Sfruttamento minorile

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Testo

VIOLA BALLABIO, MATTEO MAGGIONI, ANNA BUZZI, SILVIA NAPOLITANO, LORENZO SALA
Scheda tematica: Sfruttamento e Diritti dei Minori
Indice degli argomenti
1. La situazione
• La condizione dell’infanzia nel mondo ( da pag. 2 a 8 )
• Bambini di strada ( da pag. 8 a 14 )
• Bambini soldato ( da pag. 14 a 27 )
• Lavoro minorile ( da pag. 27 a 47 )
• Sfruttamento sessuale ( da pag. 47 a pag. 56 )
2. Un approccio preventivo-educativo
• Conoscenza e analisi dei fatti
• Prevenzione ed educazione
• Sfruttamento minorile
• Terapie ad hoc
• Vittime di guerre e violenza
• Il reinserimento
3. Strumenti educativi e di sensibilizzazione
• I minori hanno conquistato i loro diritti
• La Convenzione Internazionale sui Diritti dei Minori
• La risposta istituzionale
4. Bibliografia
5. Links
6. Grafici e tabelle
Lo sfruttamento minorile
Chissà quante persone penseranno che lo sfruttamento dei minori non esista più, o perlomeno solo nei paesi più disastrati, tutte queste persone si sbagliano, perchè basterebbe che si guardassero un po' intorno e, si accorgerebbero che di bambini, con meno di dieci anni , costretti ai lavori più pesanti, ne è ricco il mondo.
Questa è una piaga della società del nuovo millennio, che persisterà fino a quando la gente non smetterà di far finta che tutto è bello e pacifico, quando invece ci sono bambini costretti agli abusi sessuali, ad andare in guerra, a lavorare in cantine umide e malsane,subendo la prepotenza dei "nuovi schiavisti".
Quest'ultimi non tengono in considerazione la frustazione che possono provare queste piccole persone vedendo i loro mille sogni, infranti contro un telaio, una guerra, una vita priva di diritti; ma soprattutto non si mettono nei loro panni.
Non fanno ciò, perchè se no' scoprirebbero le torture che questi piccoli bambini sono obbligati a subire, e così la loro più sostanziale fonte di guadagno si dissolverebbe per un cuore tenero e pieno di compassione.
La cosa che più mi stupisce è che non c'è molto interesse pubblico su questo straziante fenomeno, inoltre ciò che fa l'UNICEF con le diverse organizzazioni non è sufficiente, perchè il problema persiste.
Questo ci dovrebbe far pensare e analizzare le nostre azioni, sentendoci tutti responsabili di una situazione che non può e non deve continuare.
LA SITUAZIONE
Dopo 10 anni dall'approvazione della Convenzione Internazionale sui Diritti dell'Infanzia si sono compiute numerose azioni e presi molti provvedimenti in difesa dei minori.
Ma, nonostante gli interventi contro i maltrattamenti, gli abusi, i disagi, purtroppo ancora centinaia di migliaia di minori in tutto il mondo sono privati dei loro diritti, vivono in condizioni di disagio fisico e/o psicologico, non conoscono l'affetto di una famiglia, non sanno cosa sia l'educazione; tutto questo come conseguenza della povertà, dell’abbandono, dello sfruttamento del lavoro, della violenza di maltrattamenti o dei traumi di una guerra.
I nuovi e moderni mezzi di comunicazione e di informazione diffondono solo marginalmente questa scottante realtà, una realtà vergognosa e raccapricciante, in netto contrasto con le idilliache e paradisiache immagini che siamo abituati a vedere e a sognare e tanto più inaccettabile in confronto ai grandi traguardi culturali e tecnologici che il mondo ha raggiunto.
I bambini i cui diritti vengono violati e calpestati sono centinaia di milioni in tutto il mondo.
CONDIZIONE DELL’INFANZIA NEL MONDO
Ogni generazione deve confrontarsi con nuove sfide: una delle nostre è imparare ad ascoltare la voce e le opinioni dei bambini.

Il rapporto dell’UNICEF La condizione dell’infanzia nel mondo 2003 è dedicato alla partecipazione dei bambini e dei ragazzi. Il rapporto incentra l’attenzione sulle responsabilità degli adulti perché

• cerchino di comprendere le aspettative e le opinioni dei ragazzi, tenendo in seria considerazione i loro punti di vista,

• aiutino i bambini e gli adolescenti a sviluppare le loro (competenze), affinché la loro partecipazione sia autentica e significativa.

La partecipazione implica un impegno rivolto a incoraggiare i ragazzi e a metterli in condizione di esprimere le loro opinioni sulle questioni che li riguardano. In pratica, la partecipazione richiede che gli adulti ascoltino i bambini, in tutte le loro molteplici e variegate forme di comunicazione, assicurando loro la libertà di esprimersi e tenendo le loro opinioni in dovuta considerazione, specialmente quando si adottano decisioni che li riguardano direttamente.

Il principio che i bambini e i ragazzi dovrebbero essere consultati su ciò che li riguarda incontra spesso le resistenze di coloro che vi scorgono una limitazione dell’autorità degli adulti in seno alla famiglia e alla società. Ma ascoltare le opinioni dei bambini e dei ragazzi non significa dover abbracciare a ogni costo i loro punti di vista. Piuttosto, interessare i bambini e i ragazzi al dialogo, coinvolgendoli in un proficuo scambio di idee, permette loro di apprendere i
meccanismi attraverso cui influire in modo
costruttivo sulla realtà che li circonda. Il dare
e il ricevere proprio della partecipazione

stimola i ragazzi a un’assunzione progressiva di responsabilità, contribuendo alla loro formazione quali futuri cittadini tolleranti, attivi e democratici.


IMPEGNARSI NELLA VITA

La partecipazione non solo viene percepita in modo differente durante le varie fasi dell’infanzia, ma assume anche caratteri e forme diverse. Incoraggiare la partecipazione implica non solo ascoltare bambini e ragazzi più maturi, brillanti e spigliati, ma tutti i giovani indistintamente, quale che sia la loro età o capacità. I bambini partecipano attivamente sin dalla nascita e la loro capacità di esprimere i propri bisogni e frustrazioni, sogni e aspirazioni muta con l’età, divenendo sempre più complessa durante l’adolescenza e l’età adulta. Sebbene la partecipazione dei bambini più piccoli differisca enormemente da quella dei giovani, vi è comunque una continuità evolutiva nello sviluppo delle capacità del ragazzo, che collega i primi passi di un bambino alle azioni politiche di un adolescente.

Il migliore inizio possibile
L’effettiva partecipazione alla vita e alla società dei ragazzi più grandi dipende da quanto la loro partecipazione sia stata stimolata nelle prime fasi dell’infanzia. Se i genitori e chi assiste il bambino assecondano nel primo anno di vita la sua inclinazione naturale, l’interrelazione che ne discende contribuisce al benessere emotivo del bambino. Al contrario, quando il processo di costruzione dei legami affettivi è alterato da maltrattamenti, mancanza di cure o dal ripetuto cambiamento delle persone che si occupano del bambino, il risultato che ne deriva può comportare, tra le altre conseguenze, mancanza di fiducia del bambino negli adulti e nella loro autorità, incapacità di dare e ricevere affetto, insufficiente comprensione dei sentimenti altrui, mancato sviluppo di una coscienza critica o del sentimento di solidarietà nei confronti dell’altro. Tali prevedibili effetti negativi sono alla base della grande preoccupazione per il crescente fenomeno dei bambini orfani a causa dell’AIDS, specialmente nell’Africa Sub-sahariana.

Aumentare le occasioni di partecipazione del bambino
Il dovere di offrire ai bambini le migliori condizioni possibili da cui muovere i primi passi nella vita, promuovendo e accrescendo le loro opportunità di partecipazione, spetta alle famiglie, alle amministrazioni locali, alla società civile e al settore privato. Ai governi nazionali spetta il compito di predisporre il quadro politico e la cornice istituzionale – nonché la stessa leadership – capace di sostenere adeguatamente le iniziative a carattere locale.

Un esempio di tali iniziative è il Progetto Genitori Capaci attuato nelle Filippine, attraverso il quale si insegna alle famiglie come ascoltare e comprendere ciò che il bambino tenta di comunicare. I genitori imparano, tra le altre cose, l’importanza di leggere racconti ai figli o di guardare insieme a loro i programmi educativi trasmessi in televisione. Il progetto ha migliorato l’alimentazione dei bambini e ha ridotto sia i maltrattamenti sia le punizioni eccessive da parte dei genitori.


PER UN APPRENDIMENTO PARTECIPATIVO

La scuola è tra i luoghi principali ove i bambini apprendono nozioni fondamentali e imparano a comprendere la realtà circostante, dove intraprendono il processo di socializzazione e diventano consapevoli delle aspettative che la società nutre nei loro confronti in qualità di futuri cittadini. Spesso ciò ha comportato l’imposizione di un obbedienza e di una sottomissione assoluta. Oggi, però, sono sempre di più le scuole dove mette in pratica un diverso modello di socializzazione, dove si permette ai bambini di pensare criticamente e divenire consapevoli

dei propri diritti e delle proprie responsabilità, dove i bambini e i ragazzi si preparano attivamente al futuro ruolo di cittadini.

L’istruzione delle ragazze
Tutte le organizzazioni per lo sviluppo hanno ormai da tempo riconosciuto l’efficacia, in termini di costi-benefici, di investire nell’istruzione femminile, nonché l’urgente necessità di operare in tal senso, soprattutto nell’Africa Sub-sahariana e in Asia meridionale, dove oltre 50 milioni di bambine in età scolare non hanno accesso all’istruzione elementare.

Nella provincia pakistana del Belucistan, per esempio, dove il tasso di alfabetizzazione femminile è pari al 2%, l’ufficio locale dell’UNICEF ha conseguito importanti risultati per la promozione dell’istruzione femminile, anche grazie all’impegno di un movimento scout altamente motivato. Fino ad allora non si era mai verificato che dei ragazzi contribuissero a promuovere i diritti delle bambine. Gli scout sono andati casa per casa a monitorare la frequenza scolastica delle ragazze, cercando di convincere i padri a iscrivere a scuola le figlie. Nei casi in cui nei villaggi non esistevano scuole elementari femminili gli scout hanno fatto sì che le scuole maschili ammettessero anche le ragazze; se il tragitto per recarsi a scuola si presentava lungo e pericoloso gli scout si offrivano di accompagnare le ragazze fino alle rispettive scuole. Il primo anno di attuazione del programma ha ottenuto risultati incoraggianti: ogni scuola interessata dal progetto ha registrato l’iscrizione di circa 10-15 nuove ragazze, permettendo nel complesso l’accesso a scuola di 2.500 nuove ragazze.

Le scuole
L’UNICEF continua a battersi per l’adozione di metodologie didattiche che favoriscano al massimo la partecipazione dei bambini e dei ragazzi, metodologie che promuovano l’apprendimento partecipativo, piuttosto che la trasmissione e l’assimilazione di nozioni e conoscenze in modo acritico e passivo. L’esperienza dimostra che se l’insegnamento

stimola nei bambini l’apprendimento attraverso l’esperienza, se è collegato alla vita e al contesto della loro comunità, sarà anche un insegnamento capace di favorire l’iscrizione delle bambine e il completamento del normale ciclo di studi.

Le scuole coinvolte nel progetto “Escuela Nueva” in diversi paesi dell’America Latina, come, ad esempio, in Colombia, in Guatemala, in Guyana e in Honduras, sono organizzate in gruppi di diverse età, nei quali si dà la massima importanza ai diritti dei bambini e alla loro partecipazione democratica. Un recente studio condotto in 25 scuole di due delle più violente aree della Colombia conferma la convinzione che i valori della collaborazione, della convivenza e della risoluzione pacifica dei conflitti possano essere trasmessi attraverso l’insegnamento. Lo studio ha rivelato che 15 scuole che utilizzano la metodologia prevista dal progetto “Escuela Nueva” hanno ottenuto un risultato diretto e significativo in termini di partecipazione e di comportamenti democratici degli studenti che vi si erano diplomati, in seno alle rispettive comunità di provenienza, nonché sui comportamenti di voto dei loro genitori. Il modello della “Escuela Nueva”, ha concluso lo studio, è in continua evoluzione, grazie alla creatività degli insegnanti, degli studenti, dei genitori e delle varie comunità che hanno compreso i potenziali benefici del cambiamento.

Lo sport
L’importanza dello sport per lo sviluppo fisico e mentale del bambino è ampiamente riconosciuta. Oggi vi è una convinzione crescente che lo sport abbia la grande potenzialità di contribuire al raggiungimento degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio, e per tale ragione il Segretario Generale dell’ONU Kofi A. Annan ha nominato una commissione di esperti in materia di Sport per lo Sviluppo, la Salute e la Pace, incaricati di elaborare una serie di raccomandazioni per fare dello sport uno strumento di sviluppo.


L’ETA’ CRITICA

Gli adolescenti sono i beneficiari diretti dell’eredità del mondo, il gruppo di età che sto per accedere ai vantaggi e alle opportunità dell’età adulta. Eppure, in ogni società gli adolescenti rappresentano il gruppo di età che più facilmente cade vittima dell’emarginazione e degli abusi, dello sfruttamento e della mancanza di rispetto, posti come sono in un limbo pieno di insidie e di pericoli, non più abbastanza giovani da ispirare uno spirito di protezione negli adulti, ma neanche grandi a sufficienza per avvalersi del potere e delle opportunità proprie del mondo degli adulti. Quasi ogni paese ha una popolazione di adolescenti che lotta per sopravvivere nelle strade delle grandi città: i dati più recenti stimano che il numero di questi giovani si aggiri intorno ai 100 milioni.


Cambiare la società
In Brasile, i ragazzi e le ragazze che vivono nelle strade dei centri urbani hanno trovato nel Movimento Nazionale dei Ragazzi e delle Ragazze di Strada uno spazio di partecipazione, che ha permesso di acquisire consapevolezza dei loro diritti, di riorganizzare le prospettive di vita per il futuro e di lottare per i propri diritti. Nel 1985 educatori provenienti da tutto il paese, già impegnati nel lavoro con i ragazzi di strada, decisero di fondare il Movimento, dopo un incontro nazionale a cui avevano partecipato delegazioni composte da adolescenti che rappresentavano i vari gruppi locali. Il movimento ha svolto un’azione positiva nella riforma della legislazione nazionale e ha giocato un ruolo di primo piano nella denuncia dell’assassinio indiscriminato dei ragazzi di strada. Attraverso la loro partecipazione al Movimento i ragazzi e le ragazze che hanno vissuto nelle strade imparano a reinserirsi nella vita familiare e comunitaria, a capire l’importanza di frequentare la scuola e a riappropriarsi di un proprio spazio dove possono battersi per i loro diritti.

ASCOLTARE I BAMBINI

Per colmare la distanza che separa la realtà in cui viviamo da un mondo in cui le opinioni dei bambini siano richieste e ascoltate, occorre un processo in cui tutti – i bambini, gli adulti, le famiglie, le comunità locali, quelle cittadine e le diverse organizzazioni della società civile - acquisiscano capacità nuove. Nel momento stesso in cui i bambini crescono e si sviluppano, la loro partecipazione passa dalla sfera privata a quella pubblica, dal contesto locale a quello globale.

La famiglia
La famiglia, in quanto primo luogo ove i bambini imparano a partecipare, rappresenta il contesto ideale dove i bambini possono imparare a esprimere le loro opinioni mentre rispettano quelle altrui. Come ha rilevato in una delle sue prime sedute il Comitato per i diritti dell’infanzia “Tradizionalmente il bambino è concepito come un componente subordinato della famiglia, passivo e invisibile. Solo recentemente i bambini hanno cominciato ad acquisire ‘visibilità’ […] e questo orientamento si sta ampliando, allo scopo di offrire loro maggiori opportunità di essere ascoltati e rispettati […]. A sua volta la famiglia diventa il luogo ideale in cui i singoli componenti, bambini inclusi, imparano a sperimentare nuove forme di partecipazione democratica”.

Riconoscendo il ruolo cruciale e vitale svolto dalla famiglia, molte organizzazioni hanno sviluppato campagne di informazione e di sensibilizzazione dirette ai genitori e alle famiglie, al fine di sostenere gli sforzi volti a incoraggiare la partecipazione dei ragazzi. L’Ufficio regionale dell’UNICEF per l’America Latina e i Caraibi, per esempio, ha elaborato una serie di linee-guida, che fanno appello al potere pubblico perché sostenga in vari modi il nucleo familiare: materialmente ed economicamente, responsabilizzando i genitori e predisponendo programmi che sostengano il loro impegno, applicando leggi e provvedimenti che combattano la violenza domestica e il maltrattamento dei bambini.


SPAZI PER LA PARTECIPAZIONE

Per ottimizzare la partecipazione dei bambini
e dei ragazzi si deve ridisegnare il mondo degli adulti. Ciò significa incoraggiare i bambini e i ragazzi affinché sviluppino e perfezionino le loro capacità e mettano in pratica i valori della democrazia. Spetterà agli adulti condividere con loro il controllo e il potere decisionale così come le informazioni a propria disposizione.

Per poter elaborare delle opinioni proprie i bambini devono poter accedere a informazioni adeguate e comprensibili in relazione al loro peculiare livello o stadio di sviluppo intellettivo. In molte situazioni l’accesso alle informazioni diventa una questione di vita o di morte, specialmente oggi, quando si è nel pieno della pandemia dell’HIV/AIDS. L’ignoranza o una scarsa conoscenza della malattia è largamente diffusa tra i giovani: studi effettuati in più di 40 paesi dimostrano che oltre il 50% dei giovani compresi alla fascia di età tra i 15 e i 24 anni non ha una corretta conoscenza delle modalità attraverso cui l’HIV/AIDS si trasmette.

Bambini e giovani non hanno di fatto alcuna visibilità nelle politiche pubbliche o delle opinioni espresse a livello nazionale. Perfino nelle società democratiche più avanzate che perseguono l’interesse degli elettori, i bambini e i ragazzi tendono a essere emarginati, nella supposizione che a parlare per loro saranno i genitori. Una soluzione a tale stato di cose è la crescita esponenziale dei parlamenti dei ragazzi, che rappresentano una risposta positiva all’esigenza sia di ascoltare le opinioni dei giovani sia di favorire lo sviluppo della cittadinanza democratica.



UN MONDO A MISURA DI BAMBINO

Alla chiusura della Sessione Speciale dell’ONU sull’infanzia tutti i paesi hanno adottato la Dichiarazione e il Piano d’azione contenuti nel documento finale “Un mondo a misura di bambino”, riaffermando il proprio impegno a promuovere e tutelare i diritti dei bambini e dei ragazzi. Attraverso interventi a carattere nazionale e la cooperazione internazionale, i governi si sono impegnati a promuovere migliori condizioni di vita e di salute, a offrire un’educazione di qualità, a proteggere i bambini dagli abusi, dalla violenza e dallo sfruttamento, a combattere la piaga dell’HIV/AIDS. Essi si sono impegnati a perseguire tali obiettivi, al fine di cambiare in meglio il mondo, non solo per ma soprattutto con i bambini e i ragazzi. Una delle più grandi e importanti lezioni da imparare è che i bambini e i ragazzi sono di gran lunga più capaci di quanto si possa pensare: saranno essi stessi a farsi avanti per realizzare le sfide lanciate alla Sessione Speciale di New York.

Ma per i milioni di bambini intrappolati nei conflitti armati o che sono costretti a una non-vita come schiavi dello sfruttamento sessuale o del lavoro minorile, queste sfide sono di gran lunga più gravose di quelle che qualsiasi bambino possa sopportare. Il mondo deve proteggere i suoi bambini molto più di quanto non faccia ora, anche aprendo le porte alla loro partecipazione.

Aprire loro queste porte è un dovere, non solo perché i bambini che le varcheranno saranno più capaci di difendersi da soli, ma soprattutto perché noi non possiamo immaginare di costruire un mondo a misura di bambino senza ascoltare attentamente ciò che essi hanno da dire e da proporre.

La democrazia non è mai scontata, né tanto meno garantita. Come ci ha rammentato il Segretario Generale dell’ONU Kofi Annan “Una delle più grandi sfide del genere umano nel nuovo secolo sarà quella di lottare per rendere la pratica della democrazia realmente universale”.

