezione più vasta della cultura. →opera di natura pedagogica sulla formazione dell’uomo e del cittadino.
Ma il modello ciceroniano a cui si riferisce è anacronistico, in un periodo dove Domiziano provvedeva ad eliminare tutti gli oppositori del regime. Ma Q. non affronta la retorica dal sul piano politico. Il suo oratore continua ad agire, nella finzione teorica del trattato, come se ancora esistesse l’antica res publica, dovrà operare per il bene comune, secondo il modello di Humanitas espresso sempre da Cicerone (fede nei valori della ragione, giustizia e della cultura). Oratore deve proporsi come una sorta di intermediario tra princeps e popolo, per salvaguardare il messaggio ideale e civile della tradizione culturale romana.
Evidente però che il modello ciceroniano si è ormai spezzato, in Q. l’oratio prevale sulla ratio, e la retorica impone il suo primato con gli studi relegando la filosofia.
Opera di Q. segna il culmine della rezione classicista al gusto asinao dell’età precedente. Bersaglio principale è Seneca a cui rimprovera di aver corrotto lo stile contemporaneo.
Il suo ideale stilistico è quello ciceroniano e subito dopo Virgilio e Orazio. È per una scrittura media e regolare, fondata sui principi di sobrietà, di misura e di chiarezza espressive.
Appare tuttavia distante da quello di C. più armonioso e sembra in qualche modo comunque influenzato dal tanto disprezzato Senapa, con periodo ricchi di sententiae, di costruzioni ad sensum, di strutture sintattiche ellittiche e artificiose.
EPICA NELL’ETA’ DEI FLAVI
Nell’età dei Flavi (69-96) la poesia epica conosce una nuova fioritura: il ritorno all’ordine posto da Vespasiano trova un modello ideale in Virgilio. Il superamento dei disordini interni del 68-69 d.C. suggeriva una forte analogia con la pace Augustea dopo le guerre civili. Ma, da un punto di vista letterario, la grandezza dell’ENEIDE si fondava su un equilibrio non ripetibile, mentre le esperienze di Ovidio e Lucano avevano profondamente modificato il genere epico e avevano lasciato un’impronta sul gusto e sulle tecniche poetiche. I 3 poeti di quest’epoca:
- VALERIO FLACCO
- STAZIO
- SILIO ITALICO
Oscillano tra un neoclassicismo di formazione virgiliana e le suggestioni del barocco d’età neroniana.
STAZIO
LA VITA E LE SILVAE
Publio Papinio Stazio nacque a Napoli tra il 40 e il 50 d.C. prima del 69 si trasferì a Roma con il padre. Di ingegno precoce ebbe successo in gare poetiche, fu apprezzato dall’alta società ed ebbe il favore dell’imperatore.
Intorno al 95 fece ritorno a Napoli; non abbiamo sue notizie posteriori al 96.
Per la biografia > SILVAE = 5 libri, ciascuno introdotto da un epistola dedicatoria in prosa, che raccolgono 32 componimenti lirici d’occasione: il poeta li definisce in vario modo. I primi quattro furono pubblicati tra il 92 e il 95 il quinto è postumo.
Grazie a questi componimenti abbiamo notizie sull’ambiente raffinato della Roma delll’età flkavia che circondava il poeta: i destinatari dei primi 4 libri sono anche i 4 protettori di Stazio. Nel poema abbondano anche le lodi di Domiziano, e la sua assimilazione a Giove o Ercole è l’asopetto più interessante di una visione del mondo in cui gli dei sono protagonisti.
In questo mondo quasi divino, in cui l’opera dell’uomo impone grazia sovrannaturale alla natura, non mancano la meditazione sulla morte e una confessione sincera dei propri sentimenti: gli epicedi sono le composizioni più rappresentative di questo lato più riflessivo e intimo.
L’eterogeneità dei temi e delle atmosfere si riflette nella varietà dei metri e soprattutto nell’abile riuso di schemi e generi poetici tradizionali.
Altra caratteristica saliente della raccolta, sottolineata da Stazio nella prefazione al libro I è la rapidità compositiva legata alla spontaneità di ispirazione. Rilevante è il titolo stesso dell’opera: Silvae che si ricollega alla varietà della vegetazione spontanea.
