Cicerone politico

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Testo

Cicerone

Vita
Cicerone è un grande perché è un punto nodale della storia, ha influenzato tutto il nostro pensiero. È uno scrittore attuale.
È stato un perfetto interprete del suo periodo, il 1° secolo a.C., aveva capito il suo tempo e cercava di porvi rimedio, in modo differente da Sallustio, che si era chiuso.
Cicerone era un politico, ha agito direttamente, aveva capito che bisogna rinnovare la cultura: ha prodotto, infatti, un nuovo modello culturale, un nuovo modello di società, un nuovo modello di uomo (humanitas).
Era un idealista, il suo pensiero era utopico, non è infatti riuscito a cambiare la realtà!
Punti del pensiero: Cicerone parte dalla constatazione della crisi della società romana, una crisi politica e dei valori. Le istituzioni erano degenerate, non riuscivano più a far politica, non erano più autorevoli, ma erano invece vittime dei giochi di parte. La politica non perseguiva più il bene del cittadino, ma era pregnata di arrivismo, di lotte di fazione.
I politici erano dei mediocri, vale a dire, o erano scarsamente intelligenti o erano persone senza scrupoli. Mancava il SENSO CIVICO nel politico, il quale ormai obbediva solo all’ambizione. Mancava la moralità della politica.
Era stato perso il SENSO dello STATO. La politica era passata dall’universalità al personalismo. Ma perché questa crisi politica? La crisi politica era specchio della crisi della società. Non bastava quindi cambiare la politica, ma bisognava cambiare la società e l’uomo.
Cicerone vide che i valori non esistevano più. Ormai il Romano aveva perso il senso della propria identità, perché non aveva più punti di riferimento, era privo di punti di riferimento, senza idee di sé stesso e della propria vita.
Osservò la lontananza fra i GIOVANI e la POLITICA, le nuove generazioni erano aliene all’idea di Stato, erano proiettate nel godimento immediato dei sensi. I giovani avevano perso un’idea costruttiva di sé e del futuro, erano apatici, indifferenti… Catullo e il circolo dei poeti nuovi e Lucrezio erano secondo Cicerone il simbolo della degenerazione del giovane romano.
BISOGNAVA RICOSTRUIRE I VALORI.
La tradizione romana non era negativa, il mos maiorum era valido e per questo Cicerone cercò di salvare ciò che c’era di buono.
IL MOS MAOIRUM era valido poiché aveva dei valori validi, come la FIDES (la fedeltà nei rapporti umani), l’impegno dell’uomo in politica. Pr cui poteva essere utile, proprio in politica per eliminare i personalismi e farla ritornare ad attività di tutti.
Proprio per questo bisognava cercare di far apprezzare il mos maiorum ai giovani, ma doveva essere applicato ai tempi, doveva essere addolcito e andava fatto amalgamare con la società del tempo. Occorreva, come sosteneva Cicerone, ELASTICITÀ: difendere alcuni valori fondamentali ma cercare di termperarli con nuovi stili di vita.
Era necessario evitare rigorismi ed estremismi.
Il principale strumento era l’EDUCAZIONE, per questo Cicerone ricorse ad una riforma della cultura. Tale riforma poteva essere negativa se fosse divenuta fonte d’orgoglio, presunzione e quando avrebbe spinto all’isolamento (Catone); la riforma culturale invece è positiva quando forma l’uomo, lo rende capace di ragionare e di scegliere. Cicerone voleva quindi offrire ai giovani dei valori semplici e vuole fargli sembrare naturale l’impegno.
Oltre alla letteratura romana un’altra potente arma era il patrimonio greco, che poteva essere pericoloso, poiché, se abbandonato a se stesso, avrebbe prodotto un cittadino greco, non romano.
Occorreva quindi una sintesi culturale, mediare la cultura greca con la cultura romana. Aggiunse a Platone, padre della filosofia e del senso critico, Ennio, simbolo dei valori di Roma, cosicché Platone arricchiva Ennio.
Cicerone, da solo, tentò una combinazione di opere in cui riassunse i contenuti fondamentali della cultura greca in latino, cosicché il risultato era un manuale di sintesi romana. Era un’operazione culturale vasta.

