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Testo

I caratteri essenziali dell'illumismo
Rispetto alla razionalità moderna, impegnata nei grandi problemi metafisici, la ragione illuministica è soprattutto rivolta allo studio della realtà terrena e quotidiana, con un'attenzione particolare alle dimensioni della felicità e dell'utilità. L'affermarsi di questa razionalità mondana e pragmatica si congiunge a una tendenza polemica contro le religioni tradizionali e la Chiesa, considerate frutto di imposizione autoritaria, strumento di dominio politico, di superstizione e intolleranza. Insieme alla libertà e all'uguaglianza, trova enorme diffusione la parola d'ordine della tolleranza. Non solo viene affermata vigorosamente l'autonomia della coscienza morale, ma vi si ravvisa il criterio e la garanzia dell'efficacia e validità della religione stessa. La divinità viene concepita come un "ente supremo", in un senso deistico più che teistico e spogliata di molti degli attributi assegnati da secoli di teologia e metafisica. Prevale inoltre l'attenzione verso i risultati delle scienze e il loro legame con le tecniche. Questa attenzione è alla base del progetto dell'Enciclopedia, o dizionario ragionato delle scienze, delle arti e dei mestieri (1751-72) diretta da Jean Le Rond D'Alembert e da Denis Diderot: essa si propone di offrire un inventario "critico" delle conoscenze umane per propagare la cultura, "rischiarare" le coscienze e combattere l'intolleranza e le superstizioni. Nell'Enciclopedia prevale l'interesse per la ricerca concreta e un senso del sapere progressivo, sottoposto a continue verifiche sperimentali e a continui ampliamenti.
La filosofia della storia illuministica
L'illuminismo dedica grande attenzione anche alla pedagogia, nella convinzione che proprio l'educazione sia uno strumento primario di progresso, la cui nozione è centrale nella concezione illuministica della storia perché viene assunta come criterio di giudizio e di valutazione dei fatti e delle epoche. Da una parte l'illuminismo identifica il progresso come un processo destinato a portare tutti i popoli al livello di razionalità raggiunto a quel tempo, dall'altra esso viene inteso come un compito illimitato e inesauribile della ragione. Con l'illuminismo si diffonde una concezione cosmopolita, che prende in considerazione anche le civiltà extraeuropee, e laica della storia, che ne amplia l'orizzonte rispetto a quella cristianocentrica e di ispirazione teologica.
Caratteri generali in italia
L'illuminismo italiano può essere distinto in tre periodi: 1. il periodo 1740-1750 è segnato da una larga diffusione delle idee illuministiche; il nuovo equilibrio politico di metà secolo invita a un grande dibattito culturale; 2. il periodo 1760-1775 vede una fattiva collaborazione fra intellettuali e principi illuminati; 3. nel 1775-1790 la collaborazione si interrompe e il riformismo, diretto dall'alto, si fa meno dinamico.
L'illuminismo italiano fu sempre prudente e mirò principalmente a uno svecchiamento della cultura. Del resto, anche fenomeni culturali non illuministici (la tradizione del riformismo moderato di Muratori; il rigorismo religioso giansenista; persino il gesuitismo, che ambiguamente si fece carico della nuova cultura riformista) sono mossi da intenti riformistici, escludendo qualsiasi atteggiamento eversivo e radicale. I nostri illuministi, nonostante indubbie esitazioni, diedero comunque un contributo interessante al dibattito europeo, arricchendo e giustificando il pensiero laico italiano.
Gli illuministi

Il veneziano Francesco Algarotti (1712-1764) è un esempio notevole di cosmopolitismo illuministico. Grande successo internazionale ebbe il suo Newtonianismo per le dame (1737), un'esposizione salottiera della scienza newtoniana in forma dialogica, dove una marchesa "si converte" dalla fisica di Cartesio a quella di Newton. Le sue Opere varie (1757) trattano diversi argomenti: dal Saggio sopra la pittura o dal Saggio sopra l'opera in musica si passa al Saggio sopra la lingua francese o al Saggio sopra la necessità di scrivere nella propria lingua. Nel Saggio sopra il commercio (1763) Algarotti affronta il problema se le qualità dei popoli dipendano dal clima o dalle legislazioni. Il suo libro più bello restano tuttavia i Viaggi di Russia, composti da otto lettere del 1739 e da altre del 1750-51: vero reportage giornalistico, curioso e intelligente, è scritto in una lingua facile e ordinata. Compose anche il romanzo Congresso di Citera (1745), pervaso da un galante erotismo.
Saverio Bettinelli (1718-1808), mantovano, gesuita, propose una polemica feroce e aggressiva. Le Lettere virgiliane (1757) sono un attacco, nel nome di un classicismo razionale, a quasi tutta la cultura italiana (persino Dante è considerato bizzarro). Anche le altre opere (Lettere inglesi, 1766; Dell'entusiasmo delle belle arti, 1769; Discorso sopra la poesia italiana, 1781; Il Risorgimento d'Italia negli studi, nelle arti e ne' costumi dopo il mille, 1773) presentano una critica aspra, ma spesso capziosa e confusa, non esente da una certa genericità.
Girolamo Tiraboschi (1731-1794), bergamasco, gesuita, è l'autore di un'interessante Storia della letteratura italiana, che segue e in qualche modo sintetizza altre storie letterarie precedenti.
Il neoclassicismo

