La poesia

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Testo

LA POESIA
Non possiamo dare una definizione specifica di ciò che è la poesia, sarebbe troppo riduttiva..perciò possiamo solo dire cos’è la poesia per i poeti appartenenti a epoche e generazioni diverse. Possiamo quindi trarre tre caratteristiche proprie della poesia. Per Leopardi la poesia equivale a piacere, felicità che invade il poeta nell’atto di comporre e il lettore al momento della fruizione del testo. Ungaretti invece pone l’accento sulla sofferenza continua del poeta che si sforza di tradurre in parole l’universo e i sentimenti dell’uomo. Cattafi la vede come finzione, menzogna attraverso la quale si raggiungono e si trasmettono le più grandi verità dell’uomo.
Ora possiamo dire che poesia è finzione, creazione di un mondo fantastico profondamente legato a quello reale, attraverso il quale il poeta esprime sentimenti e idee, parla si sé e degli altri, traduce in parole l’universo procurando a sé e ai lettori un particolarissimo piacere intellettuale.

IL PIACERE DELLA POESIA
Il piacere creato dalla poesia è il risultato di una serie di combinazioni e compenetrazioni di diversi elementi: il ritmo dei versi, la collocazione e la scelta delle parole, l’organizzazione dei suoni, le immagini e i temi. Questi elementi si kiamano livelli del testo, ognuno di questi si unisce all’altro e si rafforzano arricchendo e potenziando il messaggio poetico.
La poesia non è frutto di un ispirazione, non è qualcosa di spontaneo e ingenuo che sgorga dal cuore, secondo l’immagine stereotipata del poeta visto come un essere languido o tormentato e passionale che scrive sotto un impulso immediato e incontrollabile. Ma il piacere della poesia è prodotto dall’utilizzo di certe tecniche formali che l’autore più in la saprà piegare con naturalezza alle sue esigenze espressive. Quindi la funzione poetica, oltre a predominare è utilizzata a + alto livello. Le tecniche che stanno alla base del testo poetico sn divise in 2 gruppi:

Piano del significante
Piano del significato
Verso
Scarto linguistico
Scelte fonetiche
Parole chiave
Rima
Figure retoriche del significato
Figure retoriche fonetiche dell’ordine

PIANO DEL SIGNIFICANTE
Il verso
il testo poetico è scritto in versi. Questa parola deriva dal latino vertere che significa “tornare indietro, girare” mentre prosa deriva dall’aggettivo latino prorsus “ciò che va in linea retta”. Oratio prosa o prosa era nel mondo latino “il discorso che procedeva linearmente per tutta la riga”. Quindi il verso è ciascuna delle righe che formano la poesia, alla fine della quale il poeta va a capo.
Il fatto che un verso poetico sia scritto in versi provoca due effetti: uno sul piano grafico e uno su quello fonetico. Sul piano visivo possiamo dire che gli spazi bianchi mettono in risalto sia i versi che le singole parole. È il segno grafico del silenzio. È come se le parole emergessero e si accendessero di una molteplicità di sensi. Se fossero in posizione lineare non ci darebbero un senso suggestivo. Il verso opera anche a livello di suoni, a livello fonico-ritmico, gli conferisce musicalità che nn si riscontra in un brano in prosa. È la ripetizione che conferisce un praticare ritmo che si accorda con quello della musica. Questa affinità tra poesia e musica non deve stupirci perché in un tempo remoto poesia e musica furono impiegate simultaneamente (poesia dei tempi di Omero).
Un'altra distinzione è tra poesia in versi tradizionale e moderna: la prima segue regole precise e la seconda è libera e viole le leggi della versificazione.
Quella tradizionale è costituita:
da un determinato numero di sillabe
dalla ripetizione degli accenti a livelli regolari; tale ripetizione crea il ritmo.

In base al numero di sillabe i versi si distinguono in parisillabi e imparisillabi.

