riassunti dal capitolo 30 al 33 dei promessi sposi

Materie:Riassunto
Categoria:Italiano
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Testo

CAPITOLO 30

I tre fuggitivi si avvicinano alla valle e cominciano ad incontrare parecchi compagni di viaggio e di sventura che da sentieri sboccavano sulla strada, diretti al luogo di protezione più sicuro: il castello del ricco signore. Tutta questa gente non erano molto gradita don Abbondio, che, già dubbioso sulla realtà della conversione dell’innominato, è terrorizzato: tanta gente insieme significava attirare i lanzichenecchi per fare battaglia.
Giunti tra i lamenti di don Abbondio e i suoi battibecchi con Perpetua alla "Malanotte", il carretto fornito ai tre pellegrini dal sarto si ferma; così i tre si avviano a piedi per la salita.
Dopo qualche minuto viene loro incontro l’innominato che riconosce immediatamente don Abbondio ed è ben felice di poter ospitare la madre di Lucia, della quale chiede notizie. Quindi salgono tutti insieme al castello e il padrone di casa assegna ai tre le rispettive stanze.
I nostri fuggiaschi si trattengono per circa 24 giorni, periodo durante il quale, fortunatamente, non accade nulla di straordinario, fatta eccezione per gli allarmi giornalieri di avvistamenti di saccheggiatori, il più delle volte isolati e innocui.
Mentre le due donna si rendono utili per ricambiare l’ospitalità, Don Abbondio non sia azzarda neppure a uscire dal castello e passeggia per i corridoi, cercando possibili passi praticabili per una fuga in caso di emergenza.
Alla fine tutti lasciano il castello: Don Abbondio, Agnese e Perpetua sono gli ultimi ad andarsene.
Fissato il giorno della partenza, l’innominato fa trovare pronta una carrozza per loro e , ricevuti i ringraziamenti di don Abbondio e Perpetua, prende in disparte Agnese e le da altri scudi per riparare i danni che avrebbe certamente trovato in casa al suo ritorno.
Durante il ritorno fanno una breve sosta alla casa del sarto dove ascoltano attenti i fatti dei giorni passati: le solite ruberie, percosse, ma lì non si erano visti Lanzichenecchi.
Giunti al paese trovano ciò che si aspettavano: distruzione e caos ovunque.

CAPITOLO 31

La peste: un problema molto grave che però venne troppo sottovalutato e poco preso in considerazione, se non quando ormai era troppo tardi per fermare quella macchina infernale.
Nonostante le molte versioni di autori diversi riguardo a questo terribile argomento, Manzoni vuole dare la sua versione dei fatti, mettendo in rilievo la responsabilità della classe dirigente del tempo e l’ignoranza della popolazione che pur di non rassegnarsi sul fatto che la peste fosse arrivata si nasconde dietro bugie e credenze assurde.
Al verificarsi dei primi casi di peste, vengono svolte alcune indagini, ma il governatore mostra pochissimo interesse per lo stato delle cose in città: a occupare la sua mente sono piuttosto i pensieri della guerra e rifiuta pertanto di prendere delle precauzioni.
Intanto la maggior parte della popolazione nega l’evidenza, accusando i medici che parlano di peste di essere degli impostori, animati dal desiderio di gettare nello spavento l’intera città.
Quando però la verità non può più essere nascosta, il lazzaretto torna alla sua funzione originaria di ricovero per gli appestati e la popolazione colpita dalla “morte nera” aumenta di giorno in giorno: il numero dei nuovi arrivati supera di gran lunga quello, se pur elevato, dei decessi.
Questa situazione solleva diversi problemi, di ordine finanziario e organizzativo, ai quali si pone rimedio come si può, e non sempre in modo ottimale.
Intanto, non potendo più negare la verità, la superstizione popolare va cercando fra le più assurde la causa del flagello.

CAPITOLO 32

Il capitolo si apre con la richiesta d’aiuto dei decurioni al governatore, che però da una risposta molto evasiva e trasferisce la sua autorità a Ferrer, perché impegnato in guerra.
Nello stesso tempo i decurioni pregano il buon cardinale che si faccia una processione solenne per esporre i resti di san Carlo, ma egli rifiuta per due motivi: l’inizio di uno scandalo in caso di insuccesso e un motivo ulteriore di aumento dei contagi e la possibilità per gli untori di agire indisturbati. Il sospetto delle unzioni si era infatti ridestato più generale e forte di prima. Ma i decurioni non si abbattono all’iniziale rifiuto e convincono Federigo a concedere il permesso per la processione e in seguito a questa le morti aumentano notevolmente in ogni parte della città.
Così la popolazione passò da 250mila abitanti a 64mila e i decurioni devono trovare sempre nuovi serventi pubblici: monatti (che raccolgono i cadaveri e i moribondi da strade, case e piazze), apparitori (che precedono i carri e i monatti suonando un campanello per far sgombrare la strada e avvertire tutti del passaggio del carro) e commissari (che controllano apparitori e monatti).
Il cardinale Federigo non vuole lasciare la città, dove i monatti sono ormai diventati padroni di ogni cosa; infatti si impadroniscono dei beni dei moribondi. Si dice addirittura che lascino cadere dal carro roba infetta per divulgare la pestilenza divenuta per loro motivo di ricchezza.
Con la perversità cresce e la pazzia, che rinforza la paura delle unzioni; tanto che i magistrati, sempre più confusi, si mettono alla ricerca di questi untori.

CAPITOLO 33

Una notte di fine agosto, don Rodrigo, accompagnato dal fido Griso, torna in Milano dopo una serata di baldoria con gli amici. Camminando mezzo ubriaco verso casa, il signore sente però un malessere generale: anche il suo viso ha qualcosa di strano…mah! “ sarà il troppo vino, di sicuro!”
Giunto a casa si sdraia e si mette a letto; fatica a prendere sonno e anche quando ci riesce fa sogni strani e terribili, in cui vede anche il buon fra Cristoforo. Al suo risveglio il suo malore è aumentato. Come nel sogno sente un dolore terribile alla parte sinistra del corpo e, guardando timoroso sotto la sua ascella scopre un bubbone: anche don Rodrigo è stato contagiato dalla peste. Il terrore della morte lo invade e così si confida con il Griso e lo manda a chiamare un dottore. Il fino ad allora fedele bravo, però, lo tradisce e manda a chiamare i monatti che lo derubarono e lo portarono al lazzaretto.
Il Griso, incurante del pericolo che corre e senza la minima preoccupazione, si appropria dei beni del padrone tradito; ma il contatto con i suoi vestiti e le cose toccate dal contagiato fanno ammalare anche il bravo che, nel giro di pochissimo tempo, muore sul carro dei monatti.
Intanto Renzo, salvatosi dalla peste e rassicurato dal fatto che questo flagello gli dava la possibilità di tornare a casa senza la paura della giustizia (impegnata in cose ben più importanti) fa ritorno al suo paese. Qui incontra Tonio, ormai irriconoscibile per la peste e ne rimane molto colpito; mentre molto addolorato sta camminando per la strada in mezzo al suo paesello, incontra don Abbondio, dal quale viene a sapere che Lucia è a Milano. Dopo una ramanzina del prete, che teme che il ragazzo lo metta nuovamente nei guai, decide di non ascoltare il sacerdote e di andare subito a Milano per avere notizie della sua amata.
Quindi si rifugia da un vecchio amico e il giorno seguente parte per Milano alla ricerca della sua promessa sposa.

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