tema morale

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Testo

Gli ultimi decenni sono stati caratterizzati da cambiamenti che hanno mutato i modi di vivere, le relazioni tra persone,le mentalità e le culture.
Televisione, cellulare e radio sono i media in assoluto più apprezzati dai giovani, perché tutti e tre dotati di un modello di comunicazione diretto, fluido, personale, disimpegnato e interattivo.
Viviamo nell'era della comunicazione e della globalizzazione, che porta i giovani ad essere sempre più uguali, ad avere gli stessi gusti, a condividere opinioni, obiettivi e valori modellati dalla musica, dai film e dalla televisione.
Gli ideali e i valori morali rappresentano il legame spirituale tra le vecchie e le giovani generazioni Questo la crisi dei valori ha portato smarrimento e senso di solitudine nelle giovani generazioni. le giovani generazioni ad una crisi d'identità. Molti di questi ideali per alcuni si concretizzavano nella famiglia, nella patria, nella devozione religiosa; per gli altri in valori e modelli comportamenti come l'onestà la giustizia
col suo dio-denaro ha svuotato lo spirito degli uomini, ha mercificato persino i sentimenti, ha trasformato tutto in oggetti di consumo
Anche la libertà è diventata secondo un malinteso permissivismo, un modo d'essere più o meno "consumabile", più che la conquista di una dignità umana nel rispetto innanzitutto della libertà e dei diritti del prossimo
Magari potessi avere questo scooter!", "Magari potessi avere quella macchina sportiva!", "Magari potessi avere quello stereo! (non certo per la musica, ma per vantare il numero dei watt)"... Anche questa è droga per lo spirito quando ci fa perdere il senso delle cose, quando ci rende schiavi dei feticci creati dal consumismo. L'uomo non vale per quello che ha, come vorrebbero farci credere i persuasori occulti del consumismo, ma per quello che è e per quello che sa. Soltanto prendendo coscienza di questo si può avere la possibilità di ritrovare una vera dimensione umana e di non essere più soltanto i "terminali" dei messaggi pubblicitari
Intanto esiste quel fenomeno sociologico giovanile che si chiama "gruppo dei pari". Si tratta di quel gruppo amicale di coetanei, la cui importanza e la cui autorità stanno superando quelle dei genitori.
Il gruppo ha delle sue rigide regole di funzionamento, un codice morale a volte estraneo se non antitetico al contesto sociale, che induce i singoli a uniformarsi pedissequamente a determinati comportamenti (scelta dell'abbigliamento, linguaggio, stile di vita, ecc.). Il conformismo, vissuto come timore di non essere accettati e approvati dal gruppo, può indurre l'adolescente ad adottare comportamenti disadattivi.
La fine dell'autoritarismo, un certo permissivismo, la libertà di scelta, il relativismo culturale, aspetti del mondo contemporaneo tutt'altro che negativi, lasciano però spesso i giovani soli (o mal consigliati) di fronte alle scelte cruciali della propria esistenza.
Il consumismo, la comunicazione che avviene ormai soltanto attraverso l'esibizione di oggetti, sembrano privare i giovani di un solida identità, basata sulla consapevolezza delle proprie qualità interiori.
Il successo da conseguire ad ogni costo, a scuola, sul lavoro, in società, con la necessità di essere costantemente all'altezza, brillanti, socievoli, nell'epoca che esalta ed esige la performance, come ci insegnano i messaggi pubblicitari, porta giovani, e sempre più spesso anche adulti, ad aiutarsi con qualche sostanza chimica.
L'eccessivo edonismo della nostra civiltà, la ricerca spasmodica di piaceri forti e immediati, a scapito della gioia, della felicità e della serenità che si possono ottenere sviluppando i propri talenti, mettono molti adolescenti sulla cattiva strada di una penosa, stordita e triste quotidianità.
Occorre recuperare, quindi, il valore del tempo da trascorrere insieme, nella dimensione di una comunicazione autentica, capace di critica nei confronti dei valori dominanti; un tempo e una comunicazione intrisi di tenerezza, di conoscenza reciproca, di ritrovata fisicità.
Con la scuola, che deve abbandonare la faccia feroce, per diventare, per gli adolescenti, occasione emotivamente significativa di maturazione culturale, affettiva, civile.
Oggi, molti giovani considerano le condizioni della loro esistenza come qualcosa che possono largamente controllare e modificare in prima persona
ene messo allo stesso livello, appunto se si considera la libertà come puro arbitrio. Riprendo la domanda di prima. Se per libertà intendiamo che l'uomo può vivere senza nessuna condizione, e quindi lui è autore incondizionato della propria vita, allora questo soggetto può esser capace di tutto, dalla distruzione del mondo all'autodistruzione. Normalmente il risultato è l'autodistruzione. Perché? Perché, nonostante nella libertà incondizionata ci sia una voglia di onnipotenza, gli individui non sono una potenza infinita. Noi siamo puntuazioni di forza, siamo una quantità di potenza finita. Qual è l'assurdo della libertà incondizionata, di questo volersi a ogni costo? Di sentirsi potenza illimitata. Questo è pericoloso per il mondo, è pericoloso per sé e porta alla catastrofe.
Qual è il valore su cui si può costruire invece una relazione corretta? Il sentirsi finiti, e quindi il completamento di sé e nell'incontro con gli altri. Allora, a questo punto, la dimensione del valore è l'assunzione della responsabilità. Cosa vuol dire la parola "responsabilità"? Deriva da respondeo. Nella responsabilità io rispondo all'altro. Ma perché rispondo all'altro? Perché non ne posso fare a meno. E perché non ne posso fare a meno? Perché io, da solo, non posso vivere. Allora la dimensione del valore è l'assunzione della reciproca responsabilità. A partire da qui si contratta
Il Grillo (2/12/1997)
Salvatore Natoli
Che cosa sono i valori
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Natoli: Valore è un termine che appartiene originariamente al linguaggio economico e che poi trapassa in quello etico. Infatti un tempo il linguaggio morale impiegava ben altre parole, soprattutto "bene" e "male", quando il "bene" era qualcosa di oggettivo e riconoscibile, non qualcosa di soggettivamente valutabile. Con la modernità emerge sempre più il soggetto come titolare della libertà e del giudizio. Il "bene" e il "male" dipendono dalla sua valutazione, e il "bene" si trasforma in valore, che, proprio perché valutabile, si relativizza. Con la secolarizzazione della società e il crollo delle ideologie, si dissolve, pressoché definitivamente, il riferimento alla universalità del valore. Il valore residuo, non l'unico, ma quello più celebrato diventa la libertà in tutte le sue accezioni, che, nella sua formulazione più estrema, come assenza di vincoli, rischia di risolversi nella dissoluzione di ogni valore. Questa condizione non è di per sé condannata alla catastrofe, ma, al di là del "bene" e del "male" non significa affatto che si può fare a meno dei valori, ma indica al contrario un compito più alto: saper ricostruire. La pretesa dell'incondizionato: quella sì che è catastrofica. Si pretende di riscattarsi nel tempo. Di qui l'apologia dell'istante. Al contrario, bisogna fare i conti con il tempo. E' misura e segno della finitezza, che è soprattutto reciprocità. L'etica ha la sua misura nel rapporto con l'altro. Incontrarsi per via è sentirsi reciprocamente obbligati, di più: divenire amici.