PARISILLABI
IMPARISILLABI
decasillabi 10
s’ode a destra uno squillo di tromba
endecasillabi 11
nel mezzo del cammin di nostra vita
ottonari 8
quant’è bella giovinezza
novenari 9
e s’aprono i fiori notturni
senari 6
piove su i pini
settenari 7
e tu, lenta ginestra
quaternari 4
si sta come
quinari 5
il morbo infuria
trisillabi 3
tossisce

Non basta però creare una sequenza di parole sintatticamente organizzate, formate da un determinato numero di sillabe, bisogna che il verso abbia un ritmo che si ripeta sempre uguale, in modo da creare una certa musicalità. Ciò che conferisce al verso una certa musicalità è la ripetizione degli accenti a intervalli regolari.
Ogni parola è dotata del suo accento tonico che può cadere sull’ultima sillaba, tronca, sulla penultima, piana, sulla terzultima, sdrucciola. Nel verso ogni parola mantiene il suo accento tonico, alcuni però sono rafforzati dalla coincidenza con l’accento ritmico detto ictus (battuta, percussione), che cade in determinate sedi del verso.
Proprio la costante ripetizione degli accenti crea il ritmo e quindi la musicalità della poesia. Da qui una delle componenti del piacere del testo poetico.

SCELTE FONETICHE E RAPPORTI TRA SUONO E SIGNIFICATO
Tra i diversi tipi di testo, quello poetico è l’unico nel quale l’aspetto fonetico abbia importanza sul piano del significato. Il ritmo oltre ad avere una funzione di musicalità per il componimento, esso conferisce particolare rilievo alle parole sulle quali cade l’accento. Il poeta intende sottolineare le dimensioni del suono, del canto, per coinvolgere il lettore e renderlo partecipe della sua vicenda d’amore. Il verso è costruito in modo che si venga a creare una corrispondenza tra il piano dei suoni e quello del significato,questa corrispondenza li rafforza e li carica di un di più di senso. Ma nn è una prerogativa solo del verso, possiamo coglierlo anche nei singoli suoni:
io venni in loco d’ogni luce muto,
che mugghia come fa mar per tempesta
se da contrari venti è combattuto.
Il suono cupo della U rafforza l’impressione di oscurità e di angoscia espressa sul piano dei significati. (dante si trova in un luogo buio e tempestoso, inferno, canto V.)
In leopardi invece, e chiaro nella valle il fiume appare (quiete dopo la tempesta) la A ripetuta 5 volte suggerisce chiarezza, mentre la U ripetuta 1 volta suggerisce oscurità. Ancora una volta suono e significato si corrispondono e si alleano.
Possiamo notare anche nella poesia di Pascoli come la I compaia 11 volte:
ho nell’orecchio un turbinio di squilli,/ forse campani di lontana mandra/ e tra l’azzurro penduli gli strilli della calandra (dall’origine).
La ripetizione diventa quasi pungente quando è rafforzato dall’accento (turbinio, squilli, strilli), Pascoli esprime la sensazione di qualcosa di esile, di fragile ma allo stesso tempo di penetrante (strilli della calandra, uccello dalla voce acuta).
Dobbiamo inoltre precisare che i suoni nn sono portatori di particolari significati, ma il modo in cui il poeta li distribuisce nel testo che lo arricchiscono di un messaggio più profondo che può variare da poeta a poeta. Per esempio in Carducci il suono della R sottolinea il movimento e insieme il rumore dei carri, tutto sommato piacevole (sogno d’estate). In Ungaretti invece indica, unita ad altri suoni aspri (labiali e dentali), comunica sensazioni di dolore e sofferenza, di totale assenza di vita (sono una creatura).

