Annales Libro VI, Tacito

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Testo

Tacito Annales Libro VI.22
Sed mihi haec ac talia audienti in incerto iudicium est fatone res mortalium et necessitate immutabili an forte volvantur. Quippe sapientissimos veterum quique sectam eorum aemulatur diversos reperies, ac multis insitam opinionem non initia nostri, non finem, non denique homines dis curae; ideo creberrime tristia in bonos, laeta apud deteriores esse. Contra alii fatum quidem congruere rebus putant, sed non e vagis stellis, verum apud principia et nexus naturalium causarum; ac tamen electionem vitae nobis relinquunt, quam ubi elegeris, certum imminentium ordinem. Neque mala vel bona quae vulgus putet: multos qui conflictari adversis videantur beatos, at plerosque quamquam magnas per opes miserrimos, si illi gravem fortunam constanter tolerent, hi prospera inconsulte utantur. Ceterum plurimis mortalium non eximitur quin primo cuiusque ortu ventura destinentur, sed quaedam secus quam dicta sint cadere fallaciis ignara dicentium: ita corrumpi fidem artis cuius clara documenta et antiqua aetas et nostra tulerit.
Ora io, quando ascolto questi e simili fatti, resto in dubbio se le vicende umane siano mosse dal fato, con la sua ineludibile necessità, oppure dal caso. Perciò troverai i grandi filosofi antichi, e quanti ne seguono oggi le orme, divisi su questo punto: molti sono convinti che gli dèi non si curano né dell'origine né della fine nostra e, in una parola, degli uomini, e che così si spiega il caso, tanto frequente, di sventure toccate ai buoni e di vita felice per i malvagi. Altri, invece, pensano che nelle cose si esprima un preciso destino, derivato non dal corso delle stelle, bensì dalle cause prime e dal concatenarsi di rapporti naturali; e purtuttavia lasciano sussistere una libera scelta nella vita, scelta che comporta una successione determinata di eventi. E pensano che il bene e il male non sono quelli che si immagina il volgo: molti, in preda alle sventure, sono felici e moltissimi, nel pieno della loro potenza, infelici, se i primi reggono con animo fermo (al peso delle sventure e gli altri abusano con cieca leggerezza della propria fortuna. Comunque la maggior parte dei mortali non rinuncia alla convinzione che il destino sia segnato fin dalla nascita e che, se i fatti non corrispondono alle previsioni, ciò sia colpa di chi fa predizioni inconsulte; e così spiega il discredito crescente di quell'arte divinatoria, di cui tante solenni prove hanno dato l'età antica e il tempo presente

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