La quiete dopo la tempesta

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Testo

Parafrasi
La tempesta è passata, sento gli uccelli far festa, e la gallina, tornata sulla strada che ripete il suo verso. Ecco che il sereno rompe le nuvole là da occidente, verso la montagna; la campagna si libera dalle nubi e lungo la valle appare chiaro e ben distinto il fiume. Ogni animo si rallegra, da ogni parte riprendono i soliti rumori e riprende il consueto lavoro. L’artigiano, con l’oggetto del suo lavoro in mano, si avvicina cantando verso l’uscio a guardare il cielo umido; esce fuori la giovane ragazza per vedere se sia possibile raccogliere l’acqua della pioggia da poco caduta; e l’ortolano ripete di sentiero in sentiero il consueto richiamo giornaliero. Ecco che ritorna nel cielo il sole, eccolo che sorride per i poggi e per i casolari. La servitù apre le finestre, apre le porte dei terrazzi e delle logge: e dalla strada principale si sente un tintinnio di sonagli; il carro del viandante che riprende il suo viaggio stride.
Ogni animo si rallegra. Quando la vita è così dolce e così gradita come ora? Quando l’uomo si dedica con così tanto amore alle proprie occupazioni come in questo momento? O torna al lavoro? O intraprende una nuova attività? Quando si ricorda un po’ di meno dei suoi mali? Il piacere è figlio del dolore, è solo una gioia vana (un illusione), frutto del timore ormai passato, è frutto di quella paura che scosse chi odiava la vita ed ebbe terrore della morte; a causa della quale le persone fredde, silenziose, pallide sudarono ed ebbero il batticuore nel vedere fulmini, nuvole e vento diretti a colpirci.
O natura benevola, sono questi i tuoi doni, sono questi i piaceri che tu porgi ai mortali. Fra noi il piacere è uscire dalla paura, cessare di soffrire. Tu spargi in abbondanza dolore; il dolore nasce spontaneamente: e quel nostro piacere che ogni tanto per prodigio e per miracolo nasce dal dolore, è un gran guadagno. O genere umano caro agli dei! Ti puoi ritenere molto felice se ti è concesso di tirare un respiro di sollievo da qualche dolore: ti puoi ritenere beato se la morte ti guarisce da ogni dolore.

Ciascuna delle tre strofe ha particolari caratteristiche tematiche. Nella prima, il poeta descrive la quiete del paesaggio e l’alacrità delle persone dopo la tempesta; nella seconda strofa ha inizio la parte riflessiva: con una serie di domande retoriche Leopardi cerca di far capire al lettore che il piacere è figlio d’affanno, figlio del dolore, della paura, frutto dello scampato pericolo e dell’ansia ormai passata. Nella terza strofa il poeta si rivolge alla natura cortese (aggettivo usato in senso ironico, poiché essa si accanisce continuamente contro gli uomini), e al genere umano caro agli dei (anche qui Leopardi si esprime ironicamente, infatti la condizione umana appare irrimediabilmente dominata dal dolore, e gli uomini stessi sono abbandonati dagli dei a un destino crudele nella continua sofferenza).
La poesia è una canzone libera, costituita da tre strofe libere d’endecasillabi e settenari distribuiti irregolarmente.
Le rime sono semantiche, ad esempio montagna-campagna (vv. 5-6), che delimita il paesaggio, sentiero-giornaliero (vv. 17-18), che ci fa sentire l’eco della voce dell’erbaiolo, e offese-cortese (vv. 40-42), che mette in risalto cortese che ha un valore ironico. La prima rima interna (festa-tempesta) sottolinea il contrasto fra quella tempesta passata e questa gioia presente. Sono presenti inoltre due rime identiche nei vv. 51-52 (felice-lice) e nei vv. 35-38 (morte-smorte).
A livello fonico, è soprattutto la prima parte che si distingue per una massiccia presenza di suoni che la ravvivano aritmicamente: l’allitterazione della “r” nei vv. 9-10 sembra rappresentare i rumori prodotti dalle attività umane, mentre l’onomatopea del v. 23 mette in risalto il cigolio del carro. Il suono prevalente in generale è comunque “a”, chiara e aperta, che si armonizza con l’immagine del paesaggio che s’illumina e con la sensazione di sollievo che allarga il petto dell’umile gente del borgo. Nella seconda parte, dopo la sentenza “piacer figlio d’affanno”, v’è una serie d’assonanze seguite dalla rima nei vv. 35-38.
Inoltre, vi sono alcune anafore: Ecco il sol che ritorna, ecco sorride (v. 19), che sottolinea la gioia; Apre i balconi, apre terrazzi (vv. 20-21), che dà l’idea del moltiplicarsi delle azioni. Altre anafore da segnalare sono al v. 25: sì dolce, sì gradita, e ai vv. 34-37 onde…onde.
Per quanto riguarda la struttura sintattica, le due parti (la seconda parte comprende la seconda e la terza strofa ed è quella più riflessiva) in cui la lirica è divisa differiscono molto. Nella prima, i periodi sono semplici, infatti prevale la paratassi. Nella seconda, i periodi sono lunghi, complessi, sono presenti molte inversioni (per far risaltare le aspre e drammatiche parole in fine verso): questo per dare ancora di più una sensazione d’angoscia. Infatti mentre la prima parte ha un ritmo più scorrevole, la seconda è più tesa e drammatica.
A livello lessicale, vi sono sia termini aulici e letterari (augelli, rumorio, fassi, presenti prevalentemente nella prima strofa, quella descrittiva, in cui sono presenti le immagini poetiche più espressive), sia termini quotidiani (gallina, tempesta, artigiano); essi vengono anche accostati (v. 2, augelli-gallina), creando un contrasto di registro del tutto originale.

La tempesta rappresenta la natura nemica, dispensatrice d’affanni. Passata la tempesta, la vita riprende il suo corso nella letizia, nella gioia dello scampato pericolo. Inizia una meditazione in cui il poeta spiega quella letizia e ne studia le cause. Anche chi temeva e odiava la vita, messo a rischio di perderla, si scuote e ne avverte per un momento il fascino. Perciò gli uomini nello scatenarsi del temporale, vedendo fulmini, venti, pioggia congiurati a minacciarli e danneggiarli (mossi alle nostre offese), e costretti a sopportare queste minacce (un lungo tormento), sudano, palpitano, trepidano e poi, svanito il pericolo, riscossisi, provano finalmente piacere e riassaporano la gioia della vita.
Il canto, iniziato con una lieta apertura sulle campagne rasserenate e sui cuori umani che tornano ad essere fiduciosi, finisce con pensieri tristi sul destino umano: Leopardi descrive la sofferenza di tutti gli uomini che raggiungono la vera felicità solo nella morte.
Numerosi enjambements mettono in evidenza le parole tematiche della poesia (sereno al v. 4, duolo al v. 47, umana al v. 50), e servono da collegamento tra le varie strofe.
I vv. 45-46 assumono significato centrale nel canto, infatti riassumono il tema principale del componimento e del pensiero leopardiano: il piacere e la felicità come pure illusioni, che possono discendere solo dalla momentanea cessione di un dolore. Estendendo questo pensiero, si evince tutto il pessimismo leopardiano: il piacere supremo consiste con la morte.

Il piacere come illusione è uno dei temi maggiormente trattati da Leopardi nelle sue liriche. Il sabato del villaggio è forse il canto che, insieme a La quiete dopo la tempesta, meglio riassume la riflessione di Leopardi su questo argomento. Ne Il sabato del villaggio viene descritto il sabato di una sera qualunque vissuto in un paese di campagna: tutti sono lieti e felici per l’arrivo della domenica, unico giorno di riposo della settimana. Ma quando essa sarà giunta, non porterà altro che disillusione e infelicità, poiché verranno meno le speranze e le attese del giorno precedente e il pensiero di ciascuno sarà rivolto al lavoro della settimana che sta per iniziare. Tutta la poesia è quindi un invito a non vivere la felicità nell’attesa e a godere intensamente dei brevi attimi di piacere.
Mentre in La quiete dopo la tempesta Leopardi predicava il ritorno della felicità dopo il cessato timore per le forze della natura, ne Il sabato del villaggio egli sembra condannare il destino umano ad una condizione di infelicità immodificabile, che è dentro l’uomo stesso. Tuttavia non vi è un distacco così grande tra le due liriche, in quanto anche in La quiete dopo la tempesta Leopardi conferisce un carattere assoluto all’infelicità, facendoci capire che l’unica e vera felicità consiste nella cessazione di ogni dolore, ovvero la morte.
Il poeta sembra mostrare stima e simpatia verso le persone del paese, rispettando soprattutto la loro condizione di umili.
Come anche Il sabato del villaggio, la poesia si presenta divisa in due parti, una descrittiva e una riflessiva. Non si può parlare di squilibrio tra le due parti perché ciascuna è fondamentale all’esistenza e al fine dell’altra. Infatti la prima, attraverso scene di vita quotidiana, “prepara il terreno” alla seconda in cui, utilizzando proprio le immagini cantate prima, il poeta fa la propria riflessione sull’esistenza. Ed esprimere la propria idea esplicitamente, e non solo attraverso metafore (come il sabato o la tempesta), mette ancora di più in risalto il monito all’umanità.

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  1. giogia

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