Machiavelli, Guicciardini, Bruno e la Controriforma

Materie:Appunti
Categoria:Italiano

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Testo

Machiavelli
Vita: Machiavelli nacque a Firenze nel 1469 da una famiglia borghese di buone tradizioni culturali; il padre era uomo di legge, amante degli studi e possessore di una buona biblioteca, la madre era autrice di rime sacre. Ebbe un’educazione umanistica basata sui classici latini ma non apprese il greco. Nel 1498 concorse ala segreteria della seconda cancelleria di Firenze ma fu superato da un altro candidato e ottenne la candidatura sempre quello stesso anno. La sua posizione implicava missioni diplomatiche presso stati italiani e stranieri e la tenuta di una fitta rete di corrispondenze. Era anche il collaboratore del gonfaloniere Pier Soderini e durante tutti questi incarichi accumulò una diretta esperienza della realtà politica e militare del tempo da cui potè trarre lo spunto per le sue opere. Fu a Pisa per seguire le operazioni militari relative alla riconquista della città, fu in Francia presso Luigi XII e potè conoscere la salda struttura dello stato assoluto moderno per cui ebbe sempre ammirazione. Compì una missione presso Cesare Borgia che con l’appoggio del padre papa Alessandro VI si era impadronito del ducato di Urbino e restò molto colpito dalla sua figura di politico audace e spregiudicato che aspirava a costruire un vasto stato nell’Italia centrale. È poi a Roma per seguire il conclave da cui uscirà Giulio II e può assistere alla rovina della costruzione politica di Cesare Borgia che perduto l’appoggio del padre non riesce ad evitare l’elezione del suo più acerrimo nemico. Al ritorno dei Medici a Firenze Machiavelli viene licenziato da tutti i suoi incarichi. L’esclusione dalla vita politica fu per lui un durissimo colpo e a ciò si aggiunse il fatto che fu sospettato di aver preso parte ad una congiura antimedicea, fu tenuto in prigione per 15 giorni e una volta liberato si ritirò in un esilio forzato nel suo podere dell’Albergaccio, presso San Casciano. Qui si dedicò agli studi e compose il Principe e i Discorsi. La lontananza dalla vita politica era per lui intollerabile e quindi tentò un riavvicinamento con i Medici e a questo scopo dedicò il Principe a Lorenzo de Medici. Si avvicinò a un gruppo di intellettuali che si ritrovavano a palazzo Ruccellai e a due di essi Zanoli Buondelmonti e Cosimo Ruccellai dedicò i Discorsi. Ammalatosi all’improvviso muore nel 1527.
L’epistolario: Le lettere familiari, scritte da Machiavelli ad amici e conoscenti, ci sono pervenute parzialmente. Non sono lettere composte in vista della pubblicazione, quando non sono letterariamente atteggiate come quelle di Petrarca; sono stese con grande immediatezza, intessono un colloquio autentico e libero con i destinatari. Vi si trovano riflessioni di teoria politica ed analisi dei problemi contemporanei, scherzi, motti, descrizioni di figure e macchiette. Tra tutte queste lettere spicca il blocco di quelle scritte a Vettori posteriormente alla perdita degli incarichi politici. Spesso sono l’occasione per la riflessione sulla situazione politica, ma non mancano spunti autobiografici e resoconti della propria vita quotidiana. Famosa è quella in cui descrive la sua giornata di vita all’Albergaccio, le futili occupazioni del mattino e del pomeriggio a cui si contrappone lo studio dei classici e nella quale fornisce l’indicazione dell’avvenuta composizione del principe. Da ricordare anche i Ghiribizzi al Soderini un abbozzo di epistola indirizzata al nipote del gonfaloniere, Giovan Battista Soderini.
Opere politiche minori: Tra gli scritti minori politici bisogna distinguere innanzitutto quelli ufficiali ossia le relazioni e i dispacci inviati a Firenze dalle varie missioni diplomatiche. Oltre a questi ci sono giunti anche altri scritti tra i quali “Del modo tenuto dal duca Valentino….” Di grande vigore narrativo attento a delineare il ritratto di Cesare Borgia. In tutte queste opere comincia a delinearsi l’insieme delle qualità che deve avere un buon principe che poi sarebbero confluite nel Principe.