Cicerone era un personaggio scomodo, come politico lo hanno sfruttato quando ritenevano che fosse utile, appena non fu più utile lo buttarono fuori. Si accorse di essere sfruttato? No, perché era un idealista; o forse sì, ma aveva capito che era in ogni caso l’unica strada.
La sua strategia politica era quella di ricostruire il centro, una maggioranza di centro-destra che eliminasse gli aristocratici e i popolari “focosi”, voleva eliminare gli estremisti, ma non vi riuscì.
Secondo lui erano sbagliate le punte estreme, il rigorismo e il non far niente: c’era bisogno di valori saldi e di senso del divenire storico. Occorreva agire sull’educazione e la cultura, per far ciò occorreva il supporto della cultura greca. Il modello umano era il VIR BONUS DICENDI PERITUS, l’uomo che si impegna in politica, che sa interrogare la società. Quello di Cicerone era un progetto a lungo termine.
Lo stato romano aveva elementi validi:
• la libertà, vi erano principi da salvaguardare, bisognava quindi lottare contro i personalismi. Il potere spettava al Senato, unico organo di continuità.
• Perché fondeva insieme i tre poteri fondamentali (come poi ha ripreso Machiavelli): i consoli rappresentavano la monarchia, ma non degeneravano perché stavano poco in carica; il Senato rappresentava l’oligarchia, ma era controllato sia dai consoli che dall’assemblea popolare; la democrazia era rappresentata dall’assemblea popolare.
Questo sistema non funzionava più, quindi nell’immediato occorreva puntare sul Senato (organo di maggior stabilità). Prima cosa da fare era quindi riportare il baricentro politico dall’esercito al Senato. Per far ciò bisognava innanzitutto ampliare la fascia del Senato a quella dei possidenti, perché quest’ultimi erano economicamente produttivi.
Cicerone propose la costruzione di un partito di centro stabile, che doveva avere un programma di governo ben preciso, propose una pianificazione della politica; un centro composto dalla Nobilitas più avveduta, Cavalieri e Populares disposti a collaborare.
Voleva evitare che prendessero potere i conservatori estremisti e le frange dei Populares che rischiavano di sovvertire la Stato con l’arma della demagogia.
Limiti di questa concezione:
1) Roma non era più una città-stato, era un Impero, con molti Stati da controllare; non si poteva controllare un Impero con la struttura di una città-stato.
2) Per far politica serviva la forza; non aveva esercito, Cicerone era convinto che bastasse la battaglia parlamentare. Era un idealista, credeva nella forza delle idee. Tutto ciò derivava dalla sua vanità e poi le battaglie parlamentari le aveva vinte tutte. Ebbe un impatto di sicura efficacia, è stato per lui facile pensare che bastasse parlare per vincere.

70 a.C. “Verrine”
La vittoria contro Verre. Nel 75 Cicerone era questore in Sicilia e fu talmente onesto che rese felici i Siciliani. Poi fu mandato come amministratore Verre, uomo corrotto in modo spaventoso, non rubava intelligentemente. Lo Stato Romano fu messo in cattiva luce a causa sua, dava noia. I Siciliani chiesero a Cicerone di essere difesi. La Nobilitas avrebbe fatto un processo e lo avrebbero salvato perché se veniva condannato avrebbe intaccato il prestigio della stessa Nobilitas.
I senatori cercarono di salvare Verre proponendo, con la scusa che Cicerone era giovane, un altro accusatore (controllato) per intimidirlo.
Ma Cicerone si intestardì e riuscì a farsi dare la carica; raccolse moltissime prove e con la prima orazione Verre se ne andò, la seconda non venne pronunciata.
Fu così che la Nobilitas scaricò Verre cercando di conquistare Cicerone.

Le orazioni ciceroniane sono di due tipi: orazioni giudiziarie, tenute in tribunale, per una causa, e le orazioni deliberatorie/deliberative. Però per Cicerone non vi era tale differenza; per lui ogni causa era funzionale per un preciso progetto politico. Per esempio il problema di Verre in realtà per lui si trasformò in una questione politica. Lo stesso vale anche per la PRO SESTIO, per esempio.