Un'immagine essenziale di grecità e romanità viene cercata nell'ambito delle arti visive: gli scavi di Ercolano (1738) e di Pompei (1748), la stessa nascita dell'archeologia diventano le occasioni per un forte ritorno del gusto classico. Un'opera di sintesi è quella del tedesco Johann Joachim Winckelmann (1717-1768): i suoi Pensieri sull'imitazione dell'arte greca nella pittura e nella scultura (1755) e soprattutto la Storia dell'arte antica (1764) formulano i concetti cardine del neoclassicismo: una bellezza pura, armonica, razionale quanto nostalgica, in cui la "nobile semplicità e quieta grandezza" diventa il senso di passioni che non vengono mai espresse direttamente, ma sono lasciate intendere attraverso la compostezza e la luminosità della forma. L'arrivo di Winckelmann a Roma (1755) è un momento essenziale per il classicismo italiano. Altri autori hanno determinato il neoclassicismo: tra questi, il tedesco Gotthold Ephraim Lessing (1729-1781), con il saggio Laocoonte o dei confini tra pittura e poesia (1766). I pittori Anton Raphael Mengs (1728-1779) e Giambattista Piranesi (1720-1778) sono i promotori di un nuovo ideale di bellezza, definitivamente moderno (cioè razionale, oggettivo e civile), ma sensibile alle imitazioni dell'antichità, come se solo nella purezza della natura, testimoniata dagli antichi, si ritrovasse la fonte del bello e del razionale. Il neoclassicismo europeo produsse grandi risultati in ambito architettonico e urbanistico nella scultura, specialmente con Antonio Canova, nella pittura con Jacques Louis David diventando l'arte ufficiale della rivoluzione francese e soprattutto dell'impero napoleonico.
Il neoclassicismo letterario
La diffusione del neoclassicismo letterario fu vasta e articolata, spesso alimentando condizioni culturali complesse e apparentemente opposte (come il preromanticismo). È il caso tedesco e inglese: Hölderlin, Schiller, per molti aspetti Goethe, o gli inglesi Shelley e Keats sono i grandi protagonisti di un neoclassicismo europeo, sebbene siano al tempo stesso i promotori di una nuova cultura che si radica nel cuore della cultura romantica.
Anche in Italia il neoclassicismo significa tante cose. Innanzi tutto un modello di "stile ufficiale": Parini (quello delle odi Il pericolo, 1787; Il dono, 1790; Il messaggio, 1793) propone una nitidezza formale struggente e nostalgica. C'è poi una fase più dichiaratamente di scuola, che viene condizionata dal dinamismo sorprendente delle vicende politiche di quegli anni; il conservatorismo del papato, le repubbliche napoleoniche, la stagione dell'impero francese e il ritorno austriaco sono vicende di segni opposti che pure chiedono al neoclassicismo un esemplare "grande stile", la possibilità di una rappresentazione artistica. Questo secondo tempo è ben rappresentato, tra fine Settecento e inizio Ottocento, dalla complessità di Monti e di Foscolo. Il neoclassicismo fu per gli italiani anche uno strano campo di prova. In effetti poteva significare sia un avvicinamento all'Europa, sia un modo per "sperimentare" il modello poetico senza dover uscire da un campo di elezione tutto italiano, come appunto la classicità. Anche per questo motivo il neoclassicismo significa per l'Italia "mediazione" culturale, combinazione e ingresso di elementi culturali diversi.
Il preromanticismo

Un fenomeno apparentemente opposto al gusto neoclassico è il cosiddetto preromanticismo. I suoi caratteri principali sono: la moda delle "visioni" dell'aldilà (Friedrich Gottlieb Klopstock, 1724-1803, soprattutto con Il Messia, 1748); la diffusione della poesia "notturna" e sepolcrale (con un forte gusto macabro: Pensieri notturni, 1742-45 di Edward Young, 1683-1765; l'Elegia scritta in un cimitero campestre, 1750, di Thomas Gray, 1716-1771); l'esplosione dei romanzi "gotici", ambientati tra fantasmi e leggende antiche (Il castello di Otranto, 1764, di Horace Walpole, 1717-1797); la nascita di un gusto "primitivo", alla ricerca delle leggende segrete dei celti e dei germani, come nel caso fortunatissimo dei Canti di Ossian (1760), scritti da James Macpherson, il quale finse di aver trovato e poi tradotto frammenti di antichi canti epici celtici, opera del bardo Ossian. Il gusto preromantico è portatore anche di un nuovo sentimento della natura: i contenuti fantastici preromantici finiscono per trovare punti in comune anche con un maestro illuministico dell'"individualità" e del "sentimentale", Jean-Jacques Rousseau (1712-1778). Il preromanticismo ha la sua più forte espressione nel movimento tedesco dello Sturm und Drang (tempesta e assalto), che rivendica lo spirito come la forza naturale del "popolo", e che ha avuto in Johann Gottfried Herder (1744-1803) il suo maggiore esponente. In questo clima Wolfgang Goethe (1749-1832) scrive il suo capolavoro di sintesi sentimentale e preromantica I dolori del giovane Werther (1774), base poi di altre opere su cui Goethe fonderà una nuova visione classica e insieme romantica della letteratura.
Il preromanticismo italiano
In Italia l'esempio più alto di "mediazione" culturale è offerto dal lavoro di Melchiorre Cesarotti (1730-1808). Notevole la sua traduzione delle Poesie di Ossian figlio di Fingal, antico poeta celtico (1763, 1772). Nella traduzione, Cesarotti si avvale d'un linguaggio poetico che recupera modelli della poesia latina insieme a cadenze della poesia popolare, creando una versificazione mossa e vibrante, al di là degli schemi dell'ancora dominante petrarchismo e delle soluzioni linguistiche puriste. Nel 1772 tradusse l'Elegia del cimitero campestre di Thomas Gray e l'Iliade, di cui fece una versione in prosa. Entrato nel 1785 nell'Accademia dell'Arcadia, pubblicò due opere sull'estetica e sul problema della lingua, che rappresentano il risultato più significativo dell'illuminismo italiano d'ispirazione sensistica: il Saggio sulla filosofia del gusto (1785) e il Saggio sopra la lingua italiana (1785).
Anche Alessandro Verri, dopo la prima stagione illuministica, offrì un esempio di mediazione. Trasferitosi a Roma (1767), comincia a scrivere romanzi neoclassici, pur con un forte gusto delle "rovine" e del mistero (Le avventure di Saffo poetessa di Mitilene, 1782; Notti romane al sepolcro degli Scipioni, 1792 e 1804; La vita di Erostrato, 1815). Un altro scrittore come Aurelio Bertola De' Giorgi (1753-1798) scrive "notturni", pur se in un luminoso gusto neoclassico (Viaggio nel Reno e ne' suoi contorni, 1795; le Notti Clementine, 1775). Anche Alfonso Varano (1705-1788) riprende i toni biblici e danteschi delle "visioni" (soprattutto con le Visioni morali e sacre, 1749-66), offrendo in tono minore l'idea di piccolo laboratorio delle forme tipico della poesia italiana di fine Settecento.
Il primo romanticismo: la scuola di Jena e il circolo di Berlino