Il Principe: Nel 1513 Machiavelli annunciava a Francesco Vettori di aver composto il Principe. L’indicazione fissa il momento in cui l’opera può dirsi compiuta ma non si sa se sia stata scritta unitariamente o in fasi diverse. Oggi gli studiosi tendono a collocare la composizione in pochi mesi, in una stesura di getto, mentre si ritiene che la dedica a Lorenzo de Medici e probabilmente anche il capitolo finale che sembra distaccarsi dal tono argomentativi del trattato. Per quanto riguarda il rapporto con i Discorsi si è pensato che la stesura di tale opera sia iniziata precedentemente e sia stata interrotta per comporre il Principe e poi ripresa in seguito. In un primo momento Machiavelli intendeva dedicare il trattato a Giuliano de Medici, figlio del Magnifico; più tardi invece la dedica fu indirizzata a Lorenzo, per la morte di Giuliano. La dedica sembra testimoniare la volontà dello scrittore di cercare un riavvicinamento ai Medici e di offrire la sua collaborazione in un momento in cui la famiglia aveva assunto un grande potere. L’opuscolo non fu dato alle stampe e circolò manoscritto in una cerchia abbastanza ristretta. Fu pubblicato postumo a Firenze e a Roma suscitando molto scalpore. Pur essendo un’opera rivoluzionaria nell’impostazione del pensiero il Principe si può collegare ad una tradizione di trattatistica politica. Già nel medioevo si erano diffusi trattati intesi a tracciare il modello del principe e ad indicare le virtù che doveva possedere ed erano chiamati specula principis perché dovevano fornirgli lo specchio in cui riflettersi e conoscersi apprendendo quali dovevano essere i suoi comportamenti. Se da un lato il principe si ricollega a questa tradizione dall’altro la rovescia radicalmente: mentre tutti questi trattati mirano a fornire un’immagine esemplare del regnante, consigliandoli di praticare le virtù, la mitezza, la clemenza, Machiavelli dice di voler guardare alla verità effettuale della cosa e non all’immaginazione di essa, quindi non propone al principe virtù morali ma quei mezzi che possono consentirgli effettivamente di conquistare e mantenere lo stato e gli consiglia quindi di essere anche non bravo, crudele, dissimulatore quando le esigenze dello stato lo impongono. L’opera di Machiavelli ha poi radici anche in un’altra tradizione quella dei promemoria che eminenti cittadini dovevano inviare al principe per consigliarli determinati indirizzi politici.
Struttura dell’opera: Il Principe è un’operetta molto breve che si articola in 26 capitoli che recano dei titoli in latino, secondo la tradizione della trattatistica dell’epoca. La materia è divisa in diverse sezioni:
• Nella prima dopo aver distinto i reggimenti politici in repubbliche e principati e dopo aver suddiviso questi ultimi in ereditari o del tutto nuovi o misti, l’autore passa a trattare del modo con cui si possono governare e mantenere. Quelli ereditari si conservano più facilmente e, se perduti, si riacquistano con più facilità. Quelli misti sono più difficili da mantenere, specialmente se sono formati da due stati disformi di lingua e di costumi. Quelli nuovi, infine, possono essere acquistati con armi altrui o con armi proprie, per fortuna o per virtù. Quelli che si acquistano con la fortuna e le armi di altri si perdono facilmente a meno che il principe non sia dotato di grande virtù. Si ragiona poi di coloro che sono giunti al principato per mezzo di scelleratezze e si distinguono le crudeltà male usate da quelle bene usate; queste ultimo possono favorire il consolidamento dello stato. Coloro poi che giungono al potere con il favore dei cittadini devono essere molto prudenti nel sapersi destreggiare secondo le necessità, ma per loro è comunque necessario tenersi il popolo amico. Quanto ai principati ecclesiastici essi si acquistano o per virtù o per fortuna ma si mantengono senza l’una e l’altra poiché si fondano su istituzioni radicate nella religione.
• Nella seconda parte Machiavelli sostiene la necessità che le milizie siano cittadine, perché quelle mercenarie, di uso abituale all’epoca, sono infide e pericolose perché combattono solo per denaro e costituiscono una delle cause principali della debolezza dello stato. Le milizie cittadine invece combattono per difendere il loro averi e la loro stessa vita.
• La terza parte è la più interessante e la più discussa. Si inizia infatti la trattazione di “quelle cose per cui gli uomini e soprattutto i principi, sono lodati o vituperati”, nella quale Machiavelli non vuole parlare di regni che non sono mai esistiti ma preferisce andare dietro alla realtà effettuale e poiché tale realtà gli dice che gli uomini sono portati al male più che al bene egli arriva all’affermazione che un principe se vuole mantenersi deve imparare a poter essere non buono, ad usare l’astuzia della volpe e la forza del leone. Sarebbe una cosa lodabilissima che il principe abbia tutte qualità buone ma poiché le condizioni umane non lo consentono egli deve coprire con la sua prudenza le qualità negative per evitare l’infamia; ma dove la salvezza dello stato lo esiga deve saper sacrificare la sua reputazione morale e non preoccuparsi di incorrere nell’infamia di quei vizi. Segue poi la descrizione di alcune virtù che il principe deve avere nel suo governo (lealtà e tradimento, crudeltà e pietà, astuzia e violenza).
• Esamina poi le cause per cui i principi italiani hanno perso i loro stati e la causa per machiavelli sta nella loro ignavia che non hanno saputo prevedere il duro periodo che si stava preparando e porvi rimedio.