66 a.C. “Pro legio Manilia”
L’orazione più grande fu la Pro legio Manilia: era una legge con cui si aumentava il potere di Pompeo nella guerra contro Mitridate, che favoriva la pirateria nel commercio con l’Oriente. A Pompeo non interessava Roma, ma il suo interesse privato era in Oriente. Cicerone non era d’accordo con l’individualismo di Pompeo, ma pronunciò una legge a suo favore. Con questa egli infatti pensa di conquistarsi l’appoggio dei Cavalieri. Il primo progetto di Cicerone fu infatti la CONCORDIA ORDINUM, riuscire cioè ad unire le classi più esponenti, mirando ad un accordo tra la plutocrazia e l’aristocrazia. Questa cosa non andava bene ad alcuni aristocratici, che non vedevano di buon occhio l’individualismo e il protagonismo di Pompeo e ad alcuni Populares, che miravano alla LEGGE AGRARIA (ridistribuzione delle terre), perché questa legge (di Cicerone) tendeva a salvare le classi possidenti e quindi loro sarebbero stati tagliati fuori.
Si capisce perché dopo questa legge Cicerone fu eletto console nel 63. Lui pensava di essere stato eletto in base alle sue virtù politiche. Invece ai politici, in quell’anno serviva Cicerone perché la congiura di Catilina aveva portato alla rivolta i settori decaduti dell’aristocrazia e i Populares infiammati. Serviva quindi un personaggio conservatore e moderato che fosse abbastanza pazzo e “fogato” per contrastare Catilina. L’unico rischio era quello che Catilina facesse fuori Cicerone, ma infondo lo Stato non si preoccupava, perché in tal caso avrebbe appoggiato Catilina.

63 a.C. “De lege agraria”
Cicerone intervenne contro l’ennesimo tentativo dei Populares di fare una demagogica legge per la distribuzione delle terre. Con questo Cicerone voleva sbandierare il suo ideale contro la demagogia e le ribellioni dei Populares.

63 a.C. “Pro Murena”
Questo era designato a console per l’anno successivo. Però Celio Rufo, suo avversario, lo accusò di broglio elettorale. Cicerone scese in questa causa fondamentalmente secondaria. Perché? A fianco di Rufo c’era Catone l’Uticense (conservatore), che pensava così di difendere il Mos Maiorum e l’aristocrazia. Cicerone, quindi, scese in campo e vinse la causa per frenare l’avanzata dei conservatori estremisti, pericolosi. Egli rispose e vinse con l’ironia, dicendo di base che il Mos Maiorum deve essere “modernizzato”, adatto ai tempi correnti.

62 a.C. “Pro Archia Poeta”
Si tratta di un poeta greco che aveva ottenuto la cittadinanza romana. Fu accusato di aver “comprato” la cittadinanza romana. Tutta la difesa di Cicerone era solo una sfrenata difesa della poesia. Nel piano politico di Cicerone questa orazione serviva per difendere la poesia e quindi la cultura. Inoltre Archia era greco: quindi difendere lui era legittimare la grande poesia greca come modello anche per la formazione dell’uomo romano. Tutto ciò era la proclamazione dell’apertura romana alle altre culture e alla cultura in generale.
Inoltre Cicerone chiese ad Archia un poema celebrativo; egli non lo fece mai, ma anche questo rientrava in un progetto politico: il riconoscimento intellettuale al mondo della cultura.

Quale fu il risultato del consolato di Cicerone? Nessuno! L’unica conseguenza fu il suo esilio (58). Egli fu esiliato di comune accordo da tutti con una legge fatta apposta. Clodio (figlio della nuova Roma: corrotto, vizioso e poco intelligente etc.) diventa il fiduciario di Cesare, che lo lascia a Roma mentre è in Gallia. Cesare non voleva trovare in lui un aiuto, ma uno schiavo, un fedele esecutore, uomo senza criterio e senza valore, strumento nelle mani del potere. Fu lui che fece una legge (spinto da Cesare) nel 58 con cui si condannava all’esilio coloro che avevano condannato a morte senza regolare processo. Cicerone aveva condannato i Catilinari. Tutto ciò era ovviamente fatto contro Cicerone appositamente; nessuno lo trattenne, perché ormai non serviva a nessuno (anche la Nobilitas non ne aveva più bisogno, ormai che aveva eliminato Catilina; anzi, sarebbe stato pericoloso per la sua intraprendenza).
Nel 57 fu però richiamato, grazie a Pompeo e a Milone. Quando tornò egli riuscì a riprendersi la casa, che Clodio aveva fatto distruggere facendo costruire sul suo terreno il tempio per la dea Libertas. Cicerone la riprese con l’orazione “Cicero pro domo sua”.