Se vogliamo raggiungere i traguardi fissati nel documento “Un mondo a misura di bambino” e se vogliamo conseguire gli Obiettivi di Sviluppo del Millennio, se vogliamo realmente cambiare questo mondo diviso, devastato, straziato dalle guerre, diffondendo e promuovendo la pratica della democrazia, se vogliamo sinceramente creare un mondo a misura di ogni essere umano, riusciremo nel nostro scopo solo quando ci avvarremmo della piena partecipazione dei bambini e dei giovani.
EMBARGO: 11 DICEMBRE 2002- ORE 11.00
DATI TRATTI DAL RAPPORTO UNICEF 2003
La condizione dell’infanzia nel mondo
- Ai bambini non registrati alla nascita viene negata un’identità, un nome e una nazionalità; nel 2000, oltre 50 milioni di neonati non sono stati registrati, cioè il 41% delle nascite nel mondo. Tra le aree con meno registrazioni, segnaliamo: l’Africa Subsahariana, dove il 71% dei bambini non viene registrato, seguito dall’Asia Meridionale, con il 56%.
- 11 milioni di bambini sotto i 5 anni muoiono ogni anno a causa di malattie che possono essere facilmente prevenute con i vaccini.
- Circa 120 milioni di bambini in età scolare non vanno a scuola, di cui il 53% femmine; in Africa Sub- sahariana e in Asia meridionale oltre 50 milioni di bambine in età scolare non hanno accesso all’istruzione.
- Quasi ogni paese ha una popolazione di adolescenti che lotta per sopravvivere nelle strade delle grandi città: i dati più recenti stimano che il numero di questi giovani si aggiri intorno ai 100 milioni.
- Vaccinazioni: nel 2001, tra i paesi con più alte percentuali di bambini di un anno che hanno completato la vaccinazione contro DPT (difterite, pertosse e tetano) troviamo: Cuba (99%), Vitnam(98%), Brasile (97%), Federazione Russa (96%), USA (94%); in fondo alla lista, troviamo: Repubblica Centroafricana (23%), Nigeria (26%), Ciad (27%), Niger (31%).
- Povertà: è la principale causa dei 150 milioni di bambini sottopeso nei paesi in via di sviluppo, che aumenta il rischio di morte e compromette lo sviluppo fisico e mentale.
- Dal 1990, oltre 2 milioni di bambini sono stati uccisi e 6 milioni sono stati gravemente feriti nelle guerre. Si stima che 300.000 minori, di cui 120.000 solo in Africa, siano stati arruolati con la forza in corpi militari, per diventare soldati, facchini, messaggeri, cuochi e schiavi sessuali.
- AIDS: 6.000 giovani al giorno contraggono il virus dell’HIV/AIDS. 14 milioni di bambini sotto i 15 anni hanno perduto uno o entrambi i genitori a causa dell’AIDS. La preoccupazione è particolarmente forte per i 10 paesi dell’Africa subsahariana in cui oltre il 15% dei bambini con meno di 15 anni sono orfani: Botswana, Burundi, Lesotho, Malawi, Mozambico, Repubblica Centroafricana, Ruanda, Swaziland, Zambia e Zibabwe. Si prevede che il numero degli orfani sia destinato a salire e che entro il 2010 in Botswana, Lesoto, Swaziland e Zimbabwe più del 20% dei bambini con meno di 15 anni saranno orfani.
In alcuni paesi, oltre il 50% degli orfani tra 0 e 14 anni hanno perso uno o entrambi i genitori a causa dell’AIDS: Zimbabwe (77% di orfani a causa dell’AIDS), Botswana (71%), Zambia (65%), Swaziland (59%), Kenya (54%), Lesoto (54%), Uganda (51%).
- Lavoro minorile e sfruttamento: 211 milioni di minori lavorano; 180 milioni di bambini tra i 5 e i 17 anni sono coinvolti nelle peggiori forme di lavoro minorile, un bambino su otto nel mondo.
- Tasso di mortalità infantile sotto i 5 anni: i paesi con i più alti tassi di mortalità infantile sono: Sierra Leone (316 morti su mille nati), Niger (265 su mille), Angola (260), Afghanistan (257), Liberia (235), Mali (231), Somalia (225), Guinea-Bissau (211), Congo (Rep.Dem.) (205), Zambia (202), Ciad (200), Burkina Faso (197), Mozambico (197), Burundi (190).
- Tratta dei minori: è un business da un miliardo di dollari l’anno, e si stima che ogni anno coinvolga 1.200.000 bambini e adolescenti. Nell’Africa subsahariana sta raggiungendo proporzioni preoccupanti il traffico dei minori destinati a essere sfruttati in lavori agricoli e domestici. La tratta delle bambine avviate alla prostituzione nel Sudest asiatico è un problema di enormi dimensioni; il traffico è spesso gestito da autorità di polizia, parenti e tutori, e tutti si dividono i profitti.
Si è registrato un notevole incremento nel numero delle ragazzine provenienti dalla Moldavia, dalla Romania e dall’Ucraina trasferite clandestinamente in Europa occidentale da bande criminali con base in Albania, in Bosnia-Erzegovina, in Kosovo e ex-Jugoslavia.
Bambini di strada
In molti Stati i bambini non sono considerati soggetti di diritto ma solo “responsabilità dei loro genitori”. Se non hanno genitori o hanno abbandonato la loro casa per scappare da un ambiente troppo violento, sono costretti ad affidarsi alla miseria della strada. Bambino di strada è ogni minore per cui la strada (intesa in senso ampio) è divenuta la sua abituale dimora e quindi non ha un’adeguata protezione ed è vulnerabile a subire abusi e violenze.
I PICCOLI “SNIFFA-COLLA” DI MANAGUA
SONO QUASI 600MILA, TUTTI SOTTO I 15 ANNI, VIVONO DI ESPEDIENTI E PICCOLI FURTI. PER AFFRONTARE LA MISERIA SNIFFANO LA COLLA DA CALZOLAI CHE RENDEEUFORICI E DA’ CORAGGIO, MA DEVASTA I POLMONI E LA MENTE. SONO I FIGLI DEL “NUOVO” NICARAGUA LIBERISTA, DOVE IL 70% DELLA POPOLAZIONE VIVE IN CONDIZIONI DI POVERTA’.
Juan ha 13 anni e si droga da quando ne aveva nove. Né eroina né cocaina: troppo care per un ragazzino della strada di Managua, che a stento si procura di che sopravvivere. Juan, come molti adolescenti della sua età, si “fa” sniffando la colla. Proprio quella dei calzolai, che viene venduta in qualunque mercato a mezzo centesimo di dollaro. In cambio, questa sostanza sortisce effetti simili quelli della cocaina: eccita e rende sicuri di sé abbastanza da reagire alla violenza della vita di strada.
Juan è uno degli oltre mille “huele-pega”(letteralmente sniffa-colla) che, secondo le stime ufficiali, circolano nelle strade di Managua. Uno, cioè, dei mille ragazzini che vivono sbandati senza casa e senza una famiglia alle spalle, e che cercano e trovano, nella "pega", l'unica alternativa possibile di vita. Stanno nella strada da quando sono bambini: i genitori stessi, in molti casi, li mandano a procurare cibo per la famiglia che in genere non dispone di altre risorse. Cominciano vendendo fuori dai mercati ma quasi tutti finiscono per rubare.
I PICCOLI "SNIFFA-COLLA".
Benchè non vi siano stime ufficiali, si calcola che per ogni bambino "huele-pega" altri dieci vivono tutta o gran parte della loro vita "en la calle". La "pega"(che peraltro è consumata solo da una minoranza dei bambini di strada) è considerata l'ultimo gradino della degradazione sociale, sotto la quale esistono solo la delinquenza e la droga, quella vera. Ma è la punta di diamante di una situazione gravissima. In tutto il paese i minori di 15 anni costituiscono il 46% della popolazione e gli adolescenti tra i 15 e i 20 anni circa l'11%. Secondo i dati forniti dall'Unicef dei due milioni di minori che vivono nel paese 600mila almeno si trovano in situazioni a rischio: privi di famiglia o di altri punti di riferimento, trovano nella strada il loro mondo e il loro unico modello di comportamento.
Se si incrociano questi dati con quelli della pesantissima crisi economica che ha colpito il paese dopo la guerra del 1982-1990, il gioco è fatto e i motivi della presenza di tanti adolescenti sbandati è presto compreso: oggi il 70% della popolazione vive in condizioni di povertà e il 16% in condizioni di indigenza o miseria, quasi il 50% non ha accesso all'acqua potabile, il 25% dei bambini non frequenta le scuole.
LA STRADA COME CASA
Famiglie allo sbando, prive di qualunque risorsa o tutela, sono la maggioranza nei quartieri periferici della città. Padri violenti e alcolizzati, madri che per ignoranza e inerzia hanno messo al mondo troppi figli senza avere i mezzi per badare a loro. Bambini e bambine sono oggetto di violenze, anche sessuali, all'interno delle stesse famiglie.
Per molti ragazzini è meglio la strada: lì, si sentono più liberi, costituiscono le loro bande e gruppi, in cui trovano un'alternativa a quelle famiglie disgregate. Ma nella strada cominciano i guai: da venditori i ragazzi si convertono facilmente in ladruncoli, formando "pandillas"(piccole bande) specializzate in rapine. Per i più deboli il passaggio alla "pega"è quasi automatico. La colla dà coraggio ed è inoltre un modo per sentirsi parte del gruppo. I consumatori abituali cominciano a inalarla la mattina presto, prima di partire per la scorribande. La droga fa passare la paura, rende allegri ed euforici. "Mi sento ricchissimo, mi sembra di volare, mi dimentico di tutto, dimentico che a casa mi picchiano, mi dimentico di avere una casa". Così descrive un bambino gli effetti della colla.
Commenti che sono assai simili per tutti coloro che consumano questa sostanza. Peccato che le controindicazioni della pega siano devastanti: svanito l'effetto, che dura poche ore, i consumatori sono colpiti da un mal di testa atroce e cadono in un sonno profondo, che a sua volta dura qualche ora. Più gravi ancora sono gli effetti a lungo termine. Da uno studio realizzato di recente su bambini consumatori abituali di “pega” e bambini non consumatori è emerso che i primi mostravano un ritardo mentale del 40-60% (oltre alle lesioni ai polmoni e alle vie respiratorie in genere).
I danni prodotti dalle “pega” vanno peraltro al di là degli effetti fisici. Chi sniffa ha bisogno in continuazione di soldi per comprarsi la colla ed è disposto a tutto per procurarsela, compreso prostituirsi.
IL RECUPERO POSSIBILE
Il recupero degli adolescenti non dovrebbe essere un’impresa disperata: la colla (ma in senso più ampio si potrebbe parlare di vita di strada in generale) è una droga micidiale per quanto riguarda gli effetti fisici ma non crea una dipendenza insuperabile. O meglio, la dipendenza è soprattutto psicologica. I bambini si rivolgono alla droga quando il mondo intorno non fornisce alternative di vita. “Questi ragazzi non cercano altro che una persona che indichi loro la strada, e una struttura affettiva e sociale che sostituisca quella che non hanno avuto” spiega un’assistente che lavora da anni per il recupero degli adolescenti a Managua. “Certo non è facile creare tutto questo, il lavoro è tanto, occorre molta pazienza ma il risultati che abbiamo ottenuto ci confermano che non si tratta di un tentativo disperato”.
Storia di Isaia, figlio della strada.
A 8 anni vendeva caramelle per mantenere la madre e i fratellini. Se tornava a casa senza soldi veniva picchiato. Ora è ospite della Casa do Menor, vicino a Rio, un centro di accoglienza di 800 ragazzi di strada creato da padre Renato Chiera. Ma in Brasile vivono 6 milioni di bambini come lui. Un popolo che conosce solo droga, furti e abbandono. E gli squadroni della morte.
. Così inizia il racconto di Mario Sanguinetti, 32 anni, agronomo, tornato recentemente da un’esperienza di volontariato nella Casa do Menor, a 30 chilometri da Rio, un villaggio di accoglienza per 800 bambini fondato nell’85 da padre Renato Chiera. Per questo “villaggio” il Cisv sta costruendo un’azienda agricola dove 24 ragazzi imparano un mestiere, proprio grazie alla guida di Mario e di altri volontari del Cisv. Ma torniamo ad Isaia.>. , mi raccontavano gli educatori, >. E sottolineavano che >.
La Baixada, dove abita la violenza.
>, continua Mario, >. La Baixada Fluminense è un agglomerato di costruzioni, case, casupole, baracche che formano un semicerchio di 40-50 chilometri intorno a Rio. È la grande periferia di Rio che si espande in modo informe tutto intorno, senza alcun piano edilizio, senza servizi di base. Solo un enorme stradone, la Dutra, che collega Rio a San Paolo, attraversa la Baixada da una parte all’altra fungendo da unica grande via di comunicazione per milioni di persone che vi si riversano sino a formare un lungo serpente di auto, camion, mezzi di fortuna, gente che corre. , prosegue Mario, .
Una vita in strada.
> iniziò a raccontarci >. Poche parole per esprimere anni di disperazione e di angoscia per un futuro che non c’è .
i bambini come Isaia, in Brasile, sono 6 milioni: una volta e mezzo la popolazione del Piemonte. Vivono di furti, spesso sono coinvolti nello spaccio di droga. Negli ultimi 10 anni, soltanto a Rio, più di 6000 bambini sono stati uccisi dagli squadroni della morte, pagati dai trafficanti di droga e dai commercianti che vogliono “far pulizia” nelle strade. Ma l’infanzia sembra essere negata anche ai ragazzi che vivono in famiglia. I minorenni in stato di povertà sono 45 milioni. Gli analfabeti tra i 7 e i 14 anni sono il 28%: su 100 iscritti alla prima elementare solo 18 arrivano alla quinta. Sono 500000 i bambini che lavorano prima di aver compiuto i nove anni ( e il 92% non viene pagato). Quanto ai meninos de rua conoscono solo famiglie disgregate, alcolismo, violenza e miseria in un Paese che è tra le maggiori potenze del mondo. Un divario incolmabile divide il Brasile ricco, quello delle agenzie turistiche e quello delle spiagge tropicali, da quello misero delle periferie in cui si ammassano milioni di disperati. Famiglie disgregate che per lavorare e sopravvivere devono lasciare i propri figli abbandonati a se stessi tutto il giorno pur sapendo che la strada inesorabilmente se li prenderà perché saprà offrirgli quello che un misero salario non riesce a garantirgli.
Bambini e ragazzi che vedono i riflessi di un’altra vita, non loro, sugli schermi dei televisori e che lentamente abbandonano i loro genitori perché non possono dargli ciò che vorrebbero. > riprende Mario. . Le parole di Mario scorrono fluide delineando storie immaginabili nelle nostre società ricche dove, al contrario, i problemi adolescenziali nascono il più delle volte dall’egoismo che spesso caratterizza il nostro stile di vita, dal troppo “avere” al poco “essere” che spinge ragazzi poco più che diciottenni a lanciare sassi da un cavalcavia.
In cerca di futuro.
> cercando di riprendere il filo del discorso ormai perso su altri sentieri. > risponde Mario >.
BAMBINI ALLA DERIVA
In grave crisi da un anno, l’Argentina sta sprofondando nella sua miseria.
Christina Owen-Jones, incaricata di una missione dell’Unesco, è partita per sostenere i Foyers Don Bosco, un’associazione non governativa che aiuta i bambini di strada, sempre più numerosi.
Racconta il suo viaggio sconvolgente. Più che mai decisa a non abbandonare al suo destino questo paese che ama.
Christina Owen-Jones ha accettato una missione dell’Unesco in Argentina. A sostegno dei Foyers Don Bosco, che offrono hai bambino di strada un posto dove stare, del cibo.
E fanno imparare un mestiere grazie ad alcuni laboratori professionali. , spiega. . Christina ha passato una settimana con gli educatori dei Foyer Don Bosco. . Là ricevono un pasto caldo, possono farsi una doccia, dormire un po’. Lontano dalle bande, dalla droga, dalla violenza della città. Nella capitale, i bambini non muoiono ancora di fame, come accade nelle campagne ma la situazione è ugualmente gravissima. Se molti ragazzi riescono ancora ad andare a scuola, è perché nelle mense continuano a servire pasti caldi. Ma sono già molte le scuole che non sono più in grado di garantire cibo per tutti. Tocca ai professori ogni giorno stabilire chi ha diritto al pasto…Continua Christina:. Il lavoro di reinserimento viene fatto per lo più nei Foyers Don Bosco , specie di grandi case dove ai ragazzi viene offerto un campo in cui giocare o qualcuno con cui parlare. Ci sono anche alcuni laboratori nei quali è possibile imparare un mestiere. Si tengono regolarmente dei corsi di alfabetizzazione, uniti a corsi di formazione professionale per diventare falegname, elettricista, meccanico, sarto…. Ci sarà qualcosa che l’ha colpita di più….
Ma come si finanziano i Foyers Don Bosco?
EDUCATORI IN STRADA.
Ma il lavoro con e per i ragazzi di periferia pretende un metodo e pone dei rischi, oltre a comportare delle fatiche. “Il metodo scelto da Casa Dez è quello del lavoro e dell’esperienza educativa di strada. Noi educatori lavoriamo in coppia, perché così è possibile scambiarsi parei e sensazioni che si hanno dopo una visita ai ragazzi in strada in modo da completare e correggere l’analisi circa la loro situazione. Le visioni e le letture degli educatori possono essere diverse e magari completarsi, oltre al fatto che lavorare in due da più forza. Abbiamo sperimentato sulla nostra pelle che non è corretto lavorare nella zona in cui si abita; anche se inizialmente questo può servire a formare delle leaderanze locali, a lungo andare questo non serve per il lavoro educativo di strada. Sia perché si tende a confondere i ruoli fra educatori e leader comunitario, sia perché così di è più esposti a rischi e minacce. Non dimentichiamo che la maggior parte degli adolescenti con cui abbiamo a che fare sono autori di atti contro la legge, coinvolti con il narcotraffico, minacciati di morte magari dalla Polizia. Ogni giorno i problemi aumentano così come aumenta la violenza”.
Lindalva trasmette una passione contagiosa. Sentirla parlare è un poco rivivere le strade di periferia di San Paolo, i loro colori, odori, rumori. Parla, e le sue parole non sembrano imprigionate dalla ragione, ma consegnate alla passione di chi, anche se cerca una definizione “scientifica” del lavoro educativo e si interroga sul metodo pedagogico, non vuole però mai perdere di vista la ragione ultima che infine lo sostiene: quella del cuore.
Questa ragazza dal viso dolce e dal sorriso pieno è appassionata del suo lavoro. Perché il suo lavoro,mal pagato e peggio riconosciuto, è per e con i ragazzi delle favelas. Anzi, essi sono in realtà il suo mestiere. Ragazzi e adolescenti della strada: tutti o quasi meticci, migranti e ribelli.
L’EX GRANAIO DELL’AMERICA LATINA
Poco tempo fa, il mondo ha scoperto con orrore le immagini dei bambini argentini che muoiono di fame. E ha preso coscienza della realtà della crisi economica che sta flagellando il paese da circa un anno. Per valutare l’entità del disastro qualche cifra: nel 1978, l’18% degli argentini viveva sotto ogni soglia di povertà. Oggi sono il 53%, con una brusca impennata nel corso dell’ultimo anno. Toccate dalla disoccupazione (la media nazionale è del 18% ma in alcune regioni arriva anche al 40%), molte famiglie hanno mandato a lavorare i propri figli per le strade delle grandi città per poter comperare da mangiare. Nelle province rurali molti lavoratori stagionali sono rimasti disoccupati e si sono riversati nei centri urbani, nella speranza di avere più fortuna…Buenos Aires, la capitale, è diventata il bacino di raccolta di tutta la miseria del Paese. In questa megalopoli, le bidonville sono sempre più grandi, le strade e le stazioni si trasformano nel precario rifugio di tanti bambini che la povertà ha allontanato dalle famiglie e da qualsiasi istituzione.
In questo marasma generale, la sopravvivenza è diventata una battagli quotidiana per centinaia di migliaia di argentini. Ma come a cadere così in basso il “granaio dell’America Latina”, Paese che in teoria avrebbe capacità di nutrire la popolazione degli Stati Uniti? Inflazione, svalutazione del peso, eccessivo indebitamento, eccessivo indebitamento, “abbandono” da parte del Fondo monetario internazionale e della Banca mondiale: sono molteplici i fattori che hanno causato il tracollo. Gli argentini dal cento loro accusano la classe politica di non aver fatto più niente per i più niente per i poveri. Il liberismo a oltranza e la corruzione vengono additati come le principali responsabili. I politici si accusano a vicenda, gli argentini si sostengono l’uno con l’altro.
Bambini Soldato
Migliaia di bambini vengono arruolati negli eserciti e impiegati in azioni di guerra. Moltissimi vengono catturati, mutilati, feriti, uccisi. Quelli che sopravvivono si portano dietro per tutta la vita questo terribile e violento passato. Inoltre, anche quando la guerra termina, continuano a venire uccisi dalle mine, disseminate ovunque, anche nei giocattoli lasciati appositamente ai bordi delle strade.
In Rwanda, durante il conflitto scoppiato nel 1994, circa 4.000 bambini sono stati “arruolati” nelle Forze armate rwandesi, l’esercito sconfitto, e altre migliaia continuano a far parte del nuovo esercito, l’Armata patriottica rwandese.
Ma il fenomeno dei piccoli soldati non è solo rwandese. Anzi, negli ultimi anni si è spaventosamente diffusa in tutto il mondo la pratica di armare i bambini. Nel rapporto dell’UNICEF del 1996 si legge che nel 1988 il numero dei bambini al di sotto dei 16 anni che hanno combattuto ammontava a 200.000. Nel 1986, in Uganda, l’Esercito di resistenza nazionale aveva tra le sue fila, 3.000 adolescenti, molti dei quali di età inferiore ai 16 anni, tra cui figuravano ben 500 bambine e tutti, molto spesso sono stati imbottiti di anfetamine o altre droghe.
Sono ancora 300.000 i bambini soldato
L’UNICEF invita il Consiglio di Sicurezza a tener conto dei bambini in tutte le sue decisioni
New York, 15 gennaio – Il Direttore generale dell’UNICEF Carol Bellamy ha esortato il Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite ad adottare “una cultura della responsabilità”, chiedendo conto delle loro azioni a chi utilizza bambini nei conflitti armati.
Bellamy è intervenuta ieri a una sessione speciale del Consiglio di sicurezza sulla questione dei bambini nei conflitti armati, a seguito di un rapporto scritto del Segretario Generale che “fa i nomi” di quegli Stati in conflitto che reclutano e utilizzano bambini soldato.
“Può esservi una ragione più importante della sofferenza di questi bambini perché si decida di agire?”, ha chiesto Bellamy al Consiglio; “Se esiste, è difficile da immaginare”, e ha aggiunto: “I bambini rappresentano le generazioni future per salvare le quali l’ONU venne fondata, e siamo noi che abbiamo il potere di porre fine alla sofferenza inflitta a tanti bambini in tanti paesi”. Bellamy ha chiesto al Consiglio di sicurezza di fare riferimento, in tutte le sue delibere, alla lista di paesi indicata dal Segretario generale, e di aggiornarla costantemente, includendo anche quei conflitti armati che non sono per ora sull’agenda del Consiglio.
L’UNICEF da parte sua utilizzerà la lista intensificando l’azione di pressione a livello globale e nei singoli paesi, ha detto Bellamy: la smobilitazione dei bambini soldato è una priorità per l’UNICEF e il reinserimento dei bambini nelle loro comunità è un processo difficile ma essenziale; ogni trattato di pace dovrebbe sempre includere clausole specifiche per il disarmo, la smobilitazione e il reinserimento dei bambini utilizzati nei conflitti armati.
Nel mondo oltre 300.000 tra bambini e adolescenti vengono attualmente utilizzati come soldati, ha dichiarato il Direttore generale dell’UNICEF. “Questi bambini sono la prova vivente del sistematico fallimento della comunità internazionale nel proteggere i bambini. Per questo il lavoro dell’UNICEF punta alla costruzione di un ‘ambiente protettivo’ per i bambini, che li salvaguardi dallo sfruttamento e dagli abusi prima che questi vengano commessi”. Occorre quindi prevedere strategie efficaci per prevenire un nuovo reclutamento, investendo nell’istruzione e formazione, con il sostegno alle famiglie e alle comunità locali, avendo particolarmente a cura la condizione delle bambine, che - quando non costrette a combattere - sono comunque vittime di violenze indicibili, ridotte a schiave sessuali e private della loro libertà.
“In passato gli adulti responsabili delle sorti del mondo hanno promesso di alleviare le sofferenze dei bambini, di porre fine al loro sfruttamento, di difenderli da un infanzia negata, di proteggerli da stupri, mutilazioni e arruolamento”, ha affermato Bellamy. “Ancora una volta, però, in paesi come Ruanda, Sierra Leone, Sudan, Afghanistan, Kosovo, Colombia o Timor Est ha prevalso la crudeltà. Dobbiamo fare di più contro l’impunità, per affermare una cultura delle responsabilità. Dobbiamo riconoscere”, ha concluso, “che davanti alle sofferenze dei bambini nei conflitti tutti noi siamo responsabili”.
L’UNICEF opera in 25 paesi colpiti dalla guerra per creare e potenziare un ambiente in cui i bambini siano protetti, rimettendo in funzione le scuole, ricongiungendo i bambini alle loro famiglie, operando nelle cliniche e negli ospedali, assistendo i bambini vittime di traumi, promuovendo campagne contro il reclutamento dei bambini soldato e per la loro smobilitazione.
Per sensibilizzare l’opinione pubblica sul tema dei bambini soldato, l’UNICEF Italia e la trasmissione radiofonica “Zapping” del GR1 Radio Rai hanno recentemente lanciato l’iniziativa “Infanzia violata, infanzia rubata”, una campagna di sensibilizzazione per dire TRE NO, No ai bambini soldato, NO alle mutilazioni sessuali, NO al turismo sessuale.
PICCOLI ASSASSINI IN NOME DEL VANGELO.
Si fanno chiamare “Esercito di resistenza del signore”, recitano il rosario cento volte al giorno,ma, con la Bibbia in mano, massacrano e razziano i villaggi. Sono i piccoli combattenti di Yosef Kony, un invasato che rapisce i ragazzini e li costringe a combattere il governo “ateo” di Kampala, anche grazie all’appoggio del Sudan.
Ho visto donne e bambini senza labbra e senza orecchi. E’il loro gioco preferito. Le tirano via con il machete. Questo è il commento di un volontario che opera nel nord Uganda e ha chiesto l’anonimato. “Me lo consenta aggiunge sono dei veri e propri Lanzichenecchi!” Non stiamo parlando di un esercito di ventura d’ altri tempi , ma di una formazione di guerriglieri ugandesi, l’Esercito di Resistenza del Signore che ormai da anni sta dando filo da torcere al governo di Kampala. Il loro leader, Joseph Kony, vive nel bosco, al confine tra Sudan ed Uganda ed è una sorta di primula rossa. Nessuno è riuscito a scovarlo. Nelle dichiarazioni, che rilascia attraverso il suo portavoce a Nairobi, dice di non sopportare la politica atea del presidente ugandese Yoweri Museveni . E per questo gli fa guerra. Ma la contraddizione è palese. I suoi uomini combattono con il rosario al collo, recitano l’ Ave Maria cento volte al giorno, predicano l’ avvento del Regno di DIO e dicono di conoscere a memoria i dieci comandamenti. Di fatto , però sono i primi ad ammazzare senza pietà. Nelle loro fila ci sono anche ragazzi che combattono sotto l’effetto di narcotici.
BAMBINI GUERRIERI.
La loro strategia consiste nel saccheggiare i centri abitati del nord Uganda, uccidere chiunque capiti loro a tiro e rapire i minori (prevalentemente dagli 8 ai 16 anni9. “Sono proprio i ragazzi e le ragazze della mia età racconta Lucy Okwete, 14 anni, originaria di Patongo il loro bersaglio preferito. Io sono stata rapita nel novembre del 1986 dal mio villaggio natale e portata, due mesi dopo, in Sud Sudan, al campo di Jabulen ,al 39°miglio sulla strada che da Juba porta a Nimule.
E’ li che i ribelli hanno la loro base”. Lucy è tra le poche fortunate ad essere riuscita a sfuggire dalla ferocia dei guerriglieri e a riabbracciare i propri cari. “Tutti noi ragazzi aggiunge, dovevamo combattere a fianco dell’ esercito governativo di Khartoum contro i ribelli sud-sudanesi dell’Esercito Popolare del Sudan (SPLA) e contro i governativi ugandesi. Chi , tra noi ragazzi, non ubbidiva prontamente agli ordini del capo veniva ucciso senza pietà.
Ho visto con i miei occhi bambini di nove anni fatti a pezzi con il machete solo perché piangendo chiedevano di rivedere i loro genitori. Due delle mie compagne, che sono tuttora nel campo, sono diventate donne di Kony. In tutto ha 88 mogli che tratta come schiave.
LA VIOLENZA COME MAESTRA.
In Brasile sono milioni i bambini e gli adolescenti che vivono in situazione di povertà. Nella sola San Paolo, nel 1996, il numero di disoccupati ha raggiunto quota un milione e mezzo, senza tener conto che il 20% degli occupati è impiegato nell’economia informale. Una famiglia su cinque, con figli minorenni, ha un reddito pro capite inferiore al salario minimo (115 dollari) e di queste il 40% vive in abitazioni senza allacciamento fognario e senza acqua potabile. In una tale situazione sono i bambini e gli adolescenti a pagare il prezzo più alto: nel 1990 a San Paolo venivano assassinati805 minori. Alcuni di loro cadevano vittime di “giustizieri” assoldati per sopperire alle carenze della Polizia locale. “A questo stato delle cose che li emargina e li angustia, i ragazzi di periferia rispondono con rabbia e violenza: esclusi dalla scuole e dal modello consumista , diventano facile preda della droga e della piccola malavita”. Tiene a precisare Lindalva.
“Questi ragazzi hanno, cioè, una maniera tutta speciale di esprimersi, di vedere il mondo; obiettivo dell’ educatore di strada è che il ragazzo non perda questa energia, continui a gridare e a rivendicare, ma d’ora in avanti non per un’energia fine a se stessa, ma canalizzata, costruttiva e non più distruttiva”.
IL MIO NOME E’ ISMAEL
“Elegante nel suo completo marrone con cravatta scura, i lunghi dreadlocks (treccine) pettinati all’indietro , il ventenne Ismael Beah era ben mimetizzato quel 7 maggio 2002, nella folla dei delegati di Stati, Agenzie internazionali e organizzazioni governative riuniti nel Palazzo di Vetro di New York per la sessione speciale dell’Assemblea generale dell’ONU dedicata all’infanzia
Quando il suo microfono è stato acceso, Ismael ha raccontato la storia di un tredicenne spaurito, uscito da scuola e ritrovatosi di colpo orfano e soldato quando la guerra era piombata sul suo villaggio, in Sierra Leone. Ha raccontato di una scelta compiuta con una pistola puntata alla tempia (arruolarsi o morire) di un rapido e brutale addestramento e del primo combattimento, dove il terrore e la vita dei compagni di scuola caduti attorno a lui all’imboscata lo hanno spinto a premere il grilletto e a uccidere altri essere umani.
Anche il Segretario generale Kofi Annan ascoltava con commozione le sue parole, e nessuno a avuto certo da obbiettare sulla mancanza di diplomazia allorchè il ragazzo ha concluso il suo intervento dicendo “Signori, è un buon inizio scrivere documenti e roba simile, ma adesso è ora di smettere di terrorizzare, diamoci da fare sul serio per risolvere questo problema.”
SOLDATI BAMBINI
Il problema di Ismael è quello vissuto da altri 300.000 bambini e adolescenti che in tutto il mondo spendono la propria infanzia al servizio di eserciti, guerriglia e gruppi paramilitari di ogni tipo.
Li chiamano “bambini soldato”, ma forse sarebbe più appropriato definirli “soldati bambini”, perché la vita militare lascia a loro ben poco dell’infanzia. Sono infatti soldati a tutti gli effetti, e senza sconti per la loro giovanissima età. Come gli adulti, sono sottoposti a una disciplina durissima, che prevede sanzioni severe, o persino la morte per le infrazioni o per i tentativi di fuga. E come gli adulti, combattono, uccidono e vengono uccisi. Ma ancora più di loro sono adatti per alcuni incarichi particolarmente rischiosi: portare messaggi al di là delle linee nemiche, operare come spie e sabotatori, oppure come vere e proprie “esche sessuali” per soldati e ufficiali nemici, sorte non infrequente per le ragazzine in armi. E se c’è da combattere, i bambini sono i soldati migliori. Incoscienti per vita dell’età, quando non anche sovreccitati dalle droghe distribuite dai comandanti, sono pronti a rischiare la vita in battaglia e a commettere senza esitazioni qualsiasi atrocità che venga a loro ordinata. Nella guerra civile da poco spentasi in Sierra Leone, i ragazzini arruolati nel Fronte Rivoluzionario Unito (RUF)sono divenuti tristemente famosi al mondo per la spietatezza con cui punivano i nemici catturati e civili accusati di fiancheggiarli, lasciando lasciando loro la scelta della mutilazione da subire con il machete.
“Chiamammo fuori gli abitanti del villaggio di Kabala e chiedemmo a ognuno se preferiva la manica lunga (amputazione al braccio) o corta (al polso)… mettevamo mani e avambracci in borse separate, e chi aveva la borsa più piena riceveva una promozione”, racconta Abbas, ex miliziano del RUF, uno degli oltre 6.800 bambini soldati sierraleonesi smobilitati nel 2002 grazie soprattutto all’impegno dell’UNICEF e delle organizzazioni partner.
Le amputazioni, gli stupori di gruppo e le uccisioni in battaglia non sono neppure le azioni più efferate commesse dai giovanissimi miliziani. Molti di loro sono costretti a compiere violenze e torture su altre ragazzi , per dimostrare la minima esitazione a eseguire gli ordini. Alcuni comandanti incitano i ragazzi a usare le armi per procacciarsi cibo, sesso e denaro presso i civili, inculcando in loro il senso di una completa impunità “Quando maneggiavo la mia mitragliatrice pesante, nessuno osava starmi di fronte. Gridavo a chi mi stava di fronte : Ti ucciderò se ti muovi.- e poi lo ammazzavo là dov’era… Picchiavamo e uccidevamo, senza mai temere le conseguenze. Eravamo pronti a tutto, eravamo più forti.”, racconta Zakaria, miliziato dai 9 ai 14 anni.
“L’arma rappresentava il nostro potere, e ci dava il diritto di ritenerci superiore a qualsiasi civile”, ha spiegato Ismael nel suo intervento all’ONU. Il meccanismo perverso dell’incoscienza, del senso di onnipotenza e del gioco della guerra (così molti di questi bambini hanno vissuto la loro allucinante esperienza bellica) ha reso questi bambini fra i più spietati e temibili fra i nemici, al punto da rendere a volte impossibile il loro reinserimento nelle famiglie e nelle comunità di provenienza. Vedere bambini uguali ai propri figli commettere azioni di indicibile ferocia è un trauma che segna profondamente gli adulti, distorcendo in maniera innaturale la loro percezione dell’infanzia: anche di ciò sono colpevoli coloro che utilizzano i bambini come strumenti per le loro guerre:
LA LUNGA STRADA VERSO CASA
Per l’opinione più comune, le sofferenze di un bambino soldato hanno finalmente termine con la sua smobilitazione . E’ consolante pensare che, smessa la divisa, un ragazzino torni rapidamente a essere quello di prima e riprenda a studiare e a giocare con i suoi coetanei. Purtroppo, la fine la fine della carriera militare è solamente l’inizio di un lungo doloroso percorso di recupero, il cui esito dipende dalle intensità della sofferenze vissute dal soggetto e da molte altre variabili difficilmente controllabili dall’esterno. In tutte queste fasi, organizzazioni come l’UNICEF possono svolgere un ruolo decisivo.
Il rilascio di minori in armi non è sempre un fatto legato alla fine di una guerra o a un trattato di pace. Spesso la mobilitazione avviene nel pieno delle ostilità, a seguito di estenuanti negoziati condotti dall’UNICEF.
Nel febbraio 2001, nel pieno del pluridecennale conflitto del Sud Sudan, l’UNICEF ha gestito la più grande operazione di smobilitazione della storia, con 3.551 bambini soldati liberati dall’Esercito Popolare di Liberazione del Sudan (SPLA): per ciascuno di essi l’UNICEF e organizzazioni partner hanno organizzato un percorso di assistenza medica e psicologica, nonché di nutrizione, reinserimento scolastico e ricongiungimento familiare. Entro l’agosto successivo, tutti i bambini erano stati riuniti alle famiglie di appartenenza e dati in affidamento .”L’operazione è stata il risultato di un dialogo fra persone e punti di vista, e ci ha aiutato il fatto che il principale negoziatore dell’UNICEF avesse esperienze militari (ha dichiarato il comandante ai vertici della SPLA). Noi ci siamo impegnati a rispettare i principi e le Convenzioni internazionali, e a fare in modo che le giovani generazioni non debbano soffrire ancora.
I protocolli di intervento dell’UNICEF prevedono che i ragazzi disarmati passino entro 48 ore in zone sicure, sotto il controllo delle autorità civili. L’abbandono dell’esercito, che per anni è stata l’unica risposta ai bisogni affettivi di questi bambini, apre una fase assai delicata della loro esistenza, nella quale è importante che siano seguiti da personale competente (insegnanti, psicologi , assistenti sociali) , che li aiuti a prendere coscienza del loro vissuto e sopportarne il peso.
Molti ex bambini soldato sono tormentati da incubi nei quali rivivono le violenze commesse, altri sono terrorizzati dal pensiero di essere oggetto di vendette da parte delle loro vittime, oppure rimpiangono di non avere più armi per difendersi dal mondo. Abbas, 16 anni di cui metà passati a combattere nella giungla con il RUF, confessa di avere di continuo impulsi violenti: “ Tre mesi fa un mio amico mi ha insultato: ho sfilato un coltello a una donna che passava, e l’ho sfregiato… Quando vedo una ragazza carina, penso ai tempi in cui stupravamo a nostro piacimento, a quando avrei potuto semplicemente fermarla e costringerla a venire con me”. A ricordare il passato, per Abbas e tutti i suoi ex commilitoni, è la scritta “RUF” sul petto, incisa con una lama dai comandati al momento dell’arruolamento. Il progetto Children’s Scar Removal (rimozione delle cicatrici), realizzato dall’UNICEF in Sierra Leone insieme all’organizzazione italiana COOPI, integra interventi di chirurgia plastica e supporto psico-sociale per gli ex combattenti di alcune fazioni ribelli e dell’esercito nazionale che hanno subito questa terribile marchiatura.
Il “capo di transito” è una soluzione necessaria, ma rimane una tappa di passaggio. Appena possibile, il ragazzo dovrebbe potersi reinserire in famiglia e tornare a scuola o avviare un percorso di formazione professionale. Quando ciò non accade, è concreto il rischio di tornare all’unica realtà conosciuta, ossia alla vita militare, oppure dedicarsi ad attività illecite o rischiose. A Kinshiasa buona parte delle migliaia di bambini di strada è costituita da ex combattenti emigrati dalle province del Nord-Est , e i sei centri di accoglienza finanziati dall’UNICEF riescono a occuparsi soltanto di una parte di essi
GUERRA ALL’IMPUNITA’ DI GUERRA
L’arruolamento (forzato o su una base volontaria) e l’impiego di minori in azioni belliche è un fenomeno che richiama un’attenzione sempre maggiore da parte della coscienza della comunità internazionale. La Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia del 1998 ha stabilito il divieto per gli stati di arruolare minori di età inferiore ai 15anni. Tale limite, frutto di un compromesso fra paesi con sensibilità giuridiche e politiche assai differenti in tema di diritti umani, è apparso sin da subito insufficiente a garantire una coerente protezione dei diritti dell’infanzia. Nel maggio 1998 alcune grandi organizzazioni non governative , supportate dall’UNICEF, hanno dato vita alla Coalizione Internazionale “Stop all’uso dei bambini soldato”, protagonista di una capillare attività di espressione sui governi di una quarantina di paesi (Italia inclusa) finalizzata ad alzare l’età minima per arruolamento. Anche se gli Stati non hanno spostato la posizione staight 18 (età minima a 18 anni senza eccezioni) portata avanti dalla Coalizione, un risultato di grande valore è stato ottenuto con l’approvazione, nel maggio 2000, del protocollo opzionale alla Convenzione sui diritti dell’infanzia sul coinvolgimento dei minori nei conflitti armati .Il Protocollo prescrive il divieto agli Stati di arruolare o impiegare in azioni belliche ragazzi al disotto dei 18 anni, mentre per l’arruolamento volontario rimane un più generico impegno di alzare l’età minima “in direzione dei 18 anni”
Nel frattempo, altri importanti trattati internazionali, hanno contribuito a rafforzare la condanna universale del fenomeno dei bambini. Resta ancora un passo importante : fare il nome dei colpevoli .
Probabilmente il giorno in cui l’ultimo bambino soldato poserà la sua arma è ancora lontano ,e sicuramente questo giorno non vedrà l’alba prima che gli Stati dimostrino la volontà di combattere anche la proliferazione delle small arms , le armi leggere che provocano il maggior numero di morti fra i civili e permettono ai bambini di avere un ruolo in guerra Ma è altrettanto probabile che qualcuno abbia cominciato davvero a darsi da fare.
LONTANI DALL’INCUBO DEL PASSATO?
I BAMBINI DELL’ANGOLA , NATI NEL CORSO DI UNA GUERRA SANGUINOSA DURATA QUASI 30 ANNI; IMPARANO A CONOSCERE IL SIGNIFICATO DI PAROLE COME PACE , LIBERTA’ INFANZIA . UN LENTO E DELICATO CAMMINO DI REINSERIMENTO E RIBILITAZIONE CHE, GRAZIE ALL’UNICEF LOCALE A AL GOVERNO, PASSA SOPRATTUTTO ATTRAVERSO IL GIOCO E L?ISTRUZIONE.
Federico era un bravo studente . vivace, eloquente, forse il primo della classe. Aveva 14 anni , era portato soprattutto per le scienze e sognava di diventare un medico . Ma nel 1993 il,sogno di Federi è stato infranto , quando i ribelli li hanno rapito, costringendolo a trascorrere i nove anni successivi a combattere nella sanguinosa guerra civile in Angola. Rispetto alle circostanze, si può persino dire che Federico è stato quasi fortunato. E’ sopravvissuto. Ma dopo gli accordi di pace dell’aprile 2002 l’UNICEF prosegue molto più che semplicemente sopravvivenza dei bambini angolani. Federico , e migliaia di ex bambini soldato come lui, sono ansiosi di dare o loro fucili in cambio di gioghi, e le loro bombe in cambio di libri, e le loro ferite in cambio di speranze. E l’UNICEF sta lavorando senza tregua per assicurare che il passaggio verso una vita normale sia rapido e sicuro. Un notevole passo avanti per garantire un futuro migliore ai bambini soldato dell’Angola è stato fatto quando il governo ha accettato di considerare i combattenti minori di 18 anni come bambini e non come bambini soldato.
Le lezioni apprese ,sia in Angola che in altre parti dell’Africa lacerata dalla guerra, mostrano come la smobilitazione dei bambini soldato sia complessa e delicata . Il più grande beneficio è rappresentato dal fatto che, essendo immediatamente liberati dal loro status di soldati, i bambini anglomani hanno potuto promuover il loro primo passo verso una vita normale.
“In ogni conflitto armato , i minori sono sempre le principali vittime e i più grandi sconfitti. L’esperienza internazionale dimostra che,sebbene buoni programmi i possono essere sviluppati per aiutare i bambini in tempo di guerra, solamente vivere in un clima di pace può costituire la terapia essenziale per il loro recupero e sviluppo psico-sociale .”
sono presenti speciali servizio per il recupero dei bambini soldato. Durante la loro permanenza dei centri dell’UNICEF, posso trascorrere del tempo libero in arre allestite specificamente per attività ricreative , permettendo oro di fare sport e di socializzare. Questi spazi “amici dei bambini” offrono anche supporto psicologico sia agli ex bambini soldato che a tutti i bambini coinvolti nei conflitti armati. Essi svolgono la duplice funzione di centri chiave per l’istruzione e l’educazione contro le mine, e per il ricongiungimento dei familiari. Quando l’UNICEF ha incontrato Federico , lui ha espresso un desiderio immediati: “Voglio rivedere la mia famiglia”. Al termine delle ostilità l’UNICEF e i suoi partner hanno compiuto interventi tempestivi per permettere il ritorno di Federico a di tutti i bambini soldato nelle proprie famiglie.
La grande maggioranza di ex bambini soldato era costituita da oltre tre milioni di bambini angolani privi di un documento di identità: ciò vuol dire essere automaticamente esclusi dall’accesso all’istruzioni e ai servizi sanitari. Per aggirare questo ostacolo l’UNICEF ha previsto in tutte le postazioni militari una campagna nazionale per la registrazione anagrafica e il rilascio di un certificato di identità.
Come segno rivelante delle loro di smobilitare i bambini soldato le Forze Angolane hanno permesso a 60 di loro di lasciare l’accampamento principale dell’esercito e tornare nelle loro case. . Come ulteriore prova dell’impegno del governo è stato garantito il non arruolamento degli ex bambini soldato quando questi avranno raggiunto l’età per entrare nell’esercito cioè 18 anni. Allo stesso modo il governo ha promesso di non arruolare nessuno nel 2002 e nel 2003.
Di certo, oggi sono pochi gli ex bambini soldato rilasciati che non hanno ancora compiuto 18 anni. La guerra in Angola è durata 27 anni e ha coinvolto migliaia di angolani ai quali è stata rubata la giovinezza. Per assicurare un futuro migliore a tutti loro l’UNICEF , insieme al governo a una rete di associazioni per i diritti dei bambini, sta per predisporre dei programmi importanti per favorire le opportunità di reinserimento per i bambini e gli adolescenti. Attraverso le chiese, con il sostegno della Banca Mondiale e dei donatori, il governo provvederà per gli ex bambini soldato a una serie di attività di formazione e sviluppo delle proprie capacità e a progetti per mantenerli in grado di garantirsi un reddito . Con tempo e denaro si spera che gli ex combattenti possano diventare autosufficienti e godere dei vantaggi della pace.
VOCI DI BAMBINI
QUANDO ERO SOLDATESSA…
< Vorrei dirvi questo: per favore fate quanto potete per raccontare al mondo cosa sta succedendo. Così che altre di noi non siano costrette a passare attraverso tutta questa violenza>. E’ una ragazza di 15 anni a parlare. Una ragazza rapita da Lord’s Resistance Army in Uganda e costretta diventare un soldato. Quando si affronta il problema dei bambini soldato spesso si tende a trascurare la questione di genere. Eppure, la presenza e il ruolo delle bambine e delle ragazze all’interno degli eserciti non si può trascurare; soprattutto nei gruppi armati non governati vengono reclutate (nella maggior parte dei casi con la forza) bambine anche molto piccole, utilizzate per scopi più vari e costrette ad assistere e a subire ogni forma di violenza. Vengo rapite mentre si recano a scuola o a prendere l’acqua ai pozzi per le loro famiglie. Nella maggior parte dei casi le bambine vengono utilizzate come cuoche o sono incaricate alla ricerca di provviste, della pulizia dell’accampamento militare e delle divise dei soldati; altre volte vengono impiegate come messaggere, spie o sentinelle. Alcune sono costrette a prostituirsi presso il nemico al fine di ricavare informazioni utili, altre diventano le schiave sessuali dei combattenti. A tutto ciò si aggiunge la paura di subire altre violenze e torture se catturate da armate nemiche.
Generalmente è raro che le bambine prendano parte attiva ai combattimenti; tuttavia, alcune raccontano di essere state costrette ad impugnare un fucile e a mutilare o uccidere i loro coetanei, sotto l’influsso di minacce e a volte di droghe.
la condizione di bambine e ragazze all’interno degli eserciti non governati dei paesi in via di sviluppo e comunque vari: esistono gruppi armati in cui vige una severissima disciplina che le potrebbe dagli abusi sessuali da parte dei soldati , altri è loro assolutamente proibito combattere. In alcune milizie le ragazze sono incaricate dalla cura dei feriti e di conseguenza vengono loro impartite nozioni varie di medicina tradizionale; solitamente queste ragazze sono più grandi e possiedono già un minimo di istruzione di base. Importate è sottolineare come alcune ragazze decidano do arruolasi volontariamente nei movimenti armati , perché desiderano aiutare il proprio paese o perché la vita militare soddisfa le loro aspirazioni di uguaglianza e di indipendenza, spesso negate in paesi in cui le donne hanno ruolo esclusivamente nell’ambito famigliare.
Uno studio realizzato dall’UNICEF in Sudan ha evidenziato un alta presenza di bambine e ragazze nel Sudan People Liberation Army (SPLA). Nel 1984 all’interno dell’esercito ribelle sudanese venne persino costituito un corpo militare esclusivamente femminile, il Grils Battalion; ma con il passare degli anni questa milizia si è disgrega e il ruolo delle ragazze durante i combattimenti dello SPLA è andato riducendosi. Racconta uno dei luogotenenti dello SLPA: .
PER SFUGGIRE ALLA MISERIA.
In alcuni paesi può accadere che le bambine siano spinte ad arruolarsi perché sono rimaste orfane e nessuno può prendersi cura di loro, perché vogliono fuggire a un matrimonio non desiderato, o scappare da situazioni famigliari dove dominano povertà e violenza. In questi casi la vita militare appare come unica alternativa a un futuro di cistrizioni e miseria.
Esemplare è la storia di Ata, 16 anni, ex bambina soldato del New People’s Army, attivo nelle Filippine contro il governo centrale. Ata è attualmente ospite di un centro di recupero dell’UNICEF:. Continua ancora Ata: .
Spesso in passato nei programmi di smobilitazione e recupero dei bambini soldato si tendeva trascurare i bisogni specifici delle bambine. Per questo motivo l’UNICEF in collaborazione con l’UNIFEM dedica oggi particolare attenzione ai problemi di genere nei conflitti armati. Nei centri di recupero sostenuti dall’UNICEF sono state previste un’assistenza sanitaria e psicologica mirata per le ex bambine soldato e sono stati predisposti dei corsi di formazione professionale specifici per permettere loro di acquisire una propria indipendenza. A queste ragazze, infatti, vengono prospettate varie opportunità oltre al ritorno a casa, perché può accadere che le loro comunità di origine le rifiutino o le sottopongano a forme di riprovazione sociale, soprattutto se durante il periodo trascorso negli eserciti hanno avuto u bambino. .
QUANDO ERO SOLDATO
Emmanuel ex bambino soldato del Revulotionary United Front della Sierra Leone. Oggi Emmanuel ha 17 anni, è un ragazzo di media statura, magro ma non esile, non diverso per aspetto dalla maggior parte dei suoi coetanei. Quando parla è calmo e serio:.
Nella Repubblica Democratica del Congo sono circa 6.000 i bambini arruolati a forza nel Rassemblet Cong puor la democratie , la guerriglia antigovernativa, o nelle milizie dei guerrieri Mai-Mai. Dietro la guerra, come spesso accade, ci sono le ricchezze del Congo: diamanti, coltan (un minerale), rame, oro, argento, caffè, ricchi pascoli…
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Oggi Fistom vorrebbe tornare a casa, come hanno già fatto altri ospiti del centro CTO Grand Lacs. Ma non ha notizie della sua famigliae per ora non può far altro che rimanere al centro di accoglienza. Intanto guarda al suo futuro:< Da grande voglio fare il meccanico>.
Alieu, 14 anni ex bambino soldato del RUF:< Prima che venissi preso dai ribelli vivevo con la mia famiglia. La mattina andavo a scuola. La sera a casa ci raccontavamo le storie sotto la luna. Mio padre era sovrintendente del nostro distretto, a Makeni. Sono stato rapito dai ribelli durante una delle loro azioni, nel 1998. Avevo 9 anni. Alcuni di loro entrarono nel cortile di casa mia. Cercavano cibo. Mi dissero:” Ci piaci, abbiamo bisogno di un ragazzino come te.” Mia madre non disse nulla e si mise a pingere. Mio padre cercò di opporsi e minacciarono di ucciderlo. Lo portarono dietro casa, sentii che discutevano. Poi udii uno sparo. Uno di loro mi disse:< Andiamo, tuo padre è morto.” Una donna soldato mo afferrò per il braccio e mi trascinò con loro. Mentre mi allontanavo vidi il corpo di mio padre steso a terra.
Fumavamo jambaa (marijuana) tutto il tempo. Ci avevano detto che proteggeva dalle malattie della foresta. Prima di una battaglia ci fecero un piccolo taglio qui (sulla tempia, accanto all’orecchio destro), ci misero una polverina e lo coprirono con una piccola benda. Dopo di allora niente ebbe più valore per me. Nessun essere umano aveva valore. Mi sentivo leggero.
La prima volta che ho ucciso qualcuno e stato a Lunsar, durante la mia prima battaglia. Catturammo 10 civili. Il comandante chiese loro dove si trovava il comandante dell’esercito governativo, ma rifiutarono di diglielo. Allora mi ordinò di ucciderli o mi avrebbe sparato. Sparai ai civili nel centro del petto. Dopo Lunsar divenni un comandante bambino: avevo sotto di me 10 bambini fra i dieci e i sedici anni.>.
Oggi Alieu è tornato a vivere con sua madre:< Se ora qualcuno mi offende penso al passato: quando stavo per la foresta lo avrei sistemato. E mi vergogno di me stesso. Sogno spesso ciò che ho vissuto. A volte mi sento sconvolto perché go ucciso ,ho bevuto sangue, ho fumato jambaa. Ho paura che tutto ciò mi porterà di nuovo a compiere cattive azioni. Le droghe che prendevo mi facevano sentire leggero.
Dopo aver finito gli studi vorrei diventare dottore o insegnante. Ho un piano per il futuro di questo paese per renderlo migliore. Ringrazio Dio per avermi fatto sopravvivere, per aver impedito che mi uccidessero nella foresta. Mi hanno fatto delle cose terribili, ma non mi hanno ucciso…Per favore aiutateci. Non abbiamo libri, non abbiamo penne non abbiamo quaderni…Mandateci qualcosa.>
Lavoro Minorile
INTRODUZIONE
Lavoro minorile In tutte le epoche e in tutte le società i fanciulli sono stati utilizzati per lavori propri degli adulti; l'utilizzo di manodopera minorile non fu tuttavia considerato un problema sociale fino alla rivoluzione industriale, che introdusse diversi tempi e ritmi nel lavoro, mutandone completamente l'organizzazione. Pertanto, l'espressione "lavoro minorile" nel XIX secolo designava il ricorso in fabbrica al lavoro dei bambini; attualmente è utilizzata per definire in generale l'impiego di minori, specialmente per lavori che potrebbero interferire con la loro educazione o danneggiare la loro salute.
Minori al lavoro Lo sviluppo industriale impose un immediato e massiccio reclutamento di manodopera. Vennero frequentemente utilizzati anche i minori, assegnati a mansioni pericolose senza alcuna forma di tutela legale né di prevenzione degli infortuni: molti morirono o rimasero invalidi.