• Gli ultimi due capitoli poi sono importantissimi. Nel penultimo Machiavelli affronta il problema della Fortuna. Contro l’opinione di coloro che credono che le cose del mondo siano governate dalla fortuna e da Dio, in modo che gli uomini non possono correggerle, Machiavelli giudica poter essere vero che la Fortuna sia arbitra di metà delle cose umane ma che allo stesso tempo lei ne lasci governare l’altra metà a noi e aggiunge poi che la fortuna si può prevedere. Nell’ultimo capitolo Machiavelli esorta Lorenzo de Medici a liberare l’Italia dai barbari, per darle unità e libertà perché a lui sembra che per l’Italia sia un momento favorevole ad un nuovo virtuoso principe ed essa prega Dio affinché le mandi una figura in grado di salvarla. Nessuno potrebbe mettersi alla guida dell’Italia se non un esponente della casata dei Medici. In tal modo si verificherebbe l’auspicio di Petrarca posto nella sua canzone “All’Italia”. In questo ultimo capitolo compare il vero scopo per cui scrisse il principe. Tutto ciò che c’è di pessimista o meglio di realista e di meccanico nei capitoli precedenti scompare cancellato dal grido di passione con cui si chiude l’opera.
Discorsi sopra la Prima deca di Tito Livio: Il nucleo originario dell’opera doveva essere costituito dalle carte liviane cioè dagli appunti a cui Machiavelli affidava le riflessioni politiche suggeritegli dalla lettura dei primi dieci libri della storia di Tito Livio. Fra il 1517 e il 1518 lo scrittore riprese quelle annotazioni, vi antepose alcuni capitoli e ne risultarono i Discorsi che sono dedicati a Zanobi Buondelmonti e a Cosimo Ruccellai, due esponenti degli Orti Oriccellari. L’opera fu divisa in tre libri ognuno riguardante una precisa tematica:
• Nel primo libro preceduto da una dedica a Zanoli Buondelmonti e a Cosimo Ruccellai viene analizzata la politica interna di Roma.
• Nel secondo libro viene esaminata la politica estera e viene affermata l’importanza delle forze armate le quali non devono essere mercenarie.
• Nel terzo si tratta delle azioni dei singoli cittadini che contribuirono alla grandezza di Roma.
Al di là di questa ossatura basilare i temi si intersecano tra libro e libro; l’analisi della storia romana come è proprio di Machiavelli che ritiene che dalla storia del passato si possano ricavare esempi validi per il presente offre continuamente lo spunto per una riflessione sui problemi politici generali. Anche i Discorsi furono pubblicati postumi. I discorsi non si possono ricondurre ad un genere ben preciso poiché non ha la struttura di un trattato organico ma si presenta come una serie di riflessioni sui singoli temi. Appare quindi profondamente diversa dal Principe: tanto questo è coinciso e incalzante quanto i Discorsi si abbandonano ad una riflessione divagante e diffusa. Se poi nel Principe affronta la forma di governo monarchica e assoluta e celebra la virtù del principe nei Discorsi lascia trasparire forti simpatie repubblicane e indica la repubblica come la forma preferibile di organizzazione dello stato. Forse l’orientamento di fondo di Machiavelli è certamente repubblicano ma il Principe è stato scritto sotto l’urgenza di una situazione gravissima e Machiavelli ritenne che in quel momento fosse necessaria la grande virtù di uno solo ma restava convinto che la repubblica fosse la forma di governo che garantiva maggiore stabilità e durata alle istituzioni. Le diversità tra Principe e Discorsi sono più apparenti che reali poichè il principe ha la funzione di fornire strumenti immediatamente applicabili mentre i Discorsi hanno il carattere di una riflessione teorica generale.
Il pensiero politico: Alla base di tutta la riflessione di Machiavelli c’è la coscienza lucida e sofferta della crisi che l’Italia contemporanea sta attraversando: una crisi politica perché l’Italia non ha organismi statali unitari ed è frammentata in tanti stati deboli; una crisi militare perché si serve di milizie mercenarie e non di eserciti cittadini; crisi morale perchè sono scomparsi quei valori che danno un saldo fondamento al vivere civile che per machiavelli sono ben espressi nell’antica Roma. L’unica via di uscita è la virtù di un principe capace di organizzare le energie che potenzialmente sussistono nel popolo italiano. A questo obiettivo è indirizzata la teorizzazione politica di Machiavelli che quindi è piena di slanci passionali. Spetta a Machiavelli il merito di aver fondato la scienza politica, non perché egli sia stato il primo a trattare i problemi dello stato, ma perché egli per primo intese la politica come distinta dalla moralità. Rivendica l’autonomia dell’azione politica perché possiede proprie leggi specifiche e l’agire degli uomini di stato va studiato e valutato in base a tali leggi e nel valutare un principe bisogna solo vedere se ha raggiunto i fini della politica: rafforzare e mantenere lo stato, garantire il bene dei cittadini; valutare se il principe sia stato crudele o infedele non è pertinente alla valutazione del suo operato. Machiavelli ha una visione naturalistica dell’uomo, è un fenomeno di natura sempre uguale a