Cicerone - Pro Archia

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Testo

Cicerone - Pro Archia
I
[1] Si quid est in me ingeni, iudices, quod sentio quam sit exiguum, aut si qua exercitatio dicendi, in qua me non infitior mediocriter esse versatum, aut si huiusce rei ratio aliqua ab optimarum artium studiis ac disciplina profecta, a qua ego nullum confiteor aetatis meae tempus abhorruisse, earum rerum omnium vel in primis hic A. Licinius fructum a me repetere prope suo iure debet. Nam quoad longissime potest mens mea respicere spatium praeteriti temporis, et pueritiae memoriam recordari ultimam, inde usque repetens hunc video mihi principem et ad suscipiendam et ad ingrediendam rationem horum studiorum exstitisse. Quod si haec vox, huius hortatu praeceptisque conformata, non nullis aliquando saluti fuit, a quo id accepimus quo ceteris opitulari et alios servare possemus, huic profecto ipsi, quantum est situm in nobis, et opem et salutem ferre debemus.
[1] Giudici, se è in me qualche talento, - e so quanto esso sia limitato -, se ho qualche pratica in campo oratorio, e non nego di esservi moderatamente versato, se in questo settore possiedo un qualche metodo che devo allo studio delle migliori teorie, e ai loro precetti da cui nemmeno per un attimo della mia vita, lo confesso, mi sono discostato, il qui presente Aulo Licinio più di ogni altro ha il diritto di reclamarne il frutto. Infatti, sin dove la mia mente può giungere volgendosi al lontano passato e rievocando i più remoti ricordi della puerizia, lo rivedo sempre accanto a me, che mi invoglia e mi avvia a questo genere di studi. Se questa mia arte, modellata dal suo incoraggiamento e dai suoi consigli, è stata talvolta di salvezza a qualcuno, io, per quanto sta in me, ho il dovere di portare aiuto a quest'uomo, dal quale ho ricevuto i mezzi per aiutare gli altri e in qualche caso per salvarli.
[2] Ac ne quis a nobis hoc ita dici forte miretur, quod alia quaedam in hoc facultas sit ingeni, neque haec dicendi ratio aut disciplina, ne nos quidem huic uni studio penitus umquam dediti fuimus. Etenim omnes artes, quae ad humanitatem pertinent, habent quoddam commune vinculum, et quasi cognatione quadam inter se continentur.
[2] E perché nessuno si stupisca che io parli così di un uomo il cui ingegno ha attitudini diverse dalle mie, estranee, cioè, all'arte e all'esercizio dell'eloquenza, sappiate che neanche io mi sono sempre unicamente interessato a questa sola disciplina. Infatti, tutte le scienze che interessano l'uomo sono intimamente connesse e unite tra loro da una sorta di affinità.
II
[3] Sed ne cui vestrum mirum esse videatur me in quaestione legitima et in iudicio publico--cum res agatur apud praetorem populi Romani, lectissimum virum, et apud severissimos iudices, tanto conventu hominum ac frequentia--hoc uti genere dicendi, quod non modo a consuetudine iudiciorum, verum etiam a forensi sermone abhorreat; quaeso a vobis, ut in hac causa mihi detis hanc veniam, adcommodatam huic reo, vobis (quem ad modum spero) non molestam, ut me pro summo poeta atque eruditissimo homine dicentem, hoc concursu hominum literatissimorum, hac vestra humanitate, hoc denique praetore exercente iudicium, patiamini de studiis humanitatis ac litterarum paulo loqui liberius, et in eius modi persona, quae propter otium ac studium minime in iudiciis periculisque tractata est, uti prope novo quodam et inusitato genere dicendi.
[3] Ma perché a nessuno di voi sembri strano che in una questione di diritto, nel corso di un processo pubblico, svolto davanti al pretore del popolo romano, uomo esemplare, e agli integerrimi giudici e alla presenza di un pubblico così numeroso, io mi serva di un genere di eloquenza tanto lontano dalla consuetudine giudiziaria ma anche dal linguaggio del foro, vi chiedo, in questa causa, di concedermi tale licenza, utile all'imputato e, spero, non spiacevole per voi: permettete che parlando in difesa di un eccellente poeta e uomo dotto, confidando nella presenza di uomini tanto amanti delle lettere, nella vostra cultura e nell'autorità del pretore che presiede il tribunale, io tratti liberamente, seppur in modo conciso, degli studi letterari, e che, per una tale personalità, la quale, grazie a una vita tutta dedita al sapere, non ebbe mai problemi con la legge, io possa valermi di un genere di eloquenza insolito e quasi nuovo.
III
[4] Quod si mihi a vobis tribui concedique sentiam, perficiam profecto ut hunc A. Licinium non modo non segregandum, cum sit civis, a numero civium, verum etiam si non esset, putetis asciscendum fuisse. Nam ut primum ex pueris excessit Archias, atque ab eis artibus quibus aetas puerilis ad humanitatem informari solet se ad scribendi studium contulit, primum Antiochiae--nam ibi natus est loco nobili--celebri quondam urbe et copiosa, atque eruditissimis hominibus liberalissimisque studiis adfluenti, celeriter antecellere omnibus ingeni gloria contigit. Post in ceteris Asiae partibus cunctaeque Graeciae sic eius adventus celebrabantur, ut famam ingeni exspectatio hominis, exspectationem ipsius adventus admiratioque superaret.
[4] Pertanto, se capirò che questa facoltà mi è data e concessa, cercherò di convincervi non solo a non cancellare dal numero dei cittadini il qui presente Aulo Licinio, ché già gode dei diritti politici, ma anche che bisognerebbe includerlo tra i cittadini, se già non lo fosse. Intorno ai quindici anni, Archia, di nobili origini abbandonò quelle materie di studio utili solitamente ad avvicinare i più piccoli alla cultura e incominciò a scrivere poesie; dapprima, grazie al suo talento, riscosse su tutti un immediato successo nella natia Antiochia, città a quel tempo famosa, ricca e sede di vivaci scambi culturali . In seguito, in ogni regione dell'Asia e in tutta la Grecia il suo arrivo era accolto con grande entusiasmo: l'aspettativa superava la fama del suo ingegno, ma poi, al suo arrivo, l'ammirazione superava ogni attesa.
