L'inquisizione sotto Inquisizione

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Testo

L’inquisizione sotto Inquisizione
Cos’è?!
L’inquisizione era una istituzione giudiziaria creata dal papato del medioevo al fine di scoprire, processare e condannare i colpevoli di eresia. Nella Chiesa delle origini la pena abituale per l'eresia era la scomunica. Quando gli imperatori romani fecero del cristianesimo la religione di stato, si cominciò a considerare gli eretici come nemici dello stato, specialmente quando la credenza ereticale comportava violenza e turbamento dell'ordine pubblico. Fu creata nel XII secolo, quando la chiesa dovette lottare contro Catari e Valdesi. Più tardi il concilio Lateranense (1215) e il Concilio di Tolosa (1229) dichiararono essere dovere dei vescovi ricercare e giudicare gli eretici. Nel 1231-1235 Gregorio IX sottrasse l’inquisizione alla giurisdizione dei vescovi e l’affidava a inquisitori permanenti dell’ordine domenicano. Lo stato si schierò con la Chiesa contro gli eretici, poiché l’eresia religiosa costituiva una concreta minaccia contro la sicurezza dello stato. L’eretico, una volta accertata la sua colpevolezza, veniva invitato a ritrattare. In caso di rifiuto, era condannato a pene corporali o alla morte per rogo.
e Eresia: Dottrina religiosa contraria al dogma di una Chiesa o di una religione. Il termine "eresia" in origine indicava una convinzione maturata individualmente (dal greco háiresis, "scelta personale"), ma già negli Atti degli Apostoli e nelle lettere di san Paolo indica un atteggiamento settario. Negli scritti cristiani posteriori la parola è utilizzata nell'accezione negativa di "opinione sostenuta contro l'insegnamento della Chiesa".
Con il riconoscimento ufficiale del cristianesimo nell'impero romano, l'eresia divenne un crimine contro lo stato, punibile dalla legge secolare. Anche nel vasto mondo della Riforma, nel quale sono nati e si sono definiti i principi di interpretazione personale delle Scritture e di rifiuto dell'autorità ecclesiastica nel complesso della materia di fede, si mantiene, nel riferimento alla Bibbia, il criterio di una distinzione tra eresia e ortodossia (retta fede).
e Scomunica: La più severa censura ecclesiastica, mediante la quale un membro della Chiesa cattolica è privato del diritto di appartenere alla comunità dei fedeli; viene intesa come correzione e non come punizione, e vieta l'accesso ai sacramenti.
Nella Chiesa delle origini vennero definiti due gradi di scomunica: quella minore che escludeva dall'Eucaristia e dall'insieme dei privilegi della Chiesa; quella maggiore, più solenne e meno facilmente revocabile, scagliata contro peccatori ostinati, apostati ed eretici. La durata della scomunica veniva stabilita dal vescovo. In origine la scomunica non aveva effetti civili, ma quando i governi abbracciarono ufficialmente il cristianesimo, la scomunica maggiore provocò la perdita dei diritti civili e l'esclusione dai pubblici uffici; quella diretta contro governanti li privava del diritto di governare, liberando quindi i sudditi dal dovere di fedeltà: la Chiesa acquisiva così un importante potere temporale. Nella Chiesa cattolica il potere di scomunica compete ai prelati (non ai parroci) che hanno giurisdizione ordinaria o delegata al forum externum (il tribunale che affronta questioni riguardanti la gestione degli organismi istituzionali e della gerarchia ecclesiastica). L'assoluzione da certi casi di scomunica è riservata al vescovo che ha giurisdizione sul colpevole; al papa per un ristretto numero di casi gravi.
s Gregorio IX: Papa dal 1227 al 1241. Studiò a Parigi e Bologna diventando cardinale durante il pontificato dello zio, papa Innocenzo III, nel 1198. Il suo pontificato venne segnato dal conflitto con l'imperatore Federico II, che cercava di rafforzare la posizione imperiale in Italia, minacciando in tal modo il papato. Quando Gregorio richiamò Federico all'adempimento dell'antica promessa di intraprendere una crociata, questi rifiutò lamentando il diffondersi di un'epidemia fra le sue truppe e il pontefice lo scomunicò. Il conflitto si accentuò e proseguì fino alla morte di Gregorio. Profondamente preoccupato dalla diffusione dell'eresia albigese, nel 1231 promulgò la costituzione Excommunicamus, che poneva la persecuzione degli eretici (vedi Eresia) sotto la potestà papale, rafforzando in tal modo l'Inquisizione, affidata principalmente ai domenicani e ai francescani. Durante il suo pontificato Gregorio canonizzò Domenico di Guzmán e Francesco d'Assisi. Ordinò anche la compilazione della raccolta delle decretali (decisioni papali in materia disciplinare), che in seguito furono inserite nel Corpus iuris canonici.

Perché nasce?!
La chiesa cercò di ricondurre gli indiziati nella via della salvezza, di riportare il colpevole sul dritto cammino, usando la via del pentimento. Per questo le sentenze degli Inquisitori sono sempre infarcite di prescrizioni come: partecipare alla Messa, ascoltare le omelie, confessarsi (a Natale, Pasqua, e Pentecoste), comunicarsi negli stessi giorni, astenersi da qualunque lavoro servile la domenica e i giorni di festa, evitare l'usura e ogni sorta di rapina, non praticare sortilegi. La chiesa non vuole la morte dell’eretico, le punizione hanno un carattere puramente “penitenziale”. Solo la pena di morte, agli occhi dell’inquisitore, ha un carattere vendicativo. In fondo, la Chiesa vuole punire l'ostinazione orgogliosa nell'errore, più ancora che l'errore stesso, il quale è umano. Il problema che si pose presto derivava dal fatto che, in questo genere di tensione, i vescovi, senza dubbio buoni pastori ma scadenti teologi, uscivano il più delle volte battuti. Un buon numero di vescovi esitò ad applicare la repressione. Roma pensò allora di utilizzare i servigi di un ordine di recente fondazione (1216): quello dei Domenicani. Fu Papa Gregorio IX (1170-1241) che prese questa decisione nel 1233. Di fatto si decise che vescovi e inquisitori lavorassero di comune accordo, il che, anche se sono di Chiesa non funzionò senza che, di tempo in tempo, nascessero tensioni e difficoltà.
Più tardi anche i Francescani ricevettero l'incarico di partecipare a quest'opera di purificazione. L'Ordine fondato da San Domenico fu il primo ad essere composto da uomini istruiti, tutti dottori in teologia o in diritto canonico provenienti dalle Università di Parigi o Bologna. Doveva essere evidente a tutti che il compito di questa nuova istituzione era di riconvertire alla verità gli spiriti smarriti, attraverso una discussione sapiente, ordinata e sintetica. Punizioni più gravi di quanto non fossero quelle spirituali, erano destinate solo a punire, secondo le regole, i peccatori impenitenti, quelli che rifiutavano qualunque concessione o pentimento di sorta.
La prigione era destinata non tanto a punire il colpevole, quanto a isolare il male, ad impedire che si diffondesse. Quanto a coloro che si ostinavano a difendere tesi condannate dalla Chiesa, talvolta da molti secoli, essi dovevano aspettarsi il peggio e bisogna dire che alcuni lo hanno affrontato con coraggio.
Ci si può chiedere perché il XII e XIII secolo, i più bei gioielli del Medio Evo, abbiano visto sbocciare tale fioritura di dissidenze. Ci si può anche domandare perché la Chiesa abbia sentito la necessità di combatterle con tanto ardore. Per Roma, era impensabile permettere che si sviluppassero in pace tali "particolarismi“ che minacciavano tanto la sua unità che la coerenza sociale. Gli eretici si indirizzavano contro la Chiesa e contro la società, per rispondere, dicevano, alle esigenze delle loro coscienze e per sete di libertà; per la volontà di vivere in pace i loro propri valori. Erano però pronti, una volta padroni della situazione, a sviluppare il peggiore dei dispotismi, non lasciavano alcuna chance di sopravvivenza tranquilla ai fedeli dell‘ "altra chiesa".
Tutti quei movimenti avevano in comune il fatto di essere animati dalla "vanitas", dalla presunzione di saperne di più della stessa Chiesa, di capire meglio dei teologi il Vangelo, di comportarsi più cristianamente del clero, o di seguire le orme delle comunità di Gerusalemme. Gregorio IX aveva perfettamente percepito che, per quanto fossero in apparenza diversi, questi movimenti avevano delle radici comuni: Il "borghese“, - egli scrive- si sente libero, egli ha preso l'abitudine di prendere iniziative, decisioni, responsabilità. Egli crede alla sua autonomia economica e politica: come potrebbe non essere tentato di estenderla al campo religioso? Egli diventerà ben presto "anticlericale“. D'altra parte, aveva molto sperato nelle Università, di cui aveva sancito la nascita; essa aveva contato su queste per difendere e rafforzare il proprio potere, purtroppo però furono ben presto centri di libera riflessione, assai spesso ai limiti dell'ortodossia. Seconda causa di eresia: la nuova società di "consumismo", non produsse solo benessere. Gli artigiani soffrono, mormorano, rimettono in questione l'ordine sociale e quello ecclesiastico. Non che si debba vedere nelle eresie, i primi segni di una embrionale lotta di classe. Il comportamento dei preti, dei vescovi, dei religiosi, porgeva il fianco alla critica, e questo è il meno che si possa dire. Tutto il Medio Evo rimbomba di canzonature spesso sferzanti che il popolo indirizzava contro i chierici. Situazioni simili erano sufficienti a raggruppare elementi di origine sociale assai diversa. Il fallimento delle crociate che la Chiesa aveva patrocinato, l'immensa delusione popolare che ne seguì, contribuì a lasciare le folle disorientate, inquiete, in stato di abbandono. Queste sono le condizioni propizie allo sviluppo di movimenti di passione e di speranza millenarista.

Come Funzionava?!