se stesso. Per questo studiando il comportamento umano si può arrivare a formulare delle vere e proprie leggi di validità universale. Se dunque l’uomo è sempre uguale a se stesso e se la storia è mossa dall’uomo, allora dall’osservazione del passato è possibile trarre delle norme valide per il presente. Proprio dall’osservazione della società quale è nasce il forte pessimismo di machiavelli che vede gli uomini egoisti e malvagi di natura. Teoricamente sarebbe l’ideale che un principe sia amato e temuto ma siccome questo è assai difficile è meglio che sia temuto piuttosto che amato. Questa affermazione è spiegata con il pessimismo di machiavelli e quindi siccome gli uomini per natura non sono buoni, lo stato, cioè il principe che lo incarna, deve saper usare anche la crudeltà per tenere a freno la cupidigia degli uomini. Non è che egli consigli la spregiudicatezza all’uomo in genere perchè certi comportamenti sono adottabili solo dal principe quando il bene dello stato lo richiede; Machiavelli non giustifica questi mezzi ma constata solo che a volte sono indispensabili. Machiavelli distingue tra principi e tiranni perché il principe quando usa metodi riprovevoli lo fa per il bene comune, il tiranno usa la crudeltà solo a suo vantaggio. La religione è vista come strumento di governo perché obbliga i cittadini a mantenere la parola data. Esprime tutte le sue riserve contro la religione cristiana da lui giudicata inferiore a quella pagana: la prima infatti predica l’umiltà, la contemplazione e il disinteresse per le cose del mondo; la seconda predica l’azione, la gloria e il valore. Importante all’interno dell’opera è la trattazione sul peso e sulla natura della Fortuna. Nell’antichità classica era il Fato a condizionare le azioni degli uomini, nel Medioevo la Provvidenza reggeva il corso delle vicende umane. Nel rinascimento il concetto di fortuna si identifica con quello di caso cioè nel fortuito intrecciarsi degli avvenimenti. Il Machiavelli ammette che la Fortuna è arbitra di metà delle nostre azioni ma subito dice anche che essa lascia governare l’atra metà a noi e che dimostra la sua potenza quando non le si oppone la virtù. È paragonata ad un fiume in piena che può essere frenato da argini, ad una donna che va presa per i capelli e dominata. L’uomo resta il maggiore protagonista della storia soprattutto se sa agire tempestivamente, trovare l’occasione adatta e regolarsi secondo le circostanze. Le idee politiche di Machiavelli si organizzano in un logico sistema che possiede i caratteri di un vero e proprio sistema scientifico. Inducono il pensatore ad aderire alla verità effettuale della cosa e a guardare in faccia la realtà così com’è per poter agire su di essa; però dall’altro lato inducono in quel pensiero una componente passionale che va al di là della pura scienza. In lui vi è un impeto eroico che non gli consente di rassegnarsi all’inerzia rassegnata per cui al calcolo oggettivo si sostituisce lo slancio fideistico. Machiavelli costruisce le fondamenta teoriche di uno stato moderno unito, forte, basato su istituzioni stabili e buone leggi, su un esercito regolare e soprattutto sul consenso dei cittadini.
Stile: Lo stile è profondamente diverso da quello della trattatistica rinascimentale. Quest’ultimo rientra nel gusto classicistico del tempo e mirando a riprodurre il modello della prosa ciceroniana tende al sublime, impiegando tutte le risorse della retorica utilizzando un lessico scelto e aulico e costruendo un periodare complesso. Machiavelli rifiuta tale modello e la scelta deriva dalla volontà di uno stretto rapporto con la realtà effettuale. Utilizza una prosa agile, chiara, di immediata presa. Quando il periodo è denso il periodo si fa anch’esso più complesso ma quando l’argomentazione si concentra in massime generali lo stile si fa secco, conciso, lapidario. È un periodare ricco di energia, incalzante, incisivo; talvolta per tenere dietro alla passione che lo anima è rotto da irregolarità sintattiche. Il lessico è libero e vario; vi si mescolano latinismi tecnici del linguaggio delle cancellerie, latinismi letterari ma anche parole comuni e quotidiane o addirittura termini plebei. Una funzione essenziale hanno poi le metafore, le immagini e i paragoni. Il suo linguaggio rifugge dal vago e ama le immagini corpose, concrete e materiali.
L’Arte della Guerra: l’Arte della Guerra, in 7 libri, fu scritta fra 1519 e il 1520 e fu pubblicata un anno dopo a Firenze. Assume la forma tipica della trattatistica rinascimentale, quella del dialogo ed è ambientata nei giardini di palazzo Ruccellai. Interlocutori sono esponenti degli Orti Oriccellari tra i quali Buondelmonti, Ruccellai, Alamanni e Colonna. argomento centrale del dialogo è la polemica contro le armi mercenarie viste come una delle cause principali della debolezza di uno stato. Da qui la necessita di avvalersi di armi proprie. Ai temi politici si intrecciano poi con quelli strettamente militari come la paga dei soldati, la disposizione degli eserciti in battaglia, le fortificazioni e anche qui ricorre al modello degli antichi romani.
