Luigi Pirandello

Materie:Appunti
Categoria:Italiano

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Testo

PIRANDELLO

Pirandello nasce in una contrada nella campagna nei pressi di Girgenti (Agrigento) nel 1867, la famiglia è agiata, il padre gestisce delle miniere di zolfo in affitto; si laurea in lettere all’Università di Bonn nel 1891 poiché nell’Università di Roma era sorto un contrasto con l’insegnante. Si trasferisce poi nuovamente a Roma nel 1892 e sposa Maria Antonietta Portulano, una donna che dà segni di squilibri mentali.
Nel 1903 si verifica un allagamento nella miniera di zolfo che causa il tracollo economico della famiglia; la moglie già fragile, si ammala ancora più gravemente ed è costretto a rinchiuderla in un manicomio dove resterà sino alla morte.
Nel 1904 accetta di scrivere un romanzo per una rivista “La nuova antologia” e quindi pubblica “Il fu Matrtia Pascal” ed acquista una grande celebrità; nel 1908 diventa professore ordinario di lingua italiana presso l’Istituto superiore di Magistero di Roma. Nel 1910 debutta come autore di teatro con “La morsa” e “Lumie di Sicilia”; nel 1922 raccoglie le novelle già scritte nella raccolta “novelle per un anno” e nel 1925 inizia a dirigere il teatro d’arte di Roma. Nel 1924 si iscrive al partito fascista dal quale successivamente si allontana evitando però posizioni di aperto dissenso; nel 1926 scrive “Uno, nessuno, centomila”, nel 1934 riceve il premio Nobel per la letteratura e nel 1936 si ammala di polmonite e muore.

Tre diversi ambienti influirono sulla formazione psicologica e culturale di Pirandello: quello siciliano, che contribuisce a determinare la sua fisionomia psicologica ma anche sociale e politica, infatti era un garibaldino e lui è stato educato al patriottismo e al culto dei valori risorgimentali; quello tedesco, dove conobbe gli scritti di alcuni letterati come Goethe, Heine e Schopenhuer che lo influenzarono in modo decisivo, e quello romano che fece maturare in lui la vocazione letteraria.

Famoso in tutto il mondo, sono stati coniati alcuni termini che si sono poi diffusi dappertutto, “pirandelliano” per indicare un avvenimento o una situazione paradossale, e “pirandellismo” per definire atteggiamenti ispirati al moderno relativismo o ad un esagerato controllo della ragione sul sentimento dove la tendenza raziocinante viene portata all’estremo.. Con Pirandello entrano nella letteratura italiana alcuni caratteri della letteratura europea: la crisi delle ideologie, il gusto del paradosso, la tendenza alla scomposizione e alla deformazione grottesca, la scelta della dissonanza, dell’ironia, dell’umorismo e dell’allegoria.

IDEOLOGIA

Pirandello risente delle tendenze irrazionalistiche di fine Ottocento, del pensiero di Bergson (francese) e di Simmel (filosofo tedesco vissuto tra ‘800 e ‘900). Pirandello ritiene che la vita sia un continuo divenire, una trasformazione incessante da uno stato all’altro. Noi uomini tentiamo ad attribuirci una FORMA (nostra personalità) ed anche gli altri tendono ad attribuircela. Questa “forma” è una “maschera”, del tutto illusoria. La famiglia e l’ambiente di lavoro ci impongono un ruolo, una maschera che non ci appartiene. L’uomo è imprigionato in una trappola dove ci sono due vie d’uscita: l’IMMAGINAZIONE e la FOLLIA. Ognuno di noi interpreta un ruolo.
Pirandello è fautore del relativismo conoscitivo: non esiste una realtà oggettiva, ogni individuo ha una ma il reale è complesso, molteplice. La verità nasce da un modo soggettivo di vedere le cose, da cui nasce il senso di solitudine dell’individuo, che non riesce a comunicare, capire e farsi capire, ci sono quindi tante verità soggettive. Ad influenzarlo fu anche lo psicologo francese Binet, vissuto tra l’ottocento e il Novecento; secondo lui in un individuo coesistono personalità diverse, ignote all’individuo stesso e queste possono emergere inaspettatamente. Secondo Pirandello sotto la maschera esiste un fluire di stati in perenne trasformazione; entra quindi in crisi l’idea di identità individuale: l’io si disgrega e perde la sua consistenza.

IL RELATIVISMO FILOSOFICO E LA POETICA DELL’UMORISMO
Tra il 1904 e il 1908 c’è l’elaborazione della poetica dell’umorismo e l’uscita del volume “L’umorismo” scritto con intenti accademici dove Pirandello sembra considerare l’umorismo una caratteristica perenne dell’arte. “L’UMORISMO” (riflessione sulle diverse implicazionio tragiche e comiche che stanno dietro ad un comportamento illogico) si basa sul sentimento del contrario mentre la comicità (rispecchia le contraddizioni senza analizzarle) si basa sull’avvertimento del contrario.
La poetica dell’umorismo nasce quindi da una riflessione sulla modernità; l’umorismo è l’arte del tempo moderno in cui non esistono più parametri certi di verità; è l’arte che, di fronte al tragico, fa emergere anche il ridicolo. L’umorismo non propone valori, né eroi che ne siano portatori, ma propone un atteggiamento esclusivamente critico-negativo e personaggi problematici; non risolve positivamente le questioni che affliggono l’uomo ma mette in rilievo le contraddizioni e le miserie della vita, irridendo e compatendo nello stesso tempo.
L’arte umoristica è volta ad evidenziare il contrasto tra forma e vita e tra personaggio e persona. L’uomo ha bisogno di autoinganni, deve cioè credere che la vita abbia un senso e perciò organizza l’esistenza secondo convenzioni, riti e istituzioni che devono rafforzare in lui tale illusione. Gli autoinganni individuali e sociali costituiscono la forma dell’esistenza data dagli ideali che ci poniamo e dalle leggi civili ma la forma blocca la spinta delle pulsioni vitali e quindi paralizza la vita.
La vita è una forza profonda che riesce ad erompere solo saltuariamente nei momenti di sosta o di malattia; il contrasto tra vita e forma costituisce l’arte pirandelliana.
Il soggetto, costretto a vivere nella forma, non è più una persona integra e coerente ma una maschera (o personaggio) che recita la parte che la società esige da lui.
Il personaggio non è coerente, solido e unitario perché non è una persona; ha davanti a sé due strade: o sceglie l’incoscienza, l’ipocrisia e l’adeguamento passivo alle forme (quindi diventa una maschera), oppure vive consapevolmente la scissione tra forma e vita (quindi diventa una maschera nuda consapevole degli autoinganni propri ed altrui).
L’arte umoristica scompone la realtà: è l’unica in grado di cogliere il carattere multiforme della realtà, di stimolare alla riflessione critica. Coglie il ridicolo di una persona o fatto ma ne individua sempre il fondo dolente, la sofferenza. Di fronte al serio/tragico non può evitare di emergere il ridicolo. Secondo Pirandello tragico e comico vanno sempre insieme,, nelle situazioni tragiche possiamo sempre cogliere qualcosa di comico e viceversa.
Il comico nasce dall’”avvertimento del contrario”, suscita il riso e non presenta alcuna riflessione, al contrario l’umorismo è il “sentimento del contrario” che nasce dalla riflessione. Riflettendo sulle ragioni per cui una persona o una situazione sono il contrario di come dovrebbero essere, al riso subentra la pietà.

LE CARATTERISTICHE DELL’ARTE UMORISTICA

L’arte umoristica di Pirandello ama la discordanza, la disarmonia, la contraddizione, indugia in divagazioni,distrugge le gerarchie e i sistemi di valore del passato, predilige il difforme, il grottesco, l’incongruente, il ridicolo; usa strutture aperte e respinge le leggi esteriori della retorica classica per adeguarsi al movimento libero della riflessione. Pirandello sceglie il linguaggio quotidiano, l’unico adatto a comunicare una concezione della vita che non rivela nulla di essenziale ma solo le storture di un’esistenza insensata.
Sul piano tematico c’è la destituzione dell’io, il soggetto perde cioè il suo ruolo tradizionale, l’unica arma a disposizione del soggetto è la riflessione amara, ironica, paradossale; la ragione è lo strumento indispensabile per la riflessione. La poetica umoristica rifiuta sia la concezione classica, sia la concezione romantica sia quella decadente dell’arte.

I ROMANZI SICILIANI

Nella fase centrale della sua vita, Pirandello compone alcuni romanzi tra i quali c’è “L’esclusa” dove ritroviamo molte innovazioni. Si ritrovano alcune caratteristiche riconducibili al Verismo:
* il tema dell’onore;
* le tecniche descrittive (linguaggio asciutto, privo di tifici retorici, parlata dialettale );
* l’impronta narrativa tradizionale con il narratore esterno e la focalizzazione del protagonista interna espressa tramite il discorso indiretto libero;
* l’ambiente regionale della Sicilia.
Questo romanzo è innovativo; nel romanzo verista c’è un rapporto tra causa ed effetto (determinatismo), mentre in questo romanzo c’è il gioco del caso, imprevedibile e beffardo (sottolinea gli aspetti assurdi dei comportamenti umani).
“L’esclusa” è pubblicato a puntate nel 1901 e poi in una edizione rivista e corretta nel 1908. In questo romanzo predomina il caso con i suoi paradossi: Marta Ajala, cacciata dal marito per un tradimento coniugale non commesso, viene esclusa dalla comunità ma poi verrà ripresa dal marito e riaccolta dalla famiglia proprio quando avrà veramente commesso un adulterio e aspetterà addirittura un figlio dall’amante.
“Il fu Mattia Pascal” è il romanzo della svolta, consta di tre parti ed inizia dalla fine. Mattia è un bibliotecario, vorrebbe liberarsi della sua forma che è diventata insopportabile; vive a Miragno (paese immaginario) ma vorrebbe imbarcarsi per andare in Francia; vince al Casinò e, approfittando della falsa notizia della sua morte, assume l’identità di Adriano Meis, va a vivere a Roma e qui si innamora di Adriana Paleari e vorrebbe sposarla ma non può perché non ha un’identità anagrafica, capisce di non poter vivere in questo modo e quindi inscena un suicidio, torna a Miragno, nel frattempo però la moglie si è risposata e lui capisce che è impossibile appropriarsi della vita precedente, scrive un memoriale della sua storia e va a portare dei fiori sulla sua tomba.
Il narratore è interno, il punto di vista è soggettivo ed inattendibile e la focalzzazione è interna.
Il romanzo successivo “Si gira…” pubblicato a puntate venne poi rielaborato e pubblicato con il titolo “Quaderni di Serafino Gubbio operatore”. Anche questo è un capolavoro, presenta una struttura quasi diaristica. A scrivere in prima persona è l’operatore Serafino Gubbio, diventato muto per lo shock di una tragica esperienza collegata al suo lavoro di operatore cinematografico (mentre stava riprendendo la scena di una vicenda di caccia, l’attore, invece di sparare alla tigre, indirizza il colpo verso l’attrice di cui è innamorato e quindi viene ucciso dagli artigli della belva). Questa vicenda è un pretesto per fare il bilancio della vita del protagonista, il bilancio esistenziale che si conclude con la caduta di ogni illusione, e per l’analisi impietosa della civiltà delle macchine che si riduce al rifiuto del progresso in polemica con il Futurismo. La macchina infatti fissa in un fotogramma il fluire della vita, quindi c’è la repulsione di Pirandello nei confronti della meccanizzazione; critica la mercificazione dove tutto diventa merce tramite l’industria (anche quella cinematografica). Serafino è il frutto di una società alienante, vuole essere indifferente a tutto ciò che lo circonda, il suo mutismo è il modo per vivere in una società alienata.
Il protagonista è presentato nell’atteggiamento di chi studia per cercare invano un significato della vita. Questo romanzo inizia dove finisce “Il fu Mattia Pascal”; il lavoro stesso di operatore, impersonale e tecnico, rappresenta la dequalificazione della professione intellettuale nell’era delle macchine, e contribuisce all’estraneazione del protagonista.
“Uno, nessuno, centomila” anche questo romanzo è una narrazione retrospettiva (quando la storia viene raccontata i fatti sono già accaduti) condotta da una persona che è nello stesso tempo voce narrante e protagonista della vicenda e si colloca anche qui il problema dell’identità. Assistiamo alla disgregazione della forma romanzesca: il narratore è autodiegetico. Nel romanzo non c’è un vero e propri racconto ma un continuo argomentare, riflettere, è come se ci fosse un continuo monologo; abbiamo un minimo di intreccio nella seconda parte dove Vitangelo cerca di distruggere le immagini che si sono fatte di lui. Il protagonista,Vitangelo Mostarda, (come Mattia Pascal) è un inetto, uno scioperato; si è sposato per imposizione altrui e conduce una ribellione contro il padre e contro la sua figura sostitutiva, l’amministratore. Anziché estraniarsi dalla vita ed arroccarsi in un atteggiamento critico – negativo, Vitangelo Mostarda alla fine scopre la vita nel rifiuto della forma. La contrapposizione alla civiltà delle macchine e delle città industriali è fortissima ma in quest’opera c’è un’alternativa, quella della campagna e della natura. Vitangelo comincia a ribellarsi all’opinione che gli altri hanno di lui, all’identità che gli hanno attribuito. Per raggiungere questo obiettivo, deve dissolvere la propria immagine pubblica di figlio scioperato di un banchiere usuraio. La conclusione del romanzo vuole essere paradossalmente positiva, ad una struttura aperta ed umoristica, segue una conclusione chiusa che vuole uscire dalla forma per entrare nella vita, uscire dalla società per entrare nella natura.

NOVELLE PER UN ANNO
Pirandello scrisso novelle per tutta la vita, pensava di riunire tutti i suoi racconti sotto il titolo di “Novelle per un anno”, suddivise in 24 volumi contenenti 15 novelle ciascuno, per un totale di 360. gli attuali 15 volumi comprendono in totale 225 racconti. L’opera fu concepita nel 1922 e presenta una struttura enigmatica priva di un ordine determinato infatti le novelle non sono disposte in senso cronologico e neppure raggruppate in modo tematico. Alcuni critici hanno cercato dei criteri di lettura, in particolare il criterio geografico cioè le novelle siciliane e quelle romane o piccolo borghesi.
Le novelle siciliane sono quelle più vicine al verismo (es, La patente, e La giara) in esse prevale l’introspezione psicologica rispetto alle condizioni economico sociali, inoltre Pirandello attua il rovesciamento umoristico dei luoghi comuni e dei modelli culturali che dominano la società siciliana.
Le novelle romane o piccolo borghesi (così chiamate per la classe sociale rappresentata) viene rovesciato l’estetismo di D’Annunzio. Giovanni Macchia ha affermato che la fama di Pirandello è il rovesciamento di quello di D’Annunzio “Roma è l’opposto della Roma che fa sfondo al Piacere di d’Annunzio”. I personaggi delineano una borghesia in crisi, dedita ad un’esistenza grigia, monotona. Il tema costante è il tema della trappola, infatti gli individui sono intrappolati in una vita mediocre e frustrante; l’elemento comune è l’umorismo basato sul sentimento del controllo. Tra queste vi sono 19 novelle scritte negli anni Trenta e raccolte negli ultimi due volumi dove troviamo lo scavo nella dimensione dell’inconscio; “I piedi nell’erba”. Il protagonista è un uomo molto anziano al quale è morta la moglie, e trascorre molto tempo ai giardini pubblici dove tanti bambini giocano con i piedi nudi nell’erba. L’anziano avverte il bisogno di denudarsi i piedi e sentire il contatto con la natura. Questa rappresenta il bisogno di regredire all’infanzia ma anche ad un impulso di carattere esibizionistico (a carattere sessuale). Una fanciulla capisce ciò che il vecchio non aveva capito e, profondamente indignata, si mette ad inveire contro di lui. Il vecchio, meravigliato, non si riconosce e non capisce la reazione della fanciulla. Queste novelle sono riconducibili al surrealismo con un ambiente allucinato.

LA FASE DEL GROTTESCO
All’inizio del Novecento dominava il Dramma Borghese che rappresentava la quotidianità della vita borghese contemporanea. I personaggi erano personalità coerenti, edulitarie e gli eventi erano verosimili. Pirandello continua a rappresentare la vita borghese ma forza all’estremo e deforma i casi della vita normale, quotidiana. Intrecci e personaggi rasentano l’assurdo, le convenzioni e le certezze sono sottoposte a critica, il linguaggio è diverso da quello del dramma borghese, è concitato con frasi interrotte, interrogative, esclamative e sospensioni. Questo è il dramma del GROTTESCO, cioè un dramma in cui tragico e comico si intrecciano. Il grottesco nasce nel 1916 con un dramma di Luigi Chiarelli dal titolo “La maschera e il volto”.; Pirandello aderisce al grottesco dal 1917/18 con tre opere: “Così è se vi pare”, “Il piacere dell’onestà”, “Il gioco delle parti”. Il grottesco è la variante dell’umorismo che caratterizza la narrativa.
“Così è se vi pare” si parla di una famiglia, il Signor Ponza e la signora Frola che sostengono verità opposte: la Signora Frola sostiene che la moglie del Signor Ponza è sua figlia e il genero le impedisce di vederla; mentre il Signor Ponza afferma che la figlia della signora Frola è morta in un terremoto e che la donna con cui lui vive è la sua seconda moglie. Qui sono in questione sia la categoria di identità sia quella della verità, infatti uno dei due è pazzo ma quale, la suocera o il genero? L’unica che potrebbe svelare il dilemma è la moglie del signor Ponza. Si giunge persino ad un’inchiesta giudiziaria e al termine del dramma arriva sulla scena la moglie del signor Ponza che dice: “IO SONO COLEI CHE MI SI CREDE E PER ME NESSUNA”. Così non si risolve la situazione.
Qui ritroviamo il relativismo (unione di più verità infatti non esiste una verità valida per tutti) ed inoltre viene sottoposta a critica l’idea dell’identità personale.

LA FASE DEL TEATRO
Pirandello vuole dimostrare che il teatro borghese non è rappresentabile e che l’arte è incapace di cogliere il significato della vita. Nasce così lo spettacolo nello spettacolo, il teatro nel teatro, una tecnica teatrale che offre lo spunto per fare metateatro cioè andare aldilà del teatro per riflettere sulle funzioni e sulle problematiche del teatro stesso. Scrive quindi una trilogia di opere: “Sei personaggi in cerca d’autore” (1921), “Ciascuno a modo suo” (1923), “Questa sera si recita a soggetto” (1928/29).
“Ciascuno a modo suo” induce a riflettere sul rapporto tra il pubblico e gli attori ed alla fine gli spettatori fanno irruzione sulla scena.
“Questa sera si recita a soggetto” parla del rapporto conflittuale tra gli attori ed il regista che vuole renderli dei semplici strumenti. Gli attori si ribellano e cacciano il regista.

ENRICO IV
Il protagonista non viene mai nominato, è un borghese che per otto anni ha finto di essere Enrico IV perché è disgustato dalla società che lo circonda, dove tutti indossano una maschera e si allontana da questa società per indossare anch’egli la maschera che lui stesso ha voluto. Il personaggio di Enrico IV è contraddittorio, ambivalente, doppio perché da un lato avverte la nostalgia della vita ma al tempo stesso è disgustato dalla vita stessa. Quando però decide di indossare una maschera, scelta da lui, questa diventa una sorta di protezione nei confronti del mondo; questa maschera lo isola ed osserva il mondo da fuori. Recitando quel ruolo aveva creduto di aver rimosso le antiche pulsioni ma queste sono riaffiorate come se volessero cancellare tutto ciò che lui aveva rimosso allontanandosi completamente dalla società.

I GIGANTI DELLA MONTAGNA
Questo dramma è rimasti incompiuto, non rappresenta la vita quotidiana in modo grottesco ma i testi si collegano in una atmosfera mitica dove i luoghi sono legati all’immaginario con eventi prodigiosi. Da un lato abbiamo il luogo del mito, la villa della Scalogna, separata e isolata dal mondo dove il mago Cotrone e altri dimissionari dalla vita si dedicano a pratiche magiche facendo riemergere il mondo dall’inconscio; dall’altro la montagna dove abitano i Giganti insensibili all’arte e dediti solo alla guerra, agli affari (evidentemente i Giganti rappresentano il potere fascista , la sua ideologia, il suo costume).e dove Ilse, la prima attrice di una compagnia di commedianti respinti dalla società, vorrebbe portare il messaggio dell’arte recitando “La favola del figlio cambiato”. Per il mago l’arte deve essere autonoma e l’artista deve essere pago della sua opera senza cercare una rappresentazione in pubblico, infatti l’attrice viene fatta a pezzi dai servi dei Giganti. L’opposizione dei luoghi rivela anche l’opposizione tra natura e civiltà, fra mito e storia.

SEI PERSONAGGI IN CERCA D’AUTORE
È un dramma molto innovativo e ricco di significato che, alla prima rappresentazione suscitò nel pubblico molta indignazione ma poi ebbe un successo su scala mondiale.
La vicenda: c’è una compagnia a teatro che sta provando “Il gioco delle parti”, all’improvviso arrivano sei personaggi, concepiti nella mente di un autore che però si è rifiutato di scrivere la loro storia, è un dramma molto melodrammatico. I sei personaggi insistono con il capocomico affinché la compagnia accetti di rappresentare questo dramma, si sforzano di far capire agli attori come rappresentare la loro vicenda ma i sei personaggi non sui riconoscono affatto in essi.
Pirandello mette in scena l’impossibilità di scrivere e rappresentare il vero dramma, quindi esprime il rifiuto del dramma borghese che non viene messo per iscritto. Scrivere è un carattere esasperatamente romantico e l’autore dopo aver concepito la storia si rifiuta di scriverla perché il dramma dei sei personaggi è un classico dramma borghese; rappresentare: gli attori cercano di rappresentare la storia ma alla fine i personaggi non sono soddisfatti, non si riconoscono infatti è difficile rappresentare un dramma specialmente per la mediocrità degli attori che sono incapaci di dare vita artistica ai personaggi. Lo scrittore quando elabora un testo gli dà un significato ma la rappresentazione teatrale tradisce il significato che l’autore voleva dare al testo, si deve fare una rappresentazione teatrale che esprima il significato dato dall’autore. In questo modo Pirandello comunica l’impossibilità di comunicare, ciascuno di noi attribuisce alle parole un proprio significato che sarà diverso da quello attribuito da un’altra persona.

LA DIFFERENZA TRA UMORISMO E COMICITA’: L’ESEMPIO DELLA VECCHIA IMBELLETTATA

Pirandello dà grande importanza al momento della riflessione e l’umorismo rispecchia la riflessione . L’umorismo si basa sul sentimento del contrario, la comicità invece si basa sull’avvertimento del contrario; ne è un esempio la vecchia che si imbelletta come se fosse una giovinetta, vedendola ridiamo ma quando subentra la riflessione si genera il sentimento del contrario, la signora infatti è il contrario di quello che dovrebbe essere ma molto probabilmente la donna fa tutto ciò per tenersi vicino un marito giovane e quindi, riflettendo, noi andiamo al di là delle apparenze. Grazie a tale sentimento, riflettendo sulle ragioni per cui una vecchia si imbelletta, si può giungere a compatirla amaramente. Il comico invece si limita a rispecchiare determinate condizioni senza analizzare le diverse prospettive, quindi produce l’ilarità.
L’arte dell’umorismo coglie tutti gli aspetti, sia quelli ironici sia quelli seri, un’arte che fa emergere il ridicolo anche nelle situazioni comiche ( comico e ridicolo vanno di pari passo) coglie il carattere disordinato ed, in molte forme della realtà, implica una riflessione.
“Ne scompone l’immagine”: è uno dei caratteri specifici dell’umorismo.
“Il sentimento del contrario”: definisce l’umorismo non solo un atteggiamento intellettuale, ma un sentimento. Pirandello insiste sul suo valore esistenziale e sulla capacità di cogliere la realtà della condizione umana. Il sentimento è il momento che definisce l’essenza dell’umorismo.
“Avvertimento del contrario”: il comico non è sol una categoria a sé, ma anche il primo momento dell’umorismo.

IL TRENO HA FISCHIATO…
La novella è stata riunita nel volume di novelle “La trappola” poi inserita nelle “novelle per un anno”. Si narra di un impiegato modello, Belluca, che ha una vita famigliare insopportabile, dovendo sfamare tante bocche si porta a casa il lavoro ma poi si ribella al capoufficio e viene portato in manicomio. La svolta è il fischio di un treno nella notte, è come se qualcosa in lui si risvegliasse allora si ribella, arriva tardi in ufficio,si ribella al capoufficio, lo scambiano per pazzo ma, per la prima volta, egli ha intuito, dopo tanti anni di lavoro, l’esistenza di un’altra vita al di là di quella usuale e monotona di tutti i giorni, è rinato. Di questa vita ha avuto improvvisa intuizione udendo il fischio di un treno che provoca in lui la tendenza all’evasione nel mondo dell’immaginazione e della fantasia.
La novella inizia con l’alienazione mentale, la follia che i colleghi vedono in lui; ricoverato in un manicomio, viene ricostruita la sua vicenda dalla voce narrante del vicino di casa che come narratore lo compatisce. Alla fine la voce narrante dice che, essendosi svegliato dopo tanto tempo si è ubriacato e non avrebbe più potuto riprendere la vita precedente perché sapeva di avere una via d’uscita, poteva infatti uscire dalla trappola per mezzo della fantasia.
VV. 1 – 3: E’ rappresentata l’alienazione mentale, la follia. “i compagni d’ufficio” – su di loro è focalizzata la prima parte del racconto.
VV. 10 – 13: emerge il punto di vista del narratore che insiste sulla contrapposizione tra il protagonista, malato e prigioniero del triste ospizio, ed i suoi colleghi, sani e pronti a godersi il gaio azzurro del cielo.
VV. 20: il narratore compatisce Belluca “quell’infelice”, la verità esiste ed è compito dello scrittore portarla alla luce.
VV. 23 - 26: alienazione mentale e ribellione all’ordine borghese.
VV. 29: “circoscritto”esprime la crudeltà di un sistema spersonalizzante che riduce l’individuo ad una serie di funzioni (forme) che ne soffocano la libertà (la vita). Questa è la vera alienazione dell’uomo.
VV. 36 – 42: Pirandello mette in evidenza come, nella vita monotona di tutti i giorni, molti colleghi lo trattavano male per vedere se lui reagiva, ma non fu così perché era intrappolato nella forma. Belluca è paragonato prima ad un mobile (casellario ambulante) poi ad una bestia (vecchio somaro).
VV. 43: “veramente” riprende con ironia più amara.
VV. 48: “con più di mezz’ora di ritardo” il narratore assume il punto di vista dei colleghi con effetto straniante.
VV. 49 - 52:la follia di Belluca è preparata da una sorta di illuminazione
VV. 67 – 69: il racconto frammentario di Belluca ha i tratti dell’epifania: un evento quotidiano e banale scopre il senso di tutta una vita. Il primo desiderio di Belluca è evadere.

VV. 71: “giù risate da pazzi” –c’è un valore nuovo e attribuisce l’alienazione non a Belluca ma ai suoi colleghi.
VV. 75 – 79: alla brutalità fisica del capoufficio, Belluca oppone la certezza della sua illuminazione, che ha radicalmente mutato la sua esistenza. Dandogli quella dignità di uomo che sino ad allora aveva ignorato.
VV. 80 – 82: il fischi del treno, caricandosi di significati imprecisati, diventa un simbolo.
VV. 86: “bislacche” è ancora il punto di vista dei colleghi d’ufficio, che il narratore ripete ironicamente.
VV. 90 – 91: “azzurre fronti” – “facevan la virgola” il corsivo sottolinea l’estraneità del nuovo Belluca al vecchio e al mondo dell’ufficio.
VV. 92: “chi venne a riferirmele” il narratore diventa ora un personaggio, è quello il cui punto di vista è il più vicino alla verità.
VV. 103: il narratore è quello che media tra la follia di bellica, che non può essere compresa dagli altri uomini cioè i colleghi, e il lettore.
VV. 105: “una vita impossibile” capovolge i termini della questione rendendo naturalissima la follia e assurda la vita quotidiana.
VV. 114: fa un flashback parlando dell’insopportabile vita famigliare.
VV. 120: “tutt’e tre volevano essere servite” contrariamente a quanto si potrebbe pensare anche le tre cieche esercitano la loro crudeltà contro Belluca. Se l’oppressione in ufficio è il prodotto immediato dei rapporti sociali, in quella domestica ciò è vero solo in parte. La cecità, cioè la malattia, è segno di uno sfavore della natura e del destino, dilata l’oppressione sociale in un disagio esistenziale più ampio.
VV. 129 – 133: Pirandello modifica in senso grottesco una trama che altrimenti sarebbe convenzionale e patetica; presenta le cieche non come personaggi che fanno pietà, ma come disumanizzazione della loro malattia; ed insiste sul carattere macchiettistico dei conflitti dio casa.
VV. 146 – 147: il narratore presenta la follia come conoscenza più vera e più profonda della realtà, l’apostrofe al lettore è tipica della narrativa di Pirandello.
VV. 152: finalmente racconta l’accaduto. C’è una avvenimento che cambia la sua esistenza, il fischio del treno, che fa risvegliare qualcosa ed è come se a Belluca si rivelasse la VITA VERA, che esiste ma a lui non appartiene. Grazie al fischio del treno lui riflette sull’esistenza di altri individui in altri luoghi, può pensare a cose diverse tramite l’immaginazione. È totalmente inebriato dall’esperienza fatta che lo ha risvegliato.
VV. 156 – 161:torna il lessico dell’apertura epifania ( sturati, squarciato, scoperchiato, spalancava…).
VV. 167:”la vita che vi si viveva” è un termine chiave, esso rivela il carattere allegorico della novella.
VV. 189 – 192: “una capatina in Siberia oppure nelle foreste del Congo” paradossalmente il finale sottolinea l’inconciliabiltià delle esistenze.
La novella è divisa in cinque parti. Nella prima prevale il punto di vista dei colleghi di Bellica e dei medici che lo hanno ricoverato nell’ospedale psichiatrico. Nella seconda si alternano le prospettive del protagonista e della voce narrante, vengono quindi a fronteggiarsi due posizioni: quella dei colleghi e delle autorità, che rappresentano l’opinione comune e pensano sia un caso di alienazione mentale, e quella della voce narrante che in parte coincide con quella di Belluca che pensano sia un caso naturalissimo.
Di fronte alla verità convenzionale delle autorità si fa strada a poco a poso una verità diversa; a manifestare l’insoddisfazione è il narrante la cui funzione è duplice: da una lato quella di contestazione delle verità cristallizzate, dall’altro di indagine per appurare un diverso possibile senso.
Belluca è uno dei tanti impiegati alienati dal lavoro, posti per la prima volta sulla scena della narrativa. La routine del lavoro in ufficio e una situazione famigliare penosa hanno trasformato la vita di Belluca in un meccanismo implacabilmente ripetitivo.

C’E’ QUALCUNO CHE RIDE
Questa novella fa parte dell’ultima sezione delle “Novelle per un anno” che comprende i racconti scritti negli anni Trenta quando Pirandello era alla fine della carriera. Si descrive una finta festa di carnevale turbata dal riso di alcuni intrusi, una famigliola che viene dalla campagna. Tutti i partecipanti sono turbati dal riso della famiglia perché questa rappresenta l’istinto e quindi la società si sente minacciata perché l’istinto può rivelare le convenzioni false su cui si fonda la società I capi della comunità mettono allora in scena una parodia che fa esplodere in una risata la folla degli invitati e costringe gli intrusi ad una fuga precipitosa.
Tutta la novella è incentrata sulla descrizione dell’atmosfera surreale.

L’ULTIMA PAGINA DEL ROMANZO: PASCAL PORTA I FIORI ALLA PROPRIA TOMBA
È la pagina in cui si considera quale conclusione possa trarsi dalla storia di Pascal. Don Eligio dà la sua interpretazione positiva (senza stato civile e senza documenti non si può vivere), e Pascal gli contrappone la sua del tutto negativa. Anche Benedetto Croce avanzò l’ipotesi che non è possibile vivere senza un’identità ANAGRAFICA perché si è fuori dalla legge.
Questo finale genera anche ilarità, si è liberato di alcune maschere che aveva inizialmente e quindi ora è una maschera NUDA, infatti si è totalmente estraniato dalla vita. La maschera nuda non vive ma si guarda vivere, riflette sulla propria esistenza con razionalità.
VV. 11 – 12: Don Eligio allude all’impossibilità di Pascal di vivere come Adriano Meis, fuori della legge perché è senza documenti; e al fatto che neppure si può vivere fingendo di dimenticare i condizionamenti che, bene o male, hanno costruito la nostra personalità.
VV. 23: “Io sono il fu Mattia Pascal” finale tipicamente umoristico: troviamo comico e tragico strettamente collegati.
A prima vista la morale del romanzo potrebbe sembrare quella enunciata da Don Eligio: fuori delle convenzioni sociali è impossibile vivere (anche Benedetto Croce vide nel romanzo il trionfo dello stato civile) ma in realtà la conclusione è diversa: se è vero che Adriano Meis ha esperimentato che fuori da un assetto sociale è impossibile vivere, è anche vero che il fu Mattia Pascal ha imparato a non vivere, o a vivere come fu, in una condizione di totale estraneità alla vita. Mentre Adriano Meis aveva ancora l’illusione di poter vivere, il fu Nattia Pascal ha rinunciato a tale autoinganno. Infatti risponde a Don Eligio di non essere affatto rientrato nella legge e nello stato civile e neppure vuole rientrarvi. Egli dichiara di non sapere chi egli sia e di non conoscere la propria identità; la sua conclusione, espressa i forme beffarde e paradossali come portare fiori sulla propria tomba e dichiararsi “fu” è completamente negativa.