Il primo cenacolo romantico si forma a Jena intorno al 1796, là dove, attraverso l'insegnamento di Fichte, si fa sentire la grande influenza della filosofia di Kant, componente determinante per la nascita del romanticismo. La funzione della immaginazione che in Kant è il luogo di intersezione tra spirito e natura, coscienza e inconscio diviene preminente in Fichte, assumendo il ruolo di una creatività spontanea e originaria, precedente la distinzione kantiana tra fenomeni e cose in sé.
Il poeta Novalis (1772-1801) riprende da Fichte la concezione di Io trascendentale e ne proclama l'unità con l'universo: un'unica forza opera in entrambi, l'immaginazione inconscia, o natura, e l'immaginazione conscia, o spirito, che emblematicamente si esprime nell'arte e nella poesia. Sono così poste le premesse dell'idealismo trascendentale di Schelling che del gruppo di Jena fu il teorico filosoficamente più profondo, accanto ai fratelli August e Friedrich Schlegel. Dopo la morte di Novalis il gruppo di Jena si scioglie, ma le idee romantiche si diffondono nelle capitali della Germania e dell'Europa. Esponente principale della scuola romantica di Berlino è il filosofo Friedrich Schleiermacher (1768-1834), autore dei Discorsi sulla religione (1799), nei quali la religione è posta decisamente al di sopra della metafisica e della morale. A suo fondamento sta il sentimento umano dell'infinito e del tutto. I tradizionali argomenti razionali della teologia, o gli argomenti morali con i quali Kant aveva inteso avvalorare la religione, sono superati in Schleiermacher dall'intuizione immaginativa che vede nella natura e nella storia una continua rivelazione del divino, di cui tutte le religioni sono a loro modo manifestazioni.
Il secondo romanticismo: i circoli di Heidelberg e di Monaco

Molto particolare è il clima del romanticismo a Heidelberg, i cui esponenti puntano a un ritorno al passato con la rivalutazione del Medioevo, della classicità idealizzata a volte con sfumature di esotismo, dei valori storico-religiosi e di libertà e soprattutto della tradizione popolare, vista nel mito e nella poesia come una verità metafisica. Oltre all'amore per la poesia popolare (von Arnim), per le saghe germaniche e per le fiabe (i fratelli Grimm), per il mondo simbolico arcaico, si diffonde a Heidelberg lo studio della natura in opposizione al newtonianesimo e al meccanicismo settecentesco. Già a Jena aveva preso avvio una interpretazione teleologica spiritualistica e qualitativa della natura, che vagheggiava la nascita di una "biosofia" come scienza unitaria della vita soggettiva e oggettiva. Queste tendenze fantasiose e mistiche si accentuano a Heidelberg, soprattutto con Görres, mettendo capo a intuizioni analogiche che riprendono la sapienza magica e alchemica precedente la nascita delle scienze moderne.
Il romanticismo di Monaco (von Baader, Carus) è caratterizzato dalla conciliazione tra romanticismo e cattolicesimo, con la conversione nel 1808 di Schlegel, che diffonde queste sue nuove concezioni anche a Vienna.
Nel 1836-37 Schelling tiene le celebri Lezioni monacensi il cui bersaglio critico è il razionalismo di Hegel, sin dall'inizio critico severo del movimento romantico. A Monaco Schelling accentua la sua inclinazione teosofica e irrazionalistica, a cui si accompagna una revisione in senso conservatore e restauratore delle idee politiche, che all'inizio del movimento romantico inclinavano maggiormente verso il radicalismo rivoluzionario francese

romanticismo
Introduzione

Il romanticismo si diffonde per tutto l'Ottocento: in un certo senso è la cultura del secolo. Non è una semplice contrapposizione alla razionalità dell'illuminismo, anche se rispetto alla ragione mette l'accento sulla fecondità della passione, dell'irrazionalità e dell'indicibile. In realtà il romanticismo si presenta in sorprendente continuità con la ricerca illuministica del "moderno"; però, come se la sua maturazione si manifestasse in una sorta di trasgressione e di radicale novità culturale. D'altra parte,il romanticismo per tutto l'Ottocento raccoglierà orientamenti diversi e contrastanti : dall'esaltazione di un libertario individualismo alla proposta del più introverso, se non reazionario, spirito di conservazione. In Italia la polemica romantica è condotta dalle riviste "Il Conciliatore"e "L'Antologia": esponenti di spicco sono Giovanni Berchet e Silvio Pellico. Collaterali al romanticismo sono gli esiti altissimi della poesia in dialetto del milanese Carlo Porta e del romano Gioacchino Belli.
L'idea romantica