Istorie fiorentine: Nel 1519 Machiavelli viene incaricato di scrivere una storia di Firenze. Viene consegnata manoscritta nel 1525 a Clemente VII. È redatta in lingua volgare ed è divisa in 8 libri. Il primo tratta gli avvenimenti dalla caduta dell’Impero Romano d’Occidente fino al 1440. nel secondo libro si concentra sulla storia di Firenze. Il terzo narra la lotta tra le atri maggiori e quelle minori. Il quarto tratta le lotte che Firenze combatté contro gli stati vicini. Gli ultimi quattro libri sono però i più interessanti e trattano la signoria medicea da Cosimo a Lorenzo il Magnifico. Vuole soffermarsi soprattutto sulla storia interna di Firenze e sulle discordie civile per fornire una causa della decadenza della città e dare un insegnamento ai contemporanei. Vi ricompare la polemica contro i principati italiani, i loro errori, le loro colpe. Si può quindi capire che l’opera benché commissionata dai Medici non sia una celebrazione poiché Machiavelli si mantiene sempre indipendente anche se non calca la mano nella critica dei Medici. Per conservare l’indipendenza di giudizio ricorre anche all’inserzione di discorsi fittizi attribuiti a personaggi storici del passato e così può dare la parola anche agli avversari dei Medici e lasciare campo libero anche a opinioni contrastanti quelle ufficiali. Non c’è nell’opera lo scrupolo di esattezza dei fatti storici; Machiavelli infatti si vale delle compilazioni storiche precedenti senza fare ricerche per trovare nuovi documenti; non sottopone le fonti ad un vaglio critico per verificare la loro attendibilità e a volte deforma i fatti per farli collimare con le sue tesi. Li Istorie hanno anche grande vigore narrativo e drammatico e vi spiccano una serie di ritratti di personalità storiche concepite come personaggi letterari.
Opere letterarie: Machiavelli possedeva un abuona cultura letteraria da cui scaturì una copiosa produzione in versi e in prosa. Teneva molto ad essere considerato un poeta e la sua produzione in poesia si racchiude tutta all’interno della tradizione fiorentina: rime burlesche, canti carnascialeschi. I Canti Carnascialeschi testimoniano il profondo legame di Machiavelli con il clima comico carnevalesco, beffardo e irriverente, ma contengono anche spunti politici. Interessante è anche un poemetto in terzine, l’Asino, rimasto incompiuto. Machiavelli vi riprende il mito omerico di Circe e si rifà al romanzo di Apuleio L’asino d’oro., in cui si narra la trasformazione del protagonista in asino a seguito di un incantesimo. Il poeta in prima persona narra un processo di iniziazione che lo porta tra gli animali di Circe. Anch’egli dovrebbe trasformarsi in asimìno ma si interrompe nel momento più saliente. Le doti narrative di Machiavelli sono testimoniate anche dalle numerose novelle contenute nelle sue lettere familiari ma l’unico testo puramente narrativo che ci rimane è Belfagor arcidiavolo. Attraverso lo spunto narrativo del diavolo che prende moglie vengono toccati alcuni motivi tradizionali come quello misogino della perfidia e della malizia delle donne. Belfagor è inviato sulla terra per verificare se sia vero che le mogli siano un supplizio più atroce di quelle dell’inferno. Si sposa e viene mandato in rovina dalla moglie che dilapida le sue ricchezze. È salvato da un contadino che inganna ma che riesce ad avere la meglio minacciando Belfagor di farlo tornare nelle mani della moglie. Il testo letterario più importante di machiavelli è La Mandragola che è il testo più vivo di tutta la produzione comica del 500. risale al periodo in cui Machiavelli era forzatamente escluso dalla vita politica e riflette il suo stato d’animo risentito. Fu rappresentata per le nozze di Giuliano de Medici ed ebbe un notevole successo. L’intreccio ricalca gli schemi propri del teatro comico del tempo: una vicenda di amore contrastato intrecciata alla vicenda di uno sciocco beffato. Callimaco è innamorato di Lucrezia, moglie di Nicia che è il prototipo dello sciocco. Il giovane ordisce un oiano epr conquistarla e ricorre a due aiutanti (Ligurio e il frate Timoteo). I tre ricorrono ad uno stratagemma. Nicia e Lucrezia non hanno figli e i due aiutanti gli fanno credere che esiste una sostanza (la mandragola) che rende fecondi ma poi fa morire. Callimaco si sacrifica e va con la moglie e dopo Lucrezia acconsente a tenere Callimaco come amante e Nicia lo ospita persino a casa sua come se fosse un figlio. la comicità di machiavelli non è serena ma cupa, amara; la commedia rappresenta un mondo senza luce dove domina solo la legge dell’interesse economico, dell’astuzia e dell’inganno ed in cui ogni principio morale appare assente. Dipingendo i suoi personaggi Machiavelli scaglia i suoi umori satirici e polemici contro la corruzione e l’amoralità della società contemporanea, dall’altro lato però ammira la virtù di quei personaggi che sanno commisurare le azioni ai fini. Altra commedia è la Clizia che è spirata al modello plautino. Importante è anche l’opera Discorso intorno alla nostra lingua la cui datazione è incerta e che si inserisce nel dibattito sul problema della lingua molto vivo all’inizio del 500. nell’opera si sostiene che il modello linguistico deve essere la lingua viva dell’uso fiorentino in polemica con le teorie sostenute dal Trissino che si rifaceva al De vulgari eloquentia di Dante e alla sua tesi di lingua curiale che non doveva identificarsi con nessun idioma parlato in Italia.
