Apuleio

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Testo

Apuleio è uno degli scrittori più misteriosi di Roma. Nacque a Mandra, tra la Numidia e la Getulia, verso il 125. Suo padre morendo lo lasciò erede di un discreto patrimonio che consumò in viaggi d'istruzione. Studiò a Cartagine, che era diventata la capitale spirituale dell'Africa romanizzata, quindi si recò ad Atene, per perfezionarsi nella filosofia e nelle arti liberali. Pare che si recasse pure a Roma dove avrebbe esercitato l'avvocatura. Scrisse moltissimo sui più svariati argomenti. Si vantava di essere filosofo, ma la sua filosofia non era diversa da quella del tempo,un misto di platonismo e di pitagorismo e di superstizioni orientali. Scrisse anche brevi poesie che egli ricorda nell'"apologia" che, purtroppo, sono andate perdute.
Apuleio si avvicina stranamente alla nostra sensibilità, tanto che molti suoi racconti potrebbero essere anche opera di Edgard Alan Poe, che come Apuleio ebbe vita varia e tormentata e la passione per ogni genere di esperienze. "Ma Apuleio è anche del suo tempo, che egli riassume in sé essenzialmente per il suo spirito, che è volta a volta raffinato, sottile, mistico e credulone. Raffinato nello stile perché sa piegare la sua stranissima lingua, fatta di orpelli e di semplicità, di neologismi e di parole strane, all'espressione di tutto ciò che gli frulla per la testa. Notevolissime sono le novelle gettate nel romanzo con prodigalità di gran signore: esse sono di tutti i toni, dal comico al paradossale, dal tragico al sentimentale, dal tenero all'orripilante. Famosa fra tutte è la novella "Amore e Psiche", che occupa un quarto del romanzo (dal libro quarto al sesto). Per essa ha avuto certamente delle fonti. Ma ha anche saputo fare opera di grande poesia per tenerezza e ingenuità. La novella ha una plasticità candida e classica, che difficilmente si trova nel suo romanzo e nelle altre sue opere. Apuleio è, pur con i suoi difetti, che sono del suo tempo, uno dei più vivaci e più interessanti artisti della romanità, che a lui deve tutto lo splendore della bellezza in un periodo di stanchezza che prelude alla decadenza spirituale".
Amore e Psiche
La storia narra di un giovane chiamato Lucio (identificato con lo stesso narratore), appassionato di magia. Originario di Patrasso, la capitale dell'ovest della Grecia e grazie al suo importante porto rappresenta la porta della Grecia verso l'Italia ed il resto dell'Europa occidentale. La città è situata nella costa Nord Ovest del Peloponneso tra il golfo di Corinto e Patrasso. E costruita in posizione strategica, vicino le coste di Aitolaokarnia, vicino alle isole Ioniche, dista solo poche ore dall'Italia. 220 km la separano da Atene; potrebbe dunque rappresentare il punto di partenza per visite nei più importanti luoghi archeologici greci. Dalla Grecia, si reca per affari in Tessaglia, paese delle streghe. Là, per caso, si trova ad alloggiare in casa del ricco Milone, la cui moglie Panfila è ritenuta una maga: ha la facoltà di trasformarsi in uccello. Lucio, avvinto dalla sua insaziabile curiosità, vuole imitarla e, valendosi dell'aiuto di una servetta, Fotis, accede alla stanza degli unguenti magici della donna. Ma sbaglia unguento, ed è trasformato in asino, pur conservando coscienza ed intelligenza umana. Per una simile disgrazia, il rimedio sarebbe semplice, gli basterebbe mangiare alcune rose, se un concatenarsi straordinario di circostanze non gli impedisse di scoprire l'antidoto indispensabile. Rapito da certi ladri, che hanno fatto irruzione nella casa, durante la notte stessa della metamorfosi, rimane bestia da soma per lunghi mesi, si trova coinvolto in mille avventure, sottoposto ad infinite angherie e muto testimone dei più abietti vizi umani. Il tema, come si nota, è un comodo pretesto per mettere insieme una miriade di racconti. Nella caverna dei briganti, Lucio ascolta la lunga e bellissima favola di "Amore e Psiche", narrata da una vecchia ad una fanciulla rapita dai malviventi: la favola racconta appunto l'avventura di Psiche, l'Anima, innamorata di Eros, dio del desiderio, uno dei grandi dèmoni dell'universo platonico, la quale possiede senza saperlo, nella notte della propria coscienza, il dio che lei ama, e che però smarrisce per curiosità, per ritrovarlo poi nel dolore di un'espiazione che le fa attraversare tutti gli elementi del mondo.
Sconfitti poi i briganti dal fidanzato della fanciulla, Lucio è liberato, finché, si trova a Corinto, dove, sempre sotto forma asinina, si addormenta sulla spiaggia di Cancree; durante la notte di plenilunio, vede apparire in sogno la dea Iside che lo conforta, gli annuncia la fine del supplizio e gli indica dove potrà trovare le benefiche rose. Il giorno dopo, il miracolo si compie nel corso di una processione di fedeli della dea e Lucio, per riconoscenza, si fa iniziare ai misteri di Iside e Osiride.