A quest’aspetto di provvisorietà e noncuranza si mescola un sapiente dosaggio di temi e stili > disordine elaborato.

L’EPICA: TEBAIDE E ACHILLEIDE
La tebaide, composta tra l’80 e il 92, racconta in dodici libri la celebre vicenda dell’assedio di Tebe che vede coinvolti in una maledizione tutti i discendenti di Edipo.
Fonti: tragedie riguardanti la vicenda di Tebe, i perduti poemi del ciclo epico posteriori ai poemi omerici, la recente Tebaide del greco Antimaco di Colofonie.
L’opera è divisa in due parti sul modello dell’Eneide: nella prima (I-VI) sono narrati i preparativi della guerra; nella seconda (VII-XII) è rappresentata la guerra stessa.
Il poema si apre con la maledizione di Edipo, che invoca dalla Furia Tisifone una punizione per i figli che, dopo aver deciso di regnare ad anni alterni sulla città, allo scadere del tempo, non avevano rispettato i patti. Si ha in seguito la guerra e alla morte dei due si lega la vicenda di Antigone che si conclude con l’arrivo salvifico di Teseo.
Stazio riconosce esplicitamente il valore esemplare dell’Eneide, da cui, oltre alla struttura in due parti, derivano anche alcune situazioni e scene precise. Mentre però Virgilio aveva trovato nel mito una sanzione provvidenziale a giustificazione e celebrazione del presente, la Tebaide proietta sullo sfondo mitico il tema della guerra civile come evento in cui trionfa il male.
Si ha in quest’opera l’impressione di un mondo dominato da una forza maligna, da un Fatum che opprime gli uomini e scatena in loro un desiderio di sangue. > visione molto diversa dal poema virgiliano.
In realtà la vicenda di Tebe nel suo orrore provoca un rovesciamento dell’ordine naturale. In questo quadro il rappresentante della pietas è Adrasto, re di Argo, il quale, noncurante dei contrari segni divini, accetta di partecipare alla guerra. Egli rappresenta la regalità nel suo aspetto giusto e saggio ma è troppo debole in confronto al potere tirannico posseduto da Eteocle e desiderato da Polinice.
C’è quindi una fatalità oscura che segna il potere al di là dell’eredità funesta dei Labdacidi, che ha indotto a vedere nel poema una rappresentazione tragica degli esiti del desiderio e dell’esercizio di potere, con riferimenti alla storia di Roma: Stazio aveva assistito da giovane sia al regno di Nerone che alla guerra civile del 69d.C. i Flavi rispetto a quegli eventi erano sembrati dei liberatori e la loro opera di pacificazione era paragonabile a quella di Augusto e a quella di Teseo per Tebe.
Certamente la concezione di un fato negativo e l’avvertimento dei pericoli di un potere tirannico derivano dai Pharsalia e dalle tragedie di Seneca.
Nel libro Xii l’arrivo di Teseo sembra aprire uno spiraglio positivo: alla virus si sostituisce la clementia. Ma Teseo ne è una rappresentazione assai imperfetta. Inoltre, benché interrompa un climax negativo, questo episodio è racchiuso in un inquietante struttura circolare: sia all’inizio che alla fine compaiono scene di lamento sui cadaveri.
Intorno al 95 Stazio cominciò a comporre l’Achilleide un poema incui si proponeva di narrare tutta la vita di Achille fino alla sua morte. Il poema rimase incompiuto a causa della morte dell’autore.
Nel I libro abbiamo una sorta di commedia degli inganni: Tetide, madre di Achille, per non farlo partecipare alla guerra di Troia, lo sottrae alla custodia di Chitone e lo porta sull’isola di Sciro travestito da fanciulla. Qui il giovane scorge Deidamia di cui si innamora. Nel frattempo i greci attendono in Aulide: l’indovino Calcante rivela a Ulisse e Diomede dove è nascosto Achille e i due vi si recano per riportarlo indietro. Anch’essi ricorrono all’inganno per smascherare Achille: difronte al bagliore di una spada e al suono delle trombe marziali egli non riesce a resistere e si tradisce. Achille e Deidamia si sposano. In seguito Achille parte per Troia ma la vicenda si interrompe.