C L’origine: La parola stessa Inquisizione, nell'alto Medio Evo, significava semplicemente "inchiesta". Essa stabiliva una procedura che affidava alle autorità ecclesiastiche il compito di procedere ad un'inchiesta, che comprendeva un contraddittorio con l'imputato. Il vescovo del luogo non aveva diritto di immischiarsi nei processi. Il che non accadeva sempre senza contestazioni, essendo in genere i vescovi molto gelosi della propria autorità. Talvolta intralciavano l'inchiesta, quando non facevano opera di opposizione pura e semplice. Si finì per concludere un accordo, nel 1304, che concedeva al vescovo gli stessi poteri dell'Inquisitore, precisando tuttavia che le pene che precedevano la reclusione o l'uso della tortura dovevano essere decise di comune accordo. Lo stesso valeva per la sorveglianza delle prigioni. Tutto ciò non facilitava sempre il compito degli inquisitori; taluni protestarono, ma invano: dovettero assoggettarsi. La presenza obbligatoria dei vescovi tra i giudici e l'obbligo che l'inquisitore aveva di non pronunciare la sua sentenza senza il consenso del vescovo, metteva spesso quest'ultimo in una posizione di preminenza. Nelle mani di un uomo deciso, l'Inquisizione divenne un terribile strumento d'azione politica, come dimostrò il processo dei Templari e di Giovanna d’Arco.
G Quando arrivavano gli Inquisitori: Gli inquisitori, quando arrivavano in città, erano accompagnati dai loro assistenti e dai loro servitori ed eventualmente da alcuni gendarmi, incaricati di proteggerli. Presentavano le loro credenziali al Vescovo del luogo e alle autorità civili, a cui dovevano dargli aiuto e protezione. essi intimavano al curato del posto di convocare gli abitanti e il clero locale per far sentire una solenne predica detta citatio universalis, con la quale l'Inquisitore incitava quelli che si erano allontanati dal giusto cammino, a pentirsi e a riconoscere i loro errori. Il tutto, in un tempo che andava dai 15 giorni a un mese, chiamato "tempo di grazia" o "d'indulgenza". Con lo stesso discorso, egli incitava, sotto pena di essere a loro volta sospettati di eresia, tutti quelli che conoscevano degli eretici o supponevano che alcuni lo fossero, a denunciarli. (Si può immaginare il dilagare di cattiveria e d'invidia che una simile richiesta faceva sorgere). Accadde talvolta che l'intera comunità si rifiutasse di cooperare all'azione intrapresa dall'Inquisitore. In questo caso egli cambiava rotta e si dirigeva verso una contrada più accogliente, o meglio procedeva all'interrogatorio di tutta la popolazione. E' così che, nel 1245-46, gli inquisitori Bernardo di Caux e Jean di Saint.Pierre fecero comparire davanti a loro da 8 a 10000 persone... Il sospetto che si accingeva a confessare i suoi sbagli di sua spontanea volontà, era dispensato da tutta la pena se l'errore era rimasto nascosto, sconosciuto a tutti. Se, al contrario, lo sbaglio era di pubblico dominio, il colpevole che confessava non poteva essere condannato a morte o alla prigione a vita. Il suo castigo si riduceva ad un qualsiasi pellegrinaggio minore, o ad un'altra forma di penitenza canonica. Alcuni che si sentivano sospettati da un'opinione pubblica scatenata e chiedevano di essere esaminati dall’inquisitore al fine di ottenere un certificato di “buona condotta e costumi”. I sospetti ricevevano la notifica scritta degli atti d'accusa. Avvertito per tempo, l'interessato chiedeva ai suoi genitori o ai suoi parenti di garantire per lui. Il fatto di rendersi garanti, non li rendeva sospetti di favorire l'eresia. Del resto, l'accusato era libero di assentarsi, anche durante il suo processo. Ma il più delle volte, il timore che questo fosse interpretato come una prova di colpevolezza, lo impediva. Era invitato a giurare sui Vangeli (toccandoli) di dire la verità; se egli aveva dei nemici, ad enumerarli e chiarire le ragioni dell'inimicizia. La maggior parte dei sospetti, anche per la paura della tortura, si impegnavano ad "obbedire agli inquisitori", a presentarsi "nel giorno e nei giorni che verranno loro assegnati", ad attenersi alle loro decisioni. Tutti mostravano tanta buona volontà a cooperare, non fosse che per timore di implicare, in un modo o nell'altro, la propria famiglia o le loro amicizie. Alcuni Inquisitori, tuttavia, erano coscienti delle difficoltà che si trovavano nello stabilire una separazione netta e ben definita tra la fede di un Perfetto e l'interesse per la novità.
a Gli ausiliari della Giustizia: A fianco dell’Inquisitore, si trovava, un Frate dello stesso ordine, che aveva il compito spirituale di accompagnarlo e sostenerlo nella propria impresa. Talvolta incaricato di assisterlo, alleggerirne il peso del lavoro, ma che non godeva del diritto di condurre a termine da solo un processo inquisitoriale.
L'Inquisitore poteva anche avvalersi di giureconsulti, di canonisti e di teologi, che l'assistevano con i loro consigli. Tutti erano tenuti, sotto pena di scomunica, al segreto, come del resto lo erano l'Inquisitore e il Vescovo.
Il tribunale comprendeva anche dei cancellieri o notai, nominati dalla cancelleria apostolica, incaricati di annotare scrupolosamente le deposizioni dei testimoni o degli accusatori e le confessioni degli accusati, nonché di farle ripetere se queste ultime erano state ottenute in seguito alla tortura perché, come tali, non avevano alcun valore. Anche i notai erano tenuti al segreto. Il tribunale disponeva inoltre di sergenti d’arme, messi, carcerieri, tutti giurati. Un certo numero di assessori, di "boni viri" o uomini saggi, che l'inquisitore aveva giudicato utile chiamare, senza alcun limite né di numero né rispetto alla qualità delle persone. Erano, il più delle volte, chierici, religiosi e giureconsulti laici.
Alla Ricerca dei Sospetti: Si finiva nel numero dei sospetti o per auto accusa, per poter essere discolpati ufficialmente, ricevendo un certificato religioso di buona condotta e retti costumi o per denuncia collettiva, per fama, reputazione, infamia, o per delazione di spie di professione. In un buon numero di casi, sia che si trattasse di una bravata, sia per desiderio di martirio, sia per il sentimento di solidarietà con i propri correligionari o per altre ragioni, molti eretici non dissimulavano le loro opinioni. Dopo l'esame degli atti d'accusa e delle Spiegazioni dell'accusato e tenuto conto del parere degli esperti, dei giurati e dell'avvocato della difesa, i sospettati potevano essere classificati secondo tredici diverse categorie. Variano da: "debolmente sospetto di eresia", "fortemente sospetto di eresia", "gravemente sospetto di eresia", a: "diffamato e sospetto", o "ha confessato e scontato la pena, ma è recidivo", o "ha confessato e non ha scontato la pena, ma non è recidivo", e così di seguito. I giuristi dell'Inquisizione, tutti presi da distinguo molto sapienti, avevano stabilito una dotta gerarchia di possibili colpevolezze: gli heretici imperfecti che, persuasi di essere in errore, ritrattavano tutto subito e dichiaravano dì sottomettersi alle pene che gli sarebbero state inflitte; gli heretici perfecti o pertinaces, che si intestardivano nei loro errori; gli heretici relapsi, i recidivi; gli heretici negativi, che rifiutavano di riconoscere di essere in errore e ricusavano le testimonianze dei testimoni a carico; ed infine gli istigatori, i favoreggiatorì e i difensori degli eretici, i contumaci, gli evasi vivi e morti.
I Denunciatori: Le accuse provenivano da denunciatori “di professione”. Erano pagati a spese dei sospetti. L’inquisizione finì per organizzare una vasta rete di delazione, che fu imposta a tutti come un dovere. Dovere civico, o patriottico, si diceva nel 1945. Non bisogna dunque meravigliarsi che vi sia stato un padre che denunciava il proprio figlio o la moglie, una moglie che denunciava il marito, un figlio che denunciava il padre: questo era nella logica del sistema, soprattutto se il fatto di non denunciare poteva fare di voi un sospetto. L'età richiesta per la validità della testimonianza era di quattordici anni per gli uomini e di dodici per le donne: l'età della ragione. Ma si conosce il caso di un bambino di 10 anni ammesso a deporre contro suo padre, sua sorella. Denunciare diventò un'opera pia. Non era negli usi rivelare il nome degli accusatori: l'esperienza aveva dimostrato che essi, talvolta, correvano grossi rischi dì rappresaglie Sanguinose da parte dei parenti, degli amici o dei correligionari del sospetto. Le false testimonianze, le accuse menzognere ,erano punite duramente quanto l'eresia: prigione a vita, a pane secco e acqua, le catene ai piedi, confisca dei beni, multe.
L’appello al Papa: Non era raro, che dei colpevoli facessero appello a Roma: a loro richiesta spesso veniva ben accolta. Si cita il caso di un Francescano che aveva aderito al movimento dei Fraticelli. Condannato alla prigione a vita, nel 1329, egli vide questa condanna trasformata dallo stesso Inquisitore in penitenze canoniche, messe e preghiere per tre ani. Cosa che non impedì al Francescano di indirizzare una supplica al Papa Benedetto XII il quale, con una bolla datata Il aprile 1335, lo reintegrò nel suo Ordine e gli fece sperare che se egli avesse assolto fedelmente per due anni la sua penitenza canonica, questa gli sarebbe stata condonata. Notiamo l'involontario lato comico di una punizione inflitta a un Francescano sotto forma di "penitenze canoniche, messe e preghiere", come se la sua vocazione non lo impegnasse a questo per tutta la vita! Mai, durante i secoli più drammatici del Medio Evo, sono stati condannati dei sospetti senza ascoltarli, interrogarli, permettergli di difendersi, di pentirsi, e di abiurare. l'opera dell'Inquisizione è animata, in linea dì principio, da una volontà di educare le masse popolari e di rieducare gli eretici, il cui livello sociale e culturale è, nella maggior parte dei casi, assai basso. Occorreva dunque, per raggiungere gli obiettivi che l'Inquisizione (e attraverso essa la società) si poneva, utilizzare dei metodi forti, il cui simbolismo saltasse agli occhi di tutti e si imprimesse nei ricordi.