LA RIMA
Un altro elemento che ricorre in quasi tutti i componimenti è la rima. La rima è la perfetta uguaglianza dei suoni finali di due parole a partire dalla sillaba accentata. Questa sfrutta un principio fondamentale della lingua, ovvero la tensione fra identità e differenza. Si basa sulla somiglianza dei suoni e sulla diversità dei significati. Tuttavia fa in modo che tra esse si venga a creare un rapporto a livello di senso. Quindi possiamo dire che il significato della poesia non è solo nel susseguirsi delle parole nel loro ordine lineare, ma anche delle relazioni che, grazie alla rima, si vengono a creare sull’asse verticale.
Ora possiamo dire che le rime si dividono in rime ricche e rime povere. Sono ricche quelle nelle quali la coincidenza sonora è accompagnata da marcata differenza di significato (ragiono/perdono). Invece le rime povere sono quelle, molto rare, fondate sulla ripetizione della stessa parola, per cui si ha l’uguaglianza di suono e di significato; inoltre ci sono quelle grammaticali, costituite da parole che appartengono alle stesse categorie grammaticali e da suffissi analoghi (prendere/rendere). Queste sn dette rime facili e di solito vengono evitate dai poeti.
Il verso, il ritmo, la rima sono delle leggi che incanalo l’espressione del poeta e lo obbligano a scegliere parole invece di altre. In poesia è la forma che comanda sul contenuto, non viceversa. A partire dall’ottocento però i poeti non seguirono + quelle regole e cominciarono a comporre utilizzando i versi sciolti, cioè senza essere legati alla rima; i poeti moderni addirittura usano il verso libero, che non ubbidisce a nessuna regola predefinita, ne alla rima, ne al metro, quindi nn si ha un numero definito di sillabe né ictus regolari (Ungaretti, vanità). Ora si sono create nuove regole, più personali e quindi più aderenti alle loro esigenze espressive.

PIANO DEL SIGNIFICATO
Lo scarto linguistico
Accanto alla forma sonora, un altro elemento è l’adozione di un linguaggio che viola sia sul piano delle scelte lessicali, sia su quello della disposizione delle parole, il normale codice della comunicazione.
Prendiamo in esempio Eugenio Montale, egli x indicare un momento della giornata ha usato un verbo raro usato all’infinito (meriggiare) e vi ha avvicinato due aggettivi riferiti ad esseri umani (pallido e assorto). In tal modo ha creato una compenetrazione tra il mondo della natura e quello dell’uomo, e con un numero ridotto di parole è riuscito ha creare due immagini: una della luce accecante del meriggio, e q del soggetto assorto nelle sue meditazioni. (meriggiare pallido e assorto).
Ungaretti crea un’inconsueta relazione tra il paese del Carso, ridotto ad un cumulo di macerie dopo la guerra, e il suo cuore lacerato in ricordo delle persone morte nel conflitto. (è il mio cuore il paese + straziato).
Pascoli gioca con il nome che erano soliti dare i contadini alle pleiadi, chioccetta , paragonando il cielo azzurro a un’aria e il palpitare delle stelle ad un pigolio, creando una metafora originale ed efficacie. (la chioccetta x l’aria azzurra va col suo pigolio di stelle)
Nei tre casi gli autori non hanno utilizzato associazioni linguistiche tipiche del linguaggio quotidiano, ma hanno creato accostamenti inconsueti, istituendo relazioni tra gli aspetti più lontani della realtà: il cuore umano è un paese, la costellazione è un’aia popolata di pulcini. Lo scarto linguistico è avvenuto sull’asse della selezione, sul piano cioè della scelta delle parole (figure retoriche del significato).
Considerando alla fine: sempre caro mi fu quell’ermo colle. Un famosissimo verso di Leopardi nel quale non è segnalata l’originalità della scelta lessicale, bensì la disposizione delle parole. Il poeta ha invertito l’ordine delle parole operando sull’asse delle combinazioni che riguarda appunto la disposizione delle parole. Dunque, mentre nella prosa la successione dei segni linguistici ubbidisce alle regole convenzionali, soggetto e poi verbo, in poesia assai spesso è costruita sull’infrazione di quest ordine e quindi sull’inversione dei termini. Questa violazione serve x dare rilievo a certe parole, e conferisce al messaggio quel significato in più che è proprio del testo letterario, e di q poetico in particolare. Essa è regolata da particolari artifici stilistici come le figure retoriche dell’ordine.