Natoli: Quest'introduzione ci dà la traccia del tipo di ragionamento che possiamo sviluppare. Si parla sempre di crisi dei valori. Qualsiasi fatto succeda come, si dice: "Eh, non ci sono più valori". Molto probabilmente però non si capisce bene che cosa vuol dire che questi valori sono in crisi. Anche perché la parola "valore", nella morale, è una parola molto tarda. Nei tempi antichi, nelle antiche società, ma fino all'Ottocento, anche in alcune propaggini novecentesche, quando si parlava di vita morale, il concetto dominante non era valore, il concetto dominante era il "bene", la differenza tra il "bene" e il "male". E la definizione del "bene" nel mondo antico era anche abbastanza semplice, perché il "bene" si identificava col costume ordinario, colla vita di una comunità, colle regole che si ripetevano attraverso la tradizione. E quindi l'atteggiamento etico era sostanzialmente un atteggiamento di conformità a queste regole. Poi, più avanti, si è sviluppato questo concetto meglio, dicendo che l'oggettività del "bene" consiste nel seguire la natura, perché si partiva dall'idea che la natura avesse un decorso, e un decorso obbligato. Staccarsi dalla natura, violarla, significava appunto fare il "male". Allora conformità alle condotte di una comunità, conformità alle regole della natura. Allora il "bene" e il "male" erano molto evidenti, molto chiari. Essere difformi dalla tradizione diventava "male", essere difformi dalla natura diventava "male", essere conformi diventava "bene". Ed erano società fondate fondamentalmente sulla obbedienza. Le regole si trasmettevano di generazione in generazione e, attraverso questo, le società si conservavano, perché la morale, che noi facciamo coincidere molto spesso con il dovere; è qualcosa di più. La morale è una strategia che nel tempo l'umanità ha elaborato per conservarsi, per riuscire, per vivere. Ecco, nella modernità le comunità naturali cominciavano ad allentarsi. Si partiva, si andava per il mondo. Gli uomini non morivano più dove nascevano, conoscevano altre realtà, altre storie, altri popoli. E questo metteva in crisi i valori originari, i valori di appartenenza. E allora in questa dimensione il valore tende sempre di più a staccarsi dalla oggettività del bene, per diventare invece la scelta di un individuo, il termine di una valutazione del soggetto. E allora nella modernità fondamentalmente il soggetto diventa il titolare del valore, perché valuta. E allora capite bene che dalla oggettività del "bene" si passa alla prospettiva della valutazione. Il valore è qualcosa che si scambia. Ecco, il termine nasce dall'economia. Il valore si patteggia, si scambia, si contratta. E dalla moderinità il sistema dei valori è diventato un sistema di accordi-disaccordi. Lo stato moderno nasce in base al "patto" e, così, avanti. E in questa situazione, per evitare il relativismo, che cosa ha fatto la modernità? La modernità ha cercato di costruire progetti universali di valore. Allora i grandi ideali, dalla Rivoluzione francese in avanti, erano ideali universali e, nello stesso tempo, salvaguardia delle prerogative individuali. Allora la modernità è in questa tensione forte, tra un progetto di universale e la istanza a garantire i successi personali, i successi individuali. E questa, questa è stata la tensione tra particolarismo soggettivo e universalismo etico. E i grandi ideali, i grandi totalitarismi, il comunismo, i grandi progetti di trasformazione erano dei progetti in cui si cercava di combinare insieme l'estrema libertà dei singoli, ma anche la realizzazione complessiva della comunità e della società.
Purtroppo questo ha prodotto un triste destino, perché l'operazione non è riuscita. C'è stata anche una catastrofe, un naufragio. Oggi noi ci troviamo invece in una situazione in cui l'universalità dei valori sembra finita, sembra che il soggetto possa decidere così, della propria vita. Secondo me non è proprio così. C'è la possibilità di ripensare i valori in termini diversi, perché per quanto i valori siano problematizzati, gli uomini, senza valori, non possono vivere. Ecco su questo schema, su questo impianto di ragionamento, che è una proposta di riflessione, comincio a sentire le vostre domande.