STORIA DEL LAVORO MINORILE
Poiché la Gran Bretagna fu la prima nazione a sperimentare la rivoluzione industriale, essa fu anche la prima a manifestare particolari problemi di lavoro minorile connessi alla produzione industriale. Alla fine del XVIII secolo, i possessori di cotonifici reclutavano gli orfani e i figli di famiglie povere in tutto il paese, utilizzandoli in cambio del semplice mantenimento; in alcuni casi, fanciulli di cinque o sei anni erano costretti a lavorare dalle tredici alle sedici ore al giorno.
All'inizio del XIX secolo i riformatori sociali cercarono di ottenere restrizioni legislative per ovviare agli aspetti più negativi del lavoro minorile, ma con risultati molto scarsi. Spesso con l'approvazione dei dirigenti politici, sociali e religiosi, si consentiva di impiegare i fanciulli in mansioni pericolose, come quelle tipiche delle miniere. I risultati erano l'analfabetismo, l'ulteriore impoverimento di famiglie già misere e una moltitudine di fanciulli ammalati e invalidi.
Le agitazioni popolari per ottenere delle riforme aumentarono allora in modo costante. La prima importante legislazione britannica entrò in vigore nel 1878, quandò l'età minima di impiego fu portata a dieci anni, e ai datori di lavoro fu richiesto di ridurre l'utilizzo di fanciulli tra i dieci e i quattordici anni, facendoli lavorare a giorni alterni o a mezza giornata. Oltre a rendere il giorno del sabato per metà festivo, questa legislazione limitò anche la giornata lavorativa dei minori tra i quattordici e i diciotto anni a dodici ore, con una pausa di due ore per i pasti e il riposo.
Lo sviluppo del sistema industriale generò anche in altre nazioni uno sfruttamento del lavoro minorile simile a quello che si verificava in Gran Bretagna. Durante i primi anni del XIX secolo i bambini tra i sette e i dodici anni costituivano ad esempio un terzo della manodopera delle fabbriche statunitensi.
La legislazione adottata a fine Ottocento da molti paesi per contenere l'analfabetismo fra i fanciulli lavoratori stabilì l'età lavorativa minima e il numero massimo di ore giornaliere e vietò il lavoro minorile all'interno di fabbriche pericolose. La prima Conferenza internazionale del lavoro, tenuta a Berlino nel 1890, costituì il primo tentativo internazionale concertato per elaborare delle norme sull'impiego dei minori.
La moderna legislazione sul lavoro minorile nel mondo industrializzato generalmente è legata alla legislazione scolastica sulla frequenza della scuola dell'obbligo. Sebbene sia vietato alla maggior parte delle industrie e delle attività produttive di utilizzare ragazzi in età scolare per impieghi a tempo pieno, i fanciulli vengono largamente impiegati nel "primo" e nel "secondo" mondo in lavori d'altro genere o part-time.
PROBLEMI INTERNAZIONALI
Lavoro minorile Un bambino al lavoro in una fabbrica di scarpe. Il lavoro minorile resta una delle maggiori piaghe della società contemporanea. Nonostante gli sforzi per combattere il problema compiuti dall'ILO (International Labour Organization) dal momento della sua creazione nel 1919, la situazione è infatti ancora gravissima in alcuni paesi sottosviluppati di America Latina, Africa e Asia. Normalmente i bambini costretti a lavorare vivono in condizioni poverissime e sono destinati a non ricevere alcuna educazione scolastica. Spesso il loro magro salario è necessario per la sopravvivenza delle famiglie d'origine.Danny Lehman/Corbis

Il lavoro minorile continua a costituire anche oggi un grave problema in molte parti del mondo, soprattutto nei paesi sottosviluppati dell'America latina, dell'Africa e dell'Asia, dove le condizioni di vita dei fanciulli lavoratori sono misere e le possibilità di istruzione minime. Quindi, poiché i magri guadagni dei fanciulli sono indispensabili per la sopravvivenza della famiglia, in certi casi essi vengono ceduti dalla famiglia stessa a datori di lavoro che hanno anticipato una somma di denaro sulla quale sono dovuti onerosi interessi, che i fanciulli devono rimborsare col proprio lavoro, venendo così a trovarsi in una situazione di vera e propria schiavitù.
In alcune nazioni l'industrializzazione ha creato per i minori condizioni lavorative simili a quelle delle fabbriche e delle miniere europee del XIX secolo, anche perché i vincoli legali talvolta esistenti vengono aggirati mediante clausole che permettono il lavoro all'interno della famiglia. È difficile ottenere statistiche precise poiché il lavoro minorile è ufficialmente illegale quasi ovunque: per le autorità è molto difficile quantificare il problema, e quindi controllarlo. Secondo statistiche largamente accettate, il lavoro minorile si colloca comunque tra il 2 e il 10% della forza lavoro globale di alcune aree dell'America latina e dell'Asia, e supera il 10% per cento in alcuni paesi del Medio Oriente. Laos. Numerosi bambini sono impiegati nel lavoro di irrigazione delle risaie, condotto in gran parte con metodi manuali, lungo il fiume Mekong. Il lavoro minorile, diffuso soprattutto nelle zone più povere di Asia, Africa e America Latina, è una delle maggiori piaghe sociali.
I problemi del lavoro minorile non sono, ovviamente, limitati alle nazioni in via di sviluppo. Essi esistono ovunque vi siano situazioni di povertà e quindi anche in Europa e nell'America del Nord. In Gran Bretagna la Low Pay Unit, commissione creata per il controllo dello sfruttamento, ha recentemente stabilito che circa 2 milioni di minori sono stati assunti per lavori part-time: si tratta del dato più negativo dell'intera Unione Europea. Inoltre, negli ultimi anni è andata aggravandosi anche in Italia la piaga della prostituzione minorile nei centri urbani.
E’ una piaga che interessa quasi tutti i paesi del mondo: quelli industrializzati e quelli poveri, anche se sono soprattutto questi ultimi che contano il maggior numero di bambini lavoratori.
Parlare di lavoro minorile significa far riferimento ad un ventaglio variegato e piuttosto ampio di possibili attività svolte da bambini e ragazzi. Attività comprese tra il C.d. “Child Labour”, cioè i lavori pesanti legati allo sfruttamento ed alla schiavitù, e il “Child Work”, forme leggere di attività, ai limiti della punibilità anche sotto un profilo giuridico e sociale. Altra distinzione necessaria è tra il lavoro consenziente, svolto in accordo con i genitori e il lavoro forzato, che vede l’allontanamento coatto dai genitori e il passaggio ad una condizione di schiavitù.
Secondo l’ILO (Organizzazione Internazionale del Lavoro) il numero dei bambini che lavorano in tutto il mondo è compreso fra i 100 e 200 milioni di cui 40 milioni solo in Cina anche se le autorità hanno sempre negato l’esistenza del problema. In Africa 20 bambini su 100 sono al lavoro e in America Latina la percentuale dei bambini che lavorano arriva fino al 26%.
In Asia meridionale bambini di 8-9 anni vengono dati come pegno di piccoli prestiti dai loro genitori ai proprietari di fabbriche o ai loro intermediari. Molto bassa è anche l'età media dei bambini impiegati nella produzione di palloni, gioielli, scarpe (tra i 5 e i 12 anni). Si sfruttano i minori per eseguire scavi minerari pericolosi anche per gli adulti, come nelle miniere di oro e diamanti della Costa d'Avorio e del Sudafrica nonché in quelle di carbone della Colombia, dove la manodopera infantile lavora con un equipaggiamento di sicurezza ridotto al minimo respirando polvere di carbone. In alcune piantagioni di canna da zucchero del Brasile i bambini rappresentano quasi un terzo della forza lavoro e il 40% delle vittime di incidenti sul lavoro (ferite provocate con il machete usato per tagliare le canne).
Numerose multinazionali ben note in tutto il mondo sono oggi sotto accusa per aver subappaltato la produzione dei loro prodotti ad industrie e fabbriche dei Paesi Poveri che impiegano e sfruttano bambini in condizioni spesso disumane.
A Jakarta, nella fabbrica della Hardaya Aneka Shoes Industry (HASI) che produce le note scarpe da ginnastica Nike, sono impiegate 6.700 minori che producono 2000 paia di scarpe ogni ora. Tri Mugiayanti è una ragazza indonesiana di 14 anni addetta alla spalmatura del mastice sulle suole che le passano davanti su un nastro trasportatore; l’aria è satura di esalazioni emanate dalle vernici e dai mastici, la temperatura è di circa 40 gradi centigradi: dopo dieci minuti di permanenza in quest’ambiente gli occhi e le narici cominciano a bruciare e viene un terribile mal di testa. Per ogni paio di scarpe del modello Air Pegasus, la HASI riceve 26.400 lire, ma la Nike lo rivende ai grossisti a 56.000 lire e nei negozi a 112.000 lire. Tri Mugiyanti, invece, riceve 350 lire all’ora.
E come la Nike, sono sotto accusa molte altre multinazionali, come la Chicco o l’Adidas.
Per non parlare di casi in cui i piccoli lavoratori devono convivere con le malattie, la violenza fisica e psicologica di sfruttatori che li costringono anche fino a 18 ore di lavoro consecutivo in stato di vera e propria schiavitù, come nel caso degli ormai purtroppo tristemente noti tessitori di tappeti.
I maggiori sforzi per eliminare lo sfruttamento della manodopera minorile nel mondo sono stati compiuti dall'Organizzazione internazionale del lavoro (ILO), fondata nel 1919 e ora istituto specializzato dell'Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU). L'organizzazione ha introdotto varie regolamentazioni sul lavoro minorile, incluse l'età minima di sedici anni per venire ammessi a qualsiasi tipo di lavoro (anche all'interno della famiglia), un'età minima maggiore per particolari lavori, visita medica obbligatoria e regolamentazione del lavoro notturno. L'ILO non ha tuttavia il potere di imporre queste norme ai paesi membri. Pure la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dell'infanzia, adottata nel 1989, include restrizioni sul lavoro minorile ed è ufficialmente vincolante per tutte le nazioni che l'hanno sottoscritta, anche se non prevede nessuna clausola che ne imponga l'adozione. L'ONU stima che entro il 2000 saranno 375 milioni i minori utilizzati in tutto il mondo come lavoratori.
LAVORO MINORILE: UNA BATTAGLIA DA VINCERE
Sulla pelle dei bambini
“Gli Stati riconoscono il diritto di ogni bambino ad essere protetto contro lo sfruttamento economico e a non essere costretto ad alcun lavoro che comporti rischi o sia suscettibile di porre a repentaglio la sua educazione o di nuocere alla sua salute o al suo sviluppo fisico, mentale, spirituale, morale o sociale[…]”
Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia, art. 32
Nel mondo, 211 milioni di bambini e bambine lavorano. Hanno meno di 14 anni, dovrebbero andare a scuola, giocare, avere tempo per riposare, e invece lavorano: nei campi, nelle discariche, sulla strada, ovunque vi siano opportunità di guadagnare qualcosa per aiutare a sopravvivere sé e la propria famiglia. Alcuni riescono a trovare il tempo per frequentare la scuola, ma la maggior parte di essi non ha mai messo piede in un’aula scolastica, ed è probabile che non lo farà mai. A meno che qualcuno li aiuti.
Le stime più recenti ci dicono che i bambini lavoratori vivono soprattutto in Asia, ma che è l’Africa il continente in cui, in proporzione, è più alta la probabilità che un bambino sia costretto ad un’occupazione precoce. Tuttavia, i baby-lavoratori sono numerosi nei paesi a medio reddito (5 milioni nell’Est europeo, e il dato è in crescita a causa della difficile transizione all’economia di mercato), e non mancano neppure nei paesi industrializzati: in Italia, l’ISTAT ne ha censiti circa 145.000, mentre la CGIL ne fa una stima quasi tre volte superiore
Tipologie del lavoro minorile