[5] Erat Italia tunc plena Graecarum artium ac disciplinarum, studiaque haec et in Latio vehementius tum colebantur quam nunc eisdem in oppidis, et hic Romae propter tranquillitatem rei publicae non neglegebantur. Itaque hunc et Tarentini et Regini et Neopolitani civitate ceterisque praemiis donarunt; et omnes, qui aliquid de ingeniis poterant iudicare, cognitione atque hospitio dignum existimarunt. Hac tanta celebritate famae cum esset iam absentibus notus, Romam venit Mario consule et Catulo. Nactus est primum consules eos, quorum alter res ad scribendum maximas, alter cum res gestas tum etiam studium atque auris adhibere posset. Statim Luculli, cum praetextatus etiam tum Archias esset, eum domum suam receperunt. Sic etiam hoc non solum ingeni ac litterarum, verum etiam naturae atque virtutis, ut domus, quae huius adulescentiae prima fuit, eadem esset familiarissima senectuti.
[5] A quel tempo in Italia si coltivava con passione la cultura greca: nelle città del Lazio ci si dedicava a quello studio con maggiore dedizione di quanto si faccia oggi nelle stesse località, e anche qui a Roma, città allora tranquilla sotto il profilo politico. Ecco perché gli abitanti di Taranto, Reggio e Napoli concessero ad Archia il diritto di cittadinanza e altri riconoscimenti: chiunque fosse in grado di apprezzare le persone di talento, desiderava vivamente conoscerlo e ospitarlo in casa sua. Con questa fama che si era diffusa ovunque, anche in luoghi da lui mai visitati, arrivò a Roma al tempo del consolato di Mario e Catulo. Strinse subito amicizia con questi due uomini politici che, con il racconto delle loro gesta, gli potevano suggerire materiale utile per comporre; per di più, Catulo rivelava anche interesse e predisposizione per la poesia. Poco dopo, quando ancora Archia era adolescente, entrò a far parte della cerchia dei Luculli. Anche in questa circostanza dimostrò talento e cultura, ma si distinse soprattutto per le buone qualità del suo carattere: non per nulla questa famiglia, a lui così vicina durante la giovinezza, gli è ancora oggi assai legata, benché siano trascorsi parecchi anni.
[6] Erat temporibus illis iucundus Metello illi Numidico et eius Pio filio; audiebatur a M. Aemilio; vivebat cum Q. Catulo et patre et filio; a L. Crasso colebatur; Lucullos vero et Drusum et Octavios et Catonem et totam Hortensiorum domum devinctam consuetudine cum teneret, adficiebatur summo honore, quod eum non solum colebant qui aliquid percipere atque audire studebant, verum etiam si qui forte simulabant. Interim satis longo intervallo, cum esset cum M. Lucullo in Siciliam profectus, et cum ex ea provincia cum eodem Lucullo decederet, venit Heracliam: quae cum esset civitas aequissimo iure ac foedere, ascribi se in eam civitatem voluit; idque, cum ipse per se dignus putaretur, tum auctoritate et gratia Luculli ab Heracliensibus impetravit.
[6] Sempre a quei tempi godeva dell'amicizia del famoso Metello Numidico e del figlio Pio; godeva della stima di Marco Emilio; si intratteneva con Quinto Catulo, sia padre che figlio; era trattato con riguardo da Lucio Crasso; aveva grande confidenza, oltre che con i Luculli, con Druso, gli Ottavi, Catone e tutta la famiglia degli Ortensi. Gli veniva tributata la massima considerazione: e a onorarlo non erano solo quelli desiderosi di ascoltarlo e di imparare da lui, ma anche chi trovava conveniente comportarsi così.
Intanto, era trascorso già un po' di tempo e Archia era partito per la Sicilia in compagnia di Marco Lucullo; sempre insieme a lui, poi, di ritorno da quella provincia, si era fermato a Eraclea, città che, a condizioni molto vantaggiose, era alleata e fedele alle leggi di Roma. Il poeta, che aspirava ad averne la cittadinanza, fu accontentato dai cittadini di Eraclea per i suoi meriti personali, ma soprattutto per l'autorevole interessamento di Lucullo.
IV
[7] Data est civitas Silvani lege et Carbonis: "Si qui foederatis civitatibus ascripti fuissent; si tum, cum lex ferebatur, in Italia domicilium habuissent; et si sexaginta diebus apud praetorem essent professi." Cum hic domicilium Romae multos iam annos haberet, professus est apud praetorem Q. Metellum familiarissimum suum.
[7] Secondo la legge di Silvano e Carbone la cittadinanza era concessa: «a quelli che fossero iscritti a una città federata, che avessero avuto domicilio in Italia all'atto della presentazione della legge e che si fossero fatti registrare dal pretore entro sessanta giorni». Archia, che risiedeva a Roma ormai da molti anni, si recò dal pretore Quinto Metello, suo caro amico, perché lo registrasse.
[8] Si nihil aliud nisi de civitate ac lege dicimus, nihil dico amplius: causa dicta est. Quid enim horum infirmari, Grati, potest? Heracliaene esse tum ascriptum negabis? Adest vir summa auctoritate et religione et fide, M. Lucullus, qui se non opinari sed scire non audisse sed vidisse, non interfuisse sed egisse dicit. Adsunt Heraclienses legati, nobilissimi homines: huius iudici causa cum mandatis et cum publico testimonio [venerunt]; qui hunc ascriptum Heracliensem dicunt. His tu tabulas desideras Heracliensium publicas: quas Italico bello incenso tabulario interisse scimus omnis. Est ridiculum ad ea quae habemus nihil dicere, quaerere quae habere non possumus; et de hominum memoria tacere, litterarum memoriam flagitare; et, cum habeas amplissimi viri religionem, integerrimi municipi ius iurandum fidemque, ea quae depravari nullo modo possunt repudiare, tabulas, quas idem dicis solere corrumpi, desiderare.
[8] Se non devo parlare di altro che del diritto di cittadinanza e della legge, non dirò di più: il mio compito è terminato. Quale delle prove da me addotte puoi confutare, Grazio? Avresti il coraggio di negare che l'imputato è cittadino di Erclea? Per fortuna è qui presente un testimone davvero attendibile, probo e leale: Marco Lucullo. Egli afferma non di ritenere ma di sapere, non di aver sentito dire ma di aver visto con i suoi occhi, di essere stato non comparsa, ma protagonista. Sono presenti anche gli inviati di Eraclea, uomini nobilissimi giunti col mandato di testimoniare pubblicamente a questo processo: essi dichiarano che Archia è loro concittadino. Tu, però, vuoi vedere i registri ufficiali della città che, come tutti sanno, sono bruciati insieme con l'archivio durante la guerra italica. È davvero ridicolo non tener conto delle prove che possediamo e smaniare per ciò che non possiamo avere; passare sotto silenzio le testimonianze di questi uomini e insistere per un pezzo di carta; sono a tua disposizione le testimonianze di un personaggio illustre e attendibile e di un municipio leale e fedele, che non si possono proprio manipolare, e tu le rifiuti e desideri i registri che - sei tu il primo a dirlo - solitamente sono falsificati!