Lei pensa che ci siano valori assoluti, valori che sono da mettere in primo piano per far sì che la società vada in modo giusto?
Direi, per essere un po' breve nella risposta, che, se è vero che l'oggettività del bene è tramontata, non si capisce in modo concreto fino a che punto una cosa è assolutamente buona o no. C'è tuttavia un criterio in base a cui la valutazione può essere condivisa tra gli uomini. Ed è fondamentalmente questo: il valore che noi assumiamo nella società moderna, il valore "residuo", ma importante, è quello della libertà.
La nostra società è la libertà, però la libertà è un valore arrischiato, perché - e qui pongo un problema - se la libertà è assoluta, cioè assoluta assenza di vincoli, la libertà si tramuta in disperazione.

Molto spesso si è parlato di svalutazione dei valori, si è anche detto che "tutto equivale a tutto" Come si può discriminare tra ciò che è bene e ciò che è male, se poi tutto viene messo allo stesso livello?
Tutto viene messo allo stesso livello, appunto se si considera la libertà come puro arbitrio. Riprendo la domanda di prima. Se per libertà intendiamo che l'uomo può vivere senza nessuna condizione, e quindi lui è autore incondizionato della propria vita, allora questo soggetto può esser capace di tutto, dalla distruzione del mondo all'autodistruzione. Normalmente il risultato è l'autodistruzione. Perché? Perché, nonostante nella libertà incondizionata ci sia una voglia di onnipotenza, gli individui non sono una potenza infinita. Noi siamo puntuazioni di forza, siamo una quantità di potenza finita. Qual è l'assurdo della libertà incondizionata, di questo volersi a ogni costo? Di sentirsi potenza illimitata. Questo è pericoloso per il mondo, è pericoloso per sé e porta alla catastrofe.
Qual è il valore su cui si può costruire invece una relazione corretta? Il sentirsi finiti, e quindi il completamento di sé e nell'incontro con gli altri. Allora, a questo punto, la dimensione del valore è l'assunzione della responsabilità. Cosa vuol dire la parola "responsabilità"? Deriva da respondeo. Nella responsabilità io rispondo all'altro. Ma perché rispondo all'altro? Perché non ne posso fare a meno. E perché non ne posso fare a meno? Perché io, da solo, non posso vivere. Allora la dimensione del valore è l'assunzione della reciproca responsabilità. A partire da qui si contratta.