La Presenza dell’Avvocato: L’azione dell’Inquisizione è stata rapidamente regolata e dominata da un sistema di diritto che, nel corso dei secoli, andrà precisandosi. Si inscrive, in un regime di diritto che i giudici dovevano rispettare nel modo più rigoroso e che dava all’imputato tutte le garanzie desiderabili, soprattutto in materia di diritto della difesa. L'incolpato poteva far appello ad un avvocato perché lo assistesse in tutte le fasi della procedura, a condizione che fosse "probo, leale, non sospettato di eresia, esperto nel diritto civile e in quello canonico, e zelante nella fede". Tutte queste qualità facevano sì che essi non sostenessero necessariamente l'innocenza dei loro clienti, ma piuttosto sottolineassero le circostanze attenuanti chiedendo una pena leggera. Nel 1248, i vescovi riuniti a Valenza stabilirono che da quel momento gli avvocati non fossero più ammessi, per evitare che essi ritardassero le operazioni ("negotium") con le loro alte grida ("per advocatorum strepitum et figuram"). L'accusato aveva il diritto di produrre dei testimoni a sua discolpa, di farli interrogare in sua presenza, di difendersi da solo per un tempo lungo quanto voleva, di presentare memorie o citazioni preparate prima, di chiedere difensori d'ufficio. Di tempo in tempo, l'Inquisitore faceva delle domande, di spiegazione o di chiarimento, in base ad un questionario che variava a seconda dell'eresia in cui era caduto l'imputato. E' l'origine, questa, dei manuali specializzati che cercano, attraverso domande appropriate, di eludere una difesa che può, in certi casi, essere estremamente sottile. I manuali dell’Inquisitore, sono il frutto dell’esperienza e di una presa di coscienza sempre più netta dei doveri che si imponevano ai giudici, ed anche delle difficoltà nelle quali si imbattevano. L'Inquisizione monastica, "agendo pressoché al di fuori di ogni forma legale (...) con uno zelo disordinato", non aveva mancato di provocare alcuni "eccessi", contro i quali reagirono non solo gli imputati, ma anche la giurisdizione tradizionale, cioè i vescovi. Per questo si elaborò, a poco a poco, una legislazione di stupefacente precisione, che fissava i diritti e i doveri dei giudici e prevedeva una giurisprudenza atta a darle ordine e a sfumarne l'applicazione, così come si elaborò una procedura destinata a limitare l'arbitrio dei potentissimi Inquisitori. La materia era nuova, strane e sconcertanti le teorie elaborate dagli eretici, numerosissimi i tratti che le differenziavano. I religiosi, Francescani o Domenicani, così pure i vescovi, non erano preparati ad affrontare questi problemi. E meno ancora a risolverli in uno spirito di carità e indulgenza cristiana. I manuali che furono redatti all'epoca, erano destinati a guidarli nel difficile compito che era loro stato affidato. Per questo, in essi fu inserita ben presto una descrizione precisa delle eresie, la cui dottrina differiva dall'una all'altra, suggerendo che cosa convenisse chiedere nell'Interrogatorio per meglio poterle discernere. Descrizione la più obiettiva possibile, tanto che non è raro che la sola fonte di informazioni, che possiede lo storico d'oggi, sono proprio gli atti dei processi. Occorreva permettere, infatti, agli Inquisitori, di orientarsi nella foresta delle eresie e di rintracciare con più facilità i colpevoli. Lo scopo era quello di presentare una specie di "direttorio" per i giudici, perché l'abbondanza dei testi, la diversità delle loro origini ed epoche, avevano reso la dottrina, che doveva servire da guida all'Inquisitore, un po' confusa.
Pene e castighi...
P Intro: La scale delle punizioni è molto estesa, vasta e graduata. Intende reprimere non dei delitti propriamente detti, ma delle opinioni, delle attitudini degli stati dello spirito o della coscienza, dei comportamenti o delle pratiche, il cui grado di colpevolezza poteva variare, e variava, per forza di cose all'infinito, o quasi, fino alle sfumature più sottili. I tribunali dell'Inquisizione avevano per scopo essenziale non la punizione ma la conversione dei colpevoli e il reinserimento nel retto cammino, dei sospettati o degli incerti.
Le pene più ricorrenti: Tra le penitenze, le più ricorrenti che troviamo, cominciando dalle più leggere, sono:
- Le opere pie: costruire qualche santuario, riparare un monastero, costruire un ponte;
- I doni: un calice, una casula, una somma di denaro;
- Le ammende in denaro, in favore di un'opera di utilità pubblica; ad esempio, la ricerca degli eretici;
- Le croci in stoffa;
- L'obbligo di assistere ad una cerimonia pubblica, per esempio una processione con la croce o più croci sui vestiti;
- Le frustate;
- L'esposizione pubblica su una scala (punizione riservata al falsi testimoni), sempre con la croce, due giorni consecutivi, dall'alba al tramonto e le quattro domeniche successive, con le mani legate, a capo raso, vestito in foggia strana (cioé un tessuto grossolano, senza cinta) a piedi nudi, il che costituiva senza dubbio una ulteriore umiliazione;
- I diversi tipi di pellegrinaggio;
- L'obbligo di partecipare alle crociate, ultra mare;
- La prigione preventiva, temporanea o perpetua;
- La degradazione, nel caso di un prete o un religioso;
- La confisca dei beni, nel caso di un contumace;
- Le incapacità (sospensione dei diritti);
- Infine l'abbandono al braccio secolare, "brachio et judicio curiae secularis", il rogo.
- Remissione e Commutazione delle Pene: Le penitenze erano rafforzate da sanzioni legali. Tutte le pene erano remissibili e tutti i motivi erano validi: la vecchiaia, la malattia, le debolezze, i disagi della famiglia, la pietà, la semplice richiesta di persone rispettabili. Talvolta, i motivi ci sembrano meno validi: aver facilitato la cattura di tre eretici aver impedito un'evasione di notte mettendosi a gridare; aver rivelato un complotto contro l'Inquisitore. A condizione, dicono i testi, che l'Inquisitore non agisse in nessun modo "sotto l'impulso dell'odio, di favoritismo, né per amore del lucro né per qualunque vantaggio personale, né contro la giustizia o la propria coscienza“. L’inquisitore si riservava il diritto, qualora il graziato mancasse ai propri obblighi, di fargli riprendere il supplizio o di appesantirlo, senza essere obbligato a riprendere il processo o ad iniziarne uno nuovo. A poco a poco, la legislazione inquisitoriale si precisò. Fu dichiarato che coloro che avessero seppellito degli eretici o, essendo laici, avessero dissertato pubblicamente con essi sulla fede, sarebbero stati puniti. Né i figli, né gli eredi di un eretico che avessero chiesto la "consolazione" degli eretici, potevano ottenere che egli fosse dichiarato insano di mente in quel momento". Lo scomunicato che si rifiutava di comparire entro un anno di fronte al Tribunale, si metteva nella condizione di essere condannato come eretico. Tali sono le regole emanate dal Papa Bonifacio VIII (1294-1303), il nemico di Dante, o, più esattamente, l'oggetto dell'odio feroce del poeta.
, L’assoluzione: Tra i "diffamati", si trovano alcuni che sono innocenti: anzi questo appare un caso abbastanza frequente. Dopo l' "inquisitio", l'imputato viene dichiarato "assolto e assolutamente puro da ogni eresia". Gli si consegna solennemente una sentenza assolutoria, nella giusta e dovuta forma, che attesta che l'Inquisitore, considera che non c'è nessuna ragione per sospettarlo ancora. Si tratta di un perdono e non di un mettere a tacere: normalmente, invece, nei periodi di sconvolgimenti sociali, il fatto di esser stato sospettato, anche se ingiustamente, lascia delle tracce. se il cristiano così assolto cadeva in eresia, o dava un'altra volta pretesto a sospetti, veniva considerato come recidivo e giudicato come tale. Ad opera, in casi normali, del rogo. L'assoluzione, anche se piena, poteva ugualmente comprendere delle pene penitenziali come i pellegrinaggi, il portare la croce, digiuni e ammende. Coloro che erano stati sospettati di stregoneria, non potevano portare vestiti di tela durante la quarta vigilia della Madonna. Chi abiurava, prometteva di non aderire mai a nessuna eresia, e pronunciava il suo discorso in vernacolo affinché tutto il popolo potesse capirlo. L'Inquisitore gli ripeteva che doveva star bene attento a non ricadere in atteggiamenti o discorsi che potessero suscitare sospetto; e, infine, accordava dieci o venti giorni di indulgenza a coloro che avevano sentito il sermone e tre anni di indulgenza a coloro che avevano collaborato a questo caso di abiura.
o Le incapacità: Le incapacità di possono comprendere per mezzo di questo passaggio di Cauzons:
"L'eretico era colpito da "incapacità" civile ed ecclesiastica, la quale poteva essere estesa ai suoi figli e ai suoi nipoti (fino alla seconda generazione in linea paterna e fino alla prima, in linea materna). Tale incapacità lo rendeva inadatto a intraprendere certi atti della vita civile, ad occupare cariche e a svolgere funzioni civili e religiose... L'eretico non chierico, privato del diritto di testimoniare in giudizio, di stare in alcuni affari quali richiedente, di contrattare, di acquistare o trasmettere a titolo gratuito od oneroso a qualcuno ..., veniva spogliato delle sue funzioni, delle dignità e degli incarichi. Giudice, le sue sentenze non avevano più forza; avvocato, non era più ammesso ad offrire i suoi servizi; notaio, i documenti di sua mano perdevano ogni valore... I sudditi di un signore eretico si trovavano liberati tanto dal loro giuramento di fedeltà che da ogni obbligo verso di lui. I padri perdevano ogni diritto Sui propri figli, il marito sulla moglie, benché persistesse il vincolo matrimoniale..." Bernard Gui estese queste pene a quelli che avevano commesso atti che avevano "odore di eresia". Questo era fare il processo alle intenzioni. Questa era una forma di morte civile.
e Il portare la croce: Il portare una croce in stoffa di color giallo o rosso, che ricopriva il petto e le spalle, talvolta il cappello, o il velo della donna, era uno dei possibili castighi. Un tale recidivo, autorizzato ad uscire di prigione come sostegno della sua famiglia, dovrà portare un manto nero con croci. Dieci anni più tardi egli fa richiesta al Tribunale di "togliere" le sue croci. Un altro recidivo porterà due croci sul suo cappello, sia dentro che fuori casa. Inoltre egli visiterà, per penitenza, la chiesa della sua città ogni domenica di Quaresima. Questo portare una (o più) croci che venivano accuratamente fissate le dimensioni e la disposizione di questi segni) suscitava gli insulti e le vessazioni da parte dei buoni cristiani (o che si ritenevano tali). I Concili, gli stessi Inquisitori, denunciarono questi odiosi comportamenti, arrivando a minacciare i colpevoli dello stesso supplizio se avessero perseverato, pensando che l'onta e il rimorso fossero una punizione sufficiente, ma invano.