Guicciardini
Vita: Nasce nel 1483 a Firenze; studiò giurisprudenza, soggiornò a Ferrara per poi proseguire gli studi presso docenti a Padova. Si laureò poi in diritto civile. Sposò Maria Salviati appartenente ad una famiglia politicamente esposta che si opponeva a Pier Soderini Gonfaloniere a vita di Firenze. Ma Guicciardini considerava soprattutto il prestigio e la reputazione dei parenti della moglie che avrebbero potuto avere nella sua vita un ruolo importante. Si occupa ben presto di politica diventando anche ambasciatore presso il re di Spagna. Per contrastare la potenza di Carlo V propugna un’alleanza fra gli stati italiani e la Francia che si concretizza nella lega di Cognac che però ben presto fu sconfitta. A Firenze si proclama la terza Repubblica e Guicciardini viene guardato con sospetto dai nuovi governanti; preferì rifugiarsi nella sua villa nei dintorni di Firenze e qui scrive alcune delle sue opere. Con il ritorno dei medici a Firenze rientrò in città al servizio del granduca Alessandro ma il successore di questi, Cosimo I non gli riconfermò la fiducia. Guicciardini si rifugiò allora nella villa di Arcetri dove trascorse gli ultimi anni dedicandosi all’attività letteraria. Morì nel 1540.
Opere minori: Le “Storie Fiorentine” abbracciano il periodo compreso fra il tumulto dei Ciompi e la battaglia della Giara d’Adda. L’autore si preoccupa di indagare le cause degli eventi mettendo fortemente in risalto le figure dei protagonisti con un interesse volto ad illustrare le contraddizioni del presente. Altra opera minore sono le “Considerazioni intorno ai discorsi di Machiavelli” scritte probabilmente nel 1528. attraverso un’analisi precisa e rigorosa Guicciardini cerca di dimostrare che i ragionamenti di Machiavelli così serrati e in apparenza convincenti sono in realtà infondati e arbitrari. Ad esempio se machiavelli aveva visto la lotta tra patrizi e plebei alla base della costruzione della grandezza di Roma, Guicciardini giunge a formulare un giudizio diametralmente opposto. Il dissenso si diffonde poi più a fondo sui fondamenti della filosofia della storia su cui Machiavelli basava la sua opera. La storia romana non conserva per Guicciardini nessun valore dal momento che nella storia non ci sono leggi e modelli assoluti. Il rifiuto della concezione classica e umanistica della storia intesa come maestra di vita costituisce il fulcro del pensiero di Guicciardini. La visione del mondo che ne deriva risulta così frammentaria e relativa senza riuscire a ricomporsi nell’unità di un sistema capace di offrire criteri indiscutibili. Questa posizione viene elaborata sul piano teorico nella riflessione dei Ricordi.
I Ricordi: Raccolta di considerazioni e di massime ma non sono aforismi. Possono trovare il corrispettivo nei Pensieri di Pascal, in quelli di Focault e nello Zibaldone di Leopardi. Dai Ricordi emerge come Guicciardini rifiuti ogni visione utopica della realtà. Non si fa storia con immagini ideali e sognanti di una patria libera e felice popolata da un’umanità moralmente rinnovata. Guicciardini non disconosce la nobiltà di questi ideali ma li giudica inattuabili nella pratica. La fede è considerata positiva da Guicciardini solo in quanto fa ostinazione e spesso il tempo fa la fortuna degli ostinati ma sotto gli altri apsetti è considerata con tono freddo, distaccato, quasi ironico. Parole molto dure sono rivolte anche verso l’istituzione ecclesiastica e agli uomini di chiesa; di contro si può trovare in alcuni ricordi un richiamo all’essenza e alla semplicità del messaggio evangelico per la sua portata concreta e pratica. In generale però l’atteggiamento è di sostanziale indifferenza o scetticismo nei confronti del trascendente. La mancanza di una visione trascendente e provvidenziale della storia porta Guicciardini a delineare la varietà infinità di casi ed accidenti di fronte ai quali gli uomini sono impotenti e a nulla valgono le costruzioni teoriche inadatte a spiegare una realtà in perenne cambiamento. Per riuscire a comprenderla e ad interpretarla non è necessaria una dottrina sistematica ma piuttosto la discrezione ossia la capacità di distinguere e decidere volta per volta, caso per caso senza appellarsi a motivi immutabili che non hanno nessun valore ma sfruttando la saggezza che viene dall’esperienza. I ricordi accompagnano vari momenti dell’attività diplomatica e politica di Guicciardini. Di qui il carattere dell’opera che muove dalla realtà per affrontare problemi più generali. Si tratta di esempi che possono offrire un utile insegnamento ma che non hanno una validità assoluta perché la realtà non obbedisce a principi universali. La forma della conoscenza non può che essere limitata e relativa e di qui anche la struttura dell’opera in cui i vari ricordi si susseguono indipendentemente l’uno dall’altro senza fondersi in un quadro complessivo unitario. Non manca tuttavia una precisa continuità di motivi ispiratori nell’ambito di un disegno che risulta rigorosamente calcolato e calibrato. Nascendo non da principi astrattamente teorici ma dall’esperienza di vita dell’autore il libro finisce per offrirne un ritratto completo, vuole cogliere i segni di un dissidio profondo. La frantumazione del reale determina una più difficile e sofferta tensione conoscitiva alla quale corrisponde la struttura frammentaria dell’opera. Il pessimismo scettico che li pervade comporta un tono spesso amaro e disilluso, ironico o sdegnoso. Tutti i ricordi hanno un impianto logico, sono basati su definizioni rigorose e su stringenti rapporti deduttivi, resi essenziali da uno stile asciutto e privo di dispersioni. Questa visione disincantata della realtà dell’inattuabilità dei desideri porta l’elogio del particulare, dell’interesse personale come scopo ragionevolmente perseguibile dal savio. Il particolare sarà quindi da intendere come una categoria della conoscenza che consente di stabilire l’opportunità dell’azione.
