CATILINARIE CICERONE

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Testo

Fino a quando, insomma, abuserai della nostra pazienza, o Catilina? Per quanto tempo ancora questa tua rivolta ci sfuggirà? A quali estremi si spingerà la tua sfrenata audacia? Non ti hanno impressionato per nulla il presidio notturno del Palatino, le sentinelle della città, il timore del popolo, l’accorrere di tutti i cittadini onesti, questo luogo, il più sicuro per tenere l’assemblea del senato, i volti e le espressioni del viso di questi? Come fai a non accorgerti che le tue macchinazioni sono risapute? Non vedi che la congiura è ormai tenuta sotto controllo dalla consapevolezza di tutti questi? Chi di noi pensi che non sappia che cosa tu abbia fatto la notte scorsa e la notte precedente, dove tu sia stato, chi tu abbia convocato, che decisioni tu abbia preso?
Oh che tempi, oh che costumi! Il senato lo comprende, il console lo vede; e, nonostante ciò, costui continua a vivere! Vive? Anzi, viene anche in senato, partecipa alle pubbliche deliberazioni, prende nota di ciascuno di noi e con un’occhiata lo destina alla morte. Noi invece, uomini forti, pensiamo di fare abbastanza per la patria, se evitiamo la follia e le armi di costui. Già da tempo, Catilina, sarebbe stato necessario condannarti a morte per volere del console e rivolgere contro di te il male che tu già da tempo vai ordendo contro tutti noi.
In Italia ci sono accampamenti stanziati contro il popolo Romano nelle valli dell’Etruria, cresce giorno dopo giorno il numero dei nemici; vedete l’imperatore di quegli accampamenti e il comandante dei nemici macchinare quotidianamente qualche danno interno contro lo stato dentro le mura e perfino in senato. Se ti farò arrestare e uccidere immediatamente, credo, o Catilina, dovrò temere che tutti i cittadini buoni dicano che ciò è stato fatto troppo tardi da me piuttosto che qualcuno dica che ciò è stato fatto con eccessiva durezza. Io in verità non mi decido ancora a compiere ciò che sarebbe stato necessario fare già da tempo per una ragione ben precisa. Solo allora tu sarai messo a morte, quando non si riuscirà a trovare nessuno così malvagio, così disperato, così simile a te che non ammetta che ciò è stato fatto con fondamento.
Finché ci sarà qualcuno che oserà difenderti, vivrai, e vivrai così come vivi ora, guardato a vista dai miei molti e solidi aiuti, affinché tu non possa fare alcun movimento contro lo stato. In più gli occhi e le orecchie di molti ti spieranno e terranno sotto controllo senza che tu te ne accorga, come hanno fatto fino ad ora.
E quindi perché, Catilina, cosa aspetti ormai di più, se né la notte può oscurare con le tenebre le adunanze malvagie, né una casa privata può contenere con le pareti le voci della tua congiura, se tutto viene alla luce, se tutto salta fuori? Cambia ormai codesti tuoi progetti, credimi, dimenticati della strage e degli incendi. Sei bloccato da ogni parte; tutte le tue decisioni sono per noi più chiare della luce, le quali ormai conviene che tu passi in rassegna con me.
Ora, però, tu attacchi apertamente tutto lo stato, i templi degli dei immortali, le abitazioni della città, la vita di tutti i cittadini, trascini tutta l’Italia alla rovina e alla devastazione. Per questo motivo, siccome non ho ancora il coraggio di fare quel che sarebbe la prima cosa da fare e che sarebbe proprio sia della mia carica sia della tradizione degli antenati, farò ciò che è più debole quanto al rigore, ma più utile ai fini della sicurezza collettiva. Infatti, se ordinerò di farti uccidere, risiederà nello stato una schiera residua dei cospiratori; se invece sarai tu ad andartene, cosa di cui già da un pezzo ti consiglio, scolerà via dalla città quel lerciume abbondante e pestilenziale dello stato formato dai tuoi compagni. Che cos’è, Catilina? Forse esiti a fare dietro mio ordine ciò che stavi già facendo di tua volontà? Il console ordina al nemico di uscire dalla città. Chiedimi, forse in esilio? Non lo ordino, ma, se mi chiedi, lo consiglio.
E, conclusa la battaglia, allora sì che avresti potuto scorgere quanta audacia e quanta forza d’animo c’era nell’esercito di Catilina. Infatti ciascuno, da morto, ricopriva con il suo corpo all’incirca quel posto che da vivo aveva occupato combattendo. Invece pochi, che la coorte pretoria aveva disperso penetrando nel mezzo dello schieramento, un po’ più in là, ma tutti, tuttavia, con ferite frontali caddero morti. Catilina, invero, fu trovato lontano dai suoi fra i cadaveri dei nemici, mentre ancora appena respirava e mentre ancora manteneva impressa sul volto la fierezza d’animo, che aveva avuto da vivo. Infine, dell’intera moltitudine, né in guerra, né nell’atto di fuggire, alcuno che fosse cittadino libero fu catturato: così tutti avevano avuto ugual riguardo per la propria vita e per quella dei nemici. Né tuttavia l’esercito del popolo Romano aveva ottenuto una lieta e incruenta vittoria; infatti tutti i più valorosi o morirono in combattimento o, gravemente feriti, si allontanarono. Molti invece, che per osservare dall’accampamento o per spogliare erano usciti, rivoltando i cadaveri dei nemici, altri di amici, in parte ritrovavano l’ospite o un parente: c’era anche chi riconosceva i nemici personali. Così per tutto l’esercito in vario modo si mescolavano esultanza, dolore, pianto e gioia.

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