Non sarebbe più facile e comodo vivere senza valori?
Direi che in parte ho risposto a questa domanda. Cosa vuol dire vivere senza valori? Vivere senza valori vuol dire vivere senza valutare, cioè senza prendere posizione nei confronti della realtà, senza essere responsabili, non solo nei confronti degli altri, ma essere responsabili di se stessi. Io dico che l'uomo è riuscito, riesce, quando diventa titolare della sua finitezza, cioè si rende conto di quello che può fare, di quali sono le sue forze, di come deve rapportarsi con gli altri. Queste sono le strutture fondamentali dell'etica. Allora non avere valore, non avere prospettiva sulla realtà, vuol dire non avere neanche prospettiva su di sé. E quindi colui che pretende di vivere senza valore si autodissolve. Infatti in genere chi è.., il soggetto che vive senza valore - e lo vediamo nel nostro mondo - tende a liberarsi dal tempo, perché il tempo è una figura della responsabilità. Basta pensare a un appuntamento. "Appuntamento" vuol dire andare a incontrare una persona. Se si va in ritardo non la si trova. E la vita è fatta di appuntamenti, che vuol dire finitezza, che vuol dire rapporto, che vuol dire - ecco l'altra parola - "impegno". Essere senza valori vuol dire anullare il tempo. Ma noi siamo tempo, perché nasciamo, moriamo. Annullare il tempo vuol dire pretendere di essere Dio. Ma siccome non siamo Dio, chi vive senza valori è un Dio mancato e quindi il suo destino è l'autoddissoluzione. Noi possiamo cambiare i valori, criticare i valori, costruire i valori, ma non possiamo fare a meno dei valori.

Sicuramente esiste una crisi dei valori, ma secondo me la crisi comunque è un fenomeno che può avere anche risvolti positivi. Infatti anche dall'etimologia della parola: "crisi" appunto "scelta". Quindi si vengono a creare con questa crisi nuovi valori. Quindi tutti i giovani hanno la possibilità di scegliere tra nuovi valori e quelli vecchi. Questo appunto potrebbe creare anche poi un divario, un divario generazionale tra i vari valori. Lei che ne pensa?
La crisi è un fenomeno non solo negativo, ma molte volte è un fenomeno di crescita. Nelle malattie un tempo si parlava di punto critico, in cui il soggetto o moriva oppure passava verso un cammino di guarigione, di ripresa. Il punto critico quindi è un punto di passaggio, di scelta, e quindi anche di avanzamento. La crisi non è di per sé negativa. Il problema è: come si esce dalla crisi, come si risolve la crisi, come si è all'altezza della crisi.
Parlavo della modernità. La modernità nasce dalla crisi. La crisi dei vecchi valori, appunto: dell'obbedienza, della tradizione. La crisi dei valori vuol dire: chi ha detto che questo valore, che questa forma di legame sia eterna, non cambi col tempo? Ecco, allora, la grande modernità dice: quello che noi abbiamo creduto essere il bene, in fondo è un vincolo, ci ha legato, è un falso bene non ci permette di essere liberi. Allora la modernità è questa impresa di libertà. Quindi la trasgressione, la trasgressione di per sé non è negativa. La trasgressione molte volte è il segno di istanze nuove, ha un potere innovativo, ecco. Però, il ragionamento che io qui vado svolgendo è: perché dalla crisi si esca positivamente bisogna ripatteggiare le posizioni. Quando dalla crisi non si esce? Quando in quella rottura si ritiene di avere abolito il tempo, quando distruggendo i vecchi valori si ritiene di avere vinto una volta per tutte. Allora in questo caso si diventa vittima di un proprio delirio di onnipotenza. Quindi le crisi ben vengano, ma nella crisi bisogna capire, ecco, l'apertura di nuove alternative. Quindi la crisi è problema. Se la crisi non è vissuta come apertura di un problema, ma è vissuta soltanto come negazione del vincolo, allora l'esito è catastrofico.