La successione degli avvenimenti della favola riprende quella delle vicende del romanzo: prima un'avventura erotica, poi la curiosità punita con la perdita della condizione beata, quindi le peripezie e le sofferenze, che sono alfine concluse perché salvate dalla divinità.
La favola, insomma, rappresenterebbe il destino dell'anima, che, per aver commesso il peccato di tracotanza, tentando di penetrare un mistero che non le era consentito di svelare, deve scontare la sua colpa con umiliazioni ed affanni di ogni genere prima di rendersi degna di ricongiungersi all'amore. L'allegoria filosofica è appena accennata, ma il significato religioso è evidente soprattutto nell'intervento finale del dio Amore, che, come Iside, prende l'iniziativa di salvare chi è caduto, e lo fa di sua spontanea volontà, non per i meriti della creatura umana.
Afferma De Beauvoir, "L'angoscia e il pensiero magico - , Firenze 1975. ed. Giunti-Barbera"
"Insicurezza oceanica e fantasie d'assoluto: tratti e difese della personalità abbandonica"
"Tradita, abbandonata, sì. Una ferita che sanguina troppo".
Poiché è attribuito molto più valore a ciò che non ha che a quello che fa, per un abbandono i ricordi buoni non hanno la facoltà di annullare quelli cattivi: "Il presente partecipa al passato e viceversa", in una concatenazione a valanga di ricordi, ogni incidente è confuso e, da tale confusione, scaturisce la regressione, che riconduce il soggetto al livello dell'angoscia primaria, risvegliando in lui la logica del pensiero magico. Così, egli oscilla dal polo d'attesa di una disgrazia a quello del suo compimento. E sotto questo aspetto ha ispirato Poeti tra i quali Montale, Prévert, Neruda e scultori tra cui Antonio Canova, di cui parleremo al prossimo aggiornamento.
"Forse un mattino andando in un'aria di vetro,
arida, rivolgendomi, vedrò compirsi il miracolo:
il nulla alle mie spalle, il vuoto dietro
di me, con un terrore di ubriaco.
Poi, come s'uno schermo, s'accamperanno di gitto
alberi case colli per l'inganno consueto.
Ma sarà troppo tardi: ed io me ne andrò zitto
tra gli uomini che non si voltano, coi mio segreto".
(Eugenio Montale "Ossi di seppia")
L'origine frequente della sofferenza, è il disaccordo con l'oggetto: la sua distrazione, le Sue Critiche, i suoi silenzi, le sue assenze, sono rilevati ed interpretati puntualmente come segnali, presagi della rottura imminente.
"Assente, come manchi in questa plaga
che ti presente e senza te consuma:
sei lontana e però tutto divaga
dal suo solco, dirupa, spara in bruma".
(E.Montale "Ossi di seppia")
La perdita reale può essere dunque meno tormentosa del panico,che invade ogni angolo della mente, o del silenzio. I silenzi lacerano come coltelli, suscitano la sensazione che l'Altro non sia più lì, anzi, peggio, è lì senza essere veramente lì; non si sa a chi, a cosa pensi: i suoi pensieri sono le vele di un vascello, gonfiate dal vento del suo proprio Io, che sfiora ormai l'orizzonte.
"Tu dormi tu la notte
io invece ho l'insonnia
ti vedo dormire
e ciò mi fa soffrire.
I tuoi occhi chiusi il tuo gran corpo disteso
è meraviglioso ma tutto ciò mi fa piangere
e improvvisamente ecco tu ridi
tu ridi a scrosci dormendo
dove sei in questo momento
dove sei andato dimmi la verità
forse con un'altra donna
lontano lontano in un altro paese
e con lei tu ridi di me.
Tu dormi tu la notte
io invece ho l'insonnia
ti vedo dormire
e ciò mi fa soffrire.
Mentre tu dormi non so se mi ami
mi sei vicino ma anche così distante
io sono tutta nuda e te aggrappata
ma è come se fossi assente
e sento tuttavia battere il tuo cuore
non so se batte per me
non so niente non so niente
vorrei che il tuo cuore si fermasse
se un giorno non mi amassi più.
Tu sogni tu la notte
io invece ho l'insonnia
ti vedo sognare
e questo mi fa piangere.
Tutte le notti io piango tutte le notti
e tu tu sogni e tu sorridi
ma questo non può più durare
una notte certo io ti ucciderò
e finiranno allora i sogni tuoi
e siccome son decisa a togliermi la vita
anche la mia insonnia finirà
I nostri due cadaveri riuniti
insieme dormiranno nel gran letto.
Tu sogni tu la notte
io invece ho l'insonnia
ti vedo sognare
e questo mi fa piangere.
Arriva l'alba e subito ti svegli
ed è a me che tu offri un sorriso
sorridi con il sole
ed io non penso più alla notte
tu dici le parole sempre uguali
- Hai passato una buona notte?-
e come ridestata io ti rispondo
- Sì mio caro ho dormito bene
e come ogni notte t'ho sognato"

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