[9] An domicilium Romae non habuit is, qui tot annis ante civitatem datam sedem omnium rerum ac fortunarum suarum Romae conlocavit? At non est professus. Immo vero eis tabulis professus, quae solae ex illa professione conlegioque praetorum obtinent publicarum tabularum auctoritatem. Nam--cum Appi tabulae neglegentius adservatae dicerentur; Gabini, quam diu incolumis fuit, levitas, post damnationem calamitas omnem tabularum fidem resignasset--Metellus, homo sanctissimus modestissimusque omnium, tanta diligentia fuit, ut ad L. Lentulum praetorem et ad iudices venerit, et unius nominis litura se commotum esse dixerit. In his igitur tabulis nullam lituram in nomine A. Licini videtis.
[9] Non ebbe forse domicilio a Roma Archia, che trasferì in città ogni suo bene, anche il patrimonio, molto prima di ottenere la cittadinanza? Non si presentò al pretore per farsi registrare? Certo che lo fece: e proprio su quei registri che, fra quanti servono per la dichiarazione presso il collegio dei pretori, sono gli unici a valere come registri ufficiali. D'altra parte, è voce comune che l'archivio di Appio sia stato custodito in modo assai negligente; Gabinio, successivamente, fece perdere ogni residua fiducia in questi registri: in un primo tempo, finché non ebbe guai con la legge, fu solo impreciso e superficiale, poi, dopo la condanna, ne rovinò del tutto la reputazione. Invece, Metello, sicuramente il più onesto e scrupoloso fra tutti, si comportò sempre con coscienza; addirittura, una volta si presentò allarmato ai giudici e al pretore Lucio Lentulo per segnalare la cancellatura di un nome. Su questi documenti, però, non c'è traccia di manomissione al nome Aulo Licinio.
V
[10] Quae cum ita sunt, quid est quod de eius civitate dubitetis, praesertim cum aliis quoque in civitatibus fuerit ascriptus? Etenim cum mediocribus multis et aut nulla aut humili aliqua arte praeditis gratuito civitatem in Graecia homines impertiebant, Reginos credo aut Locrensis aut Neapolitanos aut Tarentinos, quod scenicis artificibus largiri solebant, id huic summa ingeni praedito gloria noluisse! Quid? cum ceteri non modo post civitatem datam, sed etiam post legem Papiam aliquo modo in eorum municipiorum tabulas inrepserunt, hic, qui ne utitur quidem illis in quibus est scriptus, quod semper se Heracliensem esse voluit, reicietur?
10 E allora, visto che la situazione è questa, perché dovreste ancora mettere in dubbio la sua cittadinanza, dato che ottenne anche quella di altre località? Mentre in Grecia la si accordava a gente di scarso valore, a volte neppure dotata del minimo ingegno, è ovvio che gli abitanti di Reggio, Locri, Napoli e Taranto non abbiano rifiutato ad Archia, ricchissimo di talento, un beneficio concesso solitamente agli attori di teatro! Ci sono state poi persone che, non solo dopo l'estensione della cittadinanza agli Italici, ma anche in séguito alla legge Papia, sono riuscite a intrufolarsi con qualche espediente nei registri di quei municipi; Archia, invece, che non si serve neanche di quelli in cui è regolarmente iscritto e ci teneva a essere considerato cittadino di Eraclea, si vedrà da voi rifiutato?
[11] Census nostros requiris scilicet. Est enim obscurum proximis censoribus hunc cum clarissimo imperatore L. Lucullo apud exercitum fuisse; superioribus, cum eodem quaestore fuisse in Asia; primis iulio et Crasso nullam populi partem esse censam. Sed--quoniam census non ius civitatis confirmat, ac tantum modo indicat eum qui sit census [ita] se iam tum gessisse pro cive--eis temporibus quibus tu criminaris ne ipsius quidem iudicio in civium Romanorum iure esse versatum, et testamentum saepe fecit nostris legibus, et adiit hereditates civium Romanorum, et in beneficiis ad aerarium delatus est a L. Lucullo pro consule.
[11] Ma tu insisti per vedere i nostri registri del censo. Puoi aver ragione: infatti, non lo sa nessuno che durante la scorsa censura Archia si trovava presso l'esercito con il ben noto comandante Lucio Lucullo; in quella precedente, invece, era in Asia sempre con lo stesso questore; ancor prima, sotto i censori Giulio e Crasso, non si procedette ad alcun censimento. D'altra parte, poi, questa procedura non dimostra né garantisce il diritto di cittadinanza, ma indica soltanto che chi è stato registrato nelle liste del censo si è comportato da vero cittadino romano. Ai tempi in cui tu lo accusi di non aver goduto, secondo la sua stessa confessione, del diritto di cittadinanza, egli fece più volte testamento avvalendosi delle nostre leggi, entrò in possesso di eredità di cittadini romani e, grazie al proconsole Lucio Lucullo, fu registrato tra coloro che ricevevano gratifiche dall'erario.
VI
[12] Quaere argumenta, si qua potes: numquam enim his neque suo neque amicorum iudicio revincetur. Quaeres a nobis, Grati, cur tanto opere hoc homine delectemur. Quia suppeditat nobis ubi et animus ex hoc forensi strepitu reficiatur, et aures convicio defessae conquiescant. An tu existimas aut suppetere nobis posse quod cotidie dicamus in tanta varietate rerum, nisi animos nostros doctrina excolamus; aut ferre animos tantam posse contentionem, nisi eos doctrina eadem relaxemus? Ego vero fateor me his studiis esse deditum: ceteros pudeat, si qui se ita litteris abdiderunt ut nihil possint ex eis neque ad communem adferre fructum, neque in aspectum lucemque proferre: me autem quid pudeat, qui tot annos ita vivo, iudices, ut a nullius umquam me tempore aut commodo aut otium meum abstraxerit, aut voluptas avocarit, aut denique somnus retardit?