Di crisi dei valori già si poteva parlare trent'anni fa, più o meno, diciamo nel '68 e da lì in poi. C'è questa crisi continua, fino ad oggi. Secondo lei potrà mai finire questa crisi che già da trent'anni è in atto. E poi nel '68 già non si pensava di aver risolto più o meno questo problema della crisi con nuovi valori, che invece adesso probabilmente non ci sono più?
I punti di crisi nella storia della modernità sono tantissimi, si potrebbe anche arretrare, ma il problema appunto non è di ricostruzione. Andiamo alla sostanza della domanda. Certo, nel '68 c'è stata una crisi, una crisi che ha avuto la caratteristica fondamentale di dissolvere - parliamo per esempio per l'Italia - i vecchi quadri della tradizione morale. Prendiamo alcuni esempi significativi. Si è messa in questione la famiglia, cioè il vincolo obbligato della famiglia. E' stato tematizzato, è emerso il tema della liberazione sessuale, un diverso uso della corporeità. Si è sviluppato fondamentalmente - si è sviluppato e si è incrementato - un processo che era iniziato con la modernità, come dicevo prima. Nella modernità si apre questo orizzonte, che rompe la tradizione, cioè questa nave che parte. E Nietzsche quando parla del moderno e poi anche della sua contemporaneità, parla del columbus novus, il nuovo colombo, che apre le frontiere di un mare aperto, cioè questa prora di nave, che taglia, ecco. Allora in questa operazione, in questo cammino, in questa prora, in questa vela, che frange le onde, ci si stacca dalla terra, che è pensata come stabilità. Il mare è l'azzardo, è l'impresa, il rischio. Ecco, da questo punto di vista è la possibilità di scoperta di nuove terre, di nuove frontiere, di fondare nuove città, nuovi popoli. Tutto il modello dell'utopia. Allora qui la trasgressione si lega a un'altra parola, "costruzione"; Il viaggio è l'avventura, la scoperta, la costruzione di mondi nuovi. Ecco allora i due momenti - già rispondevo -, le due facce della crisi: tagliare col passato per diventare fondatori di morale, non dissolutori di morale, fondatori di morale, essere creativi in questo senso: costruire nuovi rapporti. Ma per abitare la terra. Costruire nuovi rapporti, per fecondare patrie che si scoprono e si conoscono. Ecco questo è il cammino. Però il modello della nave - e questo vale per Nietzsche - non è soltanto la scoperta, le nuove terre, il cotruire nuovi valori, ma la nave è anche la deriva, l''aridità. Il mare come dicevano i Greci, è "infecondo", se non si pianta niente. Sono flutti, naufragio. Se non si diventa costruttori, se non si raggiunge una nuova terra - e in fondo Nietzsche in questo è stato troppo preso dal pathos del rischio - se si pretende di potere vivere nella aridità del mare, allora a questo punto si fa naufragio.E' il tema del sentirsi assolutamente liberi. Trovare la terra vuol dire trovare un nuovo vincolo. Ecco questo è il significato della modernità. Ecco, allora queste crisi si sono sviluppate e nella storia della nazione, nella storia italiana, il ‘68 è stato una emergenza di queste crisi. Allora vecchi valori, per esempio l'integrità della famiglia, i tabù sessuali, che nella pratica erano infranti, ma non era esplicitamente tematizzata questa libertà come un diritto, come un diritto alla fruizione della propria corporeità, e poi sul piano della politica.
Sul piano della politica il '68, anche lì in parte innova, in parte è legato alla tradizione. Qual era il progetto? Il progetto era la realizzazione di una grande comunità, di una comunità di liberi, secondo il grande modello comunista che non era necessariamente il modello sovietico. Infatti nel '68 c'è stata anche una critica del marxismo sovietico. Però l'istanza di una comunità di liberi, che sembra contraddittoria, una "comunità di liberi", che cosa è venuto fuori? Una libertà senza comunità. Dopo il, '68 noi non abbiamo avuto il costituirsi di una nuova grande comunità. Abbiamo infranto molti vincoli, però abbiamo prodotto anche cammini di dispersione, anomia. Su che base costruire i legami? Lì i legami erano costruiti sulla base delle ideologie, dei grandi progetti di futuro. Si poteva sacrificare la propria vita base per un ideale. Questo è ancora un modello moderno: immolarsi per un ideale. Vuol dire sentirsi in un cammino della storia: io sono nella direzione della storia. Quindi io in certo senso, col mio sacrificio, anticipo una comunità migliore.
Qui c'era una utopia, una utopia di onnipotenza, cioè l'idea di poter portare il paradiso sulla terra. E allora il grande pericolo, non solo di immolarsi per un ideale, ma di uccidere per un ideale. Nel Novecento, non solo ci si è immolati per ideali, ma molte volte, in nome degli ideali, si è prodotta la carneficina. L'umanità, i valori universali, nel Novecento, sono diventati anche macchina di morte. Qual è il motivo per cui sono diventati macchina di morte, mentre erano promesse di vita? Perché si è ritenuto che l'uomo potesse produrre, da se solo e con le sue sole forze, il paradiso in terra. Oggi noi invece ci troviamo in una società delusa da quello e allora non fa più comunità. C'è stato una specie di contraccolpo: visto che non abbiamo cotruito il paradiso in terra, allora c'è la deiezione, la disperazione. Invece il modo vero, da cui si può uscire, è ripatteggiare la nostra vita, convinti che l'uomo da solo perisce, però costruendo comunità dove il principio è quello leopardiano, cioè diventare compartecipi della comune gracilità. Ognuno deve prendere su di sé il peso dell'altro. Questo io, nel mio linguaggio, nel Dizionario dei vizi e delle virtù, lo chiamo etica dell'infinito. Al sogno di infinità bisogna sostituire un'etica del finito. Occorre essere responsabili e corresponsabili della nostra finitezza.