Dispensato dalla Croce
Gli Inquisitori potevano dispensare dal portare la croce, sia con le indulgenze, sia per evitare gli incidenti e le umiliazioni che ne derivavano. O ancora, per un viaggio o un pellegrinaggio, o in occasione di una festa religiosa. Si autorizzava frequentemente a commutare la condanna alla prigione in quella a portare la croce: 58 casi su 1319 nella sola giurisdizione dell'Inquisizione tolosana. In altri casi, sempre a discrezione dell'Inquisitore e del Vescovo, il portare questi segni di infamia viene modificato in visite alle chiese o in pellegrinaggi - quando lo stesso pellegrinaggio non venga sostituito da una multa, a motivo dell'età molto avanzata del condannato. La stessa condanna alla prigione a vita, talvolta veniva modificata in prigione a tempo determinato o, sia l'una che l'altra, in pellegrinaggi o nel portare la croce. Nel registro delle Sentenze di Bernard Gui, (su 930 casi trattati da questo Inquisitore) si trovano centodiciannove (119) casi di liberazione con l'obbligo di portare le croci: di questi centodiciannove scarcerati, cinquantuno (51) furono in seguito esonerati dal portare le croci". I Papi incitavano gli Inquisitori ad impegnarsi su questa strada.
VITA VISSUTA: Il portare a croce: I testi inquisitoriali ci mostrano alcuni esempi di "pravitas", che suscitano una condanna del genere e che ci possono sembrare strani. Come il caso di un prete che ha accettato di battezzare un cristiano una seconda volta: dubita egli del carattere "indelebile" del battesimo? Egli è condannato a portare, in perpetuo, due pezzi di feltro giallo a forma di vasi, uno dietro e l'altro davanti.
Alcuni ecclesiastici amministravano il battesimo a dei pupazzi di cera usati per fare sortilegi. Altri praticavano malefici. Strano clero. Strani fedeli si rivolgevano al loro curato per volgere in bene le cose intraprese. Ma l'Inquisizione veglia: all'uno impone di portare due vasi e quattro "figure", agli altri due ostie.
Dispensato dalla croce: Un condannato viene dispensato dal portare la croce perché "di propria iniziativa ("sponte"), per amore di Dio e della gloriosa Vergine Maria", ha donato 150 soldi in elemosina alla madre superiora di Riennette (20 marzo 1255).
Invece un tale Guglielmo Bérenger, che era stato dispensato dal portare la croce, si vede costretto a reindossarla e a pagare una multa di 50 lire.
Un uomo chiamato Saissac dice che, per ringraziare il Vescovo che lo ha dispensato dal portare le sue croci, ha donato, la domenica delle Palme, su istanza dell'Abate di Montolieu, 20 soldi ad un monaco di questa abbazia. Un certo Ricard è dispensato dal portare la croce, a condizione del pagamento di una certa somma destinata alla costruzione di un ponte.
e I Pellegrinaggi: I pellegrinaggi in Terra Santa, detti "passaggi d'oltre mare", erano i più meritori. Furono, per lungo tempo, i più numerosi. Non era una piccola cosa fare un viaggio in questa epoca; l'avventura costava cara, bisognava affrontare mille pericoli, le difficoltà dell'alloggio e del nutrimento, l'ostilità delle popolazioni e delle lingue straniere. I meriti del pellegrino erano grandi, ma noi non possiamo escludere che ci tosse anche un certo sapore di avventura in questo genere di turismo un po' particolare. Gli altri pellegrinaggi si dividevano in pellegrinaggi maggiori (Roma, San Giacomo di Compostella, Canterbury e Colonia) e pellegrinaggi minori (Roc-Amadour, Notre-Dame di Chartres, Saint-Denis, ecc.).
La pena poteva essere commutata in opera pia, se i condannati erano nell'impossibilità materiale o morale di fare il pellegrinaggio. Era il caso dei vecchi, degli infermi, delle donne incinte, dei giovani sposi o delle giovinette.
VITA VISSUTA: Il 5 ottobre 1251, "gli uomini" da 5 o 6 borghi che avevano "ricevuto" delle croci, ma ne erano stati dispensati, sono costretti a fare i pellegrinaggi minori in otto giorni, i maggiori in quindici, e i "passaggi d'oltre mare" alla prima partenza.
Due fratelli di Salsigne si obbligano, il 29 marzo 1252, a pagare 10 lire per il loro padre morto, al quale era stato ordinato di fare il viaggio in Terra Santa.
Bernardo, dei Martiri, s'impegna a pagare 10 lire "pro recompensatione passagii" (un pellegrinaggio in Terra Santa) e per i pellegrinaggi che avrebbe dovuto fare sua moglie "inferma".
Nell'agosto 1256, c'é una donna sposata a cui è stato ingiunto di fare dei pellegrinaggi "pro heresia". Un altro sospetto s'impegna a cominciare i pellegrinaggi che gli sono stati imposti nei successivi otto giorni. Il 30 ottobre, un altro sospetto promette di farli ... nel marzo dell'anno successivo. Le promesse si succedono, in aprile per il successivo mese d'agosto, se non settembre. Condizioni per l'assoluzione di tutte le scomuniche: il dono di 30 o di 50 lire. Come sempre, quando il colpevole non impegna tutti i suoi beni, ci sono i garanti.
Talvolta, le cose si complicano: un certo Berto ha offerto 20 soldi all'Abate di Montolieu per essere dispensato dal fare i pellegrinaggi cui è stato condannato. Ora, egli li ha donati al nipote di quello. Quindi non aveva concluso l'accordo con l'Abate; ma poiché aveva più volte sentito che questi diceva e ripeteva di essere disposto ad intervenire per tutti, ha creduto che fosse disposto ad intervenire per lui.
I doni non erano rari, quando si trattava d'essere dispensati dal portare la croce: uno dona 20 soldi, l'altro tre oche, un terzo, delle pietre intagliate per la porta dell'Abbazia di Montolieu.
Tre fedeli dichiarano di voler "soddisfare" l'obbligo dei pellegrinaggi non adempiuto dalla defunta Raymonde Barbairane, condannata per un crimine d'eresia. Essi fanno conoscere ciò che hanno ricevuto da lei: uno, una codina di piume, un guanciale, un piumino; un altro, un baule, un capo di vaio guarnito con pelle d'agnello, due pezze di lino, un sacco, un carico di vino, tre sestieri di riso, delle scarpe, tre soldi, un asciugamani. Un terzo, infine, dichiara sotto giuramento di aver ricevuto 7 "bestie da lana", 2 capre, 2 pecore, 2 agnelli. Qualche giorno più tardi, colti da rimorso o, più verosimilmente, sentendosi sospettati, si obbligarono a donare prima di Pasqua 40 soldi per i pellegrinaggi non effettuati dalla defunta Barbairane.
Infine, che i cavalieri che si erano macchiati dell'omicidio di Thomas Becket, nel 1170, furono condannati a fare un pellegrinaggio ad Antiochia.
I La Confisca dei beni: La confisca dei beni colpiva non solo il colpevole, condannato alla prigione perpetua o suscettibile di incorrere in questa pena, ma la sua famiglia intera. Un affare concluso da un uomo colpito da simile pena era nullo. Un certo W. de Saint-Nazaire e altri, condannati come eretici, rifiutano di scontare la pena di reclusione pronunciata contro di essi. I loro beni sono confiscati. Sarà scomunicato chiunque porti ad essi qualunque forma di soccorso. Successivamente, San Luigi, nel 1259, attenua un po' queste disposizioni. Gli Inquisitori furono invitati a restituire beni confiscati per eresia, eccetto che in tre casi: quello di un eretico debitamente condannato; quello di un eretico in fuga e, infine, quello di un eretico che avesse dato ospitalità ad eretici condannati. In nessun caso, comunque, la moglie poteva essere privata dei suoi beni. Gli eredi di un eretico che abbracciassero la vita religiosa, non potevano essere privati dei beni del defunto. All'inizio, i figli degli eretici venivano privati del diritto di successione. Infatti, in moltissimi casi, si trovano come acquirenti i figli o le spose dei condannati. La confisca dei beni finisce cosi per ridursi ad una sorta di ammenda imposta alla famiglia del condannato.