[12] Procurati dunque altre prove, se sei capace: Archia non potrà essere smentito, a giudizio suo e degli amici. Grazio, tu mi chiederai perché io tenga tanto a quest'uomo. Perché è sempre disponibile a due chiacchiere quando, dopo una giornata trascorsa in mezzo al chiasso e alla folla del foro, voglio riprendere fiato e star tranquillo. Non penserai che potrei parlare tutti i giorni degli argomenti più disparati, se non coltivassi l'animo con la poesia! O credi forse che potrei sopportare una tensione così intensa, se non mi rilassassi con la poesia?! Ebbene sì, confesso di essermi dedicato a questo genere di studi. Si vergogni piuttosto chi si immerge a tal punto nello studio delle lettere da non far nulla di utile alla società, e da non produrre alcunché! Ma perché dovrei vergognarmi io che da tanti anni ho scelto di vivere, giudici, sacrificando nell'interesse e per la difesa del cliente i miei momenti liberi, il divertimento e persino il sonno?
[13] Qua re quis tandem me reprehendat, aut quis mihi iure suscenseat, si, quantum ceteris ad suas res obeundas, quantum ad festos dies ludorum celebrandos, quantum ad alias voluptates et ad ipsam requiem animi et corporis conceditur temporum, quantum alii tribuunt tempestivis conviviis, quantum denique alveolo, quantum pilae, tantum mihi egomet ad haec studia recolenda sumpsero? Atque hoc ideo mihi concedendum est magis, quod ex his studiis haec quoque crescit oratio et facultas; quae, quantacumque in me est, numquam amicorum periculis defuit. Quae si cui levior videtur, illa quidem certe, quae summa sunt, ex quo fonte hauriam sentio.
[13] Nessuno, quindi, potrà rimproverarmi o prendersela a ragione con me, se il tempo che alcuni utilizzano per sbrigare i loro affari, per celebrare nel circo i giorni di festa, o semplicemente per divertirsi e riposare corpo e mente o che altri dedicano a interminabili banchetti, al tavolo da gioco alla palla, io lo spendo per ampliare i miei studi. E a maggior ragione me lo si deve concedere: infatti, grazie a questi studi, cresce la mia padronanza di linguaggio che, grande o piccola non importa, non è mai mancata agli amici in difficoltà. Qualcuno, forse, può giudicarla cosa di scarsa importanza: ma io so che è importantissirna e so da quale fonte attingerla.
[14] Nam nisi multorum praeceptis multisque litteris mihi ab adulescentia suasissem, nihil esse in vita magno opere expetendum nisi laudem atque honestatem, in ea autem persequenda omnis cruciatus corporis, omnia pericula mortis atque exsili parvi esse ducenda, numquam me pro salute vestra in tot ac tantas dimicationes atque in hos profligatorum hominum cotidianos impetus obiecissem. Sed pleni omnes sunt libri, plenae sapientium voces, plena exemplorum vetustas: quae iacerent in tenebris omnia, nisi litterarum lumen accederet. Quam multas nobis imagines--non solum ad intuendum, verum etiam ad imitandum--fortissimorum virorum expressas scriptores et Graeci et Latini reliquerunt? Quas ego mihi semper in administranda re publica proponens animum et mentem meam ipsa cognitatione hominum excellentium conformabam.
[14] Se fin dall'adolescenza, grazie all'insegnamento di numerosi maestri e ad approfonditi studi, non mi fossi persuaso che nella vita nulla si deve desiderare con forza, quasi fosse un dovere, tranne la fama e la virtù, e che per ottenerle si deve essere disposti a tenere in poco conto tutti i tormenti fisici, la morte e l'esilio, non mi sarei mai esposto per la vostra salvezza a tante gravose contese e agli attacchi quotidiani di gente senza scrupoli. Ma di questi ragionamenti sono zeppi i libri, i discorsi degli uomini di buon senso e gli esempi antichi: ma sarebbero tutte cose immerse nelle tenebre più fitte, se non fosse la letteratura a illuminarle. Quanti ritratti di personaggi illustri da ammirare e imitare ci hanno lasciato gli scrittori greci e latini! E io, tutte le volte che rivestivo una carica della repubblica, conformavo il mio cuore e la mia mente al pensiero dei grandi del passato.
VII
[15] Quaeret quispiam: "Quid? Illi ipsi summi viri, quorum virtutes litteris proditae sunt, istane doctrina, quam tu effers laudibus, eruditi fuerunt?" Difficile est hoc de omnibus confirmare, sed tamen est certe quod respondeam. Ego multos homines excellenti animo ac virtute fuisse, et sine doctrina naturae ipsius habitu prope divino per se ipsos et moderatos et gravis exstitisse, fateor: etiam illud adiungo, saepius ad laudem atque virtutem naturam sine doctrina quam sine natura valuisse doctrinam. Atque idem ego contendo, cum ad naturam eximiam atque inlustrem accesserit ratio quaedam conformatioque doctrinae, tum illud nescio quid praeclarum ac singulare solere exsistere.
[15] Qualcuno chiederà: «E con questo? Vuoi dire che tutti quei grandi uomini, del cui valore rimane testimonianza nelle opere letterarie, furono forse eruditi in questa scienza, che tu tanto lodi?». Non è facile esserne certi per tutti, ma so cosa rispondere: molti di questi uomini, lo riconosco, pur nella loro ignoranza, ebbero qualità straordinarie e rivelarono un grande equilibrio per una disposizione naturale, che oserei dire divina. Anzi, potrei aggiungere che più spesso, per arrivare al successo, si sono dimostrate maggiormente efficaci le doti naturali senza cultura, che la cultura senza doti naturali. Di una cosa, però, sono proprio convinto: quando a un'indole nobile e ricca di talento si aggiunge un metodico indirizzo scientifico, allora il vero genio si manifesta.
[16] Ex hoc esse hunc numero, quem patres nostri viderunt, divinum hominem Africanum; ex hoc C. Laelium, L. Furium, moderatissimos homines et continentissimos; ex hoc fortissimum virum et illis temporibus doctissimum, M. Catonem illum senem: qui profecto si nihil ad percipiendam [colendam] virtutem litteris adiuvarentur, numquam se ad earum studium contulissent. Quod si non his tantus fructus ostenderetur, et si ex his studiis delectatio sola peteretur, tamen (ut opinor) hanc animi adversionem humanissimam ac liberalissimam iudicaretis. Nam ceterae neque temporum sunt neque aetatum omnium neque locorum: haec studia adulescentiam alunt, senectutem oblectant, secundas res ornant, adversis perfugium ac solacium praebent, delectant domi, non impediunt foris, pernoctant nobiscum, peregrinantur, rusticantur.