56 a.C. “De provincibus consolaribus”
Nel 56 Cicerone fece approvare una legge per prolungare il consolato di Cesare nelle Gallie. Questa orazione era la dichiarazione del fallimento del suo progetto politico originario. Aveva capito che il personalismo in politica era inevitabile, che Roma non riusciva a stare senza il controllo di grandi singoli. A questo punto tutto ciò che si poteva fare era creare un’attività di controllo, per evitare la tirannide. Egli voleva quindi legittimare Cesare per placare la situazione.

56 a.C. “Pro Sestio”
Sempre nel 56 Cicerone fece la “Pro Sestio”. Questo era accusato di aver messo delle bande armate contro Clodio. Cicerone diceva che il suo tentativo era utile, benché illegale. Con questo vuole dire che in politica certe cose illegali sono comunque nobili. Sestio era da stimare perché aveva illegalmente attentato a Clodio per difendere le istituzioni e il Senato.
Dietro a ciò sta la legittimazione delle operazioni illegali del triumvirato e dei singoli triumviri.
Inoltre lanciò un appello per il Consensum omnium bonorum: invitava i “buoni” (tutti coloro che amavano l’ordine sociale e volevano salvare lo stato) ad allearsi per frenare la degenerazione dei singoli. Il dovere dei buoni era evitare l’egoismo e guardare l’interesse dello Stato. Questo era l’unico modo di limitare il potere dei singoli: una forte e compatta alleanza di “buoni”.

56 a.C. “Pro Caelio”
Ancora al 56 risale un’altra orazione, la “Pro Caelio”, sempre a sostegno del suo progetto. Caelio, “discepolo” di Cicerone, fu accusato di aver rubato dei gioielli a Clodia, di cui era stato amante e di averla colpita con violenza personale. Tutta l’orazione è una violenta accusa a Clodia, dipinta in dure tinte come “ninfomane ossessiva”. Con questa orazione, Cicerone voleva pertanto parlare della condizione dei giovani. Questi erano troppo distanti dal Mos Maiorum e occorreva quindi un “rimodernamento” dei modelli per l’educazione e la formazione.

52 a.C. “Pro Milone”
Al 52 risale l’ultima grande orazione di Cicerone: “Pro Milone”. Questa però non fu mai pronunciata perché Cicerone si fece prendere dal panico.

Nella guerra civili tra Pompeo e Cesare, Cicerone difese Pompeo. Solo e soltanto perché questo si presentava come il “difensore del Senato”. Egli però lo difendeva di malavoglia. Era pessimista perché sapeva che comunque fosse andata sarebbe finita la Repubblica.

Alla morte di Pompeo, Cesare andò al potere, ma non condannò Cicerone, al contrario lo perdonò. Questo perché voleva, perdonandolo, dare l’idea di stare dalla parte del Senato (del quale Cicerone era il primo difensore) e quindi allontanare da lui l’odio di chi credeva che arrivasse con lui la tirannide. Cicerone si illuse ancora di potere, con la sua intelligenza, sopraffare o controllare Cesare. Egli quindi pronunciò una serie di orazioni Cesariane, con le quali difendeva dei “pompeaiani pentiti”. Voleva così creare un’alleanza compatta contro l’assolutismo di Cesare.

Nel 44 fu ucciso Cesare. La battaglia ora era tra Antonio e Ottaviano. Cicerone si buttò su Ottaviano, giovane promettente e conservatore, cercando di portarlo dalla parte del Senato. Qui Ottaviano lo “batte”, servendosi di lui, facendogli scagliare 14 orazioni contro Antonio (le “Filippiche”). La responsabilità pubblica di queste offese ricadde ovviamente su Cicerone. Ottaviano ottenne quindi la sua calunnia ad Antonio e la mancanza di responsabilità e colpe.

Una volta assicuratosi il potere Ottaviano si liberò di Cicerone, che fu ucciso.

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