La medicina

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Testo

LA MEDICINA

Nessuno me lo aveva detto, non c’erano prove che le cose stessero effettivamente così. Eppure sentivo, con assoluta certezza, che qualcuno mi seguiva.
In un primo momento tentai di tranquillizzarmi, era impossibile che tra tutta la gente che avevo attorno ci fosse qualcuno che tallonava proprio me, ma era tutto inutile. Qualcuno mi stava pedinando, non ero pazza, ne ero sicura.
Accelerai il passo e mi girai un paio di volte, nell’assurda speranza che il mio inseguitore si facesse riconoscere. A circondarmi c’era però solo una gran folla, persone che parevano tutte uguali e che si accalcavano tra le vie principali della città.
Senza quasi accorgermene presi a correre. La mia mente era occupata da mille pensieri e nemmeno mi accorgevo delle persone con cui mi scontravo continuamente e che mi rivolgevano insulti.
Solo una decina di metri e avrei visto la porta di casa, ci mancava poco; svoltai l’angolo ed eccola, bianca e un po’ rovinata come l’avevo lasciata. Infilai freneticamente la chiave nella serratura, il rumore arrugginito che sentii mi parve una melodia che mi rassicurava. Ero finalmente a casa, al sicuro.
Posai a terra la pesante valigia che mi ero trascinata fino a quel momento, sembrava che il sangue avesse ricominciato a scorrere solo allora, ripresi lentamente fiato. Era tornata la normalità, nulla come quelle quattro mura mi rassicurava di più.
Solo allora il mio sguardo cadde sulle lettere sparse vicino all’uscio, che probabilmente avevo pestato; le passai velocemente con gli occhi, tutti conti da pagare o pubblicità, niente di importante.
Non ci volle molto perché mi tornasse in mente la sensazione che mi aveva accompagnata negli ultimi minuti. La curiosità a quel punