del Liber I delle Historie di Tacito

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Testo

Testo e traduzione dei passi 15 e 16
del Liber I delle Historie di Tacito

15. Igitur Galba, adprehensa Pisonis manu, in hunc modum locutus fertur: "si te privatus lege curiata apud pontifices, ut moris est, adoptarem, et mihi egregium erat Cn. Pompei et M. Crassi subolem in penatis meos adsciscere, et tibi insigne Sulpiciae ac Lutatiae decora nobilitati tuae adiecisse: nunc me deorum hominumque consensu ad imperium vocatum praeclara indoles tua et amor patriae impulit ut principatum, de quo maiores nostri armis certabant, bello adeptus quiescenti offeram, exemplo divi Augusti qui sororis filium Marcellum, dein generum Agrippam, mox nepotes sus, postremo Tiberium Neronem privignum in proximo sibi fastigio conlocavit. sed Augustus in domo successorem quaesivit, ego in re publica, non quia propinquos aut socios belli non habeam, sed neque ipse imperium ambitione accepi, et iudicii mei documentum sit non meae tantum necessitudines, quas tibi postposui, sed et tuae. est tibi frater pari nobilitate, natu maior, dignus hac fortuna nisi tu potior esses. ea aetas tua quae cupiditates adulescentiae iam effugerit, ea vita in qua nihil praeteritum excusandum habeas. fortunam adhuc tantum adversam tulisti: secundae res acrioribus stimulis animos explorant, quia miseriae tolerantur, felicitate corrumpimur. fidem, libertatem, amicitiam, praecipua humani animi bona, tu quidem eadem constantia retinebis, sed alii per obsequium imminuent: inrumpet adulatio, blanditiae [et] pessimum veri adfectus venenum, sua cuique utilitas. etiam [si] ego ac tu simplicissime inter nos hodie loquimur, ceteri libentius cum fortuna nostra quam nobiscum; nam suadere principi quod oporteat multi laboris, adsentatio erga quemcumque principem sine adfectu peragitur."
15. Si racconta dunque che Galba, presa nella sua la mano di Pisone, così abbia parlato: «Se in virtù della legge curiata, io, quale privato cittadino, ti adottassi dinanzi ai pontefici, secondo la consuetudine, sarebbe un altissimo pregio per me accogliere nella mia casa un discendente di Gneo Pompeo e di Marco Crasso e per te un onore l'aver aggiunto il prestigio dei Sulpici e dei Lutazi alla tua nobiltà. Ora io, chiamato al potere imperiale per volere congiunto degli dèi e degli uomini, sono spinto dalle doti della tua persona e dall'amore di patria a offrirti in pace quel principato, che pure con la guerra ho avuto e per cui i nostri antenati hanno impugnato le armi. Ciò sull'esempio del divo Augusto che ha innalzato al vertice del potere, a una carica quasi pari alla sua, prima il figlio di sua sorella, Marcello, poi il genero Agrippa, poi ancora i suoi nipoti e alla fine il figliastro Tiberio Nerone. Senonché Augusto ha cercato il successore in famiglia, io nello stato; e non perché a me manchino parenti o compagni di guerra; ma, come non sono arrivato al potere per ambizione, così valga come prova del disinteresse della mia scelta l'aver posposto a te non solo i miei parenti, ma anche i tuoi. Hai un fratello egualmente nobile, maggiore d'età e degno di questo ruolo, se tu non fossi ancor più degno. E la tua è un'età in cui si sono lasciate dietro le spalle le passioni giovanili; è la tua una vita per cui nulla del passato hai da farti perdonare. Fino ad ora solo le avversità hai provato; la fortuna sonda l'animo con pungoli ancor più acuti, perché il male si sopporta, il successo corrompe. Fedeltà, libertà, amicizia e i più alti valori dello spirito tu non lascerai che si alterino, ne sono certo, ma saranno altri, col loro servilismo, a intaccarli: dilagheranno adulazione, lusinghe e il peggior veleno di ogni sentimento sincero, l'interesse personale. Se è vero che oggi io e te parliamo a cuore aperto, per altri conterà la nostra posizione, non la nostra persona: dare al principe i consigli necessari è duro cimento, mentre non richiede impegno di sentimenti veri adulare un principe, chiunque sia.


16. "Si immensum imperii corpus stare ac librari sine rectore posset, dignus eram a quo res publica inciperet: nunc eo necessitatis iam pridem ventum est ut nec mea senectus conferre plus populo Romano possit quam bonum successorem, nec tua plus iuventa quam bonum principem. sub Tiberio et Gaio et Claudio unius familiae quasi hereditas fuimus: loco libertatis erit quod eligi coepimus; et finita Iuliorum Claudiorumque domo optimum quemque adoptio inveniet. nam generari et nasci a principibus fortuitum, nec ultra aestimatur: adoptandi iudicium integrum et, si velis eligere, consensu monstratur. sit ante oculos Nero quem longa Caesarum serie tumentem non Vindex cum inermi provincia aut ego cum una legione, sed sua immanitas, sua luxuria cervicibus publicis depulerunt; neque erat adhuc damnati principis exemplum. nos bello et ab aestimantibus adsciti cum invidia quamvis egregii erimus. ne tamen territus fueris si duae legiones in hoc concussi orbis motu nondum quiescunt: ne ipse quidem ad securas res accessi, et audita adoptione desinam videri senex, quod nunc mihi unum obicitur. Nero a pessimo quoque semper desiderabitur: mihi ac tibi providendum est ne etiam a bonis desideretur. monere diutius neque temporis huius, et impletum est omne consilium si te bene elegi. utilissimus idem ac brevissimus bonarum malarumque rerum dilectus est, cogitare quid aut volueris sub alio principe aut nolueris; neque enim hic, ut gentibus quae regnantur, certa dominorum domus et ceteri servi, sed imperaturus es hominibus qui, nec totam servitutem pati possunt nec totam libertatem." et Galba quidem haec ac talia, tamquam principem faceret, ceteri tamquam cum facto loquebantur.

16. «Se l'immensa mole di questo impero potesse reggersi e bilanciarsi senza una guida, saprei essere all'altezza di ridare inizio alla repubblica, ma la realtà, e non da oggi, è così compromessa che la mia vecchiaia altro non può dare al popolo romano se non un buon successore, e non altro la tua giovinezza se non un buon principe. Sotto Tiberio, Gaio, Claudio noi Romani siamo stati, per così dire, proprietà ereditaria di una sola famiglia: sostituisca, in qualche modo, la libertà l'applicazione che noi facciamo del principio della libera scelta, sicché, finita la casa Giulia e Claudia, toccherà all'adozione scegliere il più degno. Perché nascere da sangue di principe è solo un caso, e niente altro si chiede; l'adozione implica un giudizio imparziale e, al momento della scelta, il consenso dei cittadini costituisce un'indicazione. Abbiamo davanti agli occhi Nerone: lui, superbo di una lunga serie di Cesari, l' hanno spazzato dalle spalle del popolo non Vindice e la sua inerme provincia, non io con la mia sola legione, ma la sua ferocia e le sue turpitudini; e ancora mancava il precedente di un principe condannato. Noi invece, portati al potere dalla guerra e da una scelta di stima, non ci salveranno dall'invidia i meriti, per quanto grandi. Tuttavia non ti abbattere se, dopo una scossa che ha sconvolto il mondo, due legioni non sono ancora tranquille: neppure io ho raggiunto il potere in un quadro di pace e, con la notizia della tua adozione, smetterò di sembrare vecchio, unico rimprovero che attualmente mi muovono. Le canaglie rimpiangeranno sempre Nerone: mio e tuo compito è evitare che lo stesso accada alle persone oneste. Ma non è tempo di altre parole: la mia missione è compiuta, se tu sarai una scelta felice. Il sistema più rapido per distinguere il bene e il male? Pensare a ciò che sotto un altro principe avresti o voluto o rifiutato. Perché qui non esiste, come dove c'è un re, un casato di padroni e un popolo di schiavi; tu sei chiamato a comandare su uomini incapaci di essere schiavi fino in fondo e fino in fondo liberi». Così, o a un dipresso, parlò Galba a Pisone, come doveva a uno che stava per fare principe; gli parlavano gli altri come se già lo fosse.

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