Fascia d’età
Minori lavoratori
In lavori rischiosi
In schiavitù
5-14 anni
210,8
111,3
8,4
15-17 anni
140,9
59,2
NB: le cifre sono in milioni di unità





Fonte: ILO/IPEC 2002
Pari opportunità…di essere sfruttati




Fascia d’età
Totale
Maschi
Femmine
5-9 anni
73,1
38,1 (52,2%)
35,0 (47,8%)
10-14 anni
137,7
70,9 (51,5%)
66,8 (48,5%)
15-17
140,9
75,1 (53,3%)
65,8 (46,7%)
NB: le cifre sono in milioni di unità



Fonte: ILO/IPEC 2002
Asia e Africa, i bambini lavoratori abitano qui


Regione
Bambini lavoratori (milioni)
percentuale sulla fascia di età
Paesi industrializzati
2,5
2%
Est Europa ed ex-URSS
2,4
4%
Asia e Oceania
127,3
19%
America Latina e Caraibi
17,4
16%
Africa subsahariana
48,0
29%
Medio Oriente e Nord Africa
13,4
15%
Il lavoro minorile è un fenomeno assai complesso, e non esistono soluzioni semplici. Anche se tutti abbiamo imparato a conoscerlo attraverse le storie e i volti dei piccoli fabbricanti di tappeti, come Iqbal Masih, soltanto un bambino lavoratore su 20 è impiegato nell’industria che produce beni destinati all’esportazione. Le vittime dello sfruttamento economico vanno ricercate altrove, nei meandri nascosti dell’economia informale: agricoltura (70% del totale), lavoro domestico, commercio al minuto, prostituzione, attività illegali. In questa zona d’ombra dove povertà, ignoranza e discriminazione si incrociano con l’assenza di qualsiasi forma di assistenza sociale, non è sempre facile dare un volto e un nome a chi sfrutta: ma, di certo, per ogni bambino o bambina che lavora c’è un diritto umano negato.
UNICEF: oltre la denuncia, l’azione
L’UNICEF è in prima linea nella lotta al lavoro minorile, con programmi di sensibilizzazione, prevenzione e recupero. Il primo compito è quello di promuovere a tutti i livelli (governo, autorità locali, società civile) la conoscenza e il rispetto dei diritti dei bambini, valorizzando il ruolo che essi possono avere per lo sviluppo a lungo termine. I più giovani sono la vera ricchezza di un paese povero: l’istruzione è il miglior modo per farla fruttare, mentre il lavoro precoce non lascia loro alcuna prospettiva che non sia altro sfruttamento. Questo messaggio positivo viene comunicato in mille forme dall’UNICEF, attraverso campagne di informazione con il coinvolgimento dei leader comunitari, sindacali, religiosi e con il contributo fondamentale delle associazioni locali.
La scuola è il luogo in cui si gioca la partita decisiva della prevenzione del lavoro minorile. Generalmente, tutti i bambini desiderano andare a scuola e quasi tutti gli adulti attribuiscono all’istruzione un importante valore di promozione sociale. Per le famiglie più disagiate, tuttavia, anche il costo dei libri o dei pasti di metà giornata può diventare un ostacolo insormontabile. E spesso una scuola di cattiva qualità può indurre i genitori a ritirare i propri figli per mandarli a lavorare, ritenendo improduttivo il sacrificio economico da sostenere per la frequenza scolastica.
Oltre a promuovere riforme in favore dell’istruzione gratuita e universale in tutti gli Stati, l’UNICEF investe somme importanti nel risanamento delle scuole e nella formazione degli insegnanti. In alcuni casi, soprattutto durante le emergenze, l’UNICEF si fa carico anche della distribuzione di materiali didattici e delle refezioni scolastiche Liberare i bambini dal giogo del lavoro significa offrire loro alternative valide e realistiche. Il reinserimento scolastico è la soluzione ottimale, ma bisogna anche tenere conto dello stato di necessità che aveva spinto la famiglia, o il minore stesso, a compiere la scelta del lavoro precoce. Spesso, il bambino ha l’esigenza di continuare a svolgere un lavoro almeno per una parte della giornata. L’UNICEF finanzia numerosi progetti di scolarizzazione per bambini lavoratori, ex-bambini soldato o bambini di strada, che prevedono orari flessibili, metodologie didattiche partecipative e un apprendimento che contempla competenze utili per la vita quotidiana (life skills) e per la formazione professionale. La variegata galassia dell’“istruzione non formale” è la sede per eccellenza del recupero educativo e sociale delle giovanissime vittime del lavoro minorile. A queste attività si affianca spesso il microcredito, esperienza ormai consolidata di piccoli prestiti a basso tasso di interesse e rivolti a nuclei familiari indigenti per avviare piccole attività generatrici di reddito.
Non è pensabile che il lavoro minorile scompaia dal mondo oggi, e neppure domani. Crisi economiche, conflitti, spostamenti di popolazione per cause naturali e non, e soprattutto la pandemia dell’HIV/AIDS creano continuamente nuovi spazi per lo sfruttamento economico dei più piccoli. Segnali positivi sono però visibili. Il fenomeno del lavoro minorile, pressoché ignorato dalla comunità internazionale fino a metà anni Novanta, è oggi compreso e affrontato con strumenti mirati, e le strategie di contrasto fanno tesoro di esperienze sempre più numerose e significative. Dal 1999 ad oggi, sono ben 132 gli Stati che hanno ratificato la Convenzione n. 182 dell’OIL (Organizzazione Internazionale del Lavoro) sull’abolizione delle forme peggiori di sfruttamento economico dei minori. E si stima che dal 1996 ad oggi il numero dei bambini lavoratori nel mondo sia diminuito di 40 milioni di unità, nonostante l’aumento della popolazione infantile globale. Sono i primi segni di successo dell’impegno messo in campo in questi ultimi anni, e che soltanto la volontà degli Stati e la solidarietà dei cittadini potrà rendere duraturo.
LA FACCIA SCURA DEL PALLONE
Lavoro di bambini e adulti nella produzione dei palloni indiana e il ruolo della FIFA
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PREFAZIONE
Questo rapporto esamina da vicino lo sfruttamento del lavoro infantile e le condizioni di lavoro nell’industria sportiva nel Punjab, India.
Esso inoltre descrive e discute le varie iniziative intraprese a livello nazionale e internazionale per far fronte a questi problemi. In India le principali iniziative sono della Coalizione Sudasiatica sulla Servitù Infantile (SACCS) e la Fondazione Indiana degli Articoli Sportivi (SGFI). A livello internazionale la Federazione Mondiale dell’Industria degli Articoli Sportivi (WFSGI), la FIFA e la sua organizzazione preposta al rilascio di licenze ISL (Sport e Tempo Libero Internazionale), la Confederazione Internazionale dei liberi Sindacati (ICFTU) così come le principali società di articoli sportivi svolgono un ruolo importante. L’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO) e l’UNICEF sono gli altri maggiori protagonisti nel campo dei diritti dell’infanzia e dei lavoratori.
Questa pubblicazione è il risultato della consultazione di molte fonti, non solo informazioni scritte ma anche un discreto numero di organizzazioni strettamente coinvolte nelle tematiche di cui si tratta.
Un’importante fonte di informazioni è stato l’autorevole rapporto "Lavoro infantile nell’industria degli articoli sportivi – Jalandhar, Uno studio sul campo", basato sulle ricerche condotte dall’Istituto Nazionale del Lavoro V. V. Giri, India.
Inoltre la conoscenza, l’esperienza sul campo e la cooperazione dell’organizzazione "Volontari per la Giustizia Sociale", un’ONG con una lunga esperienza sulle tematiche del lavoro infantile, del lavoro vincolato e del lavoro di immigrati nel Punjab, è stata inestimabile per la preparazione di questo rapporto.
Vorrei anche esprimere i più sinceri ringraziamenti alla Fondazione Indiana degli Articoli Sportivi, che ci ha informato in notevole dettaglio sugli sforzi per eliminare il lavoro minorile nell’industria degli articoli sportivi.
Inoltre voglio ringraziare la Confederazione Internazionale dei liberi Sindacati (ICFTU), che ha fornito informazioni sui risultati delle sue trattative con la FIFA/ISL riguardo al "Codice FIFA della pratica del lavoro" e alle condizioni di lavoro contrattuale tra l’ISL e le società di articoli sportivi.
Infine voglio esprimere la speranza che questo rapporto, per quanto critico su molti aspetti delle attuali iniziative volte ad eliminare lo sfruttamento del lavoro minorile, possa dare un contributo costruttivo agli sforzi di tutti coloro che desiderano vedere la fine dello sfruttamento lavoro infantile nell’industria degli articoli sportivi (e altrove) combinata a sforzi di eguale intensità per garantire in questa industria i diritti dei lavoratori riconosciuti a livello internazionale.
Gerard Oonk
Coordinatore del Comitato per l’India dei Paesi Bassi
PARTE I
Sommario esecutivo
Nel 1995 apparvero nei giornali i primi rapporti sull’uso diffuso di lavoro minorile e di sfruttamento di adulti nell’industria calcistica di Sialkot, Pakistan. Qualche anno dopo si scoprì che lo stesso problema esisteva anche in India che, dopo il Pakistan, è il secondo maggior esportatore di palloni da calcio e altri palloni gonfiabili.
Anche le principali società sportive come Nike, Adidas, Reebok, Mitre (Regno Unito) e altre cominciarono ad interessarsi particolarmente all’uso di lavoro infantile per la cucitura dei palloni perché – per citare almeno un importante motivo – rischiavano di vedere la loro immagine rovinata.
Mentre in Pakistan un programma per eliminare lo sfruttamento del lavoro infantile dall’industria del calcio è stato predisposto sin dal 1997, un programma simile in India, attuato dalla Fondazione Indiana degli articoli Sportivi (SGFI) e finanziato dalla FIFA, è cominciato il 1° gennaio 2000.
La Coalizione Sud- asiatica sulla servitù infantile (SACCS) è stata la prima ad evidenziare la situazione del lavoro minorile e le inique condizioni di lavoro nell’industria indiana degli articoli sportivi nel 1997.
Quella dei cucitori di palloni è un’industria a carattere prettamente domestico nella quale le società di manifattura ed esportazione producono i "riquadri" dei palloni nelle loro fabbriche e noleggiano impresari che fungono da intermediari tra loro ed i cucitori di palloni. Quasi la metà dei cucitori vive sotto la soglia di povertà e quattro nuclei familiari su dieci sono capeggiati da adulti analfabeti. Circa il 90% dei nuclei familiari appartengono ai cosiddetti "intoccabili", o Dalit, come essi preferiscono chiamarsi. I loro diritti umani sono violati in molti aspetti della vita specialmente quando osano imporsi ed organizzarsi. I dalit, insieme ai loro figli, sono le principali vittime del lavoro vincolato e minorile.
Il rapporto NLI stima che il reddito medio giornaliero di un maschio adulto nell’industria degli articoli sportivi è di circa 20 rupie (circa € 0,50), che è quasi un terzo dell’attuale salario minimo di 63 rupie (€ 1,50) al giorno. I cucitori generalmente non sono a conoscenza del concetto di salario minimo e non sono organizzati in sindacati. Qualsiasi protesta o tentativo di organizzarsi potrebbe essere soffocato, poiché dipendono dagli impresari per il lavoro. Il pagamento a pezzo per la cucitura di un pallone non è determinato sulla base del tempo necessario a cucirlo in relazione al diritto di guadagnare almeno un introito minimo. Inoltre i cucitori sono abitualmente sottoposti ai raggiri degli intermediari. L’NLI consiglia di por fine al sistema degli intermediari e di rendere i manifatturieri/esportatori responsabili del pagamento dei salari.
Si stima che 10000 bambini lavorino nella produzione di articoli sportivi a Jalandhar e nei dintorni, 1350 dei quali lavorano esclusivamente, mentre il resto lavora e va a scuola. Cuciono palloni bambini dai cinque anni in su. Tra coloro che lavorano full-time il 37% è di età compresa tra cinque e dodici anni e il resto tra tredici e quattordici. Tra coloro che lavorano e vanno a scuola i due terzi hanno tra cinque e dodici anni, a testimonianza del fatto che la maggioranza dei bambini comincia a cucire palloni in tenera età. La combinazione di scuola e lavoro porta i più a rinunciare agli studi attorno ai dieci anni.
L’intensità del lavoro dei bambini-cucitori è elevata. Un bambino di sei anni che lavora full-time impiega mediamente 7,5 ore a cucire palloni, mentre un ragazzo di tredici ne impiega 9. Coloro che studiano e lavorano sopportano un fardello ancora maggiore: 9 ore a sei anni e quasi 11 ore a tredici. Un quarto dei full-time lavora di notte contro il 14% degli scuola-lavoro. Quasi la metà dei full-time e poco meno di un terzo degli scuola-lavoro accusa problemi di salute. I malanni più comuni sono dolori articolari e mal di schiena.
Durante il primo turno di monitoraggio esterno da parte della SGS è stato trovato un solo bambino lavoratore, il che alimenta forti dubbi in Save the Children e UNICEF quanto a se e come avviare un programma.
PARTE II
Lavoro di bambini e adulti nella produzione dei palloni indiana
Breve storia dell’argomento
Un mese più tardi Christian Aid e SACCS (con l’aiuto dei "Volontari per la giustizia sociale") hanno pubblicato il rapporto "A Sporting Chance" sul lavoro infantile nell’industria degli articoli sportivi. Il rapporto ha generato molta pubblicità, ma ha anche portato a reazioni molto negative dell’industria sportiva. L’affermazione secondo cui vi sono impiegati dai 25.000 ai 30.000 bambini è stata fortemente respinta dagli esportatori. Dopo la pubblicazione del rapporto vi è stato l’ultimo incontro del Comitato congiunto.
Tuttavia, l’"Accordo di Atlanta per l’India", che doveva essere firmato nel febbraio 1999, non si è mai concretizzato. Il governo indiano ha deciso di non permettere all’ILO-IPEC di supervisionare il monitoraggio esterno. Il supporto finanziario degli Stati Uniti dipendeva tuttavia dal coinvolgimento dell’ILO-IPEC. Secondo Satish Wasan, segretario della SGFI, la motivazione del governo indiano per non coinvolgere l’ILO-IPEC era che troppo denaro sarebbe andato alla direzione del programma e troppo poco ai bambini interessati. Secondo lo stesso Wasan gli esportatori erano d’accordo con questa valutazione. M.P. Joseph, coordinatore nazionale dell’ILO-IPEC, rammenta un incontro del Comitato Direttivo Nazionale composto di 16 membri con il ministro per gli Affari Esteri, nel quale quest’ultimo si era prodotto nelle seguenti argomentazioni: Jalandhar non aveva la priorità riguardo al lavoro infantile poiché cucire palloni non è un’operazione rischiosa, il governo indiano non aveva bisogno dei tre milioni e si opponeva al monitoraggio supervisionato dall’estero. Un’altra ragione per escludere l’ILO-IPEC sembra essere che sia quest’ultima che gli Stati Uniti volessero che la SACCS fosse membro del comitato direttivo per l’"Accordo di Atlanta per l’India", mentre gran parte degli esportatori e il governo indiano rigettavano con decisione quest’idea.
L’industria indiana di articoli sportivi
L’industria indiana di articoli sportivi, compresa la produzione di palloni da calcio, trae le sue origini da Sialkot, Pakistan. Durante la separazione di India e Pakistan nel 1947 molti artigiani indù si spostarono da Sialkot – tradizionalmente uno dei più importanti centri dell’industria sportiva – al Punjab in India [Lavoro minorile nell’industria di articoli sportivi ; Jalandhar – Uno studio sul campo, Istituto Nazionale del Lavoro V.V. Giri, settembre 1998, Noida, India. Rapporto sponsorizzato da FICCI e ILO-IPEC]. I Mahashak, comunità di cucitori per tradizione, cominciarono ad abitare nei distretti di Jalandhar, Batala e Ludhiana. I Mahashak di Jalandhar e Batala sono tuttora impiegati nella cucitura di palloni [Inchiesta e rapporto sull’industria di articoli sportivi a Jalandhar, Volontari per la giustizia sociale, Phillaur (Punjab), India, 1997]. Jalandhar attualmente è il maggior centro dell’industria indiana di prodotti sportivi. Meerut nell’Uttar Pradesh è il secondo e Gurgaon nell’Haryana il terzo.
L’India è il secondo maggior produttore di palloni da calcio e altri palloni gonfiabili, mentre il leader mondiale è il Pakistan. L’industria indiana di articoli sportivi è cresciuta vertiginosamente dall’indipendenza del 1947, particolarmente nell’ultimo decennio. Durante il 1996-97 è stata raggiunta la cifra di 217,51 rupie crore (71,12 milioni di €) in esportazioni.
La posizione socio-economica delle famiglie di cucitori
L’équipe di ricerca dell’NLI ha studiato un numero di caratteristiche socio-economiche delle famiglie impiegate nella fabbricazione di prodotti sportivi, soprattutto palloni da calcio. Circa tre quarti delle famiglie sono guidate da persone per le quali il lavoro domestico è l’occupazione principale. Il numero di componenti familiari è mediamente di 5,6. Quattro delle dieci famiglie in cui si producono articoli sportivi sono guidate da adulti analfabeti.
La maggior parte dei cucitori non è solo analfabeta o semianalfabeta ma anche molto povera. Circa il 58% delle famiglie di città e il 36% di quelle di campagna è al di sotto della soglia ufficiale di povertà, che, nel 1998, era di circa 433 rupie (€ 10,36) per le città e 300 (€ 7,18) per le campagne. Questo nonostante il fatto che il reddito medio pro capite nelle famiglie sia quasi uguale alla soglia ufficiale di povertà. Mediamente una famiglia guadagnava 413 rupie al mese (€ 9,88): 443 (€ 10,60) in aree urbane e 381 (€ 9,12) in aree rurali. L’NLI definisce le condizioni di vita delle famiglie "estremamente povere". Circa due terzi delle famiglie, per esempio, non ha bagni e cucine separati.
Più dei tre quarti delle famiglie esaminate erano indù, con una concentrazione lievemente maggiore di indù nelle aree urbane. Circa il 10% delle famiglie era sikh e il 5% cristiano. Seguivano musulmani ed altre religioni.
Più del 90% di tutte le famiglie appartiene ai cosiddetti "intoccabili", attualmente chiamati "caste fisse", o – come essi stessi preferiscono chiamarsi – dalit. I dalit vengono discriminati e i loro diritti umani violati dalle caste superiori in diversi ambiti della vita come lavoro, educazione, terra e accesso a luoghi pubblici come pozzi, templi e ristoranti. I dalit sono frequentemente vittime di violenze come assassinii, roghi di case e campi e percussioni e stupri di donne, specialmente quando osano imporsi ed organizzarsi. Sono solitamente vittime di lavoro vincolato e minorile [Libro Nero – Promesse infrante e il tradimento dei dalit; Campagna nazionale per i diritti umani dei dalit, 1999].
Il livello di consapevolezza riguardo al diritto ad un salario minimo è estremamente basso. Solo il 15% degli intervistati nello studio dell’NLI si è dimostrato a conoscenza di questo argomento. "Ciò è vero in particolare per i lavoratori che risiedono molto lontano dalla città. I lavoratori accettano qualsiasi tariffa che sia loro imposta dagli intermediari".
Anticipi finanziari dati dai subappaltatori ai lavoratori domestici sono una tattica ampiamente usata per vincolare le persone e manipolare la paga a pezzo. I cucitori entrano "in una sorta di intesa vincolante con gli intermediari per mezzo della quale questi ultimi accordano ai primi pagamenti anticipati in modo da assicurare un’adeguata offerta di lavoro". Per i cucitori è parte della loro strategia di sopravvivenza.
Sorprendentemente non c’è relazione tra la conoscenza dei salari minimi e il numero di anni di educazione. Delle famiglie che erano a conoscenza del concetto di salario minimo circa il 90% affermava di essere consapevole di ricevere meno del salario minimo.
I cucitori non sono organizzati in sindacati. Essendo totalmente dipendenti dai subappaltatori per lavorare, la loro posizione è estremamente debole. Ogni protesta o tentativo di organizzazione da parte dei cucitori potrebbe essere facilmente punito dagli intermediari e/o esportatori interrompendo il rapporto di lavoro. Avviare un processo contro un datore di lavoro, per esempio per non aver pagato il salario minimo, è praticamente impossibile. Potrebbero passare dieci anni prima che un caso venga deciso e che la decisione della corte sia resa efficace. I lavoratori non se lo possono permettere ed evitano di agire. Ciò è indirettamente confermato dalle informazioni provenienti dall’assistente-commissario al lavoro del governo del Punjab.
Una chiara indicazione della debole posizione dei cucitori è che l’associazione degli intermediari contratta con i datori di lavoro sulle paghe a pezzo dei cucitori.
Lo sfruttamento del lavoro infantile e il suo impatto sull’educazione
Si stima che circa diecimila bambini lavorano nella produzione di articoli sportivi. Di questi circa 1350 lavorano esclusivamente, mentre il resto lavora e va a scuola. Mentre il 92% cuce palloni da calcio, l’8% dei lavoratori di Jalandhar e dei villaggi circostanti produce altri articoli sportivi come palle da cricket o racchette. Le conversazioni dei ricercatori con i sindacati hanno portato all’identificazione di 21 aree con concentrazione di lavoro minorile nell’industria dei prodotti sportivi. Si è ipotizzato che queste aree costituissero attorno al 75% delle zone di lavoro infantile. Il campione comprendeva 10 aree su 21, cinque urbane e cinque rurali, in cui un totale di 2993 famiglie era impiegato nella produzione di articoli sportivi. Di queste famiglie 1292 sono state intervistate intensamente. Sono stati trovati in totale 225 bambini che lavoravano a tempo pieno e 1492 part-time. Moltiplicando queste cifre per sei si arriva ad un numero di bambini lavoratori pari a 10.000.
Tutto questo sempre dando per scontato che non siano più di 30 villaggi o insediamenti urbani ad essere coinvolti nella produzione di articoli sportivi, tenendo conto della produzione entro e attorno Batala.
Il rapporto distingue tra bambini che lavorano a tempo pieno e non vanno a scuola, bambini che lavorano e vanno a scuola – sebbene possano svolgere lavoretti domestici – e bambini che né lavorano né vanno a scuola.
Nell’inchiesta si scopre che tre famiglie su quattro hanno bambini o esclusivamente lavoratori, o che si dividono fra scuola e lavoro.
I palloni da calcio sono cuciti da bambini dai cinque anni in su. Tuttavia, dei bambini "full-time" solo l’11% ha tra i cinque e i nove anni, mentre il 26% ne ha tra dieci e dodici. Il resto (63%) ne ha tredici o quattordici. Dei bambini "part-time" due terzi hanno tra i cinque e i dodici anni, il che significa che la maggior parte dei bambini comincia a cucire palloni in tenera età. La partecipazione al lavoro di maschi e femmine è quasi la stessa.
L’intensità di lavoro dei bambini cucitori è elevata. Perfino un bambino di sei anni che lavora a tempo pieno impiega mediamente sette ore e mezza per cucire un pallone, mentre diventano nove per un tredicenne. I bambini che lavorano part-time si accollano un carico di lavoro maggiore: nove ore a sei anni e quasi undici a tredici anni. Colpisce anche il fatto che un quarto dei bambini "full-time" lavori di notte, mentre è così per il 14% dei bambini "part-time".
La maggior parte dei bambini lascia la scuola dai dieci anni in poi. La frequenza scolastica dei bambini tra i cinque e nove anni è relativamente elevata. Tuttavia, essendo il numero di ore lavorative (oltre ai lavori scolastici) più di tre ore al giorno dopo i dieci anni, le forti pressioni inducono ad abbandonare la scuola: "Il carico di lavoro porta a lasciare gli studi. I dati suggeriscono che il 90% dei ritiri ha generato lavoratori a tempo pieno". L’NLI riferisce che più di metà degli intervistati dice che problemi finanziari o la necessità di assistere la famiglia hanno costretto i bambini ad abbandonare la scuola e a cominciare a lavorare a tempo pieno. Più di un quarto degli intervistati ha rinvenuto nel calo di interesse per la scuola la ragione principale del ritiro. Il rapporto riassume l’impatto del lavoro infantile sull’educazione come segue: "Lo sfruttamento del lavoro infantile rende l’educazione scolastica futile dal punto di vista sia dei genitori che dei bambini. I genitori non insistono e i bambini perdono interesse".
È da notare tuttavia che il guadagno non è la sola ragione per cui i bambini lavorano. Anche nelle fasce di reddito più basse i bambini vanno a scuola, mentre allo stesso tempo vi è una forte incidenza (67% o più) di lavoro infantile nelle famiglie che guadagnano più di 600 rupie (€ 14,26) a testa al mese. La qualità dell’educazione scolastica, combinata con la scarsa attitudine a frequentare la scuola (specialmente per le ragazze), il pesante carico lavorativo e il fatto che la maggior parte dei cucitori siano dalit socialmente discriminati, potrebbero essere alla fine dei conti, come spiegazione per il problema dell’abbandono degli studi, voci più importanti delle tanto menzionate ragioni finanziarie.
Secondo rappresentanti dell’industria di articoli sportivi, il problema del lavoro infantile è stato sostanzialmente ridotto.
La colonia di Sangal Sole a Jalandhar
"Madre e figlia cuciono assieme i 32 riquadri di un pallone da calcio. Per una lunga giornata lavorativa di dodici ore guadagnano circa 35 rupie (€ 0,82). Due ragazze di circa 15-16 anni riescono a cucire tre o quattro palloni al giorno, guadagnando 15 rupie (€ 0,35) a pezzo". È questo il quadro generale secondo Jai Singh, coordinatore dell’ONG "Volontari per la giustizia sociale" con sede nel Punjab. Due giovani donne ci raccontano che cuciono quattro palloni al giorno e guadagnano assieme 60 rupie (€ 1,41). Anche un ragazzo e suo padre ci dicono che guadagnano più o meno 30 rupie al giorno.
Vari bambini, di età compresa fra i dieci e i quindici anni, producono palloni. In questo momento tuttavia i bambini non sono massicciamente al lavoro. In periodi di punta, quando fioccano le ordinazioni, il quadro è molto diverso. "Siamo fuori stagione, quindi vengono impiegati relativamente pochi bambini", dice Jai Singh. Molti abitanti confermano questa affermazione. Ma apparentemente anche nella bassa stagione c’è qualcosa da nascondere. Poco dopo averlo incontrato un intermediario si precipita a tutta velocità con il suo scooter nel villaggio successivo per informare le persone riguardo a "ospiti inaspettati". Dappertutto si chiudono le porte.
Novembre 1999, Gerard Oonk
Visite ai villaggi attorno a Jalandhar e altrove (Batala) non ispirano quell’ottimismo che sembra prevalere nella SGFI. La consapevolezza che non ci si deve servire del lavoro infantile nell’industria si traduce in bambini che si nascondono o scappano via non appena essi stessi, i familiari o i vicini fiutano la presenza di "estranei".
La cucitura dei palloni effettuata da bambini di qualsiasi età non è illegale. La legge indiana sul lavoro minorile del 1986, che vieta lo sfruttamento del lavoro infantile rischioso in certe industrie o attività come la tessitura di tappeti o la produzione di fiammiferi, non considera la cucitura di palloni un’operazione "a rischio" per i bambini. Ma anche se così fosse, non vi sarebbero conseguenze sul lavoro minorile nell’la produzione dei palloni poiché la legge autorizza il lavoro domestico in tutte le attività, senza restrizioni.
Problemi di salute
La cucitura non è un’attività innocua. Più del 42% dei bambini che lavorano a tempo pieno e il 29% di quelli che lavorano part-time accusa problemi di salute. I problemi sono più diffusi nelle aree urbane che in quelle rurali. L’incidenza è maggiore tra le ragazze che tra i ragazzi, probabilmente perché le ragazze sopportano fatiche anche maggiore, specialmente a causa dei lavoretti domestici.
I problemi più comuni sono dolori alle articolazioni e mal di schiena, e corrispondono circa ai due terzi dei problemi segnalati. I bambini accusano dolori alle articolazioni delle ginocchia e delle dita, conseguenza del fatto che stanno seduti a gambe incrociate e usano aghi per lunghe ore. Il mal di testa è un problema denunciato dal 15% dei bambini.
I problemi di salute degli adulti potrebbero essere il risultato della cucitura protratta per un certo numero di anni. Essi comprendono ovviamente mal di schiena cronico e dolori alle articolazioni. Inoltre le dita di cucitori non più giovanissimi appaiono spesso piuttosto tozze. Gli investigatori dei Volontari per una giustizia sociale hanno riportato il problema delle dita deformate. Inoltre mal di testa e problemi agli occhi sono molto diffusi tra bambini e adulti. A parte tutto ciò, vi sono rischi per i bambini che lavorano con attrezzi affilati. Per le bambine la posizione in cui stanno sedute potrebbe condizionare la collocazione dell’utero.
La maggior parte dei lavoratori domestici vive e si dedica alla propria attività in una stanza, nella quale inoltre cuce i palloni. Ci sono i rischi per i bambini di malattie dovute all’inchiostro usato per stampare il logo sui palloni. "Gli inchiostri, a seconda del tipo e del colore, possono contenere una varietà di pigmenti a base di piombo, cromo o cadmio. C’è bisogno di un buon livello di precauzioni per evitarne l’assorbimento, ma la cruda realtà è che spesso i bambini mangiano senza lavarsi in maniera appropriata e soffrono di diarrea. Lo stesso discorso vale per la colla usata nel processo [il filo viene ricoperto di colla]. Prima di tutto inalare la colla è rischioso per la salute e, in secondo luogo, mangiata assieme al cibo diviene un veleno, specialmente per le donne incinte. Si vedono spesso i lavoratori tirare e mordere il filo con i denti (osservazione personale di Jai Singh e Gerard Oonk).