LE PAROLE CHIAVE
Nel testo poetico ci sono delle parole che acquistano un importanza maggiore di altre, perché racchiudono in sé i temi centrali del componimento e ne forniscono la chiave di lettura, per questo vengono chiamate parole chiave.
Solitamente svolgono questa funzione le parole che vengono ripetute più volte nel testo, quasi a ribadirne l’importanza. Per esempio nella lirica di X agosto di Pascoli notiamo che la parola cielo ricorre 4 volte, indica la vastità cosmica, contrapposta al male del mondo ma distante e indifferente ad esso; inoltre la parola nido-tetto 3 volte, questa racchiude in sé il tema della casa nido, centro di affetti profondi e di legami di sangue, in cui l’uomo è protetto dal male. Entrambi rinviano ai temi portanti nn solo della poesia ma anche di tt la produzione pascoliana.
Può capitare anche che le parole chiave nn siano contenute nel componimento, ma si possano dedurre in base all’organizzazione lessicale in aree comuni di significato (campi semantici).
Prendendo in considerazione la poesia Pianto antico di Giosue Carducci, x il figlio morto all’età di 3 anni, noteremo che la forza espressiva della lirica si concentra intorno a due parole chiave: vita e morte, che non sono presenti nel testo. Eppure tt il lessico della lirica si addensa intorno a questi due poli. Al polo della vita rinviano le parole che esprimono l’idea della luce, del colore, della rinascita. Al polo della morte si collegano i termini che si riferiscono al buio, al freddo, all’inaridimento.
Altre volte assurgono questo ruolo le parole dotate di una ricchezza semantica che racchiudono una complessa sfera di sentimenti e d’idee. Essi sono così messi in rilievo anche dalla posizione che occupano nel verso.

Un componimento poetico è una struttura inamovibile: è costituita cioè da diversi elementi ciascuno dia quali non può essere modificato o spostato, pena la distruzione del messaggio. Nel testo poetico nn è possibile operare alcuno spostamento senza turbare l’equilibrio dell’insieme. Il messaggio non è separabile dal modo in cui è espresso. Il piacere della poesia nasce dalla capacità di scoprire il compresso intreccio dei piani testuali (suoni, parole, figure retoriche, strutture sintattiche, ritmo dei versi). Attraverso il quale l’autore ci fa giungere il suo messaggio.
Se il lettore legge attentamente una poesia andando oltre le immagini che l’autore ha descritto nell’opera o del tema che ha esplicitamente trattato, riuscendo ad avvertire il senso vero e profondo della poesia si è reso conto del carattere simbolico del testo poetico.
Consideriamo di nuovo la lirica di Montale (meriggiare pallido e assorto)
Il poeta descrive le sensazioni visive e auditive provate durante un meriggio assolato e le esprime nn solo con il semplice significato delle parole, ma servendosi di una trama di suoni aspri e pungenti e di immagini che comunicano impressioni di calore e di aridità. Ora, è evidente che queste immagini e i suoni rinviano a qalcos altro, racchiudono in sé un significato + profondo. Attraverso la descrizione di quel particolare paesaggio, Montale ha voluto rappresentare simbolicamente il travaglio della vita umana, nel corso della quale l’uomo è condannato alla solitudine e all’incomunicabilità. Allo stesso modo Petrarca quando vuole descrivere la sua sofferenza d’amore, intende esprimere attraverso la metafora dell’amore la sua condizione esistenziale dolorosamente scissa in due poli: l’attrazione verso le cose divine e l’aspirazione al divino. Quindi possiamo infine dire che un altro aspetto importante del testo poetico è il suo carattere simbolico.
Caratteristiche del testo poetico:
prevalenza della funzione poetica
stretta compenetrazione tra il significante e il significato che dà vita a una struttura
inamovibile
carattere simbolico

LA VERSIFICAZIONE ITALIANA
La versificazione italiana si fonda sul numero delle sillabe e sugli accenti ritmici (ictus) che all’interno del verso sottolineano alcune sillabe che vengono dette forti, distinguendole da altre che vengono dette deboli. Ciascuna parola mantiene il suo accento tonico, ma alcuni di q accenti possono essere rafforzati dalla coincidenza, che può anche non esserci, tra accento tonico e ritmico.
Le sillabe si dividono in parisillabe e imparisillabe, i primi hanno ictus fissi e gli accenti ritmici cadono sempre sulle stesse sillabe, nel secondo gli ictus sono mobili. X poter computare esattamente il numero delle sillabe in un verso, bisogna tener conto delle figure metriche e l’ultima parola del verso.