Il termine "romantico" deriva dall'inglese romantic (che ebbe inizialmente il significato perlopiù negativo di romanzesco, fantasioso, irreale), derivante a sua volta da romance, che designa in inglese il romanzo medievale e il poema cavalleresco italiano. Sul continente il termine acquista alla fine del Settecento un significato alquanto diverso, sinonimo di "pittoresco". È però lo scrittore tedesco J.G. Herder che usa per primo il termine a designare la poesia "moderna", popolare e sentimentale, in contrapposizione alla poesia "antica", cioè classica.
Gli elementi essenziali che costituiscono il tessuto del nuovo movimento romantico sono individualismo e popolo, natura, storia, amore totale, il senso di squilibrio dell'io tra fiaba e quotidiano.
L'io si deve esprimere; l'arte e la lingua non sono strumenti di conoscenza razionale, bensì espressioni istintive della libertà individuale e insieme dello spirito e dell'identità profonda del popolo. Se viene rifiutato il meccanicismo illuministico è solo perché la natura, per i romantici, resta il segreto stesso dell'energia vitale, la forza spirituale che parla attraverso i simboli e le analogie. Nella storia tutto è dinamico, anzi è rivoluzionario e procede per fratture, superamenti, sintesi e crisi. Il sentimento è romanticamente un dramma perpetuo; l'amore è una prova estrema e coincide ironicamente con l'incompiutezza e la passione del frammento. Il senso di squilibrio (cioè l'aspetto negativo) dell'io, rispetto ai limiti del tempo e della realtà, mette il soggetto in una condizione di drammaticità che può ridursi sia a fiaba (i misteri delle tradizioni popolari, l'onirismo, il culto oscuro del Medioevo o l'esotico), sia paradossalmente alla quotidianità, in uno sguardo realistico ugualmente esasperato e assoluto.
Il romanticismo italiano

Il romanticismo italiano si delinea come un modello culturale più cauto e prudente rispetto agli analoghi movimenti tedesco e inglese. Non fu mai una vera rottura con la tradizione. Anzi, in certi casi divenne un'occasione in più per esperire nuove formule rispettose della tradizione letteraria umanistica. La negazione di qualsiasi estremismo condusse a un dibattito meno ricco, ma non per questo meno interessante, rispetto a temi fondamentali come la ricerca di un linguaggio "popolare", cioè non accademico e astratto, o la necessità di proporre una letteratura nazionale "utile" al progresso collettivo.
Origini e prima generazione romantica
Il romanticismo italiano trovò la sua elaborazione nei dibattiti pubblici delle riviste. Quando la "Biblioteca italiana" diretta da Giuseppe Acerbi aprì il suo primo numero con l'articolo di Madame de Staël Sulla maniera e l'utilità delle traduzioni, si avviò immediatamente un acceso dibattito fra classicisti e romantici. La rivista aveva un'impostazione classicista, senza mai essere settaria. La polemica, del resto, si irrigidì su questioni quasi secondarie (l'uso della mitologia classica, il rapporto con le letterature straniere, l'unità drammatica del modello aristotelico). Posizioni classicistiche più intelligenti (Pietro Giordani) mantennero un sicuro punto in comune con le riflessioni romantiche nel desiderio di una letteratura italiana "universale".
I romantici italiani si raccolsero attorno alla rivista milanese "Il Conciliatore", durata però solo un anno (1818-19) perché soppressa dalle autorità austriache. Nel gruppo emersero Pietro Borsieri (1788-1852), autore del divertente e ironico Avventure letterarie di un giorno (1816) e della stesura del Programma del "Conciliatore"; Ludovico di Breme (1780-1820), un intellettuale di livello europeo, forse l'unico italiano capace di misurarsi con le riflessioni degli idéologues. Il gruppo del "Conciliatore" tentò di mantenere in vita la ricerca del nostro migliore illuminismo, sostenendo con la novità romantica un senso storico della cultura, del senso civile e di una comune coscienza nazionale.
Surrealismo e realismo


Introduzione

Il programma del surrealismo francese, promosso intorno agli anni '20 da André Breton, non entrò direttamente nella letteratura italiana, che invece mutuò da questo movimento più che altro un immaginario fantastico. Il "surrealismo" diffuso nelle opere di Bontempelli, nell'ultimo Pirandello o nella narrativa di Palazzeschi derivava perlopiù da esperienze autonome e direttamente futuriste. Solo la narrativa di Savinio, Landolfi, Delfini, Buzzati e Campanile, sembrò mantenere un rapporto più stretto con le esperienze surrealiste francesi. Sempre intorno agli anni '30 si affermò anche una nuova forma di "realismo": Bilenchi, Silone, Bernari, il primo Moravia ne furono i rappresentanti.

Surrealismo e dintorni

Nessuno scrittore italiano (compreso il migliore Delfini) ha mai considerato direttamente i programmi poetici e politici del surrealismo. Si può piuttosto immaginare un surrealismo più generale, plasmato dal realismo della nostra tradizione, ma aperto a quel fantastico fatto anche di leggerezza e curiosità (certo pure di eredità futurista), tratti dunque che sono integrati della migliore narrativa italiana.
Il realismo

Il nuovo realismo, che va affermandosi intorno agli anni '30, è denudato da qualsiasi valenza "magica", come voleva Bontempelli. Con Bilenchi, Silone e Bernari la realtà è materia scabra e i suoi contenuti (il mondo dei contadini o degli operai) si fanno oggetto narrativo da rappresentare senza enfasi alcuna.
Positivismo
Introduzione

Il positivismo è quel movimento filosofico, scientifico e culturale del XIX secolo che privilegia lo studio della realtà concreta, sperimentabile, in tal senso "positiva", dichiarando priva di valore ogni conoscenza astratta e metafisica. Si sviluppa parallelamente all'affermazione della prima rivoluzione industriale, di cui appoggia la convinzione ottimistica in un progresso sociale frutto della riorganizzazione tecnica e industriale della società.
Il positivismo si diffonde particolarmente in Francia (Comte), Inghilterra (John Stuart Mill, Spencer), Germania (Haeckel) e Italia (Ardigò). A seconda degli interessi principali, si possono distinguere un positivismo sociale (Comte), che pone la scienza a base di un nuovo ordine sociale; un positivismo evoluzionistico , influenzato dalle teorie di Darwin , che assume come scienza-base la biologia ed estende la nozione di progresso e di evoluzione a tutto l'universo; un positivismo logico (Mill), che tenta di elaborare una nuova logica sulla base dell'induzione.
Caratteristiche generali del positivismo