I centri di cucitura dei palloni
Molti tra i principali fabbricanti dell’industria calcistica, compresa la Mayor & Co., Soccer International e l’F.C. Sondhi hanno dato il via a centri di cucitura. Questi centri, ognuno composto da otto o più cucitori, fanno in modo che sia più facile evitare lo sfruttamento del lavoro minorile e creare migliori condizioni di lavoro, compreso il pagamento dell’intero prezzo a pezzo senza possibili detrazioni da parte dell’intermediario. Vi sono ora quaranta centri di cucitura nei quali si svolge circa metà della produzione dei membri dell’SGFI. L’accordo di Atlanta
L’accordo tra la FIFA e i sindacati era probabilmente troppo bello per essere vero. L’industria dei prodotti sportivi non lo ha particolarmente gradito. Sotto la pressione della WFSGI e un discreto numero di grandi società, molto spesso anche sponsor della FIFA e dei suoi tornei, la FIFA ha deciso di non firmare l’accordo.
Tuttavia si è formata all’interno dell’industria dei prodotti sportivi la consapevolezza della necessità di agire, poiché le società si trovavano sotto la pressione crescente di campagne e pubblicità negativa, specialmente negli Stati Uniti.
L’impiego dovrà essere scelto liberamente
Non ci dovrà essere uso di lavoro forzato o vincolato (Convenzioni ILO 29 e 105).
Non vi dovrà essere discriminazione nell’impiego
Dovrà essere assicurata equità di opportunità e trattamento indipendentemente da razza, colore, sesso, religione, opinioni politiche, nazionalità, origine sociale o altre caratteristiche distintive (Convenzioni ILO 100 e 111).
Non si dovrà fare impiego di lavoro minorile
Non vi dovrà essere uso di lavoro minorile. Dovranno essere assunti solo lavoratori al di sopra dei 15 anni (Convenzione ILO 138).
Dovranno essere rispettati la libertà di associazione e il diritto alla contrattazione collettiva
Il diritto dei lavoratori di formare e aderire a sindacati e di contrattare collettivamente dovrà essere riconosciuto (Convenzioni ILO 87 e 98). I datori di lavoro dovranno riconoscere il contributo costruttivo delle unioni sindacali alla prevenzione dello sfruttamento e adottare un approccio positivo nei confronti delle attività dei sindacati e un atteggiamento aperto alle loro attività organizzative.
Dovranno essere pagati salari equi
I salari e i profitti pagati dovranno essere in linea almeno con gli standard legali o industriali minimi e sufficienti a venire incontro alle necessità essenziali.
Le ore di lavoro non dovranno essere eccessive
Le ore di lavoro dovranno essere conformi alle leggi in vigore e agli standard industriali. Ai lavoratori non potrà essere richiesto di lavorare più di 48 ore a settimana, né più di 12 ore di straordinari, e dovrà essere loro riconosciuto un giorno di vacanza ogni periodo di 7 giorni.
Le condizioni di lavoro dovranno essere decenti
Dovrà essere messo a disposizione un ambiente di lavoro sicuro ed igienico, in modo da garantire e promuovere salute e sicurezza, tenuto conto della conoscenza, da parte di licenziatari e (sub)intermediari, dell’industria e di qualsiasi rischio specifico.
Dovrà essere stabilita una relazione di impiego
I datori di lavoro dovrebbero sforzarsi di assicurare un impiego regolare e sicuro e astenersi dall’uso eccessivo di lavoro temporaneo o occasionale. Gli obblighi nei confronti degli impiegati, che nascono dal regolare rapporto di impiego, non dovranno essere aggirati tramite l’uso di accordi subcontrattuali di solo lavoro, o tramite programmi di apprendistato in cui non vi sia un reale intento di impartire abilità o assicurare un impiego regolare. I lavoratori più giovani dovranno vedersi riconosciuta l’opportunità di partecipare ai programmi di educazione e formazione.
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Conformità alla legge
Le società affiliate e le società che producono beni per loro ("datori di lavoro") dovrebbero operare in piena conformità con le leggi nazionali e locali e i regolamenti rilevanti per le loro operazioni commerciali.
Condizioni di lavoro
In alcuni paesi i requisiti di legge sono inferiori agli standard legali internazionali e i membri dovrebbero attenersi ai seguenti criteri minimi:
Lavoro forzato
I datori di lavoro non dovranno servirsi di imprigionamento involontario, né di lavoro vincolato o forzato nelle loro operazioni.
Discriminazione
I datori di lavoro dovranno sforzarsi di assumere, formare, promuovere, pensionare e congedare i lavoratori in maniera equa sulla base dell’idoneità al lavoro e senza discriminazione.
Diritto di associazione
Il diritto dei lavoratori di aderire e organizzare ad associazioni di loro scelta deve essere rispettato
Salari
I lavoratori dovranno essere pagati almeno secondo il salario minimo legale o comunque commisurato agli standard industriali locali, e in questo caso dovrà essere maggiore
Questi dovrebbero essere pagati direttamente al lavoratore in contanti o assegno o equivalente; ogni informazione relativa ai salari dovrebbe essere disponibile ai lavoratori in una forma comprensibile.
La paga per straordinari dovrà essere maggiore di quella per le ore regolari.
Anticipi e deduzioni salariali dovranno essere tenuti attentamente sotto controllo.
Ore di lavoro, giorni liberi, ferie
I datori di lavoro non dovranno richiedere una settimana lavorativa superiore alle 60 ore, inclusi gli straordinari.
I lavoratori dovranno avere almeno 24 ore consecutive di riposo settimanale.
Ai lavoratori dovranno essere pagate le ferie.
Lavoro infantile
I datori di lavoro non dovranno impiegare bambini di età inferiore ai 15 anni (o 14 in paesi con economie e opportunità educative non sufficientemente sviluppate) o di età inferiore a quella necessaria per terminare l’educazione obbligatoria se essa è superiore ai 15 anni, se un impiego di questo tipo mette a rischio lo sviluppo educativo, sociale o culturale.
Non si dovranno impiegare persone in condizioni di lavoro forzato o lavoro minorile vincolato.
Salute e sicurezza
I datori di lavoro devono trattare tutti i lavoratori con rispetto e dignità ed assicurare loro un ambiente di lavoro sano e sicuro. Le fabbriche dovranno essere conformi alle leggi in vigore e ai regolamenti riguardanti le condizioni di lavoro.
Si dovranno elaborare standard e procedure per proteggere i lavoratori da incendi, incidenti e sostanze tossiche. L’illuminazione, il riscaldamento e i sistemi di ventilazione dovranno essere adeguati. Le stesse condizioni si applicano agli alloggi per i lavoratori eventualmente messi a disposizione dalle imprese.
Disciplina
Ogni impiegato dovrà essere trattato con rispetto e dignità. Nessun impiegato dovrà essere soggetto a molestie o abusi fisici, sessuali, psicologici o verbali.
L’impiego dovrà essere scelto liberamente
Non ci dovrà essere uso di lavoro forzato o vincolato (Convenzioni ILO 29 e 105).
Non vi dovrà essere discriminazione nell’impiego
Dovrà essere assicurata equità di opportunità e trattamento indipendentemente da razza, colore, sesso, religione, opinioni politiche, nazionalità, origine sociale o altre caratteristiche distintive (Convenzioni ILO 100 e 111).
Non si dovrà fare impiego di lavoro minorile
Non vi dovrà essere uso di lavoro minorile. I lavoratori dovranno essere assunti nel rispetto della legislazione statale e federale, in linea con gli standard ILO.
Dovranno essere rispettati la libertà di associazione e il diritto alla contrattazione collettiva
Il diritto dei lavoratori di formare e aderire a sindacati e di contrattare collettivamente dovrà essere riconosciuto (Convenzioni ILO 87 e 98). I datori di lavoro dovranno riconoscere il contributo costruttivo delle unioni sindacali alla prevenzione dello sfruttamento e adottare un approccio positivo nei confronti delle attività dei sindacati e un atteggiamento aperto alle loro attività organizzative.
Dovranno essere pagati salari equi
I salari e i profitti pagati dovranno essere in linea almeno con gli standard legali o industriali minimi e sufficienti a venire incontro alle necessità essenziali.
Le ore di lavoro non dovranno essere eccessive
Le ore di lavoro dovranno essere conformi alle leggi in vigore e agli standard industriali. Ai lavoratori non potrà essere richiesto di lavorare più di 48 ore a settimana, né più di 12 ore di straordinari, e dovrà essere loro riconosciuto un giorno di vacanza ogni periodo di 7 giorni.
Le condizioni di lavoro dovranno essere decenti
Dovrà essere messo a disposizione un ambiente di lavoro sicuro ed igienico, in modo da garantire e promuovere salute e sicurezza, tenuto conto della conoscenza, da parte di licenziatari e (sub)intermediari, dell’industria e di qualsiasi rischio specifico.
Dovrà essere stabilita una relazione di impiego
I datori di lavoro dovrebbero sforzarsi di assicurare un impiego regolare e sicuro e astenersi dall’uso eccessivo di lavoro temporaneo o occasionale. Gli obblighi nei confronti degli impiegati, che nascono dal regolare rapporto di impiego, non dovranno essere aggirati tramite l’uso di accordi subcontrattuali di solo lavoro, o tramite programmi di apprendistato in cui non vi sia un reale intento di impartire abilità o assicurare un impiego regolare. I lavoratori più giovani dovranno vedersi riconosciuta l’opportunità di partecipare ai programmi di educazione e formazione.
Algeria
16
Antigua e Barbuda
15
Belgio
15
Bielorussia
16
Brasile
14
apprendistato
12
Bulgaria
16
Cina
16
Costa Rica
15
Cuba
15
Egitto
12
max 6 ore giorno
Francia
16
Germania
15
Grecia
15
Guatemala
14
Guinea Equatoriale
14
Honduras
14
India
sotto i 12
divieto assoluto
sotto i 14
proibite attività pericolose
Indonesia
permesso
con il limite di 4 ore
vietato
il lavoro notturno
Iraq
15
Irlanda
15
Israele
15
Italia
15
Kenya
16
Libia
15
Lussemburgo
15
Malta
16
Mauritius
15
Nicaragua
14
Niger
14
Norvegia
15
Olanda
15
Pakistan
15/14
Polonia
15
Rep. Dominicana
15
Romania
16
Ruanda
14
Russia
16
Spagna
15
Tanzania
12
Togo
14
Ucraina
16
Uruguay
15
Venezuela
14
Yugoslavia
15
Zambia
15
MEGLIO SFRUTTATI?
Lavorano la terra. Lustrano le scarpe. Intrecciano tappeti. Liberali è difficile: chi non lavora muore di fame. Però, forse, domani saranno salvi: se oggi difenderemo i loro diritti.
Arturo Samuel non sa nulla di Halloween . per lui le zucche non sono mai state un frutto da intagliare e decorare la vigilia di Ognissanti e da riempire di candeline luccicanti. Eppure gli è sempre piaciuto pulirle, staccare con un temperino le zolle di terra e lucidare quei frutti gialli con suo fratello Omar < E’ stato il mio primo lavoro. Avevo sette anni. Omar comprava le zucche sporche, di seconda scelta. Poi le ripulivano con il sapone e le rivendevano al mercato di Canto Grande>, racconta Arturo Samuel di Lima, Perù. Oggi lui ha undici anni. Non pulisce più frutta da rivendere al mercato. Fa la seconda media al Collegio “Madre Admirabile” di Cerro san Pedro, un sobborgo della capitale.
. Sua madre è orgogliosa di lui. Anche perché Arturo a Lima è una “personalità”: un delegato cittadino del Manthoc, l’associazione di bambini lavoratori che in Perù raccoglie circa undicimila ragazzi.
Tipi svegli, che si sono organizzati per tutelare i loro diritti spesso calpestati dai padroni, gestire mense per baby-lavoratori e servizi di assistenza medica. Mentre ai politici chiedono orari di scuola
Più flessibili per continuare a studiare.
Omy è una bella ragazza senegalese. Slanciata, grandi occhi scuri. Anche lei è cresciuta in fretta. . Così a otto anni, Omy comincia a bussare a tutte le porte. Alla fine trova una signora benestante che l’assume: < Curavo suo figlio, lavavo i piatti a le casa: dalle 8 del mattino alle 8 di sera. Per uno stipendio di 2000 franchi, circa tre euro al mese>. E’ il suo primo lavoro. Non è il peggiore. . Oggi Omy non fa più la colf.
OSTAGGI NELLE PIANTAGIONI
Secondo l’Organizzazione internazionale del Lavoro, in tutto il mondo lavorano 246 milioni di bambini tra i 5 e i 14 anni. L’Asia è la regione con la percentuale più alta, seguita da Africa Subsahariana e America latina.
Tutti schiavi?Non è esatto.
Certo i casi di sfruttamento sono la maggioranza: circa 179 milioni. E sollevano indignazione. Basta pensare ai ragazzi ostaggio nelle piantagioni di caco in Costa d’Avorio, ai tessitori di tappeti in Pakistan: più piccole sono le loro mani, più fanno gola agli imprenditori. O ai baby- operai di Dhaka, in Bangladesh, nelle fabbriche di secchi di alluminio: Ragazzi curvi su macchine gigantesche, completamente ricoperti di una finissima polvere argento, più simili ad alieni che a essere umani>, racconta Paolo Ferrarsi responsabile sul posto di Terres des Hommes che è riuscito a visitare alcuni laboratori locali.
Ma accanto a queste brutte storie di cui la stampa mondiale ha cominciato finalmente ad occuparsi, ci sono esperienze come quelle di Arturo Samuel e Oki. Dove il lavoro, da scandalo, diventa occasiona di riscatto. E i bambini tornano protagonisti.
La storia delle storie comincia in America latina dove migliaia di migliaia di ragazzini sono organizzati nei Nats: un sindacato di piccoli lavoratori che lottano per conciliare il diritto allo studio, al salute, al gioco, con quello di essere protagonisti della vita economica. , racconta una sociologa .
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Sfruttamento Sessuale
Cosa si intende per abuso all’infanzia?
Parliamo di abuso ogni qualvolta il bambino è oggetto di violenza, anche quando il rapporto causa-effetto non sembra chiaro.
Occorre, quindi, esaminare sia la sintomatologia che il bambino presenta, sia osservare il comportamento degli adulti che si occupano del bambino. Il comportamento dell’adulto può variare moltissimo. Un’idea erronea sui genitori che compiono abusi, è che si tratti di persone appartenenti alle classi sociali più svantaggiate. Sicuramente i genitori poveri possono essere, con maggiore facilità, vittime di eventi stressogeni sia interni alla famiglia che esterni ( ad esempio: le dimensioni di una casa e/o l’eventuale sovraffollamento, la possibilità che abbiano contratto debiti…), rispetto ai genitori che vivono in condizioni più agiate. Inoltre, i genitori che abusano non sono solo ed esclusivamente quelli considerati anormali: gli psicotici, i ritardati, i criminali…, ma anche individui ben adattati, considerati insospettabili.
I problemi che spingono all’abuso sono in realtà i medesimi sia per i genitori “ricchi” che per quelli “poveri”, sia per quelli “malati” che per quelli “sani”, sia per i genitori “bianchi” e per quelli “di colore”, sia per genitori “cattolici” che per genitori “musulmani” o appartenenti a qualsiasi religione.
In questo caso l’abuso genitoriale deriva da una distorsione del rapporto tra genitori e figli, che priva i bambini dell’adeguato nutrimento sia fisico che affettivo, e che invece permetterebbe loro di svilupparsi in modo completo e armonico. Solitamente i genitori, che abusano dei propri figli, sono genitori che a loro volta sono state vittime di abuso. La ripetizione di un modello di abuso, da una generazione all’altra, è l’aspetto caratteristico delle famiglie abusanti.
I genitori che abusano vedono nella punizione l’unico modo per trattare con i loro piccoli. Pur sentendosi scoraggiati anche quando picchiare i piccoli non porta a nessun risultato, essi non vedono altre soluzioni, perpetrando così il circolo vizioso in cui gravitano: punizione, rapporto che si deteriora, frustrazione, punizione ulteriore. In aggiunta alle esperienze infantili dei genitori, vi sono fattori che vanno dal concepimento alla nascita del bambino che lo rendono più o meno piacevole ai genitori e perciò più o meno suscettibile di abuso. Una gravidanza indesiderata, l’abbandono da parte del partner, la mancanza di un sistema di supporto, la nascita prematura del figlio, eventuali malattie postatali della mamma o del bambino possono sovrapporsi alle difficoltà del ruolo di genitore ed esaurire le risorse di un genitore, che potrebbe essere un abusante. Invece, il bambino che risponde alle aspettative genitoriale è “fortunato”, almeno sino a quando uno dei genitori non comincerà ad avvertirlo come “cattivo e capriccioso” e, quindi, comincerà a picchiarlo per evitare che cresca “viziato”. Un licenziamento, un contrasto sul lavoro o, più semplicemente, una discussione familiare possono essere sufficienti a rendere insopportabile il pianto ininterrotto del bambino. Inoltre, nelle famiglie abusanti i genitori non si sostengono a vicenda; ognuno tende a disconoscere qualsiasi coinvolgimento affettivo e di ruolo. Esempi classici sono:
• una donna che sta a casa con il figlio tutto il giorno, appena il marito rientra dal lavoro, gli chiede di intervenire su “quel bambino tremendo e cattivo”. Sfidato come padre e come autorità, egli interviene picchiando il bambino;
• una madre che ha cercato di calmare il bambino per ore, sfoga tutta la sua aggressività sul bambino stesso, qualora il proprio partner le urli contro: ”fai tacere quel maledetto”, “non riesco a dormire”, “non riesco a seguire il derby”…, poiché non le vengono riconosciuti tutti gli sforzi da lei fatti.
In conclusione, un genitore per essere tale dovrebbe essere in grado di riconoscere i bisogni del bambino e soddisfarli o facilitare il soddisfacimento degli stessi. Molto importante è che il genitore sia sempre consapevole che i bisogni del bambino e quelli del genitore spesso non coincidono o potrebbero addirittura essere in contrasto.
Il decalogo che ogni genitore dovrebbe seguire per un armonico sviluppo del proprio figlio è:
• Non rifiutarlo;
• non intromettersi, proiettando le proprie aspettative sul bambino, ma accettarlo com’è;
• non intrudere in situazioni naturali;
• non privare materialmente ed affettivamente il bambino, anche se i bisogni diminuiscono col crescere;
• non sminuirlo;
• non umiliarlo;
• non punirlo in modo violento, la violenza rappresenta la nostra capacità a gestire situazioni per noi ansiogene;
• non ucciderlo né fisicamente ne moralmente
E’ un dato allarmante che non può più essere ignorato: l’industria sessuale è in continua crescita e l’età dei bambini coinvolti diminuisce regolarmente. Prostituzione, abusi sessuali, traffico di bambini, utilizzo per uso pornografico: queste sono solo alcune, forse le più evidenti, forme di sfruttamento sessuale dei minori. A tutto ciò bisogna aggiungere che in moltissime regioni dell’Africa ancora viene costantemente praticata “l’infibulazione”: la mutilazione genitale che, in nome della tradizione, viene inflitta alle bambine.
Spesso bambine e bambini vengono rapiti e venduti nei bordelli e sacrificati alla perversione di pedofili, per lo più occidentali – infermieri, diplomatici, uomini d’affari, insegnanti – individui insospettabili. Stuprati per pochi soldi ad “incontro”, queste piccole vittime sono per lo più tenute prigioniere in tuguri dove raramente entra la luce, in condizioni igieniche deprecabili, minacciati e seviziati al fine di stroncarne ogni possibile resistenza o tentativo di fuga.
Pensiamo poi, a tutte le bambine e i bambini che vivono indifesi per le strade, soggetti alle violenze di chi approfitta della loro fragilità e vulnerabilità. In Brasile, a San Paolo, circa 200.000 bambini vivono per le strade. Cristina, una bambina di dieci anni, ha vissuto in mezzo alla strada per due anni insieme al suo fratellino di quattro anni chiedendo l’elemosina. Un esame medico sulla bambina ha riscontrato sul suo giovanissimo corpo tutto il dolore delle sue esperienze: sessanta bruciature e uno squarcio nella vagina.
Le conseguenze sullo sviluppo psicologico e sulla salute di questi bambini sono devastanti.
Il maltrattamento all'interno della famiglia.
Le punizioni fisiche: una forma trascurata e sottovalutata di maltrattamento.
I dati relativi ai reati connessi al maltrattamento fisico danno una dimensione poco accurata del fenomeno, in quanto la maggior parte delle violenze si verificano all’interno delle mura di casa e sono destinate a rimanervi nascoste.
Le punizioni fisiche, una forma trascurata e sottovalutata di maltrattamento, avendo una parvenza educativa, vengono più facilmente ammesse anche se, oltre un certo livello, vengono avvertite dagli stessi minori come vero e proprio maltrattamento fisico.
Subiscono violenza fisica con maggiore frequenza:
* I bambini più piccoli.
* I maschi più delle femmine.
* I minori portatori di handicap.
* I minori che lavorano.
* I minori che vivono in famiglie al cui interno si verificano episodi abituali di
violenza fisica.
Effetti della violenza fisica:
* Autovalutazione negativa.
* Fobie e paure eccessive.
* Disturbi psicosomatici.
* Ansia, depressione.
* Senso di solitudine: il minore non ha a chi rivolgersi nei momenti difficili.
* Tendenza alla riproduzione dei comportamenti aggressivi subiti.
* Tendenza a subire incidenti sia in casa che fuori.
* Immagine dei genitori come “nervosi”, ingiusti, fonte di paura.
La violenza fisica è spesso connessa a violenza psicologica, ad es.: punizioni che comportano l’isolamento del minore, punizioni alimentari ripetute.
SFRUTTAMENTO SESSUALE DEI BAMBINI NEL MONDO.
La prostituzione è una delle varie forme di schiavitù accanto alla compravendita e allo sfruttamento lavorativo,al lavoro forzato e all’asservimento per debiti. Essa si connota come l’abuso di minori a scopo sessuale e, pur presentandosi sotto varie forme,sta diventando ormai una delle peggior piaghe che il nostro presente ha ereditato dall’ antichità greco-romana e dalle civiltà asiatiche ed africane.
In quasi tutti i paesi meta del turismo internazionale, dall’Estremo Oriente all’America Latina e, secondo dati recenti, anche in Europa, la prostituzione infantile sta sempre di più oggi toccando livelli preoccupanti,coinvolgendo centinaia di migliaia di bambini e adolescenti, costretti al commercio sessuale da organizzazioni clandestine che ne gestiscono i proventi.
Un affare da 5 miliardi di dollari che conta circa 1 milione di nuovi bambini ogni anno. Il traffico meglio documentato di minori destinati al mercato del sesso, secondo le ultime indagini, sarebbe quello che riguarda la rotta che parte dalla Thailandia e va verso la Birmania, la Cina e il Laos; dalle Filippine verso la Malesia, dal Nepal verso l’India, all’India, dall’India verso il Medio Oriente, dal Bangladesh verso il Pakistan. E la meta finale di queste strade è, spesso, l’Europa. Anche se il fenomeno è in espansione in tutto il mondo, sicuramente,è l’Asia a detenere il triste primato con quasi 2 milioni di minori coinvolti. E lo stato più famoso è la Thailandia, dove la prostituzione non è legalizzata. Sono migliaia i piccoli che vengono costretti a prostituirsi in Asia, America Latina Africa, Europa dell’ Est e, anche , dell’ Ovest. Lo sfruttamento sessuale di minori,quindi , non è sola prerogativa dei paesi cosiddetti poveri , dove le famiglie numerose si trovano costrette a vendere i propri figli per sopravvivere e dove agisce la corruzione dilagante e la criminalità organizzata. Accade anche nei paesi del benessere.
La crescita essenziale di questo commercio è dovuta, principalmente, ai turisti stranieri e ai pedofili, pronti a remunerare lautamente chi permette loro di liberare le loro ben particolari ossessioni sessuali. Gli uni e gli altri sono persone senza più valori, per le quali usare dei bambini come proprio oggetto sessuale, rappresentata una moda come un’altra. Essi hanno contribuito, negli ultimi anni, in modo decisivo a sostenere la degradante industria del sesso.
Fra le loro braccia, i bambini si trasformano in “pedine” innocenti che confidano negli adulti e che vengono ingannati e venduti alla prostituzione, con la promessa di lavoro, educazione o, semplicemente, di una vita migliore. Sempre più spesso un minore viene violentato, molestato o avviato nel giro della prostituzione, con la promessa di lavoro, educazione o, semplicemente, di una vita migliore. Sempre più un minore viene violentato , molestato o avviato nel giro della prostituzione coercitivamente, proprio per mezzo di un adulto (genitore,parente,educatore ,prete,benefattore) che ne ha conquistato l’affetto. Sia maschi che femmine sono le piccole vittime;
soprattutto, femmine di età oscillante tra gli 8 e i 16 anni,in alcuni casi addirittura di 4-6 anni. Solo in rari paesi, la maggior parte dei paesi, la maggior parte dei minori coinvolti nella prostituzione è caratterizzata da maschi. Attualmente, per paura dell’ Aids, la domanda si sta dirottando verso bambine sempre più piccole, comportando un abbassamento notevole dell’età media di queste vittime. Si tratta, in particolare , di bambine provenienti da famiglie povere per le quali la prostituzione costituisce una delle poche fonti di sopravvivenza. Vengono costrette a lavorare 7 giorni a settimana con pausa di una sola notte al mese.
Attualmente, nei paesi in via di sviluppo ci sono villaggi privi di adolescenti . Si sono trasferiti tutti nei grandi centri urbani e la maggior parte di loro è coinvolta nella prostituzione, in alcuni casi di loro iniziativa, in altri obbligati perché venduti come schiavi dagli stessi genitori . Molte famiglie di contadini non hanno di che mangiare e spesso non possono “rifiutare” offerte di denaro vantaggiose: in Thailandia, per esempio, una ragazza che si prostituisce guadagna 20-30 volte di più di quanto guadagnerebbe con ogni altra occupazione a lei accessibile.
Non esistono dati precisi sullo sfruttamento nel mondo, ma le stime sono, comunque, terribili. Se da un lato l’ offerta è in continua crescita, causa le gravissime condizioni di vita cui sono costrette queste popolazioni, dall’ altro è in forte aumento anche la domanda. Questo sfruttamento non nasce dal nulla e non è imposto a una società riluttante:nasce proprio da una domanda, gestita da persone che ci guadagnano sopra somme colossali e sopravvive solo per l’ involontaria partecipazione di centinaia di bambini di entrambi i sessi.
Appare chiaro, quindi, come tra le tante forme di violenza, quella dello sfruttamento sessuale a fini commerciali, resti la più brutale in assoluto. Gli incredibili abusi fisici e psicologici cui sono sottoposti i minori minano alla base il loro sviluppo futuro:
La sfera sessuale è un lato della persona e della personalità (non meno importante degli altri,come fino a non troppo tempo fa la società benpensante e falsamente cattolica si industriava di convincerci, ma neppure più importante degli altri , come alcuni psicologici o sedicenti fronti trasversali per la liberazione dalle repressioni vorrebbe adesso dare per scontato)… e credo sia indubbio che questo aspetto nasce con l’ uomo..
Ma nel bambino la sfera sessuale (come tutto il resto , dalla sfera fisica a quella psicologica, alla personalità ) è in evoluzione, in crescita in formazione… il bambino non andrebbe mai a cercare un adulto per fare esperienze di maturazione sessuale… se l’ adulto non si intromettesse, infiltrasse subdolamente, facendo leva sulla naturale curiosità dei bambini e sulla loro immaturità.
La scuola: un efficace strumento di rilevazione e prevenzione
Cosa ne pensano gli insegnanti. Risultati di una intervista agli insegnanti.
Gli insegnanti riconoscono e sono preoccupati per la dimensione quantitativa del fenomeno “abuso”. Il maggiore allarme è dato da possibili casi di abuso sessuale, anche se il fenomeno è presumibilmente quantitativamente sottovalutato.
Hanno difficoltà, incertezze e devono ricorrere alla personale esperienza, all’intuito, al buon senso per indicare le cause e i segnali dell’abuso, ma ritengono che la scuola debba contribuire all’attività di prevenzione del fenomeno.
Sanno di non avere a sufficienza gli strumenti di conoscenza per individuare per tempo i casi a rischio, pensano perciò che la scuola debba rendere disponibili opportunità di formazione, per affrontare il fenomeno e desiderano essere affiancati in casi specifici dall’intervento di esperti.
Conclusioni.
La scuola può ricoprire un ruolo centrale nella strategia dell'Osservatorio, possedendo una grande potenzialità nell'individuare e segnalare precocemente i casi di maltrattamento e offrendo l'opportunità di intervenire efficacemente nelle situazioni familiari a rischio.
L'attenzione alla famiglia, infatti, non si deve tradurre nell'assumere un atteggiamento persecutorio nei confronti dei suoi componenti, ma nel costante tentativo di costruire le condizioni per raggiungere l'obbiettivo del benessere del minore e del suo armonico sviluppo psicologico e sociale.
I risultati della ricerca sono stati pubblicati in un volume dal titolo "Violenza familiare e maltrattamento minorile.