Il sostentamento dei prigionieri era a carico dei signori che avevano beneficiato della confisca dei beni del condannato. Ma, all'inizio, questi beni andavano a vantaggio del Delfino, signore temporale. Non era però questo il caso di coloro che, a diverso titolo, potevano chiedere la loro parte di bottino: i signori, gli Ordinari, gli Inquisitori,gli ufficiali del delfinato. Si finì per trovare degli accomodamenti, com'è logico, tra potenti.
g Le ammende: Le ammende andavano a beneficio dell'Inquisizione, perché non occorreva, dice l'Inquisitore Eymeric, che esse andassero ai Vescovi "dal pugno chiuso e dalla borsa costipata“. Le somme così raccolte erano destinate, all'inizio, all' "edificazione di chiese, all'elemosina distribuita ai poveri, alla dote di povere vergini che rischiavano di prostituirsi per fuggire alla miseria e, soprattutto all'Inquisizione, per coprire le spese del processo, visto che non vi è una causa più nobile e un'istituzione più utile allo Stato, dell'Inquisizione“ Un tale eretico pentito, è condannato a mantenere un povero per un anno e a pagare, inoltre, un'ammenda di 10 lire. I grandi colpevoli non erano i soli condannati a pagare le ammende; lo erano anche, cito: "quelli che si esprimevano come eretici, sia che lo facessero per gioco o per ignoranza", per spacconeria idiota, o in eccessi di collera (e questo la dice lunga sulla situazione spirituale degli uomini del XIII e XIV secolo). Un tratto di humour abbastanza inaspettato in un codice inquisitorio; c'è scritto: "si chiederanno anche somme di denaro al penitenti particolarmente avari, e così le avremo da coloro che le amano di più". Eymeric consiglia agli Inquisitori di "moderare il loro ardore" in questo genere di esercizio, "poiché nulla - scrive - sarebbe loro più nefasto della accusa pubblica di avarizia e di cupidigia". E’ consigliato agli Inquisitori di non accettare né denaro né viveri da parte degli accusati, o dei loro amici, o consanguinei.
VITA VISSUTA: E' così che Viguier di Montolieu (di "Monte Olivero") e Bertrand Malpuel s'impegnano a pagare, in tre rate, la somma di 150 soldi che un certo Pierre Al aveva ricevuto dagli eretici (sono serviti senz'altro da cauzione). Un certo Alaman di Rogis non ha smesso di dedicarsi alla causa degli eretici, non preoccupandosi per nulla della pena e del denaro. E' condannato ad entrare in prigione, a pagare annualmente 50 soldi per il mantenimento di un certo Pons e a "rimborsare gli Ospedalieri di Saint-Jean per le sue rapine e altri danni". Il che non gli impedisce, una volta detenuto, di "impegnare, per le sue esigenze giornaliere, i propri servitori e vassalli" (26 maggio 1237). Siamo lontani, sembra, dal Gulag e dai Campi N. N.
Jean, di Montégut, s'impegna a pagare 50 lire tornesi per ottenere, "per mandato di Monsignor il Vescovo e degli Inquisitori", che suo padre non sia condannato ad una pena infamante "confusibilis" o pubblica, per "il suo crimine di eresia".
L'eretico "pentito" B. Saissac, è condannato a spendere in opere buone una somma uguale a quella che ha speso per i suoi confratelli valdesi. Ci si fida della sua coscienza per la stima di questa somma.
La Distruzione delle case: Nel 1225, a Brescia, diventata "quasi domicilio di eretici", gli eretici e i loro sostenitori fortificano le torri della Città, incendiando le chiese, e "con bocca bestemmiatrice" (osano) cantare scomunica contro la Chiesa Romana e i fedeli della sua dottrina“. Risultato: il Papa Onorio III ordina di radere al suolo le torri di quelli tra gli agitatori “che più avevano proceduto nell'infamia", o di distruggerne un terzo o la metà, a seconda del grado di colpevolezza Le torri non potranno essere ricostruite senza l'autorizzazione della Santa Sede, "affinché i loro cumuli di pietre rimangano a documento della pazzia ereticale e della giusta repressione". Tutti sono scomunicati e non saranno perdonati se non si recheranno a Roma personalmente. Il fisco ci perdeva, come i proprietari e i signori. Il terreno, vuoto, lasciato in abbandono, diventava rapidamente un deposito nauseabondo, paradiso dei topi, che provocava l'esodo dei vicini. Il Re di Francia Carlo V mise fine a questa situazione nel 1384, decidendo, evidentemente con l'assenso della santa Sede, che, salvo in casi eccezionali, le case degli eretici, "sia che fossero ottenute in feudi o enfiteusi, a censo, a rendita, a locazione, o a canone", non fossero più demolite. Ben prima che fosse presa questa decisione, gli Inquisitori avevano permesso di impiegare i materiali delle case distrutte per riparare o edificare monumenti che servissero ad opere pie, come conventi od ospedali, ma a titolo esclusivo e sotto pena di scomunica per i contravventori.
i Esumazione ed Incenerimento dei cadaveri: La morte non metteva fine all'azione dell'Inquisizione, Nel 1234, il Concilio di Arles decise, ad imitazione di quanto d'altronde facevano le autorità civili, che il cadavere dell'eretico il cui crimine era stato debitamente provato dopo un dibattito in contraddittorio con gli eretici sarebbe stato esumato e bruciato. La distruzione con il fuoco serviva a purificare la terra da ogni contaminazione. A condizione, che si potessero distinguere le ossa del colpevole da quelle dei buoni cristiani... Chi aveva sepolto un eretico nel suo giardino, lo doveva esumare con le proprie mani. Le autorità civili avevano cercato di mettere un freno a questo genere di cerimonie macabre. Nel 1205, i consoli di Tolosa avevano deciso che queste azioni non avrebbero potuto aver luogo se non fossero iniziate quando l'eretico era vivo, o se questi si fosse "convertito“. Invano. Non se ne fece niente. Gli Inquisitori rifiutarono di adottare questa decisione. Essi ammisero soltanto che non ci fosse la possibilità di confiscare i beni dopo un termine di quarant'anni. Ma i reati rimasero imprescrittibili. La "combustio ossium", praticata soprattutto nel Mezzogiorno della Francia, "in partibus Tolosanis", Si svolgeva secondo un rituale adatto a colpire l'immaginazione. Le ossa o lo stesso cadavere venivano trasportate per le vie in mezzo alla folla evidentemente accorsa per assistere ad una cerimonia tanto insolita. Un banditore pubblico proclamava, a suon di tromba, il nome del colpevole, minacciando i viventi di una sorte analoga. Dimostrazione che non impedì la diffusione dell'eresia.
Prigioni, tortura, processi e autodafé...
P Intro: L'Inquisizione è il primo tribunale ad aver utilizzato sistematicamente la pena della detenzione. Il Medio Evo non era solito usarla: preferiva la pena di morte, la mutilazione o più ancora, nella maggior parte dei casi, il sistema delle ammende, pagabili al Re. Si è dovuto dunque costruire delle prigioni laddove non ne esistevano, o utilizzare le prigioni feudali laddove esistevano reali o episcopali. Inquisitori e autorità civili dibatterono più di una volta il grande problema che la costruzione delle nuove prigioni, adatte ai nuovi bisogni della giustizia, suscitava. Nello spirito dell'epoca, la pena della detenzione era simile alle penitenze che infliggeva regolarmente la Chiesa. La maggioranza dei monaci, dei reclusi, degli eremiti, vivevano in un modo che non era essenzialmente diverso da quello che era imposto agli eretici. Si conosceva il sistema del carcere preventivo e, dopo la condanna, la detenzione per. un tempo variabile secondo la gravità della colpa, e la reclusione a vita. Si utilizzavano due tipi di prigioni: il murus durus, o strictus, "col pane di dolore e l'acqua di tribolazione", una cella poco o niente illuminata che era il castigo estremo; e il murus largus, che sembra. aver preso come modello il monastero, un po’ illuminato e areato, e nel quale i prigionieri godevano della possibilità di passeggiare nel cortile e di farsi approvvigionare dall'esterno. Su 930 processi che ebbe a trattare, Bernard Gui fece imprigionare 307 eretici, cioè circa un terzo. Il prigioniero poteva essere incatenato ai polsi o ai piedi, o agli uni e gli altri insieme, per un certo periodo di tempo o a vita. Le prescrizioni pontificie imponevano le celle separate; ma ci furono dei periodi di particolare affollamento durante i quali i prigionieri furono ammassati in celle comuni.
m Grazie e condoni: I condannati potevano, facendo appello a Roma, ottenere qualche attenuazione della loro pena detentiva. Ciò si poteva ottenere sia direttamente, per grazia papale, sia per rinvio agli stessi Inquisitori. Costoro non accoglievano sempre di buon grado la richiesta pontificia. Non era raro che i prigionieri ottenessero del favori da parte dell'Ordinario o dall'inquisitore. Ai giovani si offriva il perdono se si arruolavano per andare a combattere gli Infedeli in Palestina. Talvolta, in mancanza di prigione, si lasciava andare libero il condannato a suo piacimento, o lo si affidava ad estranei. La permanenza in prigione non doveva essere sempre così disumana come vuole la leggenda. Si dovettero vietare le visite troppo frequenti fatte ai prigionieri da chierici e laici dei due sessi; vietare ai guardiano della prigione di mangiare e dl giocare a dadi con i prigionieri e di farli giocare tra loro. Gli Inquisitori spiegano, negli "Acta", i motivi dei favori che accordano ai prigionieri: la durata della pena già scontata, la buona condotta, l'umiltà e la pazienza.
Un prigioniero condannato al carcere a vita perché recidivo, è autorizzato a restare presso suo padre, povero, malato e buon cattolico. Un altro malato, è temporaneamente graziato. Dovrà fare ritorno in prigione, senza attendere l'ordine di rientro, a meno che non venga richiamato nel frattempo. Un altro eretico, gravemente malato, è sottoposto agli arresti domiciliari.