Secondo lei esistono dei valori principali su cui ci si deve basare per la ricerca di altri nuovi valori? I valori devono essere interpretati in maniera soggettiva, oppure devono essere, inculcati in maniera passiva, per esempio dalla famiglia, oppure dalla religione, e quindi si deve fare affidamento a dei valori assoluti? Cosa ne pensa?
Direi che nel mondo in cui noi viviamo non possiamo pensare il valore in termini contenutistici, del tipo: "Fai questo, che è bene, sempre, in ogni caso; non fare questo, perché è male sempre e in ogni caso". Questo suppone una società statica. Già Aristotele aveva capito che le cose non stavano così, quando aveva detto che "l'essenza della morale sta nella "mesotes"", nel "giusto mezzo", cioè a dire tra gli estremi trovare il momento della moderazione, del giusto mezzo. Aristotele, quando parlava di "giusto mezzo", non intendeva gli estremi, come gli estremi di un segmento, di cui sono noti i limiti. Questo è un modo sbagliato. Aristotele, quando intendeva il giusto mezzo, intendeva l'appuntamento col tempo. Cioè in questo momento qualè il giusto mezzo. Per cui non c'è una ricetta. I due limiti, noi sappiamo sempre qual’è il mezzo. Sarebbe anche il mezzo un contenuto. Mentre per Aristotele il mezzo è un'azione, cioè nella circostanza capire quello che è moderazione, che non è estremo, l'appuntamento col tempo, che i Greci chiamavano kairoi, cioè essere, l'appuntamento giusto con la situazione.
Qual’è il criterio per non mancare a questo appuntamento, perché la decisione sia propizia, non sia sbagliata? Ci vuole un criterio di fondo. E io direi che nel nostro mondo - ma il discorso meriterebbe più approfondita analisi -, nel nostro mondo i punti di vista da tenere insieme sono due, la libertà e la alterità. La libertà riguarda la capacità di movimento del proprio agire, di responsabilità rispetto a se stessi. Però si è veramente liberi, come accennavo prima, non se si ritiene che per noi non ci sono vincoli, ma se si è capaci di valorizzare la nostra forza, la nostra potenza; la quantità di energia che noi siamo, sapendo però che noi non possiamo tutto. L'altra dimensione, in cui la libertà si compie, è l'alterità, cioè a dire l'incontro, la relazione con l'altro. Oggi la cultura contemporanea sta riscoprendo questo tema. E' un tema che si sviluppa molto nella cultura contemporanea, nella filosofia contemporanea: la ripresa di alcuni temi religiosi, l'altro. Ecco, l'altro mi impegna, perché l'altro mi precede. Cosa vuol dire che l'altro mi precede? Mi precede nel senso che io non mi sono fatto da me. Ci sono stati i miei genitori che mi hanno generato, che mi hanno fatto crescere. Nella costruzione del mio io ci sono tanti vincoli, tanti obblighi. I genitori in particolare si sono impegnati, la società per prima si è impegnata. Quindi, se io sono riuscito o mal riuscito, dipende dalle responsabilità che mi precedono. Vedete quanto pesa il gioco della relazione libertà. I giovani possono essere distrutti da un impegno cattivo degli adulti nei loro confronti, dal non aver rispìettato la loro alterità; ma poi l'altro non è soltanto ciò che mi precede in termini cronologici. L'altro è quello che mi precede nel senso che non lo posso ridurre alla mia volontà. Anche un bambino. Se io vedo un bambino di due o tre anni, questo bambino mi precede. Ma perché mi precede? Perché non lo posso ridurre alla mia soggettività. Lo posso violentare, lo posso amare, ma mi impegna. Allora in questo senso io sono impegnato dalla sua realtà. E se la ditruggo parto dall'idea che io posso, in linea di principio, vivere facendo il deserto intorno a me. Ma questa è l'autodistruzione. Allora bisogna coniugare la responsabilità, la libertà, l'autovalorizzazione con l'alterità, con l'impegno nei confronti degli altri. Quindi il modo attraverso cui nella nostra società si può creare una etica adeguta al nostro tempo è di ripatteggiare costantemente le nostre posizioni, tenendo conto di queste due dimensioni di fondo: libertà e alterità. Quindi un contenutismo etico, quasi che ci fossero delle cose assolute non sta bene. E' invece in questo gioco della relazione che noi possiamo sortire buoni effetti di convivenza.

Lei prima ha parlato di morale e di trasgressione. Morale e trasgressione, per essere tali, implicano necessariamente l'esistenza di regole. Sono le regole che discendono direttamete dai valori o sono i valori che discendono direttamente dalle regole?
La domanda è interessante. Intanto tra regola e valore non c'è lo stesso significato, ma c'è una familiarità, nel senso che, se il valore è un patto su cui ci si accorda, nel senso che lo si valuta positivamente, dà successo al nostro rapporto nella vita, perché abbassa la crudeltà, ci permette di vivere meglio - ecco questo è il valore patteggiato, cioè il reciproco interesse che è la realizzazione collettiva, poi, ecco -, allora in questo senso il valore è una regola di condotta, come strategia di riuscita di una comunità e di un a società. Ecco allora, se è vero questo, il valore tende sempre di più a strutturarsi, a conformarsi come una regola, ma non tanto nella dimensione repressiva dell'obbligo, quanto dell'orientamento. La regola è qualcosa che orienta, che indica, che indirizza, la regola è quello che chiunque di noi apprende per fare una cosa. Per suonare il pianoforte ci sono regole, per usare il computer ci sono regole. La regola ha una funzione non di repressione, ma di orientamento. Detto questo, non ci può essere trasgressione se non c'è norma. Uno dei pericoli del nostro tempo, - e io qui lo avanzo come un discorso indicativo - è che noi siamo in una società che, avendo distrutto le regole, non riesce più neanche a trasgredire. Oggi siamo in una società anomica. Ecco perché allora c'è la vita istantanea, l'atto brutale, l'ubriacarsi, l'uccidere immediatamete, senza responsabilità e senza motivo. Uno dei pericoli della nostra società è che non esistono più neanche motivi per il male. Il male è l'assoluta banalità. E oggi quindi non ci può essere trasgressione. Una volta la trasgressione era segno di libertà. Oggi non si può più trasgredire e quindi c'è una crisi di identità. Ecco il movimento autodissolutorio, che l'assenza di riferimento e di regole produce in alcuni uomini. Per altro verso nella società si patteggia e molto e tanto. Ecco, dico questo per avviarmi un po' ad una riflessione conclusiva, che voi potete ricavare guardando quell'oggetto lì, ecco, che può essere un po' emblematico di questa situazione.

Esempio



  


  1. maria

    tesi in ambito della morale familiare.Frequento scienze religiosw

  2. Luigi

    Sto cercando un tema breve sui valori, la crisi dei valori e la loro definizione. Potreste fornirmi di questo entro stasera? Grazie.