Pedofilia.
Fra i vari tipi di violenza, l'abuso sessuale sui minori suscita il maggiore allarme sociale ed è quello che fa più notizia, perché è un reato ripugnante, ferocemente sanzionato anche nelle comunità carcerarie, perché le capacità di seduzione di certi siti Internet e delle Chatline è sbalorditiva e può colpire silenziosamente ciascuna delle nostre famiglie all'insaputa dei genitori. Sentiamo i nostri figli indifesi nei luoghi di gioco, nelle strade, alle uscite delle scuole che possono essere frequentate da pedofili senza scrupoli. La realtà conosciuta dagli educatori, dagli esperti e dagli studiosi è tuttavia ancora una volta più complessa e più grave perché quegli episodi di cui veniamo a conoscenza rappresentano una piccola porzione visibile di un numero di abusi e molestie sessuali che si consumano nel silenzio e nei luoghi ritenuti più sicuri. In genere un bambino molestato conosce bene l'adulto pedofilo al quale si affida con sicurezza perché è un familiare o un educatore con cui vive a stretto contatto. Attorno al bambino si organizza così un sistema rigido di complicità e connivenze che non gli consente di comunicare il suo dramma e che anzi lo fa sentire causa di quanto sta avvenendo.
Le notizie servono: accendono l'attenzione del pubblico su problemi reali attraverso la narrazione di casi esemplari, anche se talvolta creano mostri incolpevoli. L'allarme che producono è acuto e diffuso e segue un andamento per picchi di attenzione e cadute nell'oblio man mano che la loro risonanza diviene sempre più lontana. Le risoluzioni giudiziarie che fanno scalpore hanno un valore sociale e possono rappresentare un rito di purificazione dalla colpa collettiva, ma gli abusi rimangono e seguono un percorso sotterraneo e costante, difficile da rilevare, forse in crescita.
È vero anche, tuttavia, che buona parte dell'opinione pubblica si rende conto che fenomeni così gravi non possono essere combattuti con interventi sporadici e soltanto repressivi e che l'idea di prevenirli è più lungimirante e più economica in termini di costi sociali e di costi psicologici personali. Per questo motivo si è costituito un Comitato promosso dall'Assessore alle Politiche Scolastiche di cui fanno parte rappresentanti delle Forze dell'Ordine, educatori, giuristi e psicologi per l'attuazione di un progetto di prevenzione dell'abuso sui minori. Dal gennaio 2001 avrà inizio un programma di formazione specifica degli insegnanti della scuola dell'obbligo al quale seguiranno degli incontri di informazione con le famiglie. L'obbiettivo è quello di non creare allarmismi peggiori del male su cui si vuole intervenire, ma un'attenzione serena e mirata ai contatti a rischio di abuso bambino - adulto. Parlare del problema con gli educatori, i bambini e le loro famiglie è un lavoro difficile e delicato ed è anche l'unico modo per rompere la catena del silenzio e dell'isolamento che rappresenta il danno più grave per le giovani vittime.
Parlarne prima che il danno avvenga è anche meglio, parlarne dopo è una risorsa per il bambino che può essere messo in grado di ricostruire la sua crescita fisica e psichica violata.
COME SI PUO' INTERVENIRE?
La scuola può divenire uno dei luoghi privilegiati per la prevenzione e la individuazione dei soggetti e delle situazioni a rischio.
• Educare il bambino e l’adolescente a riconoscere e comunicare senza vergogna le situazioni di rischio e gli abusi subiti.
* Interventi psicopedagogici individuali nei casi di abuso riconosciuto.
* Intervento dei Servizi Sociali.
* Colloqui psicologici con i genitori.
* Lavori di gruppo coi genitori.
* Linea telefonica di primo aiuto. (*)
* Case Famiglia per un rapido accoglimento di bambini e ragazzi in crisi.
Sfruttamento sessuale dei bambini nel mondo
(questo paragrafetto è interamente tratto da [3]; la chiarezza espositiva, la padronanza dell'argomento e la mole di informazioni riscontratevi sono infatti sicuramente al di sopra delle possibilità dell'autore dell'articolo)
La prostituzione minorile è una delle varie forme di schiavitù accanto alla compravendita e allo sfruttamento lavorativo, al lavoro forzato e all’asservimento per debiti. Essa si connota come l’abuso di minori a scopo sessuale e, pur presentandosi sotto varie forme, sta diventando ormai una delle peggior piaghe che il nostro presente ha ereditato dall’antichità greco-romana e dalle civiltà asiatiche ed africane. In quasi tutti i paesi meta del turismo internazionale, dall’Estremo Oriente all’America Latina e, secondo dati recenti, anche in Europa, la prostituzione infantile sta sempre di più oggi toccando livelli preoccupanti, coinvolgendo centinaia di migliaia di bambini e adolescenti, costretti al commercio sessuale da organizzazioni clandestine che ne gestiscono i proventi.
Un affare da 5 miliardi di dollari che conta circa 1 milione di nuovi bambini ogni anno. Il traffico meglio documentato di minori destinati al mercato del sesso, secondo le ultime indagini, sarebbe quello che riguarda la rotta che parte dalla Thailandia e va verso la Birmania, la Cina e il Laos; dalle Filippine verso la Malesia, dal Nepal verso l’India, dall’India verso il Medio Oriente, dal Bangladesh verso il Pakistan. E la meta finale di queste strade è, spesso, l’Europa. Anche se il fenomeno è in espansione in tutto il mondo, sicuramente, è l’Asia a detenere il triste primato con quasi 2 milioni di minori coinvolti. E lo stato più famoso è la Thailandia, dove la prostituzione non è legalizzata.
Sono migliaia i piccoli che vengono costretti a prostituirsi in Asia, America Latina, Africa, Europa dell’Est e, anche, dell’Ovest. Lo sfruttamento sessuale di minori, quindi, non è sola prerogativa dei paesi cosiddetti poveri, dove le famiglie numerose si trovano costrette a vendere i propri figli per sopravvivere e dove agisce la corruzione dilagante e la criminalità organizzata. Accade anche nei paesi del benessere.
La crescita essenziale di questo commercio è dovuta, principalmente, ai turisti stranieri e ai pedofili, pronti a remunerare lautamente chi permette loro di liberare le loro ben particolari ossessioni sessuali. Centinaia di turisti, uomini d’affari e padri di famiglia sfruttano sessualmente i bambini durante le loro frequenti visite alle città dello svago internazionale. Gli uni e gli altri sono persone senza più valori, per le quali usare dei bambini come proprio oggetto sessuale, rappresenta una moda come un’altra. Sono soprattutto americani, europei, giapponesi. Essi hanno contribuito, negli ultimi anni, in modo decisivo a sostenere la degradante industria del sesso.
Fra le loro braccia, i bambini si trasformano in “pedine” innocenti che confidano negli adulti e che vengono ingannati e venduti alla prostituzione, con la promessa di lavoro, educazione o, semplicemente, di una vita migliore. Sempre più spesso un minore viene violentato, molestato o avviato nel giro della prostituzione coercitivamente, proprio per mezzo di un adulto (genitore, parente, educatore, prete, benefattore) che ne ha conquistato l’affetto. Sia maschi che femmine sono le piccole vittime; ma soprattutto, femmine di età oscillante tra gli 8 e i 16 anni, in alcuni casi addirittura di 4-6 anni. Solo in rari paesi, la maggior parte dei minori coinvolti nella prostituzione è caratterizzata da maschi. Attualmente, per paura dell’Aids, la domanda si sta dirottando verso bambine sempre più piccole, comportando un abbassamento notevole dell’età media di queste vittime. Si tratta, in particolare, di bambine provenienti da famiglie povere per le quali la prostituzione costituisce una delle poche fonti di sopravvivenza. Vengono costrette a lavorare 7 giorni a settimana con pausa di una sola notte al mese. Psicofarmaci e liquori sono l’unico aiuto che questi “bambini-adulti” hanno per riuscire a reggere questo tipo di vita e, molto spesso, finiscono con il drogarsi o suicidarsi, soprattutto, quando le condizioni fisiche non permettono più loro di lavorare. La vita lavorativa di un minore che si prostituisce, infatti, è assai breve. Il detto più comune di Patpong, strada di Bangkok dove il numero dei bambini sfruttati sessualmente è molto elevato, è: “Donne a 10 anni, vecchie a 20, morte a 30”.
Attualmente, nei paesi in via di sviluppo ci sono villaggi privi di adolescenti. Si sono trasferiti tutti nei grandi centri urbani e la maggior parte di loro è coinvolta nella prostituzione, in alcuni casi di loro iniziativa, in altri obbligati perché venduti come schiavi dagli stessi genitori. Molte famiglie di contadini non hanno di che mangiare e spesso non possono “rifiutare” offerte di denaro vantaggiose: in Thailandia, per esempio, una ragazza che si prostituisce guadagna 20-30 volte di più di quanto guadagnerebbe con ogni altra occupazione a lei accessibile.
Non esistono dati precisi sullo sfruttamento sessuale dei bambini nel mondo, ma le stime sono, comunque, terribili. Se da un lato l’offerta è in continua crescita, causa le gravissime condizioni di vita cui sono costrette queste popolazioni, dall’altro è in forte aumento anche la domanda. Questo sfruttamento non nasce dal nulla e non è imposto a una società riluttante: nasce proprio da una domanda, gestita da persone che ci guadagnano sopra somme colossali e sopravvive solo per l’involontaria partecipazione di centinaia di bambini di entrambi i sessi.
Appare chiaro, quindi, come tra le tante forme di violenza, quella dello sfruttamento sessuale a fini commerciali, resti la più brutale in assoluto. Gli incredibili abusi fisici e psicologici cui sono sottoposti i minori minano alla base il loro sviluppo futuro: li espongono al rischio di maternità precoci e di malattie a trasmissione sessuale, Aids compresa. Ricerche e testimonianze dirette parlano di traumi così profondi da rendere difficile, se non impossibile, un effettivo recupero dei piccoli a una vita normale. Molti muoiono prima di diventare adulti. In una società consumistica, che si basa sul principio della domanda e dell’offerta, la prostituzione infantile aumenta in funzione dell’esistenza di persone che ricercano un tipo particolare di piacere.
L'intenzione è quella di poter affermare che non c'è abuso se non vi sono lesioni fisiche; inoltre che non c'è abuso se il bambino è consenziente. Da questi presupposti discendono le ragioni su cui si battono le associazioni pedofile: in primis l'abbassare l'età del libero consenso (ageism). Proseguendo nell'osservazione di questo sito si scorge un'altra dichiarazione palesemente strumentale: “riconoscergli tutti i diritti dell'essere umano non per proteggerlo ma per liberarlo.” È su questa affermazione che i pedofili puntano ancora una volta il dito: da parte degli adulti c'è troppa voglia di proteggere i bambini, ma la protezione è qui intesa con accezione negativa: vengono criticate le associazioni che si propongono di tutelare i bambini, descrivendole come intenzionate, in realtà, a trattarli come animali in via di estinzione, a chiuderli in una gabbia dorata…etc. Il linguaggio si caratterizza per la continua contrapposizione tra "loro" (gli adulti "normali" visti come cattivi) e "noi" (i pedofili visti come buoni); viene continuamente sottolineata l’esistenza di una società sessuofoba, omofoba, retriva… Coerentemente il capitolo sui diritti termina così: “le vostre parole d'ordine sono reprimere, ingabbiare, ingannare con la scusa di proteggere, per noi invece sono amare, rispettare, emancipare con la volontà di liberare”.
Passando alla pagina relativa ai sentimenti, spicca l'innocua immagine di due adolescenti (maschi) che si abbracciano teneramente. In questa parte viene esplicitamente spiegato il perché la sessualità è un diritto del minore e in che modo è auspicabile che sia vissuta in rapporto all'età. Gli autori del sito distinguono 3 stadi di sviluppo: l'adolescenza (11/12 anni fino ai 15/16), la fanciullezza (6/7 fino a 11/12) e l'infanzia (prima dei 6 anni). Naturalmente, secondo gli autori, per l'adolescenza la sessualità dovrebbe essere un diritto in quanto ne è naturale espressione; per cui la "carica sessuale si manifesta generalmente come gioco e/o scoperta del corpo (proprio o altrui). Vissuta in questa maniera, l'esperienza sessuale è possibile e auspicabile a quest'età". In conclusione, secondo i pedofili il diritto del bambino alla sessualità dovrebbe essere riconosciuto completamente a partire dall'entrata nella pubertà, lasciando allo stesso libera scelta di partner e modalità di comportamento, fornendogli tutte le informazioni necessarie sul tema. Anche nella fanciullezza la possibilità dell'esperienza sessuale dovrebbe essere riconosciuta a patto che venga rispettata la natura di gioco con cui essa si manifesta. Un'ultima affermazione sulla quale riflettere: “una società che continui a negare il diritto alla sessualità al bambino non farà che continuare a creare adulti repressi e schiavi, e in molti casi i 'mostri' di cui vanno così ghiotti i giornali”. È chiaro che lo scopo dello scritto è quello di convincere il lettore che il pedofilo non è pericoloso per il bambino (che invece ama sinceramente) ma che anzi è sicuramente uno dei pochi adulti che ne ha veramente a cuore la felicità e la libertà interiore. Ecco il perché dell'uso strumentale di siti che lottano contro l'impiego dei bambini nelle guerre o in ogni altra forma di violenza o sfruttamento. In altre sezioni del sito in esame viene denigrata la società adulta (i genitori in particolare) e vengono esaltati i lati positivi del rapporto intimo con un "pedofilo", riportando testimonianze di bambini che hanno vissuto (o vivono) con naturalezza ed in modo assolutamente appagante i loro rapporti con uomini più grandi e le cui sofferenze derivano solo dalle proibizioni degli adulti. Le storie che vengono raccontate ed i personaggi sono spesso gli stessi per molti siti pedofili; è infatti abituale rinvenire gli stessi materiali e testimonianze in siti diversi.
[...]
Situazione su Internet
Internet è una rete globale, che permette la trasmissione e la condivisione di informazioni tra entità diverse e distanti in ogni parte del pianeta ed in ogni istante. E' una risorsa enorme ed una grande opportunità di sviluppo per chiunque.. quindi l'importanza ed i meriti di Internet non sono in discussione.
Anche il teorema internet=illegalità è piuttosto forte e non credo possa essere accettato così come a volte qualcuno ha tentato di imporre (probabilmente perché ignorante in materia o per cavalcare la forte onda dello sdegno collettivo).
E' pur vero, però, che Internet è aperta a tutti e chiunque può, più o meno liberamente, creare un proprio sito o scambiare dati sulla natura dei quali difficilmente è possibile porre limiti o vincoli. La natura stessa di Internet (nonché la sua fortuna) è fondamentalmente ed imprescindibilmente connessa a questa libertà.
Cosa consegue a questa libertà? Consegue la "vita" di Internet, la possibilità per un gruppo di studenti universitari come noi del Club di Informatica di realizzare un sito e di condividere informazioni, notizie, corsi e conoscenza potenzialmente con il resto del mondo, consegue la libertà per chiunque di fare ricerche da casa e trovare -spesso gratuitamente- una quantità di informazioni inimmaginabile e, soprattutto, non ottenibile con qualunque altro mezzo... ma consegue anche la possibilità di sfruttare l'assenza (più o meno totale) di regole, l'assenza (più o meno totale) di mezzi di controllo, di vigilanza, di repressione... di sfruttare la libertà assoluta per commettere una serie di atti difficilmente realizzabili seguendo altre strade, e con risultati imparagonabilmente migliori (in quanto a costi ed a possibilità di diffusione).
E quindi?
Basta guardarsi un po' in giro per il Web! La diffusione della pornografia online è evidentissima ed assume le forme più oscene, volgari, innaturali e vergognose che possano immaginarsi.. Ma l'uso della pornografia, la sua diffusione, l'eventuale gradimento che può riscontrare... non ci interessano in questo articolo: seppur d'una piaga si tratta (quando è costruita su minacce e sfruttamento, cosa che mai può negarsi a priori), è una realtà che attiene alla dignità ed alla coscienza della singola persona, è una realtà che esiste in virtù dell'esistenza di fruitori sulle scelte dei quali non intendo spendere parole.. Si tratta di sentimenti, sensazioni, senso del pudore, senso di civiltà, senso di dignità della propria persona e delle altre persone...
Però sulla rete c'è dell'altro.. più subdolo, più nascosto, più pericoloso..
Alla pornografia "tradizionale" se ne associa un'altra, una che prende bambini come merce di scambio, che fa della giovane età un elemento di attrazione, che spinge alla ricerca di foto e di video di bambini, che sconvolge ogni misura, ogni senso umano, che viola l'anima del futuro del mondo, che si addentra fino alla sovversione più totale, assoluta, indiscriminata, intollerabile della natura dell'uomo, del suo amore per ciò che è innocente e gentile, buono e gioioso, tenero ed infantile...
E' la pedopornografia, come spesso viene chiamata. E' nascosta nella rete di Internet, tra linee telefoniche che si sovrappongono, in hard disk di server distribuiti chissà dove, in pile di CD Rom pronti per essere distribuiti.. è nascosta in stanze scure e logore.. abbagliate dalla luce dei riflettori, è nascosta nelle lussuose ville di volgari ricchi, nei nastri di squallide videocassette, è nascosta in famiglie povere, in viaggi esotici, in hotel thailandesi, è nascosta nella mafia russa, nella connivenza mondiale, è nascosta nel portafoglio di insospettabili uomini d'affari, in riunioni segrete di lobby innominate, è nascosta nella mente perversa di centinaia di persone.. e nella mente violata (per sempre) di migliaia di bambini..
E' una realtà. Innegabile.
Parole, parole, parole...
No! Non è difficile controllare, confrontare, verificare... Siti su siti, neppur tanto difficili da individuare, spesso connessi ad altri, richiamati da altri ancora, con link più o meno espliciti, a catena... ed uno è più chiaro dell'altro.. nelle frasi, nelle cifre, nei banner...
Perché, è ovvio, contro la pedopornografia si muovono molte persone, intere società (frazioni di società, per esser più giusti), c'è l'opinione pubblica contraria con cui fare i conti, e questa motiva Istituzioni e forze di Polizia, c'è la resistenza di larghissime fasce di navigatori, c'è la voglia di fare, di reagire, di contrastare...
E quindi i siti "veri" sono nascosti, irraggiungibili, inaccessibili.... Per questi è necessaria una procedura di accesso non certo pubblicizzata sui giornali o stampata nelle homepage.. Sono siti protetti... ed il più delle volte le pagine restano a disposizione dei navigatori solo per pochi giorni e per accedervi bisogna comunque scoprire l'indirizzo, generalmente diffuso solo tra persone fidate.
IL CORPO E’ MIO
Infibulazione: un rito che riguarda 130 milioni di ragazze. In Africa c’è già chi si ribella.
. Sono le parole raccolte da un’operatrice Unicef , di Adjara Traorè undicenne somala. Destinata all’infibulazine. Perché ancora oggi, in alcune parti del mondo, solo una donna mutilata viene considerata una donna completa. Infibulazione, una parola che fa orrore, ma dai contorni non ben definiti. Perché riassume in sé tutte le varianti delle mutilazioni genitali femminili, che cambiano a seconda della cultura di riferimento.
Si può andare dalla cosiddetta “sunna”, operazione che taglia solo una parte della clitoride all’esecuzione vera e propria, in cui vengono asportate anche le piccole labbra. E la grandi vengono cucite con un filo di seta, lasciando aperta solo una piccola fessura che serve a eliminare l’urina e il sangue mestruale. Non si conosce con certezza l’origine e il motivo di queste pratiche.
Ma il risultato si traduce in cifre agghiaccianti: in tutto il mondo sono almeno 130 milioni di ragazze e donne che hanno subito mutilazioni genitali, eseguite in 40 nazioni. Solo nel nostro paese vivono circa 45 milioni mutilate, e le domande che le strutture ospedaliere e pediatriche ricevono che ricevono sono di 6mila nuove infabulazioni ogni anno. Per fortuna in Italia si tratta di un intervento vietato, ma la contabilità è comunque da brivido. Dimostra come queste pratiche, in alcune parti del mondo, rappresentino la mortalità: le hanno subite il 98% delle donne in Somalia, il 94% nel Mali, il 70% in Burkina Faso e il 60% in Gambia.

2. UN APPROCCIO PREVENTIVO EDUCATIVO
Di fronte ad una realtà così desolante la prima cosa da fare è prendere e far prendere coscienza del fenomeno. Bisogna diffondere conoscenze e proporre una lettura adeguata dei fatti e delle cause, affinare la nostra attenzione e sensibilità; indifferenza o noncuranza corrispondono ad emarginazione e l’emarginazione è sempre un “taglio” della comunicazione, un’interruzione del dialogo tra noi e gli altri, una frattura del rapporto con gli altri che coinvolge entrambe le parti: chi è vittima e chi osserva.
Conoscenza e analisi dei fatti
Le cause del fenomeno sono varie e molteplici, da attribuirsi all’indigenza economica a volte estrema, alla precarietà familiare, a carenze educative di base e carenze affettive. Bisogna pertanto rivolgere l’attenzione sulle cause per agire su di esse e formulare adeguati progetti di intervento.
Si tratta di promuovere una vera preparazione e una capacità di ascolto e di riconoscimento precoce dei segnali di disagio dei minori.
Gli adulti fanno fatica a vedere ed ascoltare la sofferenza dei minori prodotta da altri adulti, soprattutto nell’ambito familiare. Occorre quindi allenare tutti gli adulti, che a qualsiasi titolo sono accanto ai bambini ad ascoltare i loro messaggi, a riconoscere gli indicatori di rischio e della gravità dell’evento, a collegarsi alla rete dei servizi per valutare gli interventi da attivare.
Negli ultimi tempi si è insistito sull'urgenza di lavorare per una cultura che riconosca la dignità di ogni persona, rafforzi la solidarietà in tutti gli ambiti e in tutte le forme, assicuri il bene e il diritto dell'educazione per tutti, non ceda mentalmente a pregiudizi o valutazioni sommarie di comodo e non cada nella trappola dell'individualismo e del consumismo. Solo così si può rifare il tessuto sociale e renderlo più umano. Ci vogliono strumenti giuridici, ci vuole controllo delle situazioni attraverso una giustizia che funzioni. La riflessione ci deve servire non tanto per ritornare a denunce generiche, ma per impostare correttamente, anche nel piccolo, l'azione educativa. Non si educa, infatti, e non si libera se nell'azione non si tengono presenti le condizioni concrete, se non si fa prendere coscienza al soggetto di quello che influisce su di lui, se non lo si aiuta a gestirlo correttamente.
Prevenzione ed educazione
Individuare le cause ed agire su di esse senza per questo disattendere l'assistenza immediata, vuol dire puntare sulla prevenzione più ampia possibile e sulla preventività come caratteristica ispirante dell'educazione. Prevenzione vuol dire anticipare il sorgere dei fenomeni agendo sulle cause generatrici. Ma soprattutto oggi la forma migliore e più efficace di prevenzione è l'educazione concepita come aiuto per far affiorare le risorse nascoste, per far emergere i tratti che sembrano cancellati. L'educazione è la carta fondamentale per la prevenzione del disagio e per il suo superamento. Educare significa accogliere, ridare la parola e comprendere. Vuol dire aiutare i singoli a ritrovare se stessi; accompagnarli con pazienza in un cammino di ricupero di valori e fiducia in sé. Comporta la ricostruzione delle ragioni per vivere. Nell'educazione emergono alcune urgenze: dare un senso alla vita, formare la coscienza, inculcare la solidarietà. Tutte richiedono di radicare attraverso rapporti, convinzioni ed esperienze il valore della persona al di sopra dei beni materiali e di ogni struttura od organizzazione, per abilitare a fare scelte autonome di fronte ai meccanismi di manipolazione.
La prevenzione è uno degli obiettivi generali rispetto al maltrattamento e alla violenza di infanzia e adolescenza. Essa ha una duplice direzione: la conoscenza e la strutturazione di un sapere e la sensibilizzazione della comunità rispetto alla cura ed al benessere dei minori con un’attenzione specifica nella relazione interpersonale alla peculiarità dei loro bisogni affettivi, psicologici, materiali. La violenza all’infanzia è una realtà polimorfa, che richiede una varietà di interventi. E’ importante poter disporre di linee orientative concordate tra gli operatori e, se possibile, già sperimentate, per potersi adattare velocemente e senza rigidità ad una problematica continuamente cangiante, per evitare che l’intervento cada nella confusione o nella deresponsabilizzazione. Per un corretto intervento in questa complessa problematica gli esperti del settore hanno individuato cinque punti fondamentali:
- la prevenzione si realizza attraverso azioni informative e formative connesse agli interventi di aiuto in quanto incrementano la sensibilità agli indicatori di rischio;
- l’ascolto attento è l’atteggiamento fondamentale per riconoscere i segnali di sofferenza;
- l’accertamento si realizza con l’apporto di competenze mediche, psicologiche, giuridiche, sociali, di polizia e della magistratura in base alla segnalazione iniziale e alla gravità del caso segnalato;
- la tutela richiede non solo l’offerta di un percorso di aiuto psico-sociale, ma anche l’attivazione, spesso intrecciata con fasi di riconoscimento ed accertamento, di strumenti giuridici che possano interrompere o garantire l’interruzione degli atti di violenza;
- l’accompagnamento terapeutico, assume una particolare rilevanza soprattutto nelle fasi del processo penale, durante il quale, il più delle volte, i risvolti processuali, diventano un pesante prezzo da pagare per la vittima; la valutazione della recuperabilità della famiglia rappresenta la tappa centrale del percorso di recupero. Tale tappa consiste nell’individuare all’interno della famiglia le dinamiche relazionali e nel valutare quali adulti siano disponibili non solo a tutelare nell’immediato il minore, ma a compiere un percorso che li aiuti a recuperare la funzione genitoriale di cui i figli hanno bisogno.