[16] Mi riferisco a tutta una serie di uomini del passato, ben noti ai nostri padri: l'Africano, unico nel suo genere; Caio Lelio e Lucio Furio, famosi per il loro esemplare equilibrio; e quell'uomo tanto energico e, per quei tempi, così dotto, Marco Catone. Ebbene, se costoro avessero ritenuto lo studio della poesia del tutto inutile per comprendere e mettere in pratica la virtù, non si sarebbero dedicati a esso con tanto fervore. Ma quand'anche non si manifestassero frutti tanto preziosi e a questi studi si richiedesse solo il piacere, anche in questo caso, come credo, dovreste giudicare questo passatempo dello spirito il più nobile e degno dell'uomo. Infatti, gli altri tipi di svago non sono adatti a tutte le circostanze, a tutte le età e a tutti i luoghi; questi studi, invece, aiutano i giovani a crescere, dilettano gli anziani, celebrano gli eventi favorevoli, offrono aiuto e conforto durante le avversità, rallegrano entro le mura domestiche, non sono d'impaccio fuori, ci tengono compagnia durante la notte, in viaggio e in vacanza.
VIII
[17] Quod si ipsi haec neque attingere neque sensu nostro gustare possemus, tamen ea mirari deberemus, etiam cum in aliis videremus. Quis nostrum tam animo agresti ac duro fuit, ut Rosci morte nuper non commoveretur? qui cum esset senex mortuus, tamen propter excellentem artem ac venustatem videbatur omnino mori non debuisse. Ergo ille corporis motu tantum amorem sibi conciliarat a nobis omnibus: nos animorum incredibilis motus celeritatemque ingeniorum neglegemus?
[17] Se poi non potessimo in prima persona attendere a questi studi, né gustarli con la nostra sensibilità, quantomeno dovremmo ammirarli vedendo che altri vi attendono. Chi di noi ebbe un animo così insensibile e rozzo da non commuoversi qualche tempo fa per la scomparsa di Roscio? Egli, morto in età avanzata, per la sua arte straordinaria e per la sua eleganza, dava tuttavia l'impressione che non sarebbe dovuto morire mai. Roscio si era accattivato l'affetto e l'ammirazione di tutti noi semplicemente con i movimenti del suo corpo: e noi non dovremmo forse tenere in considerazione gli illimitati movimenti dello spirito e l'agilità della mente?
[18] Quotiens ego hunc Archiam vidi, iudices, --utar enim vestra benignitate, quoniam me in hoc novo genere dicendi tam diligenter attenditis,--quotiens ego hunc vidi, cum litteram scripsisset nullam, magnum numerum optimorum versuum de eis ipsis rebus quae tum agerentur dicere ex tempore! Quotiens revocatum eandem rem dicere, commutatis verbis atque sententiis! Quae vero adcurate cogitateque scripsisset, ea sic vidi probari, ut ad veterum scriptorum laudem perveniret. Hunc ego non diligam? non admirer? non omni ratione defendendum putem! Atque sic a summis hominibus eruditissimisque accepimus, ceterarum rerum studia et doctrina et praeceptis et arte constare: poetam natura ipsa valere, et mentis viribus excitari, et quasi divino quodam spiritu inflari. Qua re suo iure noster ille Ennius sanctos appellat poetas, quod quasi deorum aliquo dono atque munere commendati nobis esse videantur.
[18] Quante volte io ho visto Archia, qui presente, o giudici - e considerando che mi ascoltate con tanta attenzione mentre sperimento una nuova tecnica oratoria, approfitterò della vostra benevolenza - quante volte, dicevo, l'ho visto improvvisare un gran numero di versi incredibilmente belli su vari argomenti d'attualità, senza aver scritto una sola riga! E quante volte l'ho sentito ripetere lo stesso discorso con parole ed espressioni completamente differenti! Inoltre, ho potuto constatare che le poesie da lui messe per iscritto dopo attenta riflessione, sono giudicate degne di essere equiparate alle più famose e lodate opere degli antichi scrittori. Quindi, non dovrei apprezzare quest'uomo? Non dovrei ammirarlo e ritenere che lo si deve difendere a ogni costo? Inoltre, noi siamo venuti a conoscenza dal pensiero di personalità autorevoli e di grandissima cultura che l'apprendimento di qualunque altra disciplina si fonda sulla teoria, sugli insegnamenti e sul talento personale; il poeta invece si avvale del suo stesso modo di essere ed è spinto a comporre dalle forti capacità della sua mente, come animato da una sorta di ispirazione divina. Per questo motivo ben a ragione il nostro Ennio definisce «sacri» i poeti, in quanto sembra che ci siano stati concessi quasi come un prezioso dono degli dèi.
IX
[19] Sit igitur, iudices, sanctum apud vos, humanissimos homines, hoc poetae nomen, quod nulla umquam barbaria violavit. Saxa et solitudines voci repondent, bestiae saepe immanes cantu flectuntur atque consistunt: nos, instituti rebus optimis, non poetarum voce moveamur? Homerum Colophonii civem esse dicunt suum, Chii suum vindicant, Salaminii repetunt, Smyrnaei vero suum esse confirmant, itaque etiam delubrum eius in oppido dedicaverunt: permulti alii praeterea pugnant inter se atque contendunt. Ergo illi alienum, quia poeta fuit, post mortem etiam expetunt: nos hunc vivum, qui et voluntate et legibus noster est, repudiabimus? praesertim cum omne olim studium atque omne ingenium contulerit Archias ad populi Romani gloriam laudemque celebrandam? Nam et Cimbricas res adulescens attigit, et ipsi illi C. Mario, qui durior ad haec studia videbatur, iucundus fuit.
[19] Quindi, o giudici, poiché siete estremamente civili, considerate sacrosanto questo titolo di poeta, che mai nessun uomo, neanche barbaro, osò profanare. Le montagne e i deserti rispondono alla sua voce, persino gli animali più feroci diventano mansueti e si fermano al suo canto: e noi, che siamo stati educati esemplarmente, non dovremmo essere colpiti dalle parole dei poeti? Gli abitanti di Colofone sostengono che Omero sia loro compatriota, quelli di Chio lo rivendicano a sé, i cittadini di Salamina insistono di avergli dato i natali; quelli di Smirne, poi, ne sono così convinti che gli hanno persino dedicato un tempietto in città; numerosi altri se lo contendono con accanimento.