La prigionia di un marito ha ridotto la moglie e i suoi bambini all'accattonaggio: il colpevole è rimesso in libertà provvisoria. Lo stesso favore è accordato ad un padre la cui figlia non può sposarsi in sua assenza. Si poteva uscire di prigione per andare a lavorare. Si accordano anche dei permessi senz'altra ragione, che l'indulgenza dei giudici e, soprattutto, del Vescovo: da settembre ad Ognissanti, con il permesso di andare dove si vorrà; dal mese di marzo all'ottava di Pasqua, o "per un tempo indefinito" ma sottocauzione; da maggio a Pentecoste; da giugno all'Assunzione; dal 15 gennaio al 15 aprile. Si conoscono casi di prolungamento dei permessi. Inoltre, accadde che la prigione a vita fu mutata in prigione temporanea, o in pellegrinaggi più o meno lontani (secondo la gravità della colpa), oppure nel solo obbligo di portare una croce. Quanto alle donne incinte, esse erano autorizzate a partorire a casa. Avevano un mese per ristabilirsi. In seguito dovevano fare ritorno in prigione.
p I recidivi: Nei confronti dei recidivi, conosciamo indulgenze assai stupefacenti: in un registro di sentenze del 1246-48, si contano 60 casi di recidivi, di cui nessuno è punito con pena più severa della prigione, e tra essi, alcuni nemmeno con la prigione a vita, contrariamente alla Dottrina anche se il recidivo aveva giurato di rinunciare ai suoi errori prima di essere rimesso in libertà. Si trovava dunque nella situazione, oggi classica, di un delinquente graziato prima di avere espiato totalmente la sua condanna, e che, recidivo, si espone a pagare integralmente la sua pena senza altre forme di processo. Il condannato che ritrattava ai piedi del rogo e rinnegava i suoi errori, veniva riaffidato all'Inquisizione per un nuovo esame, destinato a verificare la veridicità della sua strana conversione in extremis, quando l'uomo aveva resistito a mesi di prigione, di interrogatori e di dotte discussioni.
In certi casi, la conversione era sospetta a tal punto che la condanna seguiva il suo corso: la sola differenza consisteva nel ricorso alla garrota; il cadavere veniva bruciato, per non profanare la terra cristiana. Se l'Inquisitore e il Vescovo avevano qualche motivo per credere alla sincerità del mal capitato, lo mettevano alla prova sul campo: É egli disposto a denunciare, in modo "pronto e volontario", tutti i suoi complici? E' disposto a perseguitarli "con segni, parole e azioni"? A "detestare e abiurare" i suoi passati errori? Se egli si impegnava in questo senso, "fuori da ogni costrizione", riceveva come castigo la prigione a vita.
o La tortura: Se c'è un'immagine intimamente legata all'Inquisizione, è proprio la tortura. Infatti, nell'inconscio collettivo, essa riassume e simboleggia (insieme al rogo!) tutta la storia di questa istituzione. Feroce, sadica, con i suoi cavalletti, il suo supplizio della corda, la torcia infiammata e cento "modi nuovi di tortura, che aggiunge che "i membri detribunale, Inquisitori e soci, non si sottraggono dall'assistere alle sedute di tortura, o di applicarla essi stessi“. In ogni modo, qualunque sia stata la realtà, la tortura è identificata con l'Inquisizione, come se tutti i sospettati venissero d'ufficio torturati e poi condannati al rogo. Per fortuna, non si trattò solo di questo.
Per cominciare, la tortura non è un'invenzione dell'Inquisizione medioevale. Fu lo sviluppo del diritto romano nel XIII secolo che riportò questa pratica, all’inizio nella giustizia secolare e poi nella giustizia inquisitoriale, nel Mezzogiorno della Francia, verso il 1243, Papa Innocenzo IV non ne autorizzò l'uso che nel 1252, decisione confermata in seguito dai Papi Alessandro IV (1259) e Clemente IV (1265). Fu tuttavia stabilito che la tortura dovesse sempre essere applicata senza che l'integrità fisica o la vita dell'accusato fossero messe in pericolo. Si lasciavano piccole pause per permettere all'Inquisitore di fare delle domande. Il notaio annotava le risposte.
Ogni seduta durava circa mezz'ora. Il notaio chiedeva al mal capitato, tempo dopo, se si ricordava di ciò che aveva detto sotto l'effetto della tortura; diceva: "Ebbene, ridillo ora in tutta libertà", e annotava la risposta. Se in quel momento il sospettato rinnegava ciò. che aveva detto sotto l'impulso della sofferenza, si doveva passare ad una nuova seduta. In ogni caso, le dichiarazioni (spontanee o no) ottenute nel corso dell'inchiesta, erano considerate molto più importanti di quelle ottenute grazie alla tortura. In ogni caso, gli Inquisitori erano coscienti della fragilità delle affermazioni fornite in simile modo. Inoltre, vi furono eccessi d'ogni tipo. Al fine di sanare queste situazioni, Papa Clemente V decise che l'Inquisitore non poteva far sottoporre alla tortura un imputato senza l'autorizzazione del Vescovo, e viceversa. Non è sicuro che questa Costituzione sia stata osservata. In principio, la tortura non poteva essere impiegata che quando il soggetto aveva cambiato parere durante le sue deposizioni e quando numerosi e seri indizi autorizzavano a ritenerlo colpevole. Occorreva un inizio di prova. D'altronde,. il supplizio non era permesso che per stabilire la colpevolezza; a tal segno che, se l'Inquisitore poteva raggiungere in altro modo la prova giuridica, doveva fare a meno della tortura. Il suo dovere era di evitarla il più possibile. Solo quando fosse persuaso che il sospettato negasse sistematicamente, e in questo caso soltanto, lo avrebbe destinato al supplizio; ma, anche allora, egli doveva esortarlo fino all'ultimo minuto, cioè doveva ritardare la tortura il più possibile". Certi accusati riuscivano ad emergere vincitori, se non indenni, da queste temibili prove.
Le torture più ricorrenti:
LA STRAPPATA E LO SQUASSAMENTO: Una delle più comuni e anche una delle tecniche più facili. L'accusato veniva legato a una fune e issato su una sorta di carrucola. L'esecutore faceva il resto tirando e lasciando di colpo la corda e slogando, così, le articolazioni.
Lo squassamento era una forma di tortura usata insieme alla 'strappata'. L'accusato qui veniva sempre issato sulla carrucola, ma con dei pesi legati al suo corpo che andavano dai 25 ai 250 chili. Le conseguenze erano gravissime.
L’ANNODAMENTO: Questa era una tortura specifica per le donne. Si attorcigliavano strettamente i capelli delle streghe a un bastone. Quando l'inquisitore non riusciva ad ottenere una testimonianza si serviva di questa tortura; robusti uomini ruotavano l'attrezzo in modo veloce provocando un enorme dolore e in alcuni casi arrivando a togliere lo scalpo e lasciando il cranio scoperto.
LA CREMAGLIERA: Era un modo semplice e popolare per estorcere confessioni. La vittima veniva legata su una tavola, caviglie e polsi. Rulli erano passati sopra la tavola (E in modo preciso sul corpo) fino a slogare tutte le articolazioni.
LA VERGINE DI NORIMBERGA: L'idea di meccanizzare la tortura è nata in Germania; è li che ha avuto origine "la Vergine di Norimberga". Fu così battezzata perchè, vista dall'esterno, le sue sembianze erano quelle di una ragazza bavarese, e inoltre perchè il suo prototipo venne costruito ed impiantato nei sotterranei del tribunale segreto di quella città. Era una specie di contenitore di metallo con porte pieghevoli; il condannato veniva rinchiuso all'interno, dove affilatissimi aculei trafiggevano il corpo dello sventurato in tutta la sua lunghezza. La disposizione di questi ultimi era così ben congegnata che, pur penetrando in varie parti del corpo, non trafiggevano organi vitali, quindi la vittima era destinata ad una lunga ed atroce agonia.
L’IMMERSIONE DELLO SGABELLO: Questa era una punizione che più spesso era usata nei confronti delle donne. Volgarmente sgradevole, e spesso fatale, la donna veniva legata a un sedile che impediva ogni movimento delle braccia. Questo sedile veniva poi immerso in uno stagno o in un luogo paludoso. Varie donne anziane che subirono questa tortura morirono per lo shock provocato dall'acqua gelida.
LA PULIZIA DELL’ANIMA: Era spesso creduto, nei paesi cattolici, che l'anima di una strega o di un eretico fosse corrotta, sporca e covo di quanto di contrario ci fosse al mondo. Per pulirla prima del giudizio, qualche volta le vittime erano forzate a ingerire acqua calda, carbone, perfino sapone. La famosa frase "sciacquare la bocca con il sapone"' che si usa oggi, risale proprio a questa tortura.
LA TURCAS: Questo mezzo era usato per lacerare e strappare le unghie. Dopo lo strappo, degli aghi venivano solitamente inseriti nelle estremità delle falangi.
L’IMPALAMENTO: Questo strumento, riservato per lo più ai sospetti di stregoneria o agli eretici, era realizzato in tre diverse versioni. La prima consisteva in un blocco di legno a forma di piramide, mentre la seconda, meno letale, aveva l'aspetto di un cavalletto a costa tagliente.
In ambedue i casi, l'indiziata veniva posta a cavalcioni di tale strumento sino a far penetrare la punta, nel primo caso, o lo spigolo nel secondo, direttamente nelle carni, squassando in modo spesso permanente, gli organi genitali. Quasi sempre poi venivano aggiunti dei pesi alle caviglie e sistemati scrupolosamente dei braceri o delle fiaccole accese sotto ai piedi. La terza versione è una delle più rivoltanti e vergognose torture concepite dalla mente umana. Veniva attuata per mezzo di un palo aguzzo inserito nel retto della presunta strega, forzato a passare lungo il corpo per fuoriuscire dalla testa o dalla gola. Il palo era poi invertito e piantato nel terreno, così, queste miserabili vittime, quando non avevano la fortuna di morire subito, soffrivano per alcuni giorni prima di spirare. Tutto ciò veniva fatto ed esposto pubblicamente.