Rispetto all’atmosfera cupa opprimente e tragica della Tebaide, in quest’opera risalta l’apparente libertà d’azione dei personaggi. In realtà il lettore sa che il destino di Achille è segnato e probabilmente l’autore sarebbe tornato ai toni cupi della Tebaide.
Dal punto di vista linguistico, su una trama di base virgiliana, Stazio inserisce la ricchezza lessicale di Ovidio > versatilità e agilità di utilizzo dell’esametro.
L’audacia di Stazio dell’uso dell’astratto per il concreto/ dell’inanimato per l’animato e viceversa sembra invece derivare da lucano. Tratto stilistico fondamentale è la tendenza all’intensificazione patetica che deve molto alla retorica contemporanea delle declamazioni.

VALERIO FLACCO
GLI ARGONAUTICA
Gaio Valerio Flacco Setino Balbo è il nome completo del poeta originario del Lazio. Dalla sua stessa opera deduciamo che apparteneva al collegio sacerdotale, consacrato ad Apollo, cui competevano la consultazione dei Libri Sibillini e la sorveglianza dei culti stranieri in Roma. Valerio morì intorno al 90 prima della pubblicazione dell’istitutio oratoria. Il proemio della sua opera è stato scritto molto probabilmente prima della morte di Vespasiano, a cui il poema si rivolge.
L’opera tratta delle vicende degli argonauti, i primi a solcare i mari a bordo della nave Argo. Il precedente letterario è è uil poema ellenistico di Apollonio Rodio che si articolava in 4 lunghi libri. Valerio ne scrisse 8 più brevi: l’ottavo però si interrompe causa morte del poeta.
La narrazione comincia con la costruzione della nave e il convegno degli eroi che parteciperanno al viaggio. Il comandante è Giasone, figlio di Esone, re di Iolco, il cui regno è stato usurpato dal fratello Pelia: i segni divini hanno ammonito Pelia a disfarsi di Giasone, e pretesto del viaggio è il recupero del vello d’oro che si trova in Colchide.
I libri II-V narrano i tradizionali episodi della saga argonautica e lo sbarco in Colchide con l’apparizione della figura di Medea, figlia del re Eeta. Nel libro VI si intrecciano le imprese belliche e l’innamoramento di Medea. i libri VII e VIII narrano gli eventi risolutivi della della vicenda: Eeta non rispetta l’impegno assunto e impone a Giasone prove durissime per le quali è indispensabile l’aiuto di Medea. In seguito Medea fugge per mare con Giasone. >poema interrotto.
PRIMA = parola chiave del poema: la nave Argo è la prima a solcare il mare e continuamente l’autore insiste sulla novità dell’impresa compiuta. Essa rappresenta un sovvertimento all’ordine naturale, un’impresa pericolosa senza l’aiuto degli dei, in particolare Giunone, Minerva e Giove.
Il viaggio della nave è dunque una sorta di missione civilizzatrice, che sarà premiata col catasterismo della stessa nave.
Si ricorderà il proemio dell’Eneide dove Enea è il primo a raggiungere l’Italia; il suo viaggio è per fondare una nuova patria, Roma, che in questo modo trova nel passato mitico un illustre radice genealogica. Il viaggio di Giasone invece ha con Roma una relazione esemplare: più che lo scopo conta la navigazione stessa, in cui si può vedere il modello mitico delle imprese oltremare compiute dal futuro imperatore Vespasiano durante il regno di Claudio. Fin dall’inizio quindi il modello virgiliano funziona come strumento di romanizzazione di un mito estraneo alla storia di Roma.
Fonte principale: Apollonio Rodio, aveva ritratto Giasone come l’antieroe, del tutto inadeguato a un progetto di grande epica. Valerio riplasma allora il personaggio sul modello di Enea: è un uomo di pietas e un grande comandante.
La sosta dell’eroe presso Ipsipile e la sua storia d’amore con Medea ricordano il rapporto di Enea con Didone. La funzione di Medea è però opposta a quella di Didone: la regina di Cartagine è un indugio ripetto alla vicenda mentre Medea è necessaria per portarla a compimento. > forte spinta anti eroica vedi Ovidio e Seneca.
In Valerio è modificata anche la caratterizzazione di Medea come personaggio: si distacca da Apollonio Rodio quando narra dell’innamoramento di Medea > in questo era decisivo l’intervento degli dei mentre in Valerio gli dei entrano sì in scena ma tutto avviene nell’animo di Medea e Giasone.
Maestria di Valerio: gradualità con cui descrive gli stadi successivi dell’innamoramento rendendo bene l’immagine del conflitto interiore tra pudor e amor.
Altro tema: problematizzazione della volontà degli dei. C’è un fato che acceca gli uomini e gli fa fare cose terribili. Valerio però ha comunque fiducia nel progresso del mondo e nelle possibilità conoscitive dell’uomo: la sue invocazioni ad Apollo e alle Muse sono un’affermazione di ottimismo.
Dal punto di vista tecnico: figura retorica fondamentale = IPERBATO sia nella composizione sintattica sia nella struttura complessiva del poema. Valerio interviene spesso a spezzare la linearità dell’opera con cambiamenti di scena, sospensioni patetiche, moltiplicazioni di punti di vista.
Il linguaggio poetico è elaboratissimo e reso difficile dalla continua presenza di allusioni a espressioni virgiliane o fatti del patrimonio epico.
SILIO ITALICO
I PUNICA
Fonti sulla sua vita: epistola III, 7 di Plinio il Giovane scritta in occasione della sua morte. Tappe principali della sua vita: 68 d.C è l’ultimo senatore nominato da Nerone; morto Nerone fu vicino a Vitellio; dopo un proconsolato in Asia si ritirò a vita privata in Campania. Morte: 101-102 > nascita 25-26. figura che ci viene descritta: uomo politico di prestigio che si dedicò alla poesia dopo il ritiro dalla vita pubblica, privo di particolare talento ma dotato di grande erudizione che scriveva più per sollecitudine che per ispirazione.
Scrisse la sua opera in età avanzata probabilmente a partire dall’88 d.C. il poema di Silio è di soggetto storico e tratta della seconda guerra punica ( 218-202). L’opera comprende 17 libri.
Nei libri I-II è narrato l’assedio di Sagunto, conclusosi con la morte volontaria della sua popolazione per evitare il dominio cartaginese.
Nei libri III-IV si ha l’attraversamento delle Alpi di Annibale e le vittorie cartaginesi (Ticino, Trebbia, Trasimeno).
Libro VI: exempla di eroismo romano tra cui spicca Attilio Regolo che mostrano la virtus romana di fronte al pericolo.
Libri VII e XII vi è la sconfitta di Canne e la riconquista di Capua da parte dei romani. In più è descritto l’arrivo di Annibale sotto le mura di Roma.
Libri XIII- XVII sono dominati dalle figura di Cornelio Scipione e Claudio Marcello. La conquista di Siracusa da parte di Marcello, le vittorie di Scipione in Spagna e la vittoria definitiva a Zama.
Silio introduce nel racconto dei fatti, risalenti al II sec a.C. l’apparato mitologico dell’Eneide. E da questa l’argomento trae la sua giustificazione mitica:la guerra romano-cartaginese trova la sua origine nella maledizione.
MARZIALE E LA POESIA EPIGRAMMATICA
ORIGINI E SVILUPPI DELL’EPIGRAMMA
Il genere dell’epigramma nasce in grecia negli ultimi decenni dell’VIII secolo, in forma a anonima, con intenti pratici e celebrativi; iscrizioni in metro vario, per lo più di carattere funebre o votivo.
Solo in età ellenistica l’epigramma acquista valore propriamente letterario, assumendo i suoi caratteri specifici: un componimento di occasione, breve, di metro libero (distico elegiaco), stilisticamente elegante e raffinato, atto ad esprimere contenuti vari, soprattutto di natura privata e soggettiva. Argomenti: erotico, conviviale, satirico, parodistico, giocoso, funebre.