Sfruttamento minorile
L'approccio preventivo-educativo rappresenta una modalità di intervento efficace ed auspicabile nei casi di disagio minorile, in grado di tener conto dei diversi contesti sociali e di adattare differenti programmi di assistenza in funzione della situazione del soggetto.
Ad esempio, in Africa, in Asia, in America Latina, dove il fenomeno dello sfruttamento dei minori è un problema ancora aperto e di cui abbiamo maggiori dati, l'approccio educativo dei bambini impiegati come mano d'opera in lavori spesso pericolosi è applicabile in due sensi. In primis, educazione delle famiglie che spesso utilizzano in vari modi i figli per far fronte ad un grave disagio economico: si tratta di informare i genitori sulla possibilità di rivolgersi ad associazioni ed istituti assistenziali in grado di provvedere al loro stato di bisogno.
In secondo luogo, educazione del bambino che, liberato quanto prima dalla situazione di manovalanza forzata, viene ricondotto nella propria famiglia o accolto in centri di assistenza e di riabilitazione nel caso in cui ne sia privo. La rieducazione consiste certamente in un ritorno a scuola e quindi ad una modalità di socializzazione più consona alla sua età; si tratta di un passo di non facile realizzazione in quanto il bambino, che si è dovuto abituare ad obbedire incondizionatamente al suo sfruttatore, è mal disposto a sottoporsi ad un'altra forma di disciplina che considera ingiustificata. Come affermano gli esperti, la scuola dovrà perciò offrire numerose occasioni di svago, gioco e ricreazione, supportate dalla presenza di un operatore sociale e/o di uno psicologo; la loro funzione è quella di fornire assistenza ad un bambino probabilmente chiuso in se stesso, diffidente, che ha dovuto imparare a sopravvivere tra adulti ostili e a stare sempre all'erta. Il superamento dello shock subìto avviene perciò seguendo un percorso di lenta e paziente riconquista della fiducia del bambino in se stesso e negli altri, e di riscoperta dei più sani valori del mondo dell'infanzia cui appartiene.
La scuola rimane comunque un formidabile antidoto, soprattutto lì dove è obbligatoria: in India, dove la scuola non è obbligatoria, il 50% dei minori lavora, mentre in Europa e negli Stati Uniti la battaglia contro il lavoro minorile è stata vinta proprio introducendo l'obbligo scolastico.
Terapie ad hoc
In ogni caso deve esserci sempre una forte interazione tra l'operatore e il soggetto, in quanto, come hanno affermato esperti nel settore, nella maggior parte dei casi devono essere applicati differenti programmi di assistenza e riabilitazione in funzione della situazione sociale, affettiva e psicologica del bambino in causa. Non bisogna dimenticare che lo shock di un qualsiasi tipo di violenza rappresenta una brusca interruzione nel processo di sviluppo del bambino, talmente traumatizzante da inibirne le successive e naturali tappe della crescita, segnando negativamente la sua maturità. Il minore viene cioè colpito in una fase estremamente delicata e altrettanto delicata dovrà essere l'azione di ripristino del suo naturale stato di infanzia.
Comunque, un approccio ed una pratica pedagogica ed educativa correzionali risultano in genere controproducenti proprio perché simulano e rievocano il sopruso già subìto, soprattutto in quei casi in cui lo shock deriva da un'esperienza fortemente traumatica come, ad esempio, nel caso di violenze fisiche e sessuali o nel vissuto di una guerra. Cioè, quanto più profondamente il soggetto risulta segnato, tanto più mirata e oculata dovranno essere l'indagine e la terapia psicologica applicate; l'intervento terapeutico, di conseguenza, è affidato ad operatori cui spetta il delicato compito di recuperare il bambino dallo stato di prostrazione e la responsabilità di ricostruire e riabilitare una psicologia deviata e alienata dalla realtà.
Vittime di guerra e di violenza
In questi casi, sempre secondo i già citati esperti, l'approccio è certamente più educativo che preventivo e consta di più fasi. Un bambino vittima di violenza fisica o sessuale o che abbia subìto traumi di guerra, è diffidente nei confronti di chiunque, soprattutto degli adulti; il primo passo consiste perciò nel superare il muro di autodifesa che il bambino ha costruito intorno a sé. In alcuni casi il silenzio è un difficile ostacolo da vincere e richiede una competenza professionale elevata poiché i soggetti in questione, con molta probabilità, sono stati privati di un loro senso di identità, di sicurezza, di punti di riferimento solidi; vivono un senso di colpevolezza e di inferiorità in conseguenza del fatto che non riescono a fornire una spiegazione e una giustificazione dell'evento subìto, spesso si lasciano morire per il dolore e la prostrazione.
La seconda fase consiste nel tentativo di riconoscimento e rimozione del trauma che il minore è posto nella condizione di affrontare. Secondo le testimonianze di operatori che hanno lavorato con bambini testimoni o vittime di violenze in Bosnia, in Afganistan, in Iraq, in Cambogia e in Rwanda, il disturbo tipico che queste piccole vittime hanno manifestato è il ritorno ossessivo del ricordo del trauma subìto, e tutte le sensazioni provate impresse nella memoria vengono rivissute ogni volta; gli psicologi hanno riscontrato come conseguenza di tali ricordi il manifestarsi di attacchi di ansia e di panico, di anoressia, stati di depressione, una spiccata tendenza alla violenza e, in casi estremi, una volta adulti, una certa propensione all'alcoolismo, alla prostituzione o al suicidio. E' perciò importante offrire ai bambini l'opportunità di socializzazione, di gioco e ricreazione e di confronto con altre vittime; il fine è quello di stimolare il bambino a raccontare l'evento subìto attraverso giochi, disegni e racconti con funzione esorcizzante e risolutiva. Ciò implica un'attenta e competente interpretazione dei suoi gesti, dei suoi disegni e la disponibilità all'ascolto dei racconti, che comportano sempre uno stato emotivo di ansia, paura, rabbia, impotenza, dolore.
Il passo successivo consiste in una terapia di recupero della fiducia del soggetto nel mondo adulto e in se stesso, stimolando la sua autostima in un dialogo aperto e fecondo che cancelli il senso di prostrazione, di impotenza, di apatia e di insicurezza che caratterizzano lo stato post-traumatico. Spesso, a tal fine, viene stimolato l'interesse dei bambini con attività da cui possono ricevere una gratificazione e in cui possono dimostrare la propria abilità; si tratta si una sorta di tirocinio o training che li prepara a reintegrarsi nel mondo esterno, in cui dovranno continuamente mettersi alla prova e affrontare autonomamente problemi quotidiani o occasionali.
Il reinserimento
Il reinserimento nella società avviene previa rieducazione alla socializzazione e alla cooperazione con gli altri, cioè il soggetto impara ad adattarsi all'ambiente circostante e a fare scelte autonome equilibrate senza prevaricare gli altri o sottomettersi ad essi; e questo addestramento è un trampolino di lancio per la sua adolescenza e maturità. L'adattamento al mondo esterno segue modalità individuali che dipendono dalle inclinazioni e dalle capacità personali ed in genere avviene senza ulteriori traumi. E’ infatti sorprendente la capacità di questi giovanissimi di adattarsi con fluidità a nuove situazioni, pur partendo svantaggiati da un trauma; essi dimostrano di essere in grado di recepire nuovi valori, di resistere alle pressioni e alle condizioni difficili, di sviluppare strategie di difesa e di affrontare con successo situazioni rischiose: insomma, una straordinaria capacità di recupero in cui modulano un fragile stato emotivo con una adeguata capacità logico-razionale.
3. STRUMENTI EDUCATIVI E DI SENSIBILIZAZIONE
E' pur vero che il successo di tali sistemi educativi e ri-educativi dei soggetti traumatizzati dipende non solo dalle competenze umane e professionali degli operatori, dalla buona progettazione di programmi nazionali o internazionali di associazioni e organizzazioni ad hoc, ma anche dalla sensibilità e disponibilità della gente ad accettare e favorire il reinserimento di tali soggetti. Si tratta perciò di educare le società alla solidarietà, alla comprensione, alla cooperazione, alla tolleranza, senza pietismi e timori; inoltre, campagne pubbliche informative, iniziative di sensibilizzazione e interventi, pianificazioni e programmi a breve e a lungo raggio dovrebbero offrire ai soggetti interessati l'opportunità di esprimere il proprio pensiero ed esporre le proprie necessità nel tentativo di instaurare un dialogo fecondo con istituzioni e singoli individui, sempre all'insegna della pace e dell'amore.
La tutela dei minori.
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INTRODUZIONE
Tutela dei minori Difesa dei diritti dei minori, attuata dai governi mediante leggi e programmi sociali. Tali programmi sono configurati in base ai bisogni dei bambini e delle relative famiglie; prevedono fra l'altro l'assistenza ai minori che non possano essere adeguatamente allevati dalle famiglie di origine.
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CENNI STORICI
Prima del XX secolo, i programmi di assistenza rivolti ai minori erano molto rari: il primo intervento concreto risale al 1959 quando l'Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) diede vita alla Dichiarazione dei diritti del bambino, con cui fu sancito il diritto dei minori a ricevere cure adeguate da parte dei genitori e della comunità. Nel 1989, la Convenzione sui diritti del bambino ha esteso tali diritti all'istruzione e alla protezione dagli abusi e dallo sfruttamento.
I programmi sociali di assistenza ai minori (che comprendono in genere sostegno economico per le famiglie, cure mediche e accoglienza in asili e centri educativi) sono oggi diffusi in buona parte del mondo, anche grazie al Fondo delle Nazioni Unite per l'infanzia (UNICEF) e all'Organizzazione mondiale della sanità (OMS), che ha dedicato ai paesi in via di sviluppo un particolare sforzo per cercare di ridurne gli alti tassi di mortalità infantile; nonostante gli importanti progressi compiuti, la malnutrizione e le epidemie sono ancora causa di morte per decine di migliaia di bambini ogni anno.
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GLI ABUSI SUI MINORI
Un altro problema di difficile soluzione è quello della tutela fisica e psicologica dei minori dalle violenze e dagli abusi compiuti su di loro dagli adulti, talvolta dai genitori stessi.
L'espressione "abuso di minore" comprende varie categorie di atti, quasi sempre violenti (che tuttavia non sempre si configurano come un reato), che possono provocare danni fisici o psichici. Un tipo di violenza diverso, ma non meno grave, è quello che si verifica con l'abbandono, una situazione che può ferire psicologicamente il bambino anche in modo irreparabile.
La violenza sui minori è diffusa ovunque nel mondo, all'interno di tutti i gruppi etnici e religiosi e di ogni classe sociale. Per questo nella gran parte dei paesi occidentali (ma anche in molti paesi orientali, seppure in misura minore) sono state introdotte legislazioni specifiche volte alla definizione degli abusi e alle modalità d'intervento contro di essi. I programmi prevedono di norma azioni atte a sostenere i genitori nel processo educativo dei figli, soprattutto nei casi in cui i nuclei familiari vivano condizioni di disagio dovute alla mancanza di alloggio o di lavoro, alla malattia ecc., nella convinzione che spesso la violenza sui minori sia dovuta a fattori indipendenti dalla volontà dei genitori.
I giudici possono ricorrere alla separazione dei figli dalle famiglie, sia per sottrarre un minore dalla custodia di genitori o parenti che si siano dimostrati incapaci, sia per prevenire casi di violenza. Tuttavia è assai più importante svolgere un'accurata attività di prevenzione che tenga conto del ruolo svolto dai fattori economici e sociali nei comportamenti aggressivi, che stimoli un mutamento radicale dei valori sociali e che miri a intervenire in presenza di quelle condizioni (povertà, malattia, disoccupazione ecc.) che possono generare casi di abuso nei confronti dei minori; è inoltre indispensabile dare maggiore rilevanza ai diritti dei bambini e alle responsabilità dei genitori nei loro confronti.
Minore
Minore In diritto, l'età in cui una persona non è ancora considerata fisicamente e psichicamente matura per curare i propri interessi e per rendersi conto del valore delle proprie azioni. La minore età varia secondo i sistemi giuridici: in Italia termina con il compimento dei 18 anni: coloro che hanno meno di 18 anni sono chiamati minori. I minori sono membri della società a tutti gli effetti e godono degli stessi diritti e delle stesse libertà degli adulti (vedi Diritti della persona e del cittadino), tuttavia non possono compiere negozi giuridici, cioè stipulare un contratto, firmare un testamento, sposarsi.
Fino al compimento dei 18 anni il giovane è legato agli adulti, in genere ai propri genitori, che ne hanno la responsabilità; prima della maggiore età i genitori esercitano infatti sul giovane un potere di istruzione, educazione e controllo, detto potestà dei genitori. Il minore ha il diritto di ricevere dai genitori i mezzi per nutrirsi e per vivere in maniera soddisfacente e ha alcuni doveri nei confronti dei genitori, tra i quali il dovere di rispettarli (non può danneggiarli o offenderli) e il dovere di contribuire al mantenimento della famiglia nei limiti delle proprie possibilità. La potestà dei genitori comprende il dovere e il potere di amministrare il patrimonio del minore.
Nel diritto penale i giovani al di sotto dei quattordici anni non possono essere condannati per i reati commessi, poiché la legge non li ritiene sufficientemente maturi e in grado di rendersi conto delle proprie azioni. Il minore di quattordici anni che ha commesso un reato può però essere affidato a una casa di rieducazione.
Se invece il giudice accerta che il giovane, maggiore di quattordici anni ma minore di diciotto, nel commettere il reato era consapevole dell'offesa che stava provocando, può emettere nei suoi confronti una condanna, ma la pena deve essere diminuita.
Quando il giovane raggiunge la maggiore età, per la legge italiana al compimento del diciottesimo anno, è in genere maturo per curare i propri interessi e così alcune sue decisioni (ad esempio di concludere un contratto di compravendita) acquistano valore giuridico senza che sia più necessario l'intervento dei genitori.
Anche per il diritto penale, al compimento del diciottesimo anno una persona viene considerata capace di intendere e di volere, ed è perciò responsabile penalmente delle proprie azioni a meno che non si dimostri che al momento di commettere un reato era inferma di mente.
I minori conquistano i loro diritti
La Dichiarazione Universale dei Diritti Umani compie cinquantadue anni eppure milioni di bambini sono ancora privati di un diritto fondamentale: il diritto all’infanzia. Nella vita non hanno mai sentito parlare di educazione e il futuro rappresenta un’incognita da temere. Per loro vivere, crescere e giocare rimangono un sogno. Le leggi sono solo il primo passo verso un mondo in cui far nascere e crescere i bambini con dignità e rispetto. Occorre che queste leggi diventino realtà, ma per far questo è indispensabile l’impegno di tutti i governi e di tutti i cittadini.
Nel 1948 viene proclamata la Dichiarazione dei Diritti Umani i cui principi sono poi confluiti nella Dichiarazione dei Diritti del Fanciullo del 1959, la cui idea di base è quella che l’umanità deve far oggetto delle massime cure i suoi bambini.
Nel 1979 durante l’Anno Internazionale del bambino, la Polonia esprime il concetto che ai bambini vanno riconosciuti diritti specifici. L’Assemblea generale delle Nazioni Unite decide di insediare un Gruppo di lavoro ad hoc a Ginevra con il compito di elaborare un Progetto di Convenzione sui diritti dell’infanzia.
Nel 1986 il comitato italiano per l’UNICEF istituisce un comitato scientifico, con il compito di elaborare un contributo italiano al Progetto di convenzione sui diritti dell’infanzia. In giugno si svolge a Genova il Convegno per una Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia.
Nel 1989, dopo continue revisioni della sua bozza, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite approva la Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia che si occupa dei diritti di tutti coloro che non hanno compiuto 18 anni.
Nel 1991 la Convenzione viene ratificata dall’Italia. Tale Convenzione affronta tutti gli aspetti della vita del bambino, anche in relazione alla vita dell’adulto e tratta tutti i diritti politici, civili e culturali del bambino.
Quattro sono i principi che la governano:
1. Principio di non discriminazione: nessun bambino al pari dell’adulto, deve essere discriminato in base al suo credo religioso o politico, sesso o condizione.
2. Concetto di migliore interesse del minore: tale concetto deve essere determinato in accordo con la situazione del bambino in quello specifico momento.
3. Diritto alla sopravvivenza e allo sviluppo: tale diritto include sia la tutela delle condizioni materiali di esistenza, sia il diritto a godere di attenzioni che possano rendere migliore la sua esistenza in tutti i sensi.
4. Partecipazione del bambino a tutte le azioni e le situazioni che lo riguardano: tale concetto per molti anni è stato all’origine di infiniti dibattiti semplicemente perché quando si pensava al bambino non si pensava a un essere umano dotato di un’opinione, di una voce, di un’individualità, ma piuttosto a un individuo che deve ascoltare, al quale si parla e che deve obbedire.
Il testo della Convenzione si divide in tre parti:
dall’art. 1 al 41 - diritti civili, politici, economici, sociali e culturali;
dall’art. 42 al 45 - disciplina la natura e l’attività del comitato sui diritti del fanciullo;
dall’art. 46 al 54 - regolamenta le procedure di ratifica, adesione ed entrata in vigore.
Ratificando la Convenzione, ciascun paese firmatario si impegna ad attenersi a questi principi e a garantire che ognuno dei principi che la Convenzione incarna si esprima nella vita sociale e nella sua legislazione. Il grado di adeguamento alla Convenzione viene valutato sulla base della situazione e del livello socioeconomico di quel determinato paese. Secondo il 9° Rapporto su lo sviluppo umano dell’UNDP per il 1998, i paesi che hanno ratificato la Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia sono 191. Gli Stati Uniti hanno firmato la Convenzione ma non l’hanno ancora ratificata, la Somalia non ha né firmato e né ratificato la Convenzione.
Nel luglio 1997 l’Italia ha predisposto il Piano d’azione governativo sull’Infanzia e l’Adolescenza, in attuazione della legge n. 176 del 25 maggio 1991 con la quale il nostro Paese ha ratificato la Convenzione ONU sui diritti del bambino. Un apposito coordinamento interministeriale a favore dei minori è stato costituito presso la Presidenza del Consiglio per l’attuazione del Piano d’azione, a livello nazionale e internazionale.
A questo riguardo nel maggio 1998 sono state definite le Linee guida della Cooperazione italiana per l’Infanzia e l’Adolescenza, che indicano le priorità programmatiche del nostro Governo da applicarsi agli interventi da attuare nelle diverse aree del mondo. Tali priorità, assumendo la titolarità del diritto dell’infanzia nel veder corrisposti i propri bisogni di sviluppo inteso nella sua accezione integrale, riguardano:
- l’eliminazione di tutte le forme di discriminazione, in particolare di quelle contro le bambine, che impediscono il loro accesso allo studio, la promozione del loro status sociale e violano la loro integrità psicologica e fisica;
- la eliminazione delle pratiche tradizionali nocive all’integrità fisica e psichica delle bambine e dei bambini;
- la prevenzione e l’eliminazione del lavoro infantile, con particolare riguardo per quelle forme di sfruttamento definite intollerabili dalla comunità internazionale;
- la prevenzione e lo sradicamento dei fenomeni di sfruttamento commerciale sessuale dei bambini e delle bambine, connessi al turismo sessuale, alla loro vendita e tratta, la vendita di organi e altre forme di sfruttamento;
- la protezione dei bambini coinvolti nei conflitti armati, con particolare attenzione agli orfani di guerra e ai bambini soldato;
- il recupero, la riabilitazione, il reinserimento nelle famiglie, nelle comunità di appartenenza e nella società civile delle bambine e dei bambini di e nella strada.
La Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia
In un contesto di statistiche preoccupanti e fin troppo eloquenti sulle precarie condizioni di vita di gran parte dei bambini del nostro pianeta (ben 40 milioni di bambini nel sud del mondo muoiono ogni anno a causa della denutrizione e delle malattie; 100 milioni di bambini sono e resteranno analfabeti; 80 sono i milioni di "bambini di strada") è emersa sempre più forte l’esigenza di un documento internazionale che affermasse risolutamente, senza frontiere, il diritto delle generazioni future ad una esistenza dignitosa. La Dichiarazione dei Diritti del fanciullo del 1989, pur non essendo fonte di diritto per l’ordinamento interno dei singoli Stati, ha tuttavia valore morale e sociale in quanto espressione di nuove forme di tutela dei minori, non più considerati come oggetti delle decisioni degli adulti, ma come veri e propri soggetti di diritto.
La Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia è invece fonte di diritto per gli Stati che l’hanno ratificata, essendo la "convenzione" un accordo nel quale si può individuare un vero e proprio contratto, e non un atto unilaterale come nella "dichiarazione". La Convenzione contempla una serie di diritti fondamentali e di garanzie elencati nel testo del trattato: il diritto alla vita, il divieto di tortura e di trattamenti penali disumani o degradanti, i diritti di libertà personale, di buona amministrazione della giustizia, di associazione e riunione, di religione, di espressione, il diritto di sviluppo.
Qui di seguito sono indicati i titoli di alcuni articoli facenti parte della prima parte della Convenzione.
2- Tutti gli Stati che hanno ratificato la Convenzione si impegnano a rispettare e a garantire i diritti del bambino, senza distinzione di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica del bambino o della sua famiglia.
3- Gli interessi del bambino devono essere considerati per primi in tutte le decisioni che lo riguardano. Il bambino ha il diritto di ricevere la protezione e le cure necessarie al suo benessere.
5- Sono i genitori o chi li sostituisce a doversi prendere cura del bambino.
6- Il bambino ha il diritto alla vita e a sviluppare in modo completo la propria personalità.
9- Il bambino ha il diritto di mantenere i contatti con i suoi genitori, anche se questi sono separati o divorziati.
10- Il bambino ha il diritto di riunirsi ai suoi genitori o di restare in contatto con loro se questi vivono all’estero.
11- Nessun bambino può essere portato via dal suo paese in modo illegale.
13- Il bambino ha il diritto di essere informato e di poter dire ciò che pensa, con i mezzi che preferisce.
14- Il bambino ha il diritto di sapere tutto quello che succede nella propria famiglia e ha il diritto di libertà di pensiero, di coscienza, di religione, inoltre, i genitori hanno il dovere di guidare i figli in tale compito e di rispettare le idee in cui credono.
15- Il bambino ha il diritto di stare insieme agli altri.
17- I giornali, i programmi radiofonici e televisivi devono adeguarsi ai bisogni dei bambini.
18- Se un bambino non ha i genitori, ci deve essere qualcuno che si occupa di lui.
19- Nessuno può trascurare, abbandonare, maltrattare, sfruttare un bambino o fare violenza su di lui.
20- Se un bambino non può vivere con la famiglia, deve andare a vivere con qualcuno che si occupi di lui.
21- E’ vietato il commercio delle adozioni.
22- Il bambino rifugiato ha il diritto di essere protetto.
23- Il bambino che ha problemi mentali o fisici ha il diritto di vivere come gli altri bambini, di essere curato, di andare a scuola, di prepararsi per il lavoro e di divertirsi.
24- Il bambino ha il diritto di raggiungere il massimo livello di salute fisica e mentale, di essere curato bene, di crescere bene spiritualmente e socialmente.
28/29- Il bambino ha il diritto all’istruzione e di ricevere un’educazione che sviluppa le sue capacità e che gli insegni la pace, l’amicizia, l’uguaglianza e il rispetto per l’ambiente naturale.
30- Il bambino che appartiene ad una minoranza ha il diritto di usare la sua lingua e di vivere secondo la sua cultura e la sua religione.
31- Il bambino ha il diritto al gioco, al riposo al divertimento e a dedicarsi alle attività che gli piacciono.
32- Nessun bambino deve essere sfruttato o fare lavori pericolosi che gli impediscano di crescere bene o di studiare.
33- Il bambino deve esser protetto dalla droga.
34- Nessun bambino deve subire violenza sessuale o essere sfruttato sessualmente.
35- Nessun bambino deve essere rapito, comprato o venduto.
37- Nessun bambino può essere torturato o condannato a morte o all’ergastolo.
38- Nessun bambino al di sotto di 15 anni deve essere arruolato in un esercito, né combattere in guerra.
39- Il bambino trascurato, sfruttato e maltrattato ha il diritto di essere aiutato a recuperare la sua salute e serenità.
40- Il bambino che è accusato di un reato ha il diritto di ricevere un trattamento adatto alla sua età e che lo aiuti a tornare a vivere con gli altri.
Purtroppo però, nonostante gli impegni presi, molti paesi pur avendo ratificato la Convenzione "permettono" che tali diritti vengano vergognosamente calpestati.
- La famiglia maltrattante-
Ci sono alcune famiglie, troppe, al cui intervento, invece dell’affetto e dell’amore, regna la violenza: violenza contro i più deboli e, quindi, spesso contro i fanciulli.
Queste famigli si chiamano “famiglie maltrattanti”.
Nella Dichiarazione dei Diritti del Fanciullo adottata dall’ONU si legge:
“ Il fanciullo, per lo sviluppo armonioso della sua personalità, ha bisogno di amore e di comprensione.
Egli deve, per quanto è possibile, cresce sotto le cure e le responsabilità dei genitori e, in ogni caso, in un’atmosfera di affetto e di sicurezza materiale e morale. “
“ Gli stati si impegnano ad assicurare al fanciullo la protezione e le cure necessarie al suo benessere.”( art. 3 Convenzione sui Diritti del Fanciullo, New York, 1989)
Invece, all’interno delle “famiglie maltrattanti” i figli crescono fisicamente e psichicamente provati con conseguenze negative per tutta la loro vita.
Nella dichiarazione universale dei Diritti Umani delle Nazioni Unite all'articolo 25 II comma viene stabilito: "la maternità e l'infanzia hanno diritto a speciali cure e assistenza. Tutti i bambini nati nel matrimonio o fuori di esso devono godere della stessa protezione sociale."
Queste convenzioni si fondano sul presupposto che "il bambino, a causa della sua immaturità fisica e intellettuale, necessita di una particolare protezione e di cure speciali, compresa una protezione giuridica appropriata sia prima che dopo la nascita."
La Dichiarazione al punto 9 afferma espressamente che "il fanciullo deve essere protetto contro tutte le forme di negligenza, di crudeltà e di sfruttamento."
E la convenzione del 1989 all'articolo 1 precisa: "s'intende per fanciullo ogni essere umano di età inferiore ai diciotto anni."
Va ricordato che il legislatore "riconosce" tali diritti e non li "attribuisce" o "costruisce", perchè ogni essere umano possiede tali diritti a titolo originario, cioè sin dalla nascita. Quindi nessun potere costituito può sospendere, neppure momentaneamente , né tanto meno abrogare questi diritti.

ARTICOLO 1
Il bambino/a e il ragazzo è ogni essere umano fino a 18 anni.
ARTICOLO 2
Gli Stati devono rispettare, nel loro territorio, i diritti di tutti i bambini : Handicappati, ricchi o poveri , maschi o femmine, di diverse razze, di religione diversa…
ARTICOLO 3
Tutti quelli che comandano devono proteggere il bambino o il ragazzo e assicurargli le cure necessarie per il suo benessere.
ARTICOLO 4
Ogni Stato deve attuare questa Convenzioni con il massimo impegno per mezzo di leggi, finanziamenti e altri interventi. In caso di necessità gli Stati più poveri dovranno essere aiutati da quelli più ricchi.
ARTICOLO 5
Gli Stati devono rispettare chi si occupa del bambino e del ragazzo .
ARTICOLO 6
Il bambino e il ragazzo hanno diritto alla vita. Gli Stati devono aiutarli a crescere.