FIGURE METRICHE
Sinalefe: è la fusione in un ‘unica sillaba della vocale finale di una parola con la vocale iniziale di un’altra. (so/loe/pen/so)

Dialefe: è il fenomeno inverso della sinalefe, si verifica quando la vocale finale di una parola e quella iniziale della parola successiva formano due sillabe separate (quando le vocali sono accentrate)

Sineresi: nel fondere in una sola sillaba, all’interno di una parola, due o + vocali vicine, ma appartenenti a sillabe diverse.

Dieresi: cioè separazione, è opposta alla sineresi, il dittongo si divide in + sillabe x rallentare il dilatare del ritmo.

ULTIMA PAROLA DEL VERSO
Se è piana, accento sulla penultima sillaba, esso ha il numero di sillabe indicato dal suon nome es: endecasillabo piano.

Se la parola è tronca avrà una sillaba in meno (decasillabo tronco=9)

Se la parola è sdrucciola, accento sulla terzultima sillaba, il verso avrà una sillaba in +.

Una volta detti i criteri x contare le sillabe, esaminiamo i vari tipi di accenti ritmici:
Trisillabo: un solo ictus sulla seconda sillaba.
Quaternario: 2 accenti sulla prima e sulla terza sillaba. Usata raramente.
Quinario: 2 ictus fissi sulla seconda e sulla quinta sillaba.
Settenario: ha un ictus fisso sulla sesta sillaba e altri mobili che possono cadere su una delle prime 4. molto utilizzata.
Ottonario: è un verso parisillabo, un ictus fisso sulla settima sillaba e un altro sulla terza, poco usato x nn creare monotonia.
Novenario: ha ictus fissi sulla seconda, quinta, ottava sillaba.
Decasillabo: ha ictus sulla terza, sesta e nona sillaba, ml usato n liriche risorgimentali.
Endecasillabo: + usato e il + armonioso, x la sua varietà dei ritmi. La posizione dell’ictus può essere: sulla 6 e sulla 10 sillaba, sulla 4, 7, 10 sillaba, o l’ictus può essere sulla 4, 8, 10 sillaba.
LE STROFE E I COMPONIMENTI METRICI
I versi si raggruppano in unità metriche che vengono a chiamarsi strofe (dal greco strophé, rivolgimento).
Le strofe a schema fisso sono:
distico: due versi.
terzina: è costituita da 3 versi che possono essere a rima incatenata (modello dantesco), oppure a rima ripetuta o incrociata
quartina: da 4 versi a rima alternata o incrociata.
sestina: da 6 versi, di cui i primi 4 sn a rima alternata, gli ultimi due a rima baciata. Possono essere versi dello stesso tipo o versi differenti.
ottava: da 8 versi, solitamente endecasillabi, primi 6 a rima alternata, e gli ultimi due a rima baciata.
nona rima: nove versi.

Dalle strofe regolari si distingue la strofa libera, costituita da una combinazione di versi regolari o liberi, che non segue uno schema fisso, ma si articola secondo l’ispirazione del poeta. Esempi di strofa libera lo troviamo nei canti leopardiani, nei poeti + moderni invece sono + frequenti i raggruppamenti strofici di versi liberi.