Può comprendere battute di dialogo, descrizioni, spunti narrativi; passare dal tono malinconico a quello dell’invettiva, dalla polemica all’idillio agreste. Sul piano strutturale, tratto distintivo del testo è l’estrema concentrazione del discorso poetico che tende a risolversi rapidamente, con un effetto di sorpresa, nell’ultima frase.
La storia dell’epigramma letterario in lingua greca si estende per circa 15 secoli. I testi vengono diffusi, a partire dall’età alessandrina, in forma antologica. > notissima la raccolta di Meleagro di Gadara; ma la maggior parte dei testi epigrammatici è giunta a noi conservata nella monumentale antologia palatina.
A Roma l’epigramma di tipo ellenistico compare con poeti del circolo di Lutezio Catulo, e in seguito conosce una grande fioritura tra i neoteroi. Nella stessa epoca operano in città poeti greci famosi come Antipatro di Sidone e Archia o grandi filosofi come Filonemo di Gadara, che compongono raffinati epigrammi ti tono leggero. In età augustea troviamo Domizio Marso e Albinovano Pedone. In età neroniana, operò Lucillio, autore epigrammi di segno realistico e tono satirico. Nello stesso periodo vanno probabilmente collocati gli epigrammi compresi nella raccolta dei Priapea. A questi e a Catullo si ispirò Marziale, l’unico epigrammista latino di cui ci sia giunta l’opera in forma integrale. Dopo Marziale composero epigrammi i poetae novelli. Interessanti furono anche gli epigrammi in distici eroici composti ne II secolo da Pentadio e la produzione di Ausonio.

MARZIALE
VITA E OPERE
Di origine spagnola, di condizione sociale modesta, nasce a Bilbili in un anno compreso tra il 38 e il 41 d.C.. compiuti i tradizionali studi di grammatica e retorica, intorno al 64 si reca a Roma. Accolto nelle case di Seneca e Lucano perde ben presto i suoi protettori causa loro morte (congiura antineroniana).
Ha inizio così una vita convulsa e precaria da clinte, destinata a protrasi per tutta la sua permanenza in Roma. Solo nell’80 Marziale raggiunge una certa notorietà come scrittore. L’imperatore Tito lo benefica con il privilegio di usufruire dei diritti riconosciuti ai padri di almeno tre figli; in seguito, sotto Domiziano, diviene tribuno ed è ammesso al rango equestre. Frequenta i letterati del tempo con i quali stringe rapporti di amicizia. Alla morte di Domiziano cerca inutilmente di etrare nelle grazie dei nuovi potenti. Nel 98 decide di fare ritorno a Bilbili; aiutato economicamente da Plinio il Giovane per il viaggio e da una ricca matrona per un podere muore nella città natale tra il 101 e il 104.
Di Marziale ci sono giunti 15 libri di epigrammi ( 1561 componimenti). Tre di essi, i primi pubblicati, hanno titolo autonomo: LIBER DE SPECTACULIS, XENIA, APOPHORETA, gli altri sono numerati dall’I al XII.
Il LIBER DE SPECTACULIS, pubblicato nell’ottanta in seguito all’inaugurazione dell’anfiteatro Flavio, comprende più di trenta epigrammi che descrivono i giochi e gli spettacoli organizzati da Tito per l’occasione. Originariamente il libro doveva essere più ampio. Già qui si impone il carattere scenografico e visivo della poesia di Marziale, tesa ad abbagliare il lettore con effetti speciali. Pur aderendo alla realtà degli spettacoli, il poeta ordina i materiali in modo da meravigliare il lettore, sorprendendolo con imprevedibili accostamenti e pointes epigrammatiche.
Durante i Saturnali dell’84 o 85, furono pubblicati due libri entrambi con titolo greco: XENIA , significa doni ospitali e fanno riferimento ai doni inviati agli amici durante i giorni dei Saturnalia, accompagnati da un biglietto augurale; APOPHORETA, erano invece i doni estratti a sorte e offerti durante il banchetto agli invitati, che venivano poi portati a casa.