La storia d’Italia: Attorno al 1528 Guicciardini aveva iniziato la stesura delle Cose Fiorentine conducendola però senza convinzione e interrompendola pochi anni dopo. Anche da queste considerazioni doveva nascere La Storia d’Italia, in venti libri, scritta fra il 1537 e il 1540. abbraccia gli avvenimenti compresi fra il 1492 (morte del Magnifico) e il 1534 (morte di Clemente VII) comprendendo i fatti più luttuosi della storia d’Italia dalla calata di Carlo VIII al sacco di Roma. L’impostazione è annalistica sull’esempio dello storico romano Tacito ma l’opera non perde per questo la sua coesione e unitarietà grazie all’esattezza dei fatti rappresentati da Guicciardini. La narrazione è intessuta da analisi politiche e psicologiche che derivano da un attento esame delle testimonianze e delle fonti. Lo scrittore segue analiticamente lo svolgersi delle vicende e cerca di individuarne le cause senza vincolare la loro spiegazione a particolari schemi. Una simile concezione della storia consente di dare spazio all’elemento illogico e al fenomeno incontrollabile. Lo sforzo è quello di adeguarsi all’infinita mobilità del reale e di salvaguardare l’autonomia della storia che non offre facili speranze di salvezza. All’atteggiamento pessimistico corrisponde però uno stile talvolta solenne che si allontana dalla vivacità della prosa di Machiavelli e dall’essenziale stringatezza dei Ricordi. È uno stile aulico modellato sull’esempio del Bembo. La costruzione del periodare di Guicciardini è ampia e articolata nello sforzo di abbracciare i molteplici legami che intercorrono fra il comportamento degli uomini e il corso degli eventi. La particolare cura formale rappresenta anche un’aspirazione classica, come superiore controllo esercitato dallo stile sull’andamento imprevedibile degli eventi. L’opera vuole ricollegarsi sul piano stilistico al passato della tradizione umanistica. In tale ambito vanno considerati i numerosi ritratti dei protagonisti che non si limitano mai all’esteriorità ma cercano di sondarne l’indole e le motivazioni profonde che regolano l’agire dell’uomo. A ritratti si collegano i discorsi paralleli dei personaggi che spesso difendono opposte scelte politiche. È anche questa una soluzione classicheggiante (già utilizzata da Tucidide e Tito Livio) che accentua l’evidenza drammatica del racconto, presentandolo come una tragedia che si svolge man mano davanti agli occhi dei lettori.
L’età della Controriforma
Poesia: Tra i generi che restano sostanzialmente omogenei nel corso del 500 si può indicare la lirica petrarchista che per l’uniformità del modello e la compattezza delle forme metriche può subire un numero limitato di variazioni anche se nel corso del tempo si può cogliere un modificarsi di accenti espressivi. La narrativa invece subisce una profonda inversione di tendenza dall’inizio alla fine del secolo. L’Orlando Furioso e la Gerusalemme Liberata confermano questo mutamento. L’Orlando era stata l’esaltazione più alta degli ideali rinascimentali e sul pano inventivo non trova altre opere che possano reggere il confronto. Il romanzo è dominato dal carattere relativo delle azioni e dei comportamenti umani ma è privo di schemi precostituiti. L’epica al contrario è regolata da precise direttive ideologiche. Il primo poema epico del 500, l’Italia liberata dai Goti di Gian Giorgio Trissino, sceglie come argomento la guerra combattuta dai Bizantini contro gli Ostrogoti per liberare il popolo italiano.