Il positivismo si basa sull'esigenza di attenersi ai fatti e sull'esaltazione della scienza, l'unico sapere in grado di comprenderli, misurarli e controllarli. Secondo il positivismo la realtà sottostà a leggi precise, che le danno omogeneità e regolarità e vengono studiate dalle singole discipline scientifiche. La scienza è ritenuta l'unico metodo di conoscenza valido. Le conoscenze che ricorrono a spiegazioni non controllabili dalla scienza, come la metafisica, sono considerate prive di valore e sottoposte a critica. La scienza impiega un metodo descrittivo, che pone al centro la descrizione dei fatti e l'individuazione delle leggi che spiegano le relazioni costanti tra i fatti stessi. Il metodo della scienza deve essere esteso a tutti gli ambiti del sapere. È tipico del positivismo sia un atteggiamento laico nei confronti della realtà, che può essere spiegata senza il bisogno di ricorrere a Dio o a principi metafisici, sia una grande fiducia nel progresso del sapere scientifico, ritenuto in grado di riformare la società e migliorare in generale la vita dell'umanità.
Il naturalismo rinascimentale

Introduzione

Se nella cultura umanistica la problematica sulla natura dell'uomo e sul suo destino è centrale, nel Rinascimento si assiste a un ampliamento di orizzonti e di interessi culturali, che portano a privilegiare un nuovo tipo di indagine sulla realtà : vengono indagati non solo le strutture e gli attributi della natura, ma anche i metodi e principi usati per studiarla e per trasformarla a vantaggio dell'uomo.
La concezione della natura nel '500

Nel corso del '500 emergono nuove esigenze di interpretare la realtà naturale, a lungo sottovalutata dal pensiero medievale. La natura viene interpretata come il principio di vita e di movimento di tutte le cose esistenti; essa stessa viene concepita un tutto vivente, organicamente e necessariamente ordinato. Nella filosofia rinascimentale si delineano varie prospettive naturalistiche che hanno in comune un'aperta polemica con l'aristotelismo e la sua immagine della natura gerarchicamente ordinata sulla base di leggi fisiche immutabili; il fatto di affidare ai sensi e all'esperienza diretta il compito di indagare e comprendere la natura nella sua intima struttura vivente e senziente. La natura è studiata con l'ausilio di pratiche magiche, alchemiche e astrologiche nell'intento di scoprire e di dominare l'intima connessione fra i fenomeni, permettendo all'uomo, centro dell'universo, di raggiungere un pieno potere sulla realtà.
Introduzione

Il verismo è il movimento letterario italiano più interessante della seconda parte del secolo che, sulle premesse filosofiche del positivismo, trae origine dalle teorie del naturalismo francese e dalle condizioni proprie del momento storico italiano, come la grave crisi delle regioni meridionali, l'esistenza di una consuetudine linguistica e dialettale di carattere regionale e la mancanza di una consolidata tradizione di narrativa romantica di tipo realistico e di contenuto sociale. Maestro indiscusso del movimento è Giovanni Verga. Una posizione più appartata, ma più inquieta, è quella di Antonio Fogazzaro
La poetica verista

Il primo ispiratore e teorico del movimento verista fu indirettamente De Sanctis, che nei saggi Il principio del realismo (1872) e Studio sopra E. Zola (1878) auspicò una letteratura fondata sul vero. Le teorie di De Sanctis furono riprese e sviluppate da Capuana, che intese l'opera d'arte come "forma" vivente, come organismo dotato di una propria vita, né modificata né condizionata da chi scrive. Il testo narrativo in cui queste posizioni vengono più esplicitamente evidenziate è la novella di Verga L'amante di Gramigna, raccolta in Vita dei campi (1880), nella cui prefazione l'autore espone la sua interpretazione della teoria dell'impersonalità (nell'opera d'arte "la mano dell'artista rimarrà assolutamente invisibile"). Verga, però, a differenza di Zola, ritiene che lo scrittore non potrà mai agire con il rigore dello scienziato, perché "il processo di creazione rimarrà un mistero, come lo svolgersi delle passioni umane": il verismo si propone, coerentemente con le concezioni naturalistiche, di offrire al lettore la fotografia della realtà senza che l'autore interferisca con essa: il massimo risultato che uno scrittore possa ottenere è quello dunque di fare in modo che lo scritto "sembri essersi fatto da sé"). Stabilito il "frammento di vita" di cui occuparsi, il narratore lascia che gli avvenimenti siano osservati e giudicati attraverso la scala di valori propri dell'ambiente preso in esame. Il punto di vista di chi scrive è soggetto a una "regressione", che si riflette non solo nell'area del contenuto, ma addirittura sulle scelte linguistiche, come nel caso dei Malavoglia (1881) di Verga, in cui prevalgono la struttura sintattica del dialetto tipico del mondo contadino e le forme del discorso indiretto libero, come se la prosa fosse lo specchio di un intervento collettivo indeterminato.
La scuola verista

La produzione verista, in quanto produzione specificatamente di scuola, non è stata molto ampia e quasi sempre ha fatto riferimento a realtà regionali molto diverse. La produzione di "gusto verista", cioè di prospettiva realistica e di ambiente regionale, è invece molto ampia e raccoglie una letteratura di grande interesse, capace peraltro di formare quella tradizione di "realismo moderno" su cui si svilupperà il realismo novecentesco italiano. Tra gli esponenti più interessanti sono i toscani Renato Fucini (1843-1921), che nelle sue novelle fu attento osservatore, senza però intenti sociali, della miseria dei contadini della Maremma (Le veglie di Neri, 1882; Nella campagna toscana, 1908), e Mario Pratesi (1842-1921), autore di romanzi di ambiente senese, alla ricerca di un'"arte casalinga, semplice, passionata" (L'eredità, 1889; Il mondo di Dolcetta, 1895). A Nord, il genovese Remigio Zena (pseudonimo di Gaspare Invrea, 1850-1917) rappresentò la rovina morale e materiale di tante donne del popolo (La bocca del lupo, 1890) e il torinese Edoardo Calandra (1852-1911) riprese il "romanzo storico" testimoniandone però tutta la consunzione: soprattutto La bufera (1898) e Juliette (1909) mostrano intenti psicologici già aperti a un gusto drammatico primo Novecento.
Paolo Valera (1850-1926), di Como, mosso da forti interessi democratici, scrisse Alla conquista del pane (1882) e il bellissimo La folla (1901), oltre a un ampio romanzo-inchiesta sulla plebe urbana (Il ventre di Milano: fisiologia della capitale morale, 1888).
Particolare il caso del napoletano Vittorio Imbriani (1840-1886): la sua letteratura è la prova aggressiva di un realismo insieme scapigliato e verista, sempre troppo esuberante per rientrare in un genere definito, specie con i racconti Mastr'Impicca (1874), Dio ne scampi dagli Orsenigo (1876), Per questo Cristo ebbi a farmi turco (1883).
In relazione alla nascita per il teatro del "dramma borghese" è da ricordare il lavoro di Giuseppe Giacosa (1847-1906): il suo Come le foglie (1900) vuole essere un'apertura alla migliore drammaturgia europea (soprattutto Ibsen
Introduzione

L'artista decadente afferma la propria orgogliosa differenza chiudendosi in un aristocratico e sofferto rifiuto della società. Il decadentismo si esercita su temi quali l'inconscio e il sogno, la memoria e l'infanzia, l'angoscia e il senso della morte. Ricorrenti sono il gusto per l'artificio e l'eleganza ricercata contro la volgarità dell'arte di massa ; il fascino dell'Oriente lontano o l'attrazione per le droghe; il rifiuto della solidarietà sociale, pur nel vagheggiamento d'indistinti ideali umanitari; la sensualità provocante; l'erotismo morboso; il culto per l'esoterico e il satanico, non di rado accompagnato da slanci mistico-devozionali e da ritorni alla fede cattolica. Vengono rifiutate le tecniche letterarie fondate sul valore logico e razionale della parola; se ne cercano altre nuove, che facciano leva sugli elementi evocativi e allusivi e quindi sulle suggestioni fono-simboliche del linguaggio.
Si dà così spazio a un forte estetismo e a una letteratura simbolista, capace di far interagire tutte le differenze musicali, figurative, poetiche di un segno letterario. In Italia il vero portavoce del nostro decadentismo fu D'Annunzio, mentre Pascoli fondò, in modo originale e diverso dal contesto europeo, la poesia simbolista italiana.
Introduzione

Il secolo si apre all'insegna della ricerca espressiva e teorica. In Italia e in Europa dominano le "avanguardie". La presenza di Pascoli e D'Annunzio è ancora molto forte. Le prospettive letterarie del primo decennio possono essere così schematizzate: il crepuscolarismo, che rovescia il mito romantico-decadente del poeta in favore di una nuova ironica semplicità; il futurismo, che si propone come nuovo linguaggio della modernità; il dibattito delle riviste e l'apertura alla poetica del "frammento", cioè l'avvio a una nuova tensione poetico-morale. Dal primo dopoguerra la letteratura trova una testimonianza assolutamente originale e ormai libera da qualsiasi modello decadente.
L'età giolittiana

L'età giolittiana. Dal 1896 iniziò in Italia l'industrializzazione che la avvicinò ai paesi più sviluppati del continente: nel 1914 il il paese si sarebbe trovato all'avanguardia per produzione e impianti. In questo periodo, protagonista della vita politica nazionale fu Giovanni Giolitti (1842-1928). Egli tenne il potere fino al 1914 con pochissime interruzioni. La sua opera di statista fu fondamentale. Durante i suoi governi (1903-05, '06-'09, '11-'13) impostò una politica di tolleranza nei confronti delle rivendicazioni economiche dei lavoratori (avviando numerosi provvedimenti di legislazione sociale) ma ne stroncò con la forza le pretese politiche. Dopo un ministero Zanardelli, di cui fu ministro degli interni, gli fu affidato l'incarico nel dic. del 1903. Egli cercò di governare con l'appoggio di socialisti e radicali, ma per il prevalere dei rivoluzionari nel PSI modificò i suoi piani. Si orientò allora verso i cattolici, favorendo una lenta conciliazione tra Stato e Chiesa che portò al superamento del non expedit. Dimessosi nel mar. del 1905, il suo delfino Alessandro Fortis riuscì a nazionalizzare le ferrovie. Egli tornò al governo nel suo lungo ministero (dal '06 al '09) attuando fondamentali riforme sociali. Durante il quarto ministero avviò la conquista della Libia (1911-12), introdusse il suffragio universale maschile (1912), siglò il Patto Gentiloni con i cattolici per assicurarsene il sostegno alle elezioni del '13. Si dimise per le polemiche suscitate da questo gesto.
Il crepuscolarismo

Il critico G.A. Borgese parlò per primo di "crepuscolarismo" in un articolo sul giornale "La Stampa" del 1910 per definire la collocazione storica di una tendenza letteraria che costituiva, secondo lui, il tramonto, il crepuscolo appunto, della grande tradizione poetica italiana dell'Ottocento e nella quale si riconoscevano principalmente i poeti G. Gozzano, S. Corazzini, M. Moretti, C. Govoni. Questi poeti non costituirono una scuola o un movimento; furono piuttosto accomunati dal rifiuto polemico della retorica carducciana e del mondo estetizzante di D'Annunzio e uniti dall'adesione a una poesia intimista, fatta, come dice Gozzano, di "buone cose di pessimo gusto". Maestri prediletti furono il Pascoli della poetica del "fanciullino" e il D'Annunzio meno retorico del Poema paradisiaco.
Il mondo poetico crepuscolare
La poesia crepuscolare illustra situazioni ricorrenti, attinte per lo più dal piccolo mondo della provincia. Si descrivono gli arredi pretenziosi del "salotto buono" della piccola borghesia o le stanze d'un ospedale. Si lamenta la noia dei pomeriggi domenicali e lo stanco trascinarsi della vita d'ogni giorno, situazioni elette a simboli d'un malessere di vivere che nasce dalla crisi d'ogni certezza. I poeti non credono più ai valori tradizionali, né filosofici, né politici né scientifici, si sentono soli e incompresi e si chiudono nel proprio disagio, che conosce lo smarrimento di fronte al reale e il ripiegamento in se stessi, lo sguardo distaccato e ironico capace di proteggere da ogni coinvolgimento emotivo. In accordo con i temi quotidiani e dimessi, il crepuscolarismo ricerca un tono basso, colloquiale, un andamento prosastico e discorsivo. Il linguaggio si adegua alla semplicità della materia.
Il futurismo

Il futurismo è il movimento d'avanguardia più importante di inizio secolo. Si basa sul rifiuto di tutte le forme artistiche tradizionali; cerca un linguaggio adeguato alla nuova civiltà delle macchine e basato sul vitalismo dell'epoca moderna. Il futurismo coinvolge tutte le forme artistiche dando origine a veri e propri capolavori nell'ambito delle arti plastiche e visive. Volle essere soprattutto un nuovo costume rivoluzionario di vita individuale e collettiva; per questo si diffuse in vari modi in tutta Europa e finì per anticipare l'ideologia fascista.
Caratteri generali
Alla base del futurismo fu l'intuizione che la cultura del Novecento non avrebbe potuto non tener conto dei poderosi processi di trasformazione socio-economica in atto: la rapida industrializzazione, la nuova struttura e la nuova funzione delle città, il trionfo della velocità, protagonista dei mezzi di comunicazione (come la radio) e dei mezzi di trasporto (l'automobile, l'aereo e in generale quelli mossi dal motore a scoppio), infine la stessa violenza distruttiva delle nuove armi. Ai futuristi risultò inadeguata la vecchia concezione della cultura come riflessione e comprensione razionale della realtà; così le contrapposero l'idea di una cultura incentrata sul bisogno di agire e su un progetto artistico capace di rappresentare il dinamismo.
L'elaborazione teorica fu affidata ai cosiddetti "manifesti". Il primo Manifesto del futurismo fu pubblicato il 20 febbraio 1909 da F.T. Marinetti, sulle pagine del quotidiano "Le Figaro" di Parigi e richiamava l'atto di fondazione di un movimento politico: i futuristi aspiravano a modificare radicalmente la società. Il futurismo, dunque, si pose in un'ottica dichiaratamente antiborghese: fu contro il perbenismo, ogni forma di tradizione, il parlamentarismo e la democrazia; sostenne invece la positività assoluta del gesto ribelle e libertario, dell'eroismo fine a se stesso, del disprezzo dei sentimenti, della guerra come "sola igiene del mondo". Tra i vari successivi manifesti che ribadivano e ampliavano l'intento provocatorio del primo, il più interessante per l'elaborazione culturale e le conseguenze fu il Manifesto tecnico della letteratura futurista (1912), che propose la distruzione di tutti i nessi sintattici per lasciare le "parole in libertà" e realizzare l'espressione dell'"immaginazione senza fili", fondata su un uso estremo dell'analogia e dell'onomatopea per restituire sulla pagina l'effetto bruto e immediato del rumore. Una "rivoluzione tipografica" doveva realizzarsi con l'abolizione della punteggiatura e l'assunzione di una grafica capace di trasmettere immediatamente la diversa importanza delle parole. Apparvero anche manifesti tecnici di altre arti quali la pittura, la musica e l'architettura. Il Manifesto del teatro futurista sintetico (1915) suggeriva di sorprendere il pubblico con spettacoli brevissimi o addirittura inesistenti per provocarne la reazione anche violenta. Le posizioni del futurismo italiano in ambito politico trovarono espressione sulla rivista "Lacerba", furono meno originali e rimasero legate a forme di nazionalismo. Allo scoppio della prima guerra mondiale i futuristi si schierarono decisamente a favore dell'interventismo e parecchi di loro partirono volontari.
L'ermetismo

Introduzione

Già dalla fine degli anni '20, e in modo più cospicuo dagli anni '30, si sviluppa la corrente poetica dell'ermetismo, termine usato inizialmente in senso negativo, come sinonimo di oscurità, e divulgato dal critico Francesco Flora nel volume La poesia ermetica (1936). Si tratta in realtà di un'esperienza letteraria che rinuncia alla semplicità della comunicazione per riprodurre la complessità segreta e analogica del rapporto realtà-poesia.
La stagione ermetica

L'ermetismo si riallaccia al simbolismo francese, prediligendo S. Mallarmé e P. Valéry, e propone una concezione della parola poetica "pura", sottratta a ogni suggestione esterna (politica, sociale), alla quale viene affidato il compito di svelare i frammenti di senso, nascosti nelle pieghe dell'insignificante vita quotidiana: si allentano così i legami logici e la poesia si popola di metafore e di analogie in una trama evocativa, simbolica e spesso "oscura". La stagione ermetica, nel senso più ristretto del termine, risale al confronto-scontro degli anni '30 con la corrente crociana. I giovani (S. Quasimodo, A. Gatto, L. Sinisgalli, M. Luzi e altri) guardavano come modello della "nuova poesia" a Ungaretti, il quale può essere ritenuto l'iniziatore dell'ermetismo. Soprattutto Firenze fu il centro dell'ermetismo italiano; "Frontespizio" e "Campo di Marte" le riviste che ne divulgarono idee e testi.
Solaria" e i solariani