XENIA > comprendono 127 epigrammi. I primi tre sono di carattere premiale, tutti gli altri sono composti da un solo distico e recano un titolo che è opera del poeta. I doni a cui i biglietti fanno riferimento sono cibi e bevande o oggetti associati al convivio. La tendenza è quella associare tutti gli xenia dedicati a un singolo prodotto.
APOPHORETA > comprendono 223 epigrammi tutti composti di un solo distico a parte i primi due che hanno funzione di proemio. Qui i doni a cui si fa riferimento sono più vari e preziosi. Spesso a doni ricchi si accompagnano doni poveri, con accostamenti giocosi intonati al clima del convito.
Marziale rivela in questi due libri la sua originale attenzione per il mondo concreto e lussureggiante degli oggetti, la ricerca della battuta scherzosa, l’inesauribile ricchezza dell’invenzione linguistica, il gusto del catalogo.
EPIGRAMMATA > i primi 11 libri furono pubblicati singolarmente, uno per ogni anno, dall’86 al 96; il 12° fu composto a Bilbili e pubblicato nel 101 102. la materia, ricchissima, comprende carmi di vario genere: autobiografico, erotico, funerario, descrittivo, encomiastico, satirico, comico-realistico. Quasi tutti i libri si aprono con un testo premiale in cui il poeta parla di sé, della sua poetica, dei suoi libri. Dal punto di vista metrico predominano distico elegiaco e endecassilabo falecio, ma si trovano anche giambi e alcuni esametri. I singoli epigrammi sono ordinati in modo apparentemente casuale, per dare una sensazione di naturalezza ed evitare la monotonia.
LA POETICA
Opera di Marziale = VASTA E VARIA > sia per i temi, sia per i metodi. Ciò che la unifica è la voce del poeta che seleziona e descrive = poetica rigorosa.
Marziale afferma di voler ritrarre la vita così com’è: gli uomini sono quelli comuni e i luoghi quelli di tutti i giorni. Anche i suoi obbiettivi poetici sono chiari e precisi: l’epos mitologico e la tragedia, generi da cui la sua poetica si allontana per:
- FORMA > breve e non lunga;
- LINGUAGGIO > non enfatico ma ironico e scherzoso;
- CONTENUTI
Marziale considera la mitologia come pura evasione, qualcosa in cui gli uomini del suo tempo non si riconoscono più.
Marziale vuole dunque ritrarre la vita in tutti i suoi aspetti; la sua poesia non è finzione retorica ma verità; la verità non si ritrova nel mito ma nella vita quotidiana della città. Sotto questo aspetto Marziale si riallaccia alla poetica di Lucilio e del contemporaneo Persio. Nette sono le differenze rispetto alla tradizione satirica: non è scopo dello scrittore denunciare il vizio e l’immoralità, ma ritrarre la realtà nelle sue molteplici prospettive.
Manca in Marziale anche un altro degli aspetti caratteristici della poesia luciliana ovvero l’attacco ad personam: i nomi in Marziale sono tutti fittizi.
Marziale segue una tradizione che parte da Lucilio per arrivare fino a Catullo, il modello più amato. Già questi aveva definito la sua poesia con termini come nugae, lusus, gli stessi a cui ricorre frequentemente Marziale. Egli fa notare come la sua poesia sia leggera, ma come in questa leggerezza stia la vera serietà di un poeta contemporaneo. Al contrario frivola ed evasiva è giudicata la poesia mitologica.
Con Marziale si affaccia una nuova figura del poeta: che non soltanto lega la sua poesia a uno sfruttamento delle occasioni mondane offerte dalla vita cittadina, ma che concentra tutte le proprie attese di gloria poetica nell’immediata risposta del pubblico e nel consenso dei suoi lettori contemporanei. Il committente più ambito è ovviamente il princeps, principalmente Domiziano, ma anche Tito.
Tutta la poesia di Marziale può essere suddivisa in due filoni:
1 > versi di carattere celebrativo, legati ad occasioni pubbliche;
2 > versi d’intrattenimento, indirizzati agli amici o ai padroni, da leggersi nei conviti, nei teatri, nei salotti. La finalità pratica della poesia impone a quest’ultima di confrontarsi continuamente con il gusto del pubblico, cui l’autore ammicca ad ogni verso. Nonostante questo Marziale non perde la propria dignità, ponendosi in una prospettiva comico-realistica che esclude ogni identificazione con la materia descritta.