LA CULLA DELLA STREGA: Questa era una tortura a cui venivano sottoposte solamente le streghe. La strega veniva chiusa in un sacco poi legato a un ramo e veniva fatta continuamente oscillare. Apparentemente non sembra una tortura ma il dondolìo causava profondo disorientamento e aiutava a indurre a confessare. Vari soggetti hanno anche sofferto durante questa tortura di profonde allucinazioni. Ciò sicuramente ha contribuito a colorire le loro confessioni.
IL TOPO: Tortura applicata a streghe ed eretici. Un topo vivo veniva inserito nella vagina o nell'ano con la testa rivolta verso gli organi interni della vittima e spesso, l'apertura veniva cucita. La bestiola, cercando affannosamente una via d'uscita, graffiava e rodeva le carni e gli organi dei suppliziati.
LA GARROTA: Non è altro che un palo con un anello in ferro collegato. Alla vittima, seduta o in piedi, veniva fissato questo collare che veniva stretto poi per mezzo di viti o di una fune. Spesso si rompevano le ossa della colonna vertebrale.
L’ORDALIA DEL FUOCO: Prima di iniziare l'ordalìa del fuoco tutte le persone coinvolte dovevano prendere parte a un rito religioso. Questo rito durava tre giorni e gli accusati dovevano sopportare benedizioni, esorcismi, preghiere, digiuni e dovevano prendere i sacramenti. Dopodiché si veniva sottoposti all'ordalìa: gli accusati dovevano trasportare un pezzo di ferro rovente per una certa distanza. Il peso di questo peso era variabile: si andava da un minimo di circa mezzo chilo per reati minori, fino a un chilo e mezzo. Un altro tipo di ordalìa del fuoco consisteva nel camminare bendati e nudi sopra i carboni ardenti. Le ferite venivano coperte e dopo tre giorni una giuria controllava se l'accusato era colpevole o innocente. Se le ferite non erano rimarginate l'accusato era colpevole, altrimenti era considerato innocente. Si poteva aver salva la vita, però, corrompendo i clerici che dovevano officiare la prova: si poteva fare in modo che ferro e carboni avessero una temperatura sufficientemente tollerabile.
L’ORDALIA DELL’ACQUA: In questo tipo di ordalìa l'acqua simboleggia il diluvio dell'Antico Testamento. Come il diluvio spazzò via i peccati anche l'acqua 'pulirà' la strega. Dopo tre giorni di penitenze l'accusata doveva immergere le mani in acqua bollente, alla profondità dei polsi. Spesso erano costrette a immergerle fino ai gomiti. Si aspettava poi tre giorni per valutare le colpe dell'accusata (Come per l'ordalìa del fuoco). Veniva messa in pratica anche un'ordalìa dell'acqua fredda. Alla strega venivano legate le mani con i piedi con una fune, in modo tale che la posizione non fosse certo propizia per rimanere a galla. Dopodiché veniva immersa in acqua; se galleggiava era sicuramente una strega in quanto l'acqua 'rifiutava' una creatura demoniaca, se andava a fondo era innocente ma difficilmente sarebbe stata salvata in tempo.
IL TORMENTUM INSOMNIAE: Consisteva nel privare le streghe del sonno. La vittima, legata, era costretta a immersioni nei fossati anche durante tutta la notte per evitare che si addormentasse.
LA RUOTA: In Francia e Germania la ruota era popolare come pena capitale. Era simile alla crocifissione. Alle presunte streghe ed eretici venivano spezzati gli arti e il corpo veniva sistemato tra i raggi della ruota che veniva poi fissata su un palo. L'agonia era lunghissima e poteva anche durare dei giorni.
LA SEDIA DELLE STREGHE: La sedia inquisitoria, comunemente detta sedia delle streghe, era un rimedio molto apprezzato per l'ostinato silenzio di talune indiziate di stregoneria. Tale attrezzo, pur universalmente diffuso, fu particolarmente sfruttato dagli inquisitori austriaci. La sedia era di varie dimensioni, diverse forge e fantasiose varianti; tutte comunque chiodate, fornite di manette o blocchi per immobilizzare la vittima ed, in svariati casi, aveva il pianale di seduta in ferro, così da poterlo arroventare. Vengono riportate notizie di processi dai quale risulta come l'uso di questo strumento potesse venir prolungato, sino a trasformarsi in vera e propria pena capitale.
IL FORNO: Questa barbara sentenza era eseguita in Nord Europa e assomiglia ai forni crematori dei nazisti. La differenza era che nei campi di concentramento le vittime erano uccise prima di essere cremate
LA PRESSA: Anche conosciuta come pena forte et dura, era una sentenza di morte. Adottata come misura giudiziaria durante il quattordicesimo secolo, raggiunse il suo apice durante il regno di Enrico IV. In Bretagna venne abolita nel 1772.
IL SUPPLIZIO DEL TRONO: Questo attrezzo consisteva in una specie di seggiola gogna, sarcasticamente definita "trono". L'imputata veniva posta in posizione capovolta, con i piedi bloccati nei ceppi di legno. Era questa una delle torture preferite da quei giudici che intendevano attenersi alla legge. Difatti la legislazione che regolamentava l'uso della tortura, prevedeva che si potesse effettuare una sola seduta, durante l'interrogatorio della sospetta. Malgrado ciò, la maggioranza degli inquisitori ovviava a questa normativa, definendo le successive applicazioni di tortura, come semplici continuazioni della prima. L'uso di questo strumento invece, permetteva di dichiarare una sola effettiva seduta, sorvolando sul fatto che questa fosse magari durata dieci giorni. Il "trono", non lasciando segni permanenti sul corpo della vittima, si prestava particolarmente ad un uso prolungato. E' da notare che, talvolta, unicamente a questo supplizio, venivano effettuate, sulla presunta strega, anche le torture dell'acqua o dei ferri roventi.
IL ROGO: Una delle forme più antiche di punizione delle streghe era la morte per mezzo di roghi, un destino riservato anche agli eretici. Il rogo spesso era una grande manifestazione pubblica. L'esecuzione avveniva solitamente dopo breve tempo dall'emissione della sentenza. In Scozia, il rogo di una strega era preceduto da giorni di digiuno e di solenni prediche. La strega prima veniva strangolata e poi il suo corpo (In stato di semi-incoscienza) era scaricato in un barile di catrame prima di venire legato a un palo e messo a fuoco. Se la strega, nonostante tutto, riusciva a liberarsi e a tirarsi fuori dalle fiamme, la gente la respingeva dentro.
IL DISSANGUAMENTO: Era una credenza comune che il potere di una strega potesse essere annullato dal dissanguamento o dalla purificazione tramite fuoco del suo sangue. Le streghe condannate erano "segnate sopra il soffio" (sfregiate sopra il naso e la bocca) e lasciate a dissanguare fino alla morte.
LA MASECTOMIA: Alcune torture erano elaborate non solo per infliggere dolore fisico ma anche per sconvolgere la mente delle vittime. La mastectomia era una di queste: la carne delle donne era lacerata per mezzo di tenaglie, a volte arroventate. Questa vergogna era più di una tortura fisica; l'esecuzione faceva una parodia sul ruolo di madre e nutrice della donna, imponendole un'estrema umiliazione.
LA PERA: La Pera era un terribile strumento che veniva impiegato il più delle volte per via orale. La pera era usata anche nel retto e nella vagina. Questo strumento era aperto con un giro di vite da un minimo, a un massimo dei suoi segmenti. L'interno della cavità in questione era orrendamente mutilato e spesso mortalmente. I rebbi costruiti alla fine dei segmenti servivano meglio per strappare e lacerare la gola o gli intestini. Quando applicato alla vagina i chiodi dilaniavano la cervice della povera donna. Questa era una pena riservata a quelle donne che intrattenevano rapporti sessuali col Maligno o i suoi familiari.
LO SCHIACCIA-POLLICI: Un'altra tortura durante la quale i pollici delle vittime venivano stritolati tra due legni nei quali erano infilate delle punte metalliche. La tortura continuava finché
la vittima non confessava, ma la maggior parte delle volte si giungeva molto in
fretta alla conclusione, cioè alla rotture dei polpastrelli e delle dita.
f Il leggendario autodafé: L'auto-da-fé (gli Spagnoli dicevano "auto de la fé, "autodafè" è l'espressione portoghese), atto solenne di riconciliazione degli eretici pentiti con la fede, aveva luogo la domenica, o un giorno di festa, in presenza dei fedeli riuniti in una piazza pubblica, o nella chiesa principale, comunque all'interno della città, in presenza delle autorità ecclesiastiche, le sole in scena in questi casi. Le autorità civili erano presenti solo come spettatori, così come gli altri fedeli. Niente a che vedere, dunque, con il rogo. Esso invece non può essere eretto che nel corso della settimana. La cerimonia - il rogo - ha luogo fuori dalla città per non contaminarla, e vi prendono parte attivamente le sole autorità civili. Ma dei confessori accompagnano gli sfortunati sino al piedi del rogo, nella speranza di strappare le loro anime al fuoco dell'inferno.