ARTICOLO 7
Quando nasce un bambino a diritto ad avere un nome, a essere registrato e avere l’affetto dei genitori .
ARTICOLO 8
Il bambino e il ragazzo hanno diritto a proprio nome, alla propria nazionalità, e a rimanere sempre in relazione con la loro famiglia.
ARTICOLO 9
Il bambino e il ragazzo non può essere separato, contro la sua volontà dai genitori .La legge può decidere diversamente quando il bambino e il ragazzo vengono maltrattati. Essi separati dai genitori devono mantenere i contatti con loro. Quando la separazione avviene per azioni di uno Stato il bambino e il ragazzo devono essere informati sul luogo dove si trovano i genitori.
ARTICOLO 10
Il bambini e il ragazzo hanno diritto ad andare in qualsiasi Stato per unirsi ai genitori. Se questi abitano in due Stati diversi il bambino o il razzo hanno diritto a tenere relazioni con entrambi.
ARTICOLO11
I minori non possono essere portati in un altro Stato . Tutti gli Stati devono mettersi d’accordo per garantire questo diritti.
ARTICOLO 12
Il bambino e il ragazzo devono poter esprimere la propria opinione su tutte le cose che li riguardano. Quando si prendono decisioni che li riguardano, prima di decidere devono essere ascoltati.
ARTICOLO 13
Il bambino e il ragazzo hanno diritto di esprimersi liberamente con la parola, lo scritto il disegno la stampa,…
ARTICOLO 14
Gli Stati devono rispettare il diritto del bambino alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione.
ARTICOLO 15
Il bambino e il ragazzo hanno diritto alla libertà di associazione e di riunione pacifica.
ARTICOLO 16
Il bambino e il ragazzo devono essere rispettati nella vita privata. Nessuno può entrare in casa sua, leggere la sua corrispondenza o parlare male di lui.
ARTICOLO 17
Il bambino e il ragazzo hanno diritto a conoscere tutte le informazioni utili a loro benessere. Gli Stati devono: far fare i libri , film e altro materiale utile per i bambini e il ragazzo; scambiare con gli altri Stati tutti i materiali interessanti adatti per i ragazzi; proteggere i bambini dai libri e da altro materiale dannoso per loro.
ARTICOLO 18
I genitori (o tutori legali), devono curare l’educazione e lo sviluppo del bambino e del ragazzo. Lo Stato li deve aiutare rendendo più facile il loro compito.
ARTICOLO 19
Gli Stati devono proteggere i bambini e i ragazzi da ogni forma di violenza.
ARTICOLO 21
Gli Stati devono permettere l’adozione nell’interesse dei ragazzi e dei bambini. L’adozione deve essere autorizzata dalle autorità col consenso dei parenti del bambino. Se l’adozione non può avvenire nello Stato del bambino e del ragazzo la si può fare in un altro Stato. L’adozione non deve essere fatta mai per soldi.
ARTICOLO 22
Gli Stati devono cercare di unire alla famiglia il bambino o il ragazzo separato e se non ha famiglia lo Stato lo deve proteggere come qualsiasi altro individuo.
ARTICOLO 23
Il bambino o il ragazzo svantaggiato fisicamente o mentalmente deve vivere una vita completa e soddisfacente. Gli Stati devono scambiarsi tutte le informazioni utili per migliorare la vita dei bambini disabili e devono garantire l’assistenza gratuita se i genitori o tutori sono poveri. Inoltre bisogna fornire al bambino o al ragazzo occasioni di divertimento.
ARTICOLO 24
I bambini e i ragazzi devono poter vivere in salute con l’aiuto della medicina . Gli Stati devono garantire questo diritto con diverse iniziative: fare in modo che muoiano meno bambini nel primo anno di vita; garantire a tutti i bambini a ai ragazzi l’assistenza medica; combattere le malattie e la malnutrizione fornendo cibi nutritivi e acqua potabile a tutti; assistere le madri prima e dopo la nascita del bambino; informare tutti i cittadini sull’importanza dell’allattamento al seno e sull’igiene; aiutare i genitori a prevenire le malattie e a limitare le nascite.
ARTICOLO 25
Il bambino o il ragazzo che è stato curato deve essere controllato periodicamente.
ARTICOLO 26
Ogni bambino a ragazzo deve essere assistito in caso di malattia o necessità economiche tenendo conto delle possibilità economiche dei genitori o dei tutori.
ARTICOLO 27
Ogni bambino o ragazzo ha diritto a vivere bene. Gli Stati devono aiutare la famiglia a nutrilo, a vestirlo, ad avere una casa, anche quando il padre si trova in un altro Stato.
ARTICOLO 28
Il bambino e il ragazzo hanno diritto all’istruzione. Per garantirgli questo diritto gli Stati devono: fare le scuole elementari obbligatorie per tutti; fare in modo che tutti possano frequentare le scuole medie; aiutare chi ha capacità ad affrontare anche le scuole superiori; informare i bambini sulle varie scuole che ci sono. Gli Stati devono anche controllare che nella scuola siano rispettati i diritti dei bambini e dei ragazzi.
ARTICOLO 29
L’educazione del ragazzo deve sviluppare tutte le sue capacità; rispettare i diritti umani e le libertà; rispettare i genitori, la lingua e la cultura del paese in cui vive; preparare il ragazzo ad andare d’accordo con tutti , rispettare l’ambiente naturale.
ARTICOLO 30
Il bambino o il ragazzo che ha una religione diversa ha il diritto di unirsi a quelli che hanno la stessa religione o lingua per partecipare ai riti e parlare la propria lingua.
ARTICOLO 31
IL bambini e i ragazzi hanno il diritto di giocare e di sfogarsi. Gli Stati devono garantire a tutti questo diritto.
ARTICOLO 32
Il bambino e il ragazzo nono devono essere costretti a fare dei lavori pesanti o rischiosi per la propria salute. Gli Stati devono approvare delle leggi che stabiliscono a quale età si può lavorare, con quali orari e in quali condizzioni devono punire chi nono li rispetta.
ARTICOLO 33
Gli stati devono proteggere il bambino e i giovani contro le droghe ed evitare che siano impiegati nel commercio della droga.
ARTICOLO 34
Gli stati devono proteggere i ragazzi e i bambini dallo sfruttamento sessuale.
ARTICOLO 35
Gli Stati devono mettersi d’accordo per evitare il rapimento, la vendita e il traffico di bambini e di ragazzi
ARTICOLO 36
Gli Stati devono proteggere il bambino e il ragazzo da ogni forma di sfruttamento.
ARTICOLO 37
Nessun bambino ragazzo e deve essere sottoposto a tortura o a punizioni crudeli. Se un ragazzo deve andare in prigione deve essere per un motivo molto grave e per un breve periodo. In carcere deve essere rispettato, mantenere i contatti con la famiglia ed essere tenuto separato dagli adulti.
ARTICOLO 38
In caso di guerra i bambini e i ragazzi non devono essere chiamati a partecipare, se non hanno almeno 158 anni.
ARTICOLO 39
Se un bambino o ragazzo è vittima della guerra o di torture della guerra o di sfruttamento deve essere aiutato a recuperare la salute.
ARTICOLO 40
Il bambino o il ragazzo che non osserva la legge deve essere trattato in modo da rispettare la sua dignità. Gli Stati devono garantire che nessun bambino o ragazzo sia punito per cose non punite dalla legge del suo Stato; che il ragazzo sia assistito da un avocato a sia ritenuto innocente finché non è condannato;che la sua causa sia faccia velocemente ; che non sia costretto a dichiarasi colpevole ma si stabilisca la sua responsabilità interrogando i testimoni, di accusa e di difesa; che se giudicato colpevole abbia diritto alla revisione della sentenza; che se parla un’ altra lingua abbia l’ assistenza di un interprete.
ARTICOLO 41
Gli articoli di questa costituzione non devono essere sostituiti alla legge dello Stato se essa è più favorevole ai bambini e ai ragazzi.
ARTICOLO 42
Gli stati devono far conoscere i diritti dei bambini e dei ragazzi sia ai bambini stessi che agli adulti.
ARTICOLO 43
Gli Stati devono scegliere dei rappresentanti che si riuniscono periodicamente e controllano se i diritti dei bambini e dei ragazzi vengono rispettati.
ARTICOLO 44
Entro due anni dall’approvazione di questa Convenzione gli Stati devono informare il Segretariato Generale delle Nazioni Unite (ONU) dicendogli cosa hanno fatto per far rispettare i diritti dei bambini e dei ragazzi.
ARTICOLO 45
Le Nazioni Unite possono incaricare l’UNICEF di controllare come i diritti dei bambini e dei ragazzi vengono rispettati in tutti gli Stati del mondo.
ARTICOLO 46
Questa Convenzione può essere firmata da tutti gli Stati del mondo.
ARTICOLO 47
La Convenzione deve essere approvata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite.
ARTICOLO 48
La Convenzione può essere firmata anche dopo l’approvazione, da qualsiasi altro Stato.
ARTICOLO 49
La Convenzione in vigore entra in vigore 30 giorni dopo che è stata approvata da almeno 20 Stati.
ARTICOLO 50
Ogni Stato può proporre cambiamenti al testo della Convenzione inviando nle proposte di modifica al Segretariato Generale delle Nazioni Unite.
ARTICOLO 51
Il Segretariato generale delle Nazioni unite farà conoscere a tutti gli Stati le osservazioni e le proposte di modifica fatte da ogni singolo Stato.
La Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia
In un contesto di statistiche preoccupanti e fin troppo eloquenti sulle precarie condizioni di vita di gran parte dei bambini del nostro pianeta (ben 40 milioni di bambini nel sud del mondo muoiono ogni anno a causa della denutrizione e delle malattie; 100 milioni di bambini sono e resteranno analfabeti; 80 sono i milioni di “bambini di strada”) è emersa sempre più forte l’esigenza di un documento internazionale che affermasse risolutamente, senza frontiere, il diritto delle generazioni future ad una esistenza dignitosa. La Dichiarazione dei Diritti del fanciullo del 1989, pur non essendo fonte di diritto per l’ordinamento interno dei singoli Stati, ha tuttavia valore morale e sociale in quanto espressione di nuove forme di tutela dei minori, non più considerati come oggetti delle decisioni degli adulti, ma come veri e propri soggetti di diritto.
La Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia è invece fonte di diritto per gli Stati che l’hanno ratificata, essendo la “convenzione” un accordo nel quale si può individuare un vero e proprio contratto, e non un atto unilaterale come nella “dichiarazione”. La Convenzione contempla una serie di diritti fondamentali e di garanzie elencati nel testo del trattato: il diritto alla vita, il divieto di tortura e di trattamenti penali disumani o degradanti, i diritti di libertà personale, di buona amministrazione della giustizia, di associazione e riunione, di religione, di espressione, il diritto di sviluppo.
Qui di seguito sono indicati i titoli di alcuni articoli facenti parte della prima parte della Convenzione.
2- Tutti gli Stati che hanno ratificato la Convenzione si impegnano a rispettare e a garantire i diritti del bambino, senza distinzione di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica del bambino o della sua famiglia.
3- Gli interessi del bambino devono essere considerati per primi in tutte le decisioni che lo riguardano. Il bambino ha il diritto di ricevere la protezione e le cure necessarie al suo benessere.
5- Sono i genitori o chi li sostituisce a doversi prendere cura del bambino.
6- Il bambino ha il diritto alla vita e a sviluppare in modo completo la propria personalità.
9- Il bambino ha il diritto di mantenere i contatti con i suoi genitori, anche se questi sono separati o divorziati.
10- Il bambino ha il diritto di riunirsi ai suoi genitori o di restare in contatto con loro se questi vivono all’estero.
11- Nessun bambino può essere portato via dal suo paese in modo illegale.
13- Il bambino ha il diritto di essere informato e di poter dire ciò che pensa, con i mezzi che preferisce.
14- Il bambino ha il diritto di sapere tutto quello che succede nella propria famiglia e ha il diritto di libertà di pensiero, di coscienza, di religione, inoltre, i genitori hanno il dovere di guidare i figli in tale compito e di rispettare le idee in cui credono.
15- Il bambino ha il diritto di stare insieme agli altri.
17- I giornali, i programmi radiofonici e televisivi devono adeguarsi ai bisogni dei bambini.
18- Se un bambino non ha i genitori, ci deve essere qualcuno che si occupa di lui.
19- Nessuno può trascurare, abbandonare, maltrattare, sfruttare un bambino o fare violenza su di lui.
20- Se un bambino non può vivere con la famiglia, deve andare a vivere con qualcuno che si occupi di lui.
21- E’ vietato il commercio delle adozioni.
22- Il bambino rifugiato ha il diritto di essere protetto.
23- Il bambino che ha problemi mentali o fisici ha il diritto di vivere come gli altri bambini, di essere curato, di andare a scuola, di prepararsi per il lavoro e di divertirsi.
24- Il bambino ha il diritto di raggiungere il massimo livello di salute fisica e mentale, di essere curato bene, di crescere bene spiritualmente e socialmente.
28/29- Il bambino ha il diritto all’istruzione e di ricevere un’educazione che sviluppa le sue capacità e che gli insegni la pace, l’amicizia, l’uguaglianza e il rispetto per l’ambiente naturale.
30- Il bambino che appartiene ad una minoranza ha il diritto di usare la sua lingua e di vivere secondo la sua cultura e la sua religione.
31- Il bambino ha il diritto al gioco, al riposo al divertimento e a dedicarsi alle attività che gli piacciono.
32- Nessun bambino deve essere sfruttato o fare lavori pericolosi che gli impediscano di crescere bene o di studiare.
33- Il bambino deve esser protetto dalla droga.
34- Nessun bambino deve subire violenza sessuale o essere sfruttato sessualmente.
35- Nessun bambino deve essere rapito, comprato o venduto.
37- Nessun bambino può essere torturato o condannato a morte o all’ergastolo.
38- Nessun bambino al di sotto di 15 anni deve essere arruolato in un esercito, né combattere in guerra.
39- Il bambino trascurato, sfruttato e maltrattato ha il diritto di essere aiutato a recuperare la sua salute e serenità.
40- Il bambino che è accusato di un reato ha il diritto di ricevere un trattamento adatto alla sua età e che lo aiuti a tornare a vivere con gli altri.
Purtroppo però, nonostante gli impegni presi, molti paesi pur avendo ratificato la Convenzione “permettono” che tali diritti vengano vergognosamente calpestati.
La risposta istituzionale
1. Disposizioni per la promozione dei diritti e opportunità per l’infanzia e l’adolescenza
Il più importante atto concreto che l’Italia ha compiuto in risposta alla ratifica della Convenzione è stata la legge del 28 agosto del 1997 n. 285 “Disposizioni per la promozione dei diritti e opportunità per l’infanzia e l’adolescenza”. Tale legge ha come obiettivo non tanto quello tradizionale di sanzionare comportamenti scorretti o abusanti nei confronti dei soggetti più deboli della nostra società, quanto piuttosto quello di sviluppare, attraverso interventi innovativi, condizioni che consentano di promuovere positivamente i diritti dell’infanzia e dell’adolescenza e di assicurare ai cittadini di minore età, quelle opportunità indispensabili per un adeguato processo di sviluppo che porti alla costruzione di personalità compiute.
Uno degli aspetti maggiormente sottolineati nella legge è la ricerca del collegamento tra i vari attori pubblici e privati che si occupano dell’infanzia e dell’adolescenza. Le più eterogenee risorse della società, degli enti locali, della scuola, dell’associazionismo e della cooperazione, devono entrare in relazione tra loro per la concertazione di una politica unitaria e di un sistema integrato di interventi a vantaggio dei bambini e delle bambine, dei ragazzi e delle ragazze.
2. Fondo Nazionale per l’Infanzia
E’ stato istituito presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, un fondo monetario finalizzato alla realizzazione di interventi a livello nazionale, regionale e locale per favorire la promozione dei diritti, la qualità della vita, lo sviluppo, la realizzazione individuale e la socializzazione dell’infanzia e dell’adolescenza privilegiando l’ambiente ad esse più confacente ovvero la famiglia naturale, adottiva o affidataria. Sono ammessi al finanziamento del fondo i progetti che perseguono le seguenti finalità:
a) realizzazione di servizi di preparazione e di sostegno alla relazione genitore-figli, di contrasto della povertà e della violenza, nonché di misure alternative al ricovero dei minori in istituti educativo-assistenziali;
b) realizzazione di servizi ricreativi ed educativi per il tempo libero anche nei periodi di sospensione delle attività didattiche;
c) realizzazione di azioni positive per la promozione dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, per l’esercizio dei diritti civili fondamentali, per il miglioramento della fruizione dell’ambiente urbano e naturale da parte dei minori, per la valorizzazione delle caratteristiche di genere, culturali ed etniche;
d) azione per il sostegno economico ovvero di servizi alle famiglie che abbiano al loro interno uno o più minori con handicap al fine di migliorare la qualità del gruppo-famiglia ed evitare qualunque forma di emarginazione e di istituzionalizzazione.
3. Le città amiche dell’infanzia
Se il bambino e la bambina sono cittadini significa che sono titolari di diritti, in più, dal 1989, con l’approvazione da parte delle Nazioni Unite della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia i bambini di tutto il mondo sono diventati titolari di speciali diritti, oggi legge per 151 Stati.
La convenzione prevede l’assunzione da parte della società di impegni precisi e seri e sancisce anche che, quando il diritto dei bambini entra in conflitto con quello degli adulti, prevale quello dei primi.
Se nelle nostre città cominceremo a lavorare perché i bambini e le bambine vivano secondo le loro esigenze ci renderemo conto che in effetti non stiamo lavorando solo per i bambini, ma anche per gli anziani, gli handicappati, per i poveri, e in fondo di lavorare per tutti noi. Assumere il bambino come parametro di cambiamento significa pensare una città più adatta per tutti i cittadini. Di fronte all’invito di dare maggiore autonomia ai bambini spesso le famiglie resistono sia per i pericoli che i loro figli possono correre, sia per il timore che, avendo qualche necessità non abbiano nessuno a cui rivolgersi per chiedere un aiuto.
Per questo si è pensato di coinvolgere tre categorie di cittadini che per diverse ragioni potrebbero essere “Amici dei bambini” e loro alleati:
- i vigili urbani: una categoria che per sua natura dovrebbe prioritariamente mettersi a disposizione dei cittadini e fra questi dei più deboli e che invece svolge prevalentemente una attività legata al traffico automobilistico. Degli incontri di formazione potrebbero offrire l’occasione per riflettere sul nuovo stato giuridico del bambino;
- gli anziani: quella che viene oggi considerato un allarme anziani potrebbe, e dovrebbe, diventare la risorsa anziani. Essi potrebbero contribuire alla sicurezza dell’infanzia negli spazi pubblici della città condividendoli con loro. Ad essi si chiede presenza, interesse e naturalmente, ogni volta che è possibile uno scambio di racconti e di competenze;
- i commercianti: essi vivono sulla strada e per questo potrebbero essere di grande aiuto per i bambini. Coinvolgere i commercianti, potrebbe rappresentare un importante contributo per la sicurezza delle strade cittadine. Con adeguata segnaletica (adesivi, manifesti, ecc.) i commercianti potrebbero comunicare ai bambini la loro disponibilità a mettere a disposizione le loro risorse.
Un’altra proposta che in questi ultimi anni in Europa e in Italia ha assunto un ruolo rilevante è quella relativa all’istituzione di veri e propri consigli dei ragazzi che possano operare a livello comunale, di circoscrizione o di quartiere. Tali consigli rappresenterebbero un’innovativa modalità di partecipazione dei ragazzi alla vita della collettività sociale in cui vivono, permettendogli di contribuire alle scelte e alle decisioni dalle quali finora sono stati esclusi.
E’ importante promuovere a livello nazionale interventi che facilitino l’uso del tempo e degli spazi urbani e naturali, rimuovendo gli ostacoli nella mobilità e ampliando la fruizione di beni e servizi ambientali, culturali, sociali e sportivi attraverso l’istituzione di musei per i bambini, centri ricreativi in cui offrire opportunità di gioco libero e organizzato, ludoteche ecc.
4. Patto d’intesa con i media
I mass-media rappresentano uno strumento fondamentale per la diffusione di una nuova cultura dell’infanzia e dell’adolescenza, centrata sull’interesse del bambino ad essere rispettato come persona. A tal scopo da tempo la Commissione Nazionale per il coordinamento degli interventi in materia di maltrattamenti, abusi e sfruttamento sessuale di minori, auspica che il Ministero per la Solidarietà Sociale e l’Ordine dei Giornalisti concordino un protocollo che preveda:
a) un forum delle redazioni e delle testate televisive per un impegno globale a favore dell’infanzia;
b) l’individuazione di referenti stabili per ogni testata e redazione televisiva;
c) l’impegno a pubblicare inchieste e servizi che riguardano la prostituzione minorile, l’abbandono scolastico, il turismo sessuale, lo sfruttamento del lavoro minorile, l’evasione scolastica, il coinvolgimento nella criminalità;
d) spazi congrui per diffondere una solidarietà collettiva perché le famiglie in difficoltà non vengano emarginate;
e) un appuntamento annuale per premiare la testata che, più delle altre, ha approfondito le tematiche dell’infanzia.
Questo protocollo con i mezzi di informazione comporterà nel tempo il superamento della cultura dello scoop. Troppo spesso il bambino è visto esclusivamente nella cronaca nera come oggetto di violenza o come protagonista di fatti delittuosi.
Nell’ambito di una comunicazione integrata e globale il dipartimento per gli Affari Sociali può rappresentare una possibile fonte per l’acquisizione e la divulgazione di notizie che vedono i bambini protagonisti o destinatari di azioni positive.
5. FOCSIV – “Non toccate i diritti dei bambini”
La campagna vede l’adesione di diverse Organizzazioni non Governative e nasce dal bisogno di “fare qualcosa” per i più indifesi della società: i bambini e gli adolescenti. La campagna vuole produrre l’immagine di un bambino attivo che si pone nei confronti dei problemi dell’infanzia con consapevolezza e positività, cosciente dei problemi, desideroso di saperne di più. Inoltre, vuole informare i ragazzi non soltanto sui fenomeni negativi che accadono nel mondo e che riguardano i loro coetanei, ma anche sugli strumenti esistenti attraverso cui poter difendere i propri diritti.
6. ASPEm – “Una casa dove non abita la violenza”
E’ un’iniziativa di solidarietà, promossa dall’ASPEm di Cantù, per sostenere un progetto di recupero per 1.500 bambini vittime della violenza familiare nei barrios di Lima. Per offrire loro uno spazio dove recuperare la gioia di vivere e sentirsi veri protagonisti. In Perù sono 6 milioni i bambini poveri e solo a Lima oltre 10.000 bambini sono in totale stato di abbandono. Attraverso la Campagna, l’ASPEm aprirà a Lima spazi di accoglienza per i bambini e adolescenti, dove psicologi ed educatori li aiuteranno a ritrovare la felicità e i sogni che gli sono continuamente negati.
7. MANI TESE – “Iqbal aveva 150 milioni di fratelli”
E’ una Campagna nazionale contro il lavoro minorile, legata alla Global March, la Marcia Mondiale contro il lavoro Infantile, partita a gennaio del ’98 da Manila, nella Filippine, e che ha percorso per 6 mesi tutti i continenti chiedendo ai governi, forze sociali e cittadini uno sforzo positivo per cancellare al più presto la tragedia di bambini che, con meno di 14 anni, sono costretti a fare i minatori, cavatori, raccoglitori di rifiuti, braccianti, conciatori, etc., rovinando per sempre la propria salute e la propria vita. Iqbal Masich, il dodicenne pakistano ucciso dalla mafia dei tappeti, è divenuto il simbolo della Marcia e della Campagna che sottolinea come lo sfruttamento infantile sia al tempo stesso conseguenza e causa di povertà e riassuma in se tutte le miserie.
8. COALIZIONE ITALIANA – “Stop all’uso dei bambini soldato”
Coalizione affiliata alla Coalizione internazionale “Stop using child soldiers”, per sensibilizzare in particolare le istituzioni sul problema dell’arruolamento dei minori negli eserciti e chiedere un protocollo opzionale alla Convenzione sui Diritti dell’Infanzia che proibisca il reclutamento militare e l’impegno durante le ostilità dei minori di 18 anni.
4. BIBLIOGRAFIA
BOTTE, M. F. Bambini di vita. Milano, Sperling & Kupfer Editori. 1994
CENTRO NAZIONALE DI DOCUMENTAZIONE E ANALISI SULL’INFANZIA E L’ADOLESCENZA. Infanzia e Adolescenza. Diritti e Opportunità. Firenze, 1997
CENTRO NUOVO MODELLO DI SVILUPPO
Sulla pelle dei bambini. Bologna, EMI, 1994
FERRARI, A. I bambini nella guerra. Bologna, EMI, 1996
FIORE, C. Violenza sui bambini. Leumann, Elledici, 1986
INTERNATIONAL LABOUR OFFICE
Il lavoro minorile nel mondo. Centro Internazionale di Formazione dell’ILO di Torino. 1998
LODI, M. Mondo Bambino. Torino, Sonda, 1991
PARSI, M. R. Il pensiero bambino. Milano, Mondadori, 1991
PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI
DIPARTIMENTO AFFARI SOCIALI
In testa ai miei pensieri. Firenze, Centro Nazionale di Documentazione e Analisi per l’Infanzia. 1998
SITI WEB:
www.google.it
www.virgilio.it
www.amnestinternational.com
www.unicef.com
www.onu.com
5. LINKS
Unicef Italia – (www.unicef.it)
E’ il Fondo delle Nazioni Unite per l’Infanzia, che opera in tutto il mondo a favore dell’infanzia bisognosa. Il Comitato italiano nasce nel 1955 e si occupa prevalentemente di educazione allo sviluppo ed infanzia. Il Sito è una fonte notevole di informazioni sulle attività del Comitato e sugli “Speciali” dedicati allo sfruttamento minorile ed alle bambine. Inoltre, si possono consultare i dossier, le pubblicazioni, i link interessanti.
Centro Nazionale di Documentazione ed Analisi per l’Infanzia e l’Adolescenza – (www.minori.it)
Il Centro ha funzioni di supporto alle attività dell’Osservatorio Nazionale per l’Infanzia. Entrambi gli organismi sono nati nel 1997 come strutture operative della Presidenza del Consiglio – Dipartimento Affari Sociali. Il centro svolge attività di monitoraggio sulla condizione dell’infanzia, raccoglie e organizza la documentazione sull’adolescenza. Nel Sito si possono consultare le leggi e gli atti delle Conferenze sull’Infanzia, la documentazione del Centro, le novità, i link.
Mani Tese – (www.manitese.it)
Organismo non governativo di cooperazione allo sviluppo, opera del 1964 a livello nazionale ed internazionale per favorire l’instaurazione di nuovi rapporti fra i popoli fondati sulla giustizia, la solidarietà, il rispetto delle diverse identità culturali. Nel sito trova ampio spazio la campagna di Mani Tese contro il lavoro infantile.
Ai.Bi - Associazione Amici dei Bambini – (www.aibi.it)
Organizzazione umanitaria internazionale nata su iniziativa di alcuni genitori adottivi e affidatari, per portare aiuto ai minori in difficoltà in Italia e nei paesi esteri. Il Sito offre informazioni sul sostegno a distanza, sulle adozioni internazionali, sui progetti in corso in difesa dei minori, sulla formazione in questo settore e sulle campagne in atto.
Amnesty International – (www.amnesty.it)
Movimento internazionale indipendente che opera per la promozione e la difesa dei diritti umani.
Nel sito si può consultare il rapporto annuale ’99 di Amnesty International, i documenti disponibili, le azioni intraprese e gli appelli on line.
6. GRAFICI E TABELLE
Le Cifre Del Lavoro Minorile
(fonte: UNICEF-ITALIA)
Nel mondo ci sono circa due miliardi di bambini di età compresa da 0 a 18 anni. Nove su dieci, pari all'87%, vivono nei paesi in via di sviluppo. Di essi 250 milioni sono i bambini tra i 5 e i 14 anni che lavorano (dati OIL, 1996).
• 120 milioni lavorano a tempo pieno e 130 milioni a tempo parziale.
• circa il 61% dei bambini, pari a 153 milioni, vive in Asia; il 32% (80 milioni) in Africa e il 7% (17,5 milioni) in America Latina.
• Un bambino su quattro nel mondo in via di sviluppo lavora anche più di 9 ore al giorno per sei giorni la settimana.
• in India le stime più accreditate parlano di 44 milioni di bambini lavoratori;
• in Pakistan 8 milioni di piccoli lavoratori (10-14 anni) costituiscono il 20% della popolazione attiva, e sono impiegati in ogni sorta di lavoro, dall'industria all'edilizia, spesso in condizioni di semi-schiavitù;
• in Bangladesh i bambini che lavorano, sia nell'industria (tessile soprattutto) per l'esportazione sia nell'artigianato sono 1/4 dell'intera popolazione infantile;
• in Nepal il 60% dei bambini svolge lavori che impediscono il loro normale sviluppo e particolarmente grave è la situazione delle bambine, il cui carico di lavoro è in genere di 2-3 volte superiore a quello dei maschi;
• il 32% della forza lavoro in Thailandia è costituito da bambini, impiegati in massima parte nella produzione di articoli per l'esportazione;
• nelle Filippine secondo le stime ufficiali i piccoli lavoratori sono 2.200.000, ma molti di più sono occupati nel lavoro nero.
• in Nigeria (uno dei più ricchi paesi africani) lavorano circa 12 milioni di ragazzi;
• in Brasile le stime più prudenti parlano di 7 milioni di bambini al lavoro, cui vanno aggiunti tutti i piccoli che vivono di espedienti sulle strade; a San Paolo si calcola che il 20% dei redditi familiari sia garantito dal lavoro minorile.
• Negli USA lavorano circa 5 milioni e mezzo di ragazzi, e le violazioni delle leggi che regolamentano il lavoro dei minori sono aumentate del 250% tra il 1983 e il 1990.
Vittime di guerra negli ultimi 10 anni
Milioni di bambini
uccisi in conflitti
15
con lesioni irreversibili
4
senza casa
12
orfani di guerra
15
Bambini con traumi
20
Paesi che al 1992 avevano ratificato la Convenzione e l’età a cui hanno fissato l’avvio al lavoro
Paese
Anni
Paese
Anni
Algeria
16
Germania
15
Belgio
15
Grecia
15
Bielorussia
15
Guatemala
14
Bulgaria
16
Guinea Equatoriale
14
Costa Rica
15
Honduras
14
Cuba
15
Iraq
15
Francia
16
Irlanda
15
Italia
15
Israele
15
Kenia
16
Romania
16
Libia
15
Rwanda
14
Lussemburgo
15
Russia
16
Malta
16
Spagna
15
Mauritius
15
Svezia
15
Nicaragua
14
Togo
14
Niger
14
Ucraina
16
Norvegia
15
Uruguay
15
Olanda
15
Venezuela
14
Polonia
15
Yugoslavia
15
Rep. Dominicana
15
Zambia
15
1
1

Esempio



  


  1. ilenia

    Una tesina gia svolta e sviluppata sullo sfruttamento minorile

  2. matteo

    tesina completa multidisciplinare dello sfruttamento minorile per esame di terza media

  3. Marina Rossi

    dei grafici sul lavoro minorile nel mondo e in Italia, con gli anni dei bambini, il nome del Paese e possibilmente anche l'anno; cerco anche vari grafici sui bambini analfabeti, sui lavori che fanno i bambini e sul tasso di disoccupazione.

  4. chiara

    tesina sfruttamento minorile