La tregua

Materie:Scheda libro
Categoria:Italiano

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Testo

Matteo Fracchia Cl. 2° Scient. B 28/0706
Scheda libro “La tregua”
CITAZIONE BIBLIOGRAFICA
Primo Levi, La tregua, Einaudi editore, Torino, 1963.
CENNI SULL’ AUTORE
Primo Levi, scrittore e testimone delle deportazioni naziste, non che sopravvissuto ai campi di concentramento, è nato il 31 luglio 1919 a Torino pur avendo origini ebraiche. Nel 1921 nasce la sorella Anna Maria, cui resterà legatissimo per tutta la vita. Fragile e sensibile, la sua infanzia è contrassegnata dalla solitudine.
Nel 1934 si iscrive al liceo classico di Torino. Si dimostra un eccellente studente, uno dei migliori, grazie alla sua mente lucida ed estremamente razionale. A questo si aggiunga, come poi dimostreranno i suoi libri, una fantasia fervida e una grande capacità immaginativa, tutte doti che gli permettono di brillare sia nella materie scientifiche che letterarie. In prima Liceo, fra l'altro, ha per qualche mese come professore d'italiano nientemeno che Cesare Pavese. E' comunque già evidente in lui la predilezione per la chimica e la biologia, le materie del suo futuro professionale. Si iscrive infatti dopo il Liceo alla facoltà di Scienze alla locale Università e si laurea con lode nel 1941.
Un piccolo particolare macchia però quell’ attestato, esso infatti riporta la dicitura "Primo Levi, di razza ebraica.
Nel 1942, per ragioni di lavoro, è costretto a trasferirsi a Milano. La guerra si espande in tutta Europa ma non solo: i nazisti hanno anche occupato il suolo italico. Inevitabile la reazione della popolazione italiana. Lo stesso Levi ne è coinvolto. Nel 1943 si rifugia sulle montagne sopra Aosta, unendosi ad altri partigiani, venendo però quasi subito catturato dalla milizia fascista. Un anno dopo si ritrova internato nel campo di concentramento di Fossoli e successivamente deportato ad Auschwitz.
Questa orribile esperienza è raccontata con dovizia di particolari, ma anche con un grandissimo senso di umanità e di altezza morale, nel romanzo-testimonianza, "Se questo è un uomo", pubblicato nel 1947, imperituro documento delle violenze naziste, scritto da un uomo di limpida e cristallina personalità.
In un'intervista concessa poco dopo la pubblicazione affermò di essere disposto a perdonare i suoi aguzzini e di non provare rancore nei confronti dei nazisti!
Ciò che gli importava, disse, era solo rendere una testimonianza diretta, allo scopo di fornire un contributo personale affinché si eviti il ripetersi di tali e tanti orrori.
Viene liberato il 27 Gennaio 1945 in occasione dell'arrivo dei Russi al campo di Buna-Monowitz, anche se il suo rimpatrio avverrà solo nell'ottobre.
Nel 1963 pubblica il suo secondo libro "La tregua", cronache del ritorno a casa dopo la liberazione. Altre opere da lui composte sono: una raccolta di racconti dal titolo "Storie naturali", una seconda raccolta di racconti, "Vizio di forma", una nuova raccolta "Il sistema periodico", una raccolta di poesie "L'osteria di Brema" e altri libri ancora come "La chiave a stella"; "La ricerca delle radici", "Antologia personale" e "Se non ora quando". Infine, nel 1986, scrive un altro testo assai ispirato dall'emblematico titolo "I Sommersi e i Salvati".
Primo Levi muore suicida l'11 Aprile 1987, probabilmente lacerato dalle strazianti esperienze vissute e dal quel sottile senso di colpa che talvolta, assurdamente, si ingenera negli ebrei scampati all'Olocausto: di essere cioè "colpevoli" di essere sopravvissuti.
COLLOCAZIONE SPAZIALE
Durante il suo ritorno Primo a modo di passare per diverse nazioni dell’est europeo. Dalla Polonia alla Russia e in seguito in Romania, Ungheria, nella Repubblica Ceca e nella Slovacca. La sensazione del ritorno è avvertita con l’ingresso in Austria, e in Germania poi, per via del ritrovato modo di vita occidentale. Il ritorno lo porta nuovamente in Austria e finalmente arriva il rimpatrio: l’Italia e il tanto agognato ritorno a casa.
COLLOCAZIONE TEMPORALE
La narrazione è compresa tra il 27 gennaio e il 19 ottobre 1945.

PERSONAGGI
Mordo Nahum : Uomo di circa 40 anni capace di parlare, oltre al greco, lo spagnolo, il francese, l’italiano, il turco e il bulgaro; è di statura piuttosto alta, occhi grandi, un grande naso ricurvo ed i capelli rossi.
Psicologicamente è dotato di una grande personalità e saggezza, un tipo introverso che parla solo in caso di bisogno. Mordo è un po’ egoista, ma anche pieno di calore umano.
Cesare: Un tipo caratterizzato da una straordinaria capacità di ripresa fisica in quanto riesce non solo a ristabilirsi da brutte malattie, ma ad essere vispo in brevissimo tempo. Cesare è un ragazzo gioioso e spontaneo.
Primo Levi: Il protagonista ed il narratore di questa opera in quanto vive la vicenda in prima persona.
Del suo aspetto fisico Levi non ci dice niente, ma dalla narrazione delle azioni che compie si può dedurre che è un tipo amichevole, un personaggio dal carattere forte, che non si perde mai d’animo anche di fronte alle difficoltà più estreme, cercando di farsi forza e coraggio guardando sempre avanti e dimenticando le crudeltà subite.
Marja Fjodorovna: E’ una donna che Levi incontra nel campo di sosta di Katowice e con la quale collabora per un certo tempo come "farmacista" presso l'infermeria dello stesso campo. Simile ad una gatto sia per gli occhi "obliqui e selvatici", che per il naso "breve dalle narici frontali", e per le movenze agili e silenziose. I suoi modi riflettevano bene le sue origini: veniva dai boschi, dal cuore della Siberia, da un luogo dove ogni movimento è teso alla sopravvivenza fisica.
Il Moro di Verona: Un italiano che attirò sin dal principio l'attenzione dello scrittore. Era un vecchio aspro dalle ossa grandi alto e forte benché fosse molto vecchio e avesse dovuto sopportare molte fatiche. Il cranio era calvo, la faccia rugosa, gli occhi erano infossati. Era colpito da una demenza senile ma in questa sua demenza c'era della grandezza, della forza, della dignità. Levi lo descrive con tinte aspre ma allo stesso tempo vivaci: ci spiega che il suo essere burbero nascondeva in realtà un cuore d’oro, causa di una vita interamente spesa per una figlia cinquantenne paralitica dalla nascita.
GENERE
Il romanzo “La tregua” di Primo Levi è di genere realista.
ANALISI DEL LINGUAGGIO
Il linguaggio del romanzo presenta termini stranieri, per esempio i nomi dei lager. Il libro é scritto in modo semplice ma descrive molto bene i particolari che secondo l’autore sono importanti. L’ autore non dà solo descrizioni oggettive, ma esprime sempre giudizi personali.
TRAMA
Il libro inizia con l'arrivo dei Russi al campo di Buna-Monowitz, il 27 Gennaio 1945, mentre Levi e un altro sopravvissuto stanno trasportando alla fossa comune un compagno morto durante la notte.
La storia prosegue con il ricordo degli avvenimenti accaduti dopo l'avvento dei Russi: giungono i primi rifornimenti, i primi soccorsi, infermiere polacche si aggirano per il campo occupandosi dei superstiti. I prigionieri ancora in vita, i malati vengono trasferiti ad Auschwitz ("una sterminata metropoli" al cui confronto Buna-Monowitz sembra un villaggio) dove l’ autore si ammala.
Ristabilitosi, abbandona il campo aggregandosi a coloro che sono in grado di affrontare il viaggio di ritorno nei rispettivi paesi. Ma ha inizio così quella estenuante odissea che lo avrebbe condotto per circa un anno attraverso l'Europa Orientale, facendolo partecipe di avventure assurde; rendendo il rimpatrio come un miraggio. A rendere suggestivo il racconto è lo sfondo in cui si muove: un'Europa devastata, un paesaggio in disfacimento che presenta ovunque i segni della recente catastrofe e dove si collocano uomini sconvolti dalla guerra. Levi arriva al campo accoglienza di Katowice e qui passa mesi di noia e torpore. Qui la situazione diventa meno tesa e l'angoscia lentamente si trasforma in una momentanea serenità. Nel Maggio del 1945, la guerra ha fine. Nel campo i russi si lasciano trasportare dall'euforia e organizzano festeggiamenti e spettacoli. Ma poco dopo Levi si ammala di pleurite ed è in questa occasione che incontra altri singolari personaggi, come il dottor Gottlieb che esercitava la professione di medico proprio a Katowice. In quei giorni, fu comunque un vecchio Italiano soprannominato il Moro di Verona, ad attirare la sua attenzione.
Sul finire della primavera, dopo quattro mesi di attesa nel medesimo campo, giunge la notizia del rimpatrio. I reduce Italiani, circa ottocento, con fragorosa allegria salgono nei vagoni merci in partenza per Odessa dove li attende un treno che, come molti dicono, dovrebbe portarli in Italia. Ma ciò non accade in quanto il treno non giunse mai ad Odessa. Alla stazione di Emermka nella Russia Bianca, dopo sei giorni di viaggio in condizioni alquanto sgradevoli, i reduci apprendono che il convoglio non può proseguire. Intraprendono così un viaggio verso Nord, che di tappa in tappa, li porta a Staryie Doroghi, che raggiungono a piedi dopo aver sostato, per circa dieci giorni, a Slark. Giunti a Staryie Doroghi, risiedono in un gigantesco edificio detto la casa Rossa, situato in un luogo ai margini di una foresta. Qui, sempre in attesa di un rimpatrio, sostano per due mesi, fino al 15 Settembre del 1945. Finalmente arriva l'annuncio della partenza e, dopo una notte di festeggiamenti, tutti gli Italiani raccolti nel campo si dirigono alla stazione del piccolo villaggio dove c'è un treno. Ma rimangono delusi quando si accorgono che il treno ripercorre all'indietro le tappe del viaggio fatto in precedenza e ciò conferma il disordine dell'organizzazione russa.
Il convoglio viaggia con molta lentezza, con continue soste e contrattempi. Giunto a Zmerinka, dove i superstiti alcuni mesi prima avevano già trascorso giorni d'attesa angosciosi, anziché dirigersi verso il centro-Europa, scende verso Sud, fin quasi alle sponde del mar Nero, per poi risalire lentamente attraverso la Romania, l'Ungheria, la Cecoslovacchia e giungere a Vienna l'8 Ottobre, dopo un viaggio durato più di venti giorni. Sia lo spettacolo di una Europa distrutta che i continui ricordi dei reduci, fanno sembrare sempre più lontana la gioia del rimpatrio. A Bratislava, vedendo quei monti che sbarravano il lugubre orizzonte di Auschwitz, sono assaliti dall'angoscia, patiscono nuove sofferenze quando il convoglio, lasciata l'Austria, entra in Germania e raggiunge Monaco. Guardandosi attorno, osservando la gente che camminava per le strade, non possono fare a meno di chiedersi se i Tedeschi sono a conoscenza di quanto è avvenuto ad Auschwitz.
Le ultime pagine, quelle che narrano il passaggio del Brennero nella notte del 16 Ottobre sono molto tristi, in quanto se “La tregua” sta per concludersi, se la lunga odissea del rimpatrio sta per finire, per loro il futuro rimane sconosciuto, Levi si pone quindi della domande che consistono in ciò che egli ha definito "il veleno di Auschwitz" e la ragione per cui l'offesa subita è inguaribile e incancellabile nel tempo.
FINE O SCCOPO DELL’ AUTORE
Con quest’opera Levi vuol fare conoscere lo stato d’animo di un prigioniero alla fine della guerra a tutti coloro che hanno avuto la fortuna di non trovarsi in queste situazioni. Nonostante la felicità di essere finalmente libere queste persone hanno attraversato momenti di grande difficoltà. Per cui la fine della guerra e la liberazione dal lager non rappresentano una libertà definitiva ma un lasso di tempo, una tregua, in cui permane sì l’allegria e la serenità, ma vi è presente soprattutto la consapevolezza della perenne inquietudine che caratterizza la vita dell’uomo.
COMMENTO PERSONALE
Il libro é interessante soprattutto perché l’autore ha vissuto veramente l’esperienza che racconta.
L’esperienza del protagonista mi è sembrata molto interessante, benché ricca di dolore e fatti che, a prima vista, ci sembrerebbe giusto dimenticare ma che dobbiamo conservare nella nostra cultura, per non ricadere in errori terribili come quelli già commessi.

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