Prosa: Cellini è autore di un’opera autobiografica molto importante perché è uno dei testi più originali e significativi del 500. nella Vita di Cellini c’è un interesse per le immagini fantastiche, per le presenze misteriose che si insinuano nel reale. Il racconto della propria vota condotta in prima persona mette in risalto una fortissima personalità caratterizzata da una grande volontà che permette di superare qualsiasi ostacolo posto dalla sorte nemica. C’è un’autocelebrazione che lo porta a porsi sempre sopra tutto. Celebre è la pagina in cui ci parla della fusione del Perseo (una delle sue statue); è una scena concitata, piena di imprevisti in cui però alla fine grazie alla sua personalità si risolve tutto. Continua anche il filone del dialogo dialogico che è una delle componenti essenziali della trattatistica rinascimentale. Da ricordare come scrittori dialogici Sperone Speroni autore di dialoghi mimetici e il più importante che è Bruno. Questo periodo vede anche un’evoluzione della storiografia e del trattato politico. Viene rifiutato in primo luogo Machiavelli su cui gravavano accuse di immoralità. Si sostituisce quindi come modello e viene preso quello di Tacito. Rispetto a Machiavelli Tacito sembrava offrire soluzioni più rassicuranti e convenienti; in primo luogo Tacito mise in cattiva luce i tiranni e la spregiudicatezza era accompagnata da risentimento morale. Importate autore è Botero che dimostra nella sua opera più importante “la ragion di stato” di respingere sia il pensiero di Machiavelli che quello di Tacito; rifiuta l’autonomia della politica come scienza. La politica deve essere collegata alla religione ma accetta comunque comportamenti nel bene della ragion di stato che avnno contro coscienza. Anche la trattazione dei problemi relativi alla novella si può considerare conclusa con Bandello e Cinzio e man mano la novella viene inglobata all’interno di organismi in prosa più ampi che non hanno una forma ben definita e possiedono un carattere ibrido anche per la mescolanza degli stili e dei generi.
Teatro: Non ci sono più capolavori teatrali anche se però la produzione continua. Accanto a tragedia e commedia si afferma la favola pastorale che offre l’idea dell’evasione. L’opera più importante è il “Pastorfido” di Guarino Guarini. La tragedia del 500 obbedisce alle regole delle 3 unità (tempo, luogo e azione). La tragedia deve avere un arco temporale limitato, deve svolgersi in un solo luogo e avere un’unità di azione. È molto in voga la poetica di Aristotele dove il filosofo da della tragedia una celebre definizione: rappresentazione di una scena compiuta che portando in scena passioni forti mira alla catarsi (purifica e libera dalle passioni gli spettatori); Aristotele non aveva però dato le definizioni delle tre unità. Le tragedie dovevano avere 5 atti e tutti questi vincoli erano un freno alla creatività. In Italia c’è una grande produzione con Andrea Calmo, Gianbattista della Porta. A questi schemi si uniformerà poi anche Tasso.
Bruno
Vita: Nasce nel 1548 a Nola, veste l’abito domenicano e studia i Padri della Chiesa ma anche i classici e i filosofi moderni. Per aver nascosto nelle propria cella dei libri condannati dall’Inquisizione venne processato dai suoi superiori per eccessiva libertà di pensiero. Dopo un’altra accusa di eresia è costretto a rifugiarsi a Ginevra presso i calvinisti e abbraccerà poi la fede calvinista per potersi iscrivere all’università ginevrina. Ben presto lo scontro con i calvinisti lo obbliga a lasciare Ginevra per Tolone, si reca poi a Parigi dove si guadagna il favore di Enrico III. Si trasferisce poi a Londra dove intraprende l’insegnamento all’università di Oxford. Torna poi a Parigi dove si pronuncia contro la Lega Cattolica in favore di Enrico III ma per il prevalere della lega fu costretto a fuggire in Germania dove insegna a Wittemberg. Nel 1591 accetta l’invito di Giovanni Mocenigo a stabilirsi a casa sua in cambio di lezioni. Ma proprio Giovanni tradirà Bruno denunciandolo all’Inquisizione che lo arresta e lo mette sotto processo per eresia. Il processo continua per 7 anni e Bruno sostiene di non avere nessuna dottrina da ritrattare. Il 17 febbraio del 1600 viene condannato al rogo in Campo dei Fiori a Roma.
Opere: La prima opera e forse la più importante è la commedia “Il candelaio”. La commedia mette in scena una triplice beffa ai danni di tre personaggi. Il primo personaggio è innamorato di una bella ragazza ma una volta ottenuto l’appuntamento si ritrova insieme alla moglie resa partecipe dell’inganno. Il secondo personaggio vuole trovare la pietra che trasforma il metallo in oro e si lascia convincere da un sedicente alchimista che lo inganna e gli fa perdere il denaro e la reputazione. Il terzo invece viene beffato e derubato e poi viene imprigionato da alcuni furfanti travestiti da poliziotti. A ordire la beffa sono i personaggi appartenenti ai più bassi strati sociali e a gestire la giustizia sono dei malfattori ed è qui evidente l’ironia e la critica che Bruno rivolge alla società. L’atteggiamento polemico e sarcastico nei confronti delle istituzioni culturali compare anche nelle altre opere di Bruno. Rifiuta l’aristotelismo, non accetta il sistema geocentrico che vedeva la terra immobile ma crede nell’esistenza di un universo infinito in cui si trova una grande molteplicità di mondi. Espone il valore della filosofia che viene ritenuta superiore anche alla religione alla quale viene invece attribuito un valore strumentale. Bruno pensò alla creazione di una sola chiesa che riunisse fra loro tutti i cristiani e proprio questa idea venne considerata eretica. Per le sue opere rifiutò l’ordinata costruzione retorica del dialogo del primo 500, ne distrugge la forma attraverso l’uso di un linguaggio incontenibile e travolgente che rifiuta le norme grammaticali e sintattiche accostando e manipolando a piacere gli argomenti più disparati; nella sua volontà di oltrepassare le regole la sua prosa spesso è difficile da capire.
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