L’IRRUZIONE SUL PALCOSCENICO DEI SEI PERSONAGGI E IL TENTATIVO DI METTERE IN SCENA LA LORO VICENDA
“Sei personaggi in cerca d’autore” non è divisa in atti, ci sono però due interruzioni che lo distinguono in tre momenti.
Nel primo frammento i sei personaggi irrompono sul palcoscenico, guidati dal Padre e dalla Figliastra (gli altri sono la Madre, il Figlio, la bambina e il Giovinetto). Secondo le didascalie di Pirandello, i sei personaggi dovrebbero portare delle maschere. Mentre il Padre cerca di indurre il Capocomico a trasformarsi in autore e a portare in scena la loro vicenda, si rivela già il conflitto che lo divide dalla Figliastra, animata da spirito vendicativo nei suoi confronti.
Nel secondo frammento il Capocomico, dopo aver accettato di mettere in scena la loro storia, li induce a fare una prova, in modo che gli attori possano imparare la vicenda e le battute; i personaggi però si oppongono, almeno inizialmente, temendo di essere traditi dalla recitazione degli attori.
VV. 4 – 5: i sei personaggi arrivano in scena. In questo modo si rompe la convenzione teatrale che separa lo spazio della finzione, occupato dagli attori, dallo spazio della realtà occupato dagli spettatori.
VV. 30 – 32: una delle difficoltà dell’arte sta appunto nel rendere ragione dell’assurdo, di non tradire la vita nella parzialità fissa della forma.
VV. 92 – 99: il Padre esprime una teoria dell’arte che è quella tradizionale demistificata da Pirandello.
VV. 119 – 120: prima allusione al tema dell’incesto (il Padre ha rischiato di unirsi alla Figliastra in un postribolo); l’atteggiamento della Figliastra traduce un motivo tragico (anche se abusato) in una caricatura grottesca. Si introduce così un ulteriore contrasto. La pretesa di verità dei personaggi si esercita su una storia che in realtà è triviale.
VV. 123 – 124: sintassi del parlato, rende l’ira del Padre che in genere parla in stile alto.
VV. 154: “un nome” tema centrale in Pirandello (da il fu Mattia Pascal a Uno nessuno centomila). Per il Padre il nome è l’essenza stessa del personaggio, per il Capocomico una semplice convenzione.
VV. 192 – 195: si sottolinea di nuovo la confusone di verità e finzione.
Poiché l’autore non è mai del tutto consapevole della dinamica con cui essi nascono e si affermano nella sua fantasia, essi hanno una loro esistenza autonoma da lui che infatti non riesce a controllarne lo sviluppo. Nel caso del dramma in questione, i sei personaggi, appena nati nell’immaginazione dell’autore, sono stati da lui rifiutati. L’autore non può e non vuole rappresentare la vicenda dei personaggi, trovare un senso alla loro storia.
Il Capocomico è mostrato in tutta la sua grossolanità e volgarità: è un teatrante, un uomo che mira al successo e che non si interessa dei significati e dei valori della vita. Anche gli attori, presuntuosi e pettegoli, non sono migliori di lui, né meno volgari. Da qui la diffidenza dei sei personaggi che temono di vedere tradita la loro storia dalla recitazione degli attori. In realtà dietro la loro diffidenza si intravede quella di Pirandello che individua nella rappresentazione scenica una traduzione dell’opera scritta con il rischio che questa ne risulti irrimediabilmente alterata. È inoltre evidente la critica pirandelliana al teatro borghese.

UN INSERTO METATEATRALE
Questo dialogo tra il Padre ed il Capocomico si trova nella parte finale del dramma. Attraverso le parole del Padre, vengono esposte le posizioni teoriche di Pirandello sull’autonomia dei personaggi rispetto alla mente del loro creatore, sulla consistenza della loro identità, che, a differenza di quella umana, non muta di continuo. In mezzo a queste riflessioni è posto il tema del rapporto tra vita e forma e quello della mancanza di un autore capace, come quello tradizionale, di ricomporre i punti di vista dei vari personaggi in un’opera organica e compatta.

LA SCENA FINALE
È l’ultima pagina del dramma; le suggestioni del surrealismo hanno spinto Pirandello a porre in risalto le figure dei sei personaggi, le cui ombre si riflettono ingigantite sulla scena come fantasmi dell’inconscio. Inoltre risultano accentuati in questo finale, il tema del conflitto tra la vita e la forma e la denuncia dell’impossibilità di catturare il significato universale, espressi dalla stridula risata della figlia, che fugge dal palcoscenico verso la platea.
Nell’edizione del 1921 Pirandello aveva chiuso il dramma mettendo in risalto il tema della confusione tra realtà e finzione, nell’edizione del 1925 invece mette in evidenza il tema dell’imprendibilità del senso e conferire alle figure dei sei personaggi una maggior forza.

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