Dunque tante persone reclamano, anche dopo la morte, uno straniero, per il semplice fatto che fu un poeta; e noi rifiuteremo Archia, che è vivo e già ci appartiene, per sua scelta e per la legge? Non dimentichiamo che Archia ha messo più volte la sua arte e il suo talento al servizio del popolo romano, per celebrarne la grandezza e il prestigio. Quando infatti era ancora un ragazzo, trattò delle campagne contro i Cimbri e piacque persino a Caio Mario, che pure sembrava alquanto insensibile alla poesia.

[20] Neque enim quisquam est tam aversus a Musis, qui non mandari versibus aeternum suorum laborum facile praeconium patiatur. Themistoclem illum, summum Athenis virum, dixisse aiunt, cum ex eo quaereretur, quod acroama aut cuius vocem libentissime audiret: "Eius, a quo sua virtus optime praedicaretur." Itaque ille Marius item eximie L. Plotium dilexit, cuius ingenio putabat ea quae gesserat posse celebrari.
[20] D'altra parte, nessuno è così ostile alle Muse da non sopportare che l'eterna lode delle sue imprese sia affidata alla poesia. Si dice che il famoso Temistocle, il sommo ateniese, interrogato su quale voce ascoltasse più volentieri declamare, abbia risposto: «Quella del più bravo a esaltare le mie gesta». Allo stesso modo Mario fu molto legato a Lucio Plozio dal cui ingegno credeva potessero essere celebrate le sue imprese.
[21] Mithridaticum vero bellum, magnum atque difficile et in multa varietate terra marique versatum, totum ab hoc expressum est: qui libri non modo L. Lucullum, fortissimum et clarissimum virum, verum etiam populi Romani nomen inlustrant. Populus enim Romanus aperuit Lucullo imperante Pontum, et regiis quondam opibus et ipsa natura et regione vallatum: populi Romani exercitus, eodem duce, non maxima manu innumerabilis Armeniorum copias fudit: populi Romani laus est urbem amicissimam Cyzicenorum eiusdem consilio ex omni impetu regio atque totius belli ore ac faucibus ereptam esse atque servatam: nostra semper feretur et praedicabitur L. Lucullo dimicante, cum interfectis ducibus depressa hostium classis, et incredibilis apud Tenedum pugna illa navalis: nostra sunt tropaea, nostra monimenta, nostri triumphi. Quae quorum ingeniis efferuntur, ab eis populi Romani fama celebratur.
[21] Archia ha già raccontato tutta la grande, difficile guerra contro Mitridate, svoltasi, tra alterne vicende, per terra e per mare. Il libro pone in ottima luce non solo Lucio Lucullo, uomo molto forte e famoso, ma anche il nome del popolo romano. È stato infatti l'esercito di Roma agli ordini di Lucullo ad aprire la via del Ponto, un tempo difeso dalla natura stessa dei luoghi e dalle forze armate del re; guidato dallo stesso comandante, è stato l'esercito del popolo romano a sbaragliare con poche truppe le innumerevoli forze degli Armeni; è vanto del popolo romano avere salvato dagli attacchi del re la città amica di Cizico per l'avvedutezza dello stesso Lucullo, e averla strappata dalle fauci insaziabili di una guerra feroce; sempre sarà detta nostra e sarà celebrata quella incredibile battaglia navale presso Tenedo - anche là combatteva Lucio Lucullo - nella quale la flotta nemica fu affondata e uccisi tutti i comandanti. Nostri sono i trofei, nostri i monumenti, nostri i trionfi. E quelli che con la loro arte esaltano queste imprese, celebrano la gloria del popolo romano.
[22] Carus fuit Africano superiori noster Ennius, itaque etiam in sepulcro Scipionum putatur is esse constitutus ex marmore. At eis laudibus certe non solum ipse qui laudatur, sed etiam populi Romani nomen ornatur. In caelum huius proavus Cato tollitur: magnus honos populi Romani rebus adiungitur. Omnes denique illi Maximi, Marcelli, Fulvii, non sine communi omnium nostrum laude decorantur. Ergo illum, qui haec fecerat, Rudinum hominem, maiores nostri in civitatem receperunt: nos hunc Heracliensem, multis civitatibus expetitum, in hac autem legibus constitutum, de nostra civitate eiciemus?
[22] Ennio fu molto caro all'Africano Maggiore e si racconta che gli fu dedicata una statua di marmo, posta nella tomba di famiglia degli Scipioni. D'altra parte, è vero che il poeta, tessendo gli elogi di un uomo, celebra indirettamente anche il nome dell'intero popolo romano. Catone, antenato del suo omonimo qui presente, ha un posto tutto suo in cielo: questo è un grande onore che va ad aggiungersi alle gesta del popolo romano. E infine, i lusinghieri appellativi con cui sono definiti i membri delle famiglie dei Massimi, dei Marcelli, dei Fulvi danno gloria a tutti noi. I nostri padri hanno concesso la cittadinanza all'uomo di Rudie, autore di quei canti; e noi scacceremo quest'uomo di Eraclea, conteso da numerose città che si è stabilito legalmente in Roma?
X
[23] Nam si quis minorem gloriae fructum putat ex Graecis versibus percipi quam ex Latinis, vehementer errat: propterea quod Graeca leguntur in omnibus fere gentibus, Latina suis finibus, exiguis sane, continentur. Qua re si res eae quas gessimus orbis terrae regionibus definiuntur, cupere debemus, quo manuum nostrarum tela pervenerint, eodem gloriam famamque penetrare: quod cum ipsis populis de quorum rebus scribitur, haec ampla sunt, tum eis certe, qui de vita gloriae causa dimicant, hoc maximum et periculorum incitamentum est et laborum.
[23] Se poi qualcuno crede che si ricavi minor gloria dai versi greci che da quelli latini sbaglia di grosso, perché le opere scritte in greco si leggono quasi ovunque, mentre le latine sono contenute nei loro assai ristretti confini. Perciò, se è vero che le nostre imprese sono delimitate dalle estreme regioni della terra, dovremmo desiderare che, dove giunsero le armi impugnate dalle nostre mani, là si spingano anche la nostra fama e la nostra gloria; giacché, come queste opere recano onore ai popoli di cui si narrano le gesta, così sono d'incitamento ad affrontare pericoli e fatiche per chi rischia la vita in nome della gloria.