I COMPONIMENTI METRICI
Più strofe messe insieme creano particolari strutture metriche. Le + comuni sono:
il sonetto: è costituito da 14 endecasillabi raggruppati in due quartine e due terzine. Le prime possono essere a rima alternata o incrociata(ABBA); le seconde rime alternate (CDC-DCD), ripetute (CDE CDE) o invertite (CDE-EDC). È adoperato x le tematiche più svariatew, dalle amorose a quelle esistenziali o politiche.
la canzone: usata dai poeti x scopi + nobili ed elevati. È formata da 5 strofe e +, dette stanze, costituite da un numero uguale di versi, di solito endecasillabi e settenari. Ogni stanza è divisa in due parti: fronte: articolata in due sezioni:dette piedi. Sirima o coda, che può essere articolata anch’essa in due parti dette volte. Tra la fronte e la sirima può esserci un verso di collegamento detto chiave. La canzone può essere conclusala una strofa + brave detta commiato o congedo. Dalla canzone petrarchesca, si distingue la canzone libera leopardiana.
la ballata: uno dei componimenti + antichi. Si diffuse nel duecento e nel quattrocento. È accompagnata da un motivo musicale, al cui ritmo si eseguiva una danza. È costituita da stanze in cui si intrecciano endecasillabi e settenari e da un ritornello, che si trova all’inizio del componimento e viene ripetuto dopo ogni stanza.

LE FIGURE RETORICHE
Le figure retoriche sono largamente adoperate in poesia, la cui caratteristica è quella di deviare dall’uso linguistico normale. Servono a rendere il discorso, specie q letterario, + espressivo e ricco di significati.
Le figure retoriche vengono solitamente divise in:
-figure fonetiche, quando riguardano la ripetizione o il parallelismo dei suoni.
-figure dell’ordine, quando investono la disposizione delle parole in un determinato contesto.
-figure del significato, quando implicano delle relazioni inerenti al significato dei termini adoperati

FIGURE FONETICHE
Allitterazione, assonanza, consonanza, onomatopea, paronomasia.

FIGURE DELL’ORDINE
Anafora, antitesi, chiasmo, enumerazione, gradazione o climax, inversione: iperbato e anafora.

FIGURE DEL SIGNIFICATO
Similitudine
Metafora: è la + diffusa figura retorica fondata sul meccanismo del “trasferimento del significato”. Può essere definita un paragone abbreviato tra due realtà idealmente lontane, ma accomunate da un tratto di significato: (pelle,morbidezza,velluto). Il meccanismo che sta alla base della metafora si articola in 3 fasi:
1.associazione: un rapporto fra due realtà distanti che abbiano un tratto in comune, pelle-velluto.
2.abbreviazione: si sintetizza il rapporto eliminando i termini che lo rendono implicito: pelle (morbida come) il velluto.
3. sostituzione: si trasferisce il termine noto con il termine di un altro campo semantico: pelle di velluto.
La metafora può essere costruita con aggettivi, sostantivi e verbi.
Nell’ambito della metafora bisogna distinguere le figure d’uso e le figure d’invenzione. Le figure d’uso sono parole di uso quotidiano ormai, che non vengono sentite come metafore (le gambe del tavolo), le figure d’invenzione sn quelle k troviamo nei testi letterari e si fondono su accostamenti nuovi, facendoci scoprire sfaccettature diverse della realtà (nebbia di latte).
Analogia: si fonda sullo stesso procedimento della metafora e della similitudine, solo che questa nn po’ essere considerata come una vera figura retorica, ma piuttosto un modo per mettersi in rapporto con il mondo creando accostamenti fulminei, sintesi folgoranti, frutto della visione assolutamente soggettiva e irrazionale delle cose. cominciò ad essere usata soprattutto a partire dal decadentismo. Dalla similitudine alla metafora all’analogia si assiste ad una progressiva riduzione dei termini. La similitudine sottolinea in modo esplicito gli elementi che si accomunano, la metafora sottintende questo elemento mettendo direttamente a contatto i due termini di paragone. L’analogia elimina il primo termine di paragone, lasciando al lettore il compito di dedurlo sulla base del contesto.
Metonimia, sineddoche, ossimoro, sinestesia, iperbole, litote, eufemismo, preterizione, ellissi, allegoria, parallelismo.

Esempio



  


  1. alessio

    la calandra

  2. laura

    un riassunto sul linguaggio della poesia