P. Fredéricq ci ha lasciato la descrizione di un autodafè che ebbe luogo nel 1458 ad Harlem. "Un sarto di nome Edon, un po' letterato, che leggeva la Bibbia solo in lingua volgare e la capiva male, si mise a propagare diversi errori concernenti la Vergine, il culto dei santi e i sacramenti. Poiché egli era eloquente e di costumi austeri, sì fece dei discepoli, tra cui anche un prete e il il maestro d'arte Nicolas di Naarden. Segnalati al vescovo di Utrecht, entrambi vennero arrestati, esaminati da un Domenicano dottore in teologia e invitati a ritrattare, cosa che essi fecero senza difficoltà. La riconciliazione solenne ebbe luogo la quarta domenica dopo Pasqua sulla piazza del Sabbione di Harlem, in presenza della popolazione convocata dalla grossa campana della città. Era stato eretto un palco di legno, con tre gradini, da cui erano visibili al pubblico: nel gradino superiore, Edon e il suo discepolo; ai piedi del pulpito dell'Inquisitore, e sui seggi della galleria inferiore, il vicario generale e il vescovo ausiliario di Utrecht, con il clero secolare e regolare; infine, di fronte, le autorità civili, tutte pronte a portare sul rogo gli accusati, in caso di ostinazione. Dopo il sermone sulla fede fatto dal Domenicano, che non durò meno di due ore - questo era l'auto propriamente detto - egli rilesse e confutò una dopo l'altra le loro confessioni. Sulla base delle loro risposte affermative essi furono assolti, ma non senza subire una penitenza: per Edon, divieto sotto pena di morte, di predicare e di abbandonare la città per tutta la vita; per un anno, obbligo di assistere alla messa e alla processione della domenica, con un cero in mano e con l'abito di penitenza: tunica grigia, con scapolare blu e una croce gialla; per il prete Nicolas, sospensione a divinis per un certo tempo e recita di numerosi salteri". La sentenza, una volta decretata, doveva essere resa pubblica. Il più delle volte, questa cerimonia veniva celebrata con grande pompa, una domenica, di buon mattino. Cominciando con un sermone appropriato, essa proclamava le indulgenze pontificie per tutti gli astanti, annunciava le grazie accordate e le variazioni di pena, finiva con le punizioni più terribili. I condannati, in ginocchio, abiuravano i loro errori, la mano sui Vangeli, cantavano i salmi penitenziali e recitavano le preghiere. In seguito veniva tolta la sentenza di scomunica che li aveva colpiti. Un certo numero di parenti, amici e compatrioti, erano invitati per servire da testimoni al castigo e al pentimento, ed anche per imparare a fuggire accuratamente l'errore sotto tutte le sue forme. Non c'erano né roghi, né carnefici, né esecuzioni. Gli"auto-da-fé" furono relativamente poco frequenti, e il numero delle vittime date alle fiamme non rappresenta che una debole proporzione rispetto a quelle che ebbero a che fare con il Tribunale. Ma, ad ogni modo, il fatto di essere sottoposti a questo tipo di inchiesta, pesava sull'individuo e la sua famiglia.
I personaggi...
I Bernard Gui: Nato a Royère nel Limousin, Bernardus Guidonis (secondo la forma latina del suo nome), entrò nell’Ordine Domenicano a Limoges e vi fece professione nel 1280; fu in seguito lettore e priore in differenti conventi dell’Ordine, cercandovi e raccogliendovi i documenti procedurali che gli sarebbero serviti più tardi. Priore di Limoges, fu nominato inquisitore nel 1307 per conto del tribunale di Tolosa: avrebbe adempito a tale uffizio fino al 1323, mentre fungeva anche, fra il 1317 e il 1321, da Procuratore Generale del suo Ordine presso la Curia Pontificia ad Avignone e svolgeva anche, per incarico Papale, alcune missioni diplomatiche. Nel 1323 gli fu assegnata la cattedra episcopale di Tuy in Galizia, ma non raggiunse mai la sua sede; l’anno seguente gli fu di fatti attribuita quella di Lodève, dove trascorse i suoi ultimi anni. Scrisse opere di liturgia, di catechesi, di agiografia e trattati dedicati alla storia del suo Ordine.
Fu anche storico della Chiesa; si ricorda il suo Flores chronicorum seu catalogusPontificum Romanorum. Si occupò anche di storia e di genealogia dei sovrani temporali e di vicende legate alle diocesi di Limoges e di Lodève. Ma la sua opera più importante è certamente la Practica Inquisitionis hereticæ pravitatis, il manuale di procedure inquisitoriali.
Tomas de Torquemada: Nato nel 1420 nella vecchia Castiglia, in un piccolo centro verso Valladolid, inflessibile priore del convento Domenicano dell Santa Cruz di Segovia e confessore dei re cattolici, fra Tomàs organizzò e teorizzò nelle sue famose Instructiones redatte fra 1484 e 1498 il suo compito, che prevedeva il graduale allontanamento degli ebrei dalla Spagna. L’obbiettivo era di fondare un’identità nazionale spagnola rigorosamente ancorata all’ortodossia cattolica: una svolta rispetto a una realtà che aveva veduto, per molti secoli, un dialogo ferrato e una convivenza non troppo facile, comunque articolata e nel complesso positiva tra Cristiani, ebrei e musulmani. La linea portante dell’azione di Torquemada fu essenzialmente l’allontanamento dal paese degli ebrei restii alla conversione. Dopo il 1492, fu decretata l’espulsione in blocco degli ebrei e l’attenzione diTorquemada si spostò sui moriscos (musulmani convertiti). L’immagine di fra Tomàs come di un truce e sadico tormentatore è del tutto infondata a detta dei più autorevoli storici spagnoli, ma voi sapete come io non dia troppo peso agli storici.Visto che il periodo che interessa questo argomento esula dal tema di questa ricerca, e dalla mia personale conoscenza, mi limiterò ad esporre dei dati ufficiali tratti da autentiche fonti, senza aggiungere altro; il tutto a puro titolo informativo, visto che non ho risorse e documentazioni sufficienti a dare un quadro completo e SICURO su tali temi. La mia ricerca si ferma qui.
Sono due i motivi di tale termine: la fine del medioevo e la politica dei re Cattolici che avevano insistito col Papa per avere mano libera anche nelle questioni religiose nel loro paese.
Gli unici dati certi che posso riportare sono i seguenti:
- Torquemada presiedette a circa 100.000 processi, su questi, le condanne capitali che sentenziò furono 2.000, circa 98.000 furono invece le sentenze tra assoluzioni e condanne minori.
- Il Papa, spesso, protestò ufficialmente per l’agire degli inquisitori che non rispettavano le secolari norme.
Galileo Galilei: Nel marzo del 1610, pubblicò il Sidereus nuncius con la notizia delle sue scoperte che facevano crollare la teoria aristotelica della perfezione dei corpi celesti e che dimostravano il sistema eliocentrico. Queste scoperte provocarono vivacissime polemiche all’interno dell’ambiente scientifico rinascimentale, tant’è che Galileo attirò l’inimicizia di personaggi altamente influenti. Cosa importante che va evidenziata soprattutto in questa sede è che le teorie di Galileo trovarono approvazione da parte degli astronomi Gesuiti…
A voi le conclusioni.
A seguito del giudizio Inquisitoriale, venne condannato alla detenzione, pena che presto si tramutò in arresti domiciliari nella sua villa di Arcetri, e data la sua veneranda età, Galileo sarebbe costretto ugualmente al riposo domestico; continuò comunque i suoi studi di astrofisica e nel 1638 pubblicò la sua ultima opera Discorsi e dimostrazioni intorno a due nuove scienze.
Si spense l’8 gennaio 1642 nel suo letto ad Arcetri.
t Giovanna D’Arco: Venne catturata e poi venduta a Giovanni di Lussemburgo ed infine agli inglesi, i quali, consapevoli del fatto che non bastava giustiziarla per scoraggiare definitivamente i suoi seguaci, decisero di far leva proprio sul lato religioso. Inscenarono quindi a Rouen un processo inquisitoriale a dir poco fraudolento, basato su non chiare accuse ereticali. Tramite un inganno, Giovanna firmò un’abiura che confermava le accuse. Al tribunale presiedette il Vescovo di Beauvois, Pierre Cauchon, che non aveva mai creduto all’origine Divina delle azioni della Pulzella di Orleans. A seguito del processo, Giovanna venne condannata alla detenzione.Gli inglesi, per nulla contenti, la arsero viva il 30 maggio 1431 nella piazza del mercato di Rouen. Giovanna morì invocando il nome di Gesù e addirittura il Vescovo Cauchon non seppe trattenere la commozione.
Gli inglesi fecero buttare le sue ceneri nella Senna per impedire la sua mitizzazione. Venticinque anni dopo, quando il sovrano Carlo VII riconquistò Rouen, si riaprì l’inchiesta inquisitoriale e con l’autorizzazione di Papa Callisto III, l’Inquisizione riabilitò la Pulzella. Nel 1909, Giovanna venne beatificata da Papa Pio X e nel 1920, proclamata Santa da Benedetto XV.
Giordano Bruno: A 15 anni vestì l’abito Domenicano e fu ordinato sacerdote nel 1572. Giordano era solito esporre il suo pensiero in maniera quasi predicativa, pensiero che era incentrato sull’ infinità dell’universo e sull’ infinità delle creature che lo abitano. Intendeva Dio come la natura stessa nella sua unità; l’uomo invece sarebbe solo una delle forme dell’universale natura e la civiltà umana doveva essere considerata come la continuazione di un processo che si manifesta già nella natura. In tal senso debbono essere interpretate le invenzioni umane, le industrie e le arti, come normale sviluppo naturale di una specie animale. L’estrema aggravante di queste sue predicazioni, era proprio l’Abito sacerdotale.Sotto processo per eresia, si rifugiò a Roma, ma l’aggravarsi del processo lo spinse a deporre l’Abito. Pellegrinò per l’Italia, la Francia e la Svizzera e a Ginevra aderì alla chiesa calvinista frequentando i corsi di teologia.Ben presto però si ribellò ai suoi professori e fu costretto ad abbandonare la città. Riparò a Parigi, dove Enrico III lo inviò in Inghilterra. Nel 1590 è a Francoforte, passò poi a Venezia inviatovi dal patrizio Mocenigo, ma questi, deluso dagli insegnamenti di Bruno, lo denunziò agli inquisitori veneti.Il Santo Uffizio romano lo tenne in prigione per 7 anni senza riuscire a farlo ritrattare. Ampiamente trascorso il periodo di prigionia pre-esecuzione (dove si dava la possibilità all’accusato di pentirsi), venne condotto sul rogo e qui gli venne applicata la regola in extremis, dove egli confermò il suo rifiuto al Cristianesimo.
Venne arso vivo come reo impenitente nel 1600.

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