ASPETTI DELLA POESIA DI MARZIALE
I temi affrontati da Marziale sono vari e numerosi. Possiamo distinguere una prima serie di epigrammi in cui il poeta parla di sé: dichiarazioni di poetica, polemiche letterarie, spunti autobiografici.
Il contrasto tra la propria condizione reale e il desiderio di un otium stabile si risolve frequentemente nel contrasto tra città e campagna. La campagna di Marziale non ha però niente a che vedere con il luogo idillico e ricco di significato morale di Virglio: Marziale è come Ovidio: uomo di città che vede la campagna come un luogo di svago e riposo.
Tutta la sua poesia è del resto segnata da valori materiali: il suo è u mondo fatto di cosse concrete. Il poeta sente la povertà come miseria morale, come diminuzione sociale: i valori romani della sobrietà e della misura sembrano scomparire di fronte agli inesauribili elenchi di oggetti. Quando talvolta questo tema appare, esso si configura solamente come topos letterario. Il motivo economico assume un rilievo preponderante nell’intero corpus degli epigrammi.
La seconda serie di epigrammi è rivolta invece alla descrizione di ambienti, personaggi, figure, oggetti, cose. Qui appaiono caricature di personaggi di ogni tipo, per lo più sordidi e degradati.
TECNICA E STILE
Brevità, concisione, arguzia sono i caratteri principali dell’epigramma ellenistico, che Materiale sfrutta con originalità, potenziando in particolar modo CONCRETEZZA E EFFETTO SORPRESA.
Si può individuare una sorta di schema-base dell’epigramma composto di due parti:
1 un momento descrittivo, finalizzato a creare l’attesa nel lettore.
2 scatto conclusivo che risolve il primo momento con un’arguzia ingegnosa. Momento spesso costituito dal procedimento dell’aprosdoketon: = elemento inatteso con funzione conoscitiva e liberatoria che getta una nuova luce sulla situazione per volgerla a un esito imprevisto e paradossale. A tale schema si può aggiungere anche un terzo momento: tra il momento descritto e quello finale viene inserita una serie di domande di un immaginario interlocutore, che consentono all’autore di concludere con la rituale arguzia.
Marziale seleziona gli avvenimenti da descrivere solo se da essi può ricavare una battuta che colpisca e sorprenda. Riprendendo lo schema sopra si può dire che la conclusione preceda la parte iniziale, la quale viene allestita in funzione della sorpresa finale. La poesia di Marziale è gioco di intelligenza e meraviglia.
L’attenzione al particolare, l’accentuato interesse per le persone e per gli oggetti, rappresentati nella loro concretezza, possono spiegare la tendenza alla catalogazione.
Il procedimento tecnico è quello dell’accumulazione enumerativa, che consente effetti di potenza rappresentativa e di grottesca deformazione. Ci troviamo di fronte a una variazione dello schema epigrammatico: il centro del discorso si sposta; la battuta conclusiva è rimandata e tenuta in sospeso, mentre il poeta da libero sfogo alla sua inventiva.
Marziale coltiva un ideale stilistico di naturalezza e semplicità: insistente è la polemica contro l’artificio linguistico e la vuota erudizione. Modello prediletto è il Catullo in cui la raffinatezza delle forme è al servizio dell’immediatezza espressiva. L’epigramma pretende una scrittura cruda e scabra, che non rinunci ad esplorare alcun livello linguistico. Né mancano nella poesia di Marziale, grecismi, termini tecnici o del linguaggio infantile; contrario è invece agli arcaismi, riprendendo la polemica al genere epico tragico.
La poesia di marziale presenta una gamma varia e articolata di registri stilistici, che mutano a seconda del tipo di componimento. In tutti i casi non viene mai meno la finezza letteraria, il culto della limata ad arte e innervata di frequenti citazioni.

Esempio



  


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