La rivista "Solaria" nasce a Firenze nel 1926 per iniziativa del giornalista Alberto Carocci. Sua prospettiva era l'apertura a una coscienza letteraria europea e cosmopolita, liberata dai condizionamenti programmatici o nazionalistici. Dall'esperienza della "Ronda" ereditò il culto dell'eleganza formale e un implicito disimpegno nei confronti del regime fascista. La rivista "Solaria" fece conoscere F. Tozzi e I. Svevo, ma anche M. Proust, J. Joyce, T.S. Eliot e F. Kafka. La sua ricerca letteraria fu un tentativo di approfondimento civile e politico. Le pubblicazioni vennero sospese nel 1936, dopo alcuni interventi della censura fascista. Tra i collaboratori figurano E. Montale, G. Debenedetti, C.E. Gadda, R. Bacchelli, E. Vittorini e G. Ungaretti.
All'interno della nuova aria europea ebbero modo di maturare scrittori molto diversi fra loro, ma tutti accomunati da una forte ricerca narrativa.

Il neorealismo

Introduzione

Alla fine della guerra, la rinascita politico-economica del paese avvia una radicale democratizzazione della cultura: lo sviluppo dell'editoria popolare, la nuova scolarizzazione, il ruolo del cinema, la vitalità del giornalismo e della radio, sono fattori alla base di una cultura realistica e popolare (di forte contenuto politico), che avrà dunque nel "neorealismo" la sua espressione più alta.
I caratteri generali

Il termine "neorealismo" era già stato avanzato alla fine degli anni '30, per quegli autori (per esempio, C. Alvaro, che si proponevano di riannodare i fili con la tradizione veristica di G. Verga e Tozzi. Alla letteratura dei buoni sentimenti, cara al regime fascista, si contrapponevano un nuovo modo espressivo e una nuova realtà sociale, la questione delle plebi rurali del Sud e del mondo operaio del Nord. Sulla nascita del neorealismo del dopoguerra forte fu l'influenza della narrativa americana, che, tradotta da letterati come E. Vittorini e C. Pavese, introdusse in un'Italia fascista e provinciale, le opere di E. Calwell, J. Steinbeck, H. Melville, W. Saroyan, facendo sorgere un vero e proprio amore per l'America, intesa come terra dell'utopia libertaria, nuova frontiera di libertà e indipendenza. L'esigenza di un atteggiamento critico nei confronti dell'Italia fascista, divenne un imperativo per quegli intellettuali, in gran parte aderenti al Partito Comunista, che consideravano la letteratura come strumento di denuncia e di impegno sociale. Il neorealismo propriamente detto si sviluppò dal 1940 al 1950, prediligendo in letteratura la narrativa dominata dai filoni tematici della guerra, della Resistenza e della condizione degli emarginati.
Introduzione

Intorno alla fine degli anni '50 il neorealismo andava esaurendosi: i valori e gli equilibri socio-politici usciti dalla Resistenza si erano trasformati; lo sviluppo industriale, la crisi della sinistra dopo la destalinizzazione richiedevano una cultura capace di sperimentare nuove forme sia di rappresentazione, sia di critica e di confronto con la realtà storica. Si apre la stagione dello "sperimentalismo" e con gli anni '60 si affermano le istanze culturali della "neoavanguardia".
La neoavanguardia e il Gruppo '63

La neoavanguardia affermava l'inadeguatezza e la crisi dell'ultimo neorealismo. Il suo punto di riferimento ideale fu l'operato delle avanguardie storiche, sia per lo stimolo da esse esercitato nel primo Novecento, sia per la nuova concezione di rapporto dinamico e coinvolgente con il pubblico, realizzata in particolare dal futurismo. Sul piano internazionale essa si ricollegava alle esperienze francesi del gruppo "Tel quel" e del "nouveau roman" e a quelle americane della poesia underground. L'antologia dei Novissimi (in due edizioni, 1961 e 1965) con testi di Nanni Balestrini (1935), Alfredo Giuliani (1924), Elio Pagliarani (1927), Antonio Porta ed Edoardo Sanguineti, diede seguito alla fondazione (1963), a Palermo, del Gruppo '63, con cui la neoavanguardia allargò il suo campo d'interesse e di intervento, coinvolgendo numerosi giovani poeti, scrittori e critici, come A. Spatola, G. Niccolai, T. Kemeny, C. Ruffato, U. Eco, S. Vassalli, autore dei romanzi-saggio Narcisso (1968) e Tempo di màssacro (1970), forse le più significative prove della neoavanguardia nell'ambito della prosa. Obiettivo del gruppo fu il rifiuto della tradizione poetico-letteraria degli anni '50: identificando ideologia e linguaggio, esso attribuiva alla sperimentazione linguistica una funzione sovvertitrice della razionalità borghese.
Introduzione

Gli anni '70 sono portatori di una ricerca sperimentale ormai astratta e sterile (influenzata dallo strutturalismo); gli anni '80 vedono l'inizio di quella dimensione edonistica che è il cosiddetto postmoderno, dimensione che poi in qualche misura sembra dominare anche il decennio degli anni '90, in cui la mancanza di legami fra letteratura e società favorisce una dispersione caotica, attenzione solo ai fatti minimi. Fondamentale per le sorti della letteratura è il nuovo peso assunto dai massmedia e dalle richieste del mercato editoriale.

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