[24] Quam multos scriptores rerum suarum magnus ille Alexander secum habuisse dicitur! Atque is tamen, cum in Sigeo ad Achillis tumulum astitisset: "O fortunate" inquit "adulescens, qui tuae virtutis Homerum praeconem inveneris!" Et vere. Nam nisi Illias illa exstitisset, idem tumulus, qui corpus eius contexerat, nomen etiam obruisset. Quid? noster hic Magnus, qui cum virtute fortunam adaequavit, nonne Theophanem Mytilenaeum, scriptorem rerum suarum, in contione militum civitate donavit; et nostri illi fortes viri, sed rustici ac milites, dulcedine quadam gloriae commoti, quasi participes eiusdem laudis, magno illud clamore approbaverunt?
[24] Quanti scrittori delle sue imprese si dice abbia avuto al suo séguito Alessandro Magno! Eppure, quando si fermò davanti al sepolcro di Achille nel Sigeo, disse: «Fortunato, giovane, che trovasti Omero come cantore del tuo valore!». E aveva ragione: senza l'Iliade, infatti, la tomba che ricopriva il suo corpo avrebbe sepolto anche la sua fama. Questo esempio non vi basta? Aggiungerò allora che il nostro Pompeo Magno, valoroso quanto fortunato, durante un'adunata militare, fece dono della cittadinanza al suo biografo Teofane di Mitilene; e i nostri soldati, forti certo, ma rozzi, eccitati dall'ebrezza della gloria come se fossero stati partecipi dello stesso riconoscimento, approvarono quel gesto con alte grida.
[25] Itaque, credo, si civis Romanus Archias legibus non esset, ut ab aliquo imperatore civitate donaretur perficere non potuit. Sulla cum Hispanos donaret et Gallos, credo hunc petentem repudiasset: quem nos in contione vidimus, cum ei libellum malus poeta de populo subiecisset, quod epigramma in eum fecisset, tantummodo alternis versibus longiusculis, statim ex eis rebus quas tunc vendebat iubere ei praemium tribui, sed ea condicione, ne quid postea scriberet. Qui sedulitatem mali poetae duxerit aliquo tamen praemio dignam, huius ingenium et virtutem in scribendo et copiam non expetisset?
[25] Ecco perché io credo che se Archia non fosse legalmente un cittadino romano, nessun comandante gli avrebbe negato un tale privilegio. E Silla, che concedeva la cittadinanza a Spagnoli e Galli, penso che lo avrebbe accontentato se l'avesse richiesta; una volta, durante un'assemblea - e io ne fui testimone -, un poeta da due soldi, uno del popolo, gli aveva mostrato un breve epigramma in suo onore, che aveva il solo pregio di essere scritto in distici; Silla, allora, scelse uno fra gli oggetti che stava vendendo all'asta, e glielo donò, a patto che non componesse più un solo verso. Vi sembra possibile che un uomo capace di reputare degno di un premio l'impegno di un poeta da nulla, si sarebbe lasciato sfuggire il talento, l'abilità nello scrivere e la vena di costui?
[26] Quid? a Q. Metello Pio, familiarissimo suo, qui civitate multos donavit, neque per se neque per Lucullos impetravisset? qui praesertim usque eo de suis rebus scribi cuperet, ut etiam Cordubae natis poetis, pingue quiddam sonantibus atque peregrinum, tamen auris suas dederet. Neque enim est hoc dissimulandum (quod obscurari non potest) sed prae nobis ferendum: trahimur omnes studio laudis, et optimus quisque maxime gloria ducitur. Ipsi illi philosophi, etiam in eis libellis quos de contemnenda gloria scribunt, nomen suum inscribunt: in eo ipso, in quo praedicationem nobilitatemque despiciunt, praedicari de se ac nominari volunt.
[26] Figuriamoci! Archia non avrebbe forse potuto ottenere la cittadinanza da Quinto Metello Pio, suo intimo amico che l'aveva concessa a molti, sia per i suoi meriti, sia per l'appoggio dei Luculli? Metello, inoltre, era arso dal desiderio che si scrivesse delle sue imprese, al punto che prestava orecchio persino ai poeti di Cordova, dallo stile ridondante ed esotico.
Non si deve passare sotto silenzio l'evidenza dei fatti, ma dire come stanno davvero le cose: tutti quanti siamo presi dal desiderio di successo, anzi più uno è bravo, più è innamorato della gloria. Persino i filosofi pongono il loro nome su quei libri nei quali vanno predicando il disprezzo della gloria: laddove tuonano contro l'encomio e la celebrità vogliono essere encomiati e celebrati.
XI
[27] Decimus quidem Brutus, summus vir et imperator, Acci, amicissimi sui, carminibus templorum ac monumentorum aditus exornavit suorum. iam vero ille, qui cum Aetolis Ennio comite bellavit, Fulvius, non dubitavit Martis manubias Musis consecrare. Qua re in qua urbe imperatores prope armati poetarum nomen et Musarum delubra coluerunt, in ea non debent togati iudices a Musarum honore et a poetarum salute abhorrere.
[27] Anche Decimo Bruto, grandissimo uomo e generale, si servì dei versi del suo caro amico Accio per fregiare gli ingressi dei templi e dei monumenti da lui fatti costruire. E quel famoso comandante che combattè assieme a Ennio contro gli Etoli, Fulvio intendo dire, senza esitare consacrò il bottino di guerra alle Muse. Perciò, nella città dove i generali ancora in armi onorarono il nome dei poeti e i templi delle Muse, i giudici togati non dovrebbero rifiutarsi di onorare le dee della poesia e difendere i poeti.
[28] Atque ut id libentius faciatis, iam me vobis, iudices, indicabo, et de meo quodam amore gloriae, nimis acri fortasse verum tamen honesto vobis, confitebor. Nam quas res nos in consulatu nostro vobiscum simul pro salute huiusce imperi et pro vita civium prope universa re publica gessimus, attigit hic versibus atque inchoavit: quibus auditis, quod mihi magna res et iucunda visa est, hunc ad perficiendum adornavi. Nullam enim virtus aliam mercedem laborum periculorumque desiderat, praeter hanc laudis et gloriae: qua quidem detracta, iudices, quid est quod in hoc tam exiguo vitae curriculo [et tam brevi] tantis nos in laboribus exerceamus?
[28] E perché, giudici, facciate ciò più volentieri, vi parlerò in tutta sincerità; vi confesserò il desiderio di gloria, che forse in me è troppo acuto, ma che tuttavia è onorevole. Quest'uomo cominciò a scrivere in versi le azioni che insieme con voi, durante il mio consolato, io feci per la salvaguardia del prestigio di questa città, per la vita stessa dei suoi abitanti e per tutto lo stato. Ascoltati quei versi, lo esortai a portare a termine la sua opera che a me sembrò importante e bella. Infatti il valore non chiede altro compenso delle fatiche e dei pericoli, fuorché il riconoscimento e la gloria, tolta la quale, giudici, che cosa rimane per cui dovremmo affannarci, in questa vita così breve?
[29] Certe si nihil animus praesentiret in posterum, et si quibus regionibus vitae spatium circumscriptum est, eisdem omnis cogitationes terminaret suas; nec tantis se laboribus frangeret, neque tot curis vigiliisque angeretur, nec totiens de ipsa vita dimicaret. Nunc insidet quaedam in optimo quoque virtus quae noctis ac dies animum gloriae stimulis concitat, atque admonet non cum vitae tempore esse dimittendam commemorationem nominis nostri, sed cum omni posteritate adaequandam.
[29] Certo, se l'animo non avesse qualche speranza nel futuro e se limitasse tutti i pensieri entro lo spazio in cui è circoscritta la nostra vita, non si logorerebbe in così grandi fatiche, non si tormenterebbe in tanti affanni e veglie, non rischierebbe tante volte la vita. Ma per fortuna negli animi migliori è radicato un impulso che notte e giorno sprona con lo stimolo della gloria e impone di non limitare la memoria del nostro nome al tempo della vita, ma di estenderla alla posterità.
XII
[30] An vero tam parvi animi videamur esse omnes, qui in re publica atque in his vitae periculis laboribusque versamur, ut, cum usque ad extremum spatium nullum tranquillum atque otiosum spiritum duxerimus, nobiscum simul moritura omnia arbitremur? An statuas et imagines, non animorum simulacra sed corporum, studiose multi summi homines reliquerunt; consiliorum relinquere ac virtutum nostrarum effigiem nonne multo malle debemus, summis ingeniis expressam et politam? Ego vero omnia quae gerebam, iam tum in gerendo spargere me ac disseminare arbitrabar in orbis terrae memoriam sempiternam. Haec vero sive a meo sensu post mortem afutura est sive--ut sapientissimi homines putaverunt -- ad aliquam mei partem pertinebit, nunc quidem certe cogitatione quadam speque delector.
[30] Ma noi, che ci occupiamo della politica dello stato, con tutti i pericoli e gli inconvenienti che questo mestiere comporta, dovremo mostrarci di animo così ristretto da credere che quanto ci circonda morirà con noi, mentre fino all'ultima ora non abbiamo avuto un momento di tranquillità e riposo? I grandi del passato si preoccuparono di lasciare di sé statue e ritratti, ma tutti erano l'immagine dei corpi, non degli animi; noi, invece, non dobbiamo piuttosto desiderare che ci sopravviva l'immagine dei nostri pensieri e delle nostre virtù mirabilmente espressa dalle opere degli ingegni superiori? Io, nel momento in cui compivo le azioni che ho compiuto, ero convinto che avrebbero contribuito a spargere e disseminare per il mondo l'eterna memoria di me. La quale memoria, o che dopo la morte non sia più percepibile dai miei sensi, o che, come pensano alcuni filosofi, possa ancora in qualche modo interessare il mio animo ora comunque mi dà piacere quando ci penso e quando spero che si realizzi.
[31] Qua re conservate, iudices, hominem pudore eo, quem amicorum videtis comprobari cum dignitate tum etiam vetustate; ingenio autem tanto, quantum id convenit existimari, quod summorum hominum ingeniis expetitum esse videatis; causa vero eius modi, quae beneficio legis, auctoritate municipi, testimonio Luculli, tabulis Metelli comprobetur. Quae cum ita sint, petimus a vobis, iudices, si qua non modo humana, verum etiam divina in tantis ingeniis commendatio debet esse, ut eum qui vos, qui vestros imperatores, qui populi Romani res gestas semper ornavit, qui etiam his recentibus nostris vestrisque domesticis periculis aeternum se testimonium laudis daturum esse profitetur, estque ex eo numero qui semper apud omnis sancti sunt habiti itaque dicti, sic in vestram accipiatis fidem, ut humanitate vestra levatus potius quam acerbitate violatus esse videatur.
[31]Assolvete, dunque, o giudici, un uomo di tale onorabilità, che, vedete, gode da lunga data della stima di amici autorevoli; un uomo il cui ingegno è così vasto, da suscitare grande ammirazione e da essere ricercato dalle menti più acute; inoltre sono dalla sua parte la legge, l'autorità di un municipio, la testimonianza di Lucullo e i registri di Metello. Stando così le cose, se così alti ingegni hanno diritto alla raccomandazione non solo degli uomini ma anche degli dèi, vi chiedo, o giudici, che a costui - che ha sempre fatto le lodi vostre, dei vostri condottieri e del popolo romano e sta per dare un'eterna testimonianza dei recenti pericoli interni corsi da me e da voi, ed è tra quelli che sono sempre stati ritenuti e chiamati sacri -, a costui, dicevo, sia accordata la vostra protezione, così che appaia che egli sia stato aiutato dalla vostra bontà piuttosto che offeso dalla vostra intransigenza.
[32] Quae de causa pro mea consuetudine breviter simpliciterque dixi, iudices, ea confido probata esse omnibus. Quae autem remota a mea iudicialique consuetudine, et de hominis ingenio et communiter de ipsius studio locutus sum, ea, iudices, a vobis spero esse in bonam partem accepta; ab eo qui iudicium exercet, certo scio.

[32] Tutto quello che nel merito della causa ho argomentato, come mia consuetudine, in modo chiaro e conciso, spero abbia trovato l'approvazione di tutti, o giudici; quanto poi ho esposto fuori dalla consuetudine forense e giudiziaria, intorno all'ingegno di quest'uomo e alla sua arte in generale, spero sia stato accolto con buon animo da voi: della benevolenza di chi ha diretto il dibattito, non ho dubbi.

Esempio



  


  1. antonia

    analisi pro archia

  2. Silvia

    Sto cercando l'analisi del passo 17 e 18 della Pro Archia di Cicerone. Devo sostenere una verifica in classe. Grazie

  3. Laura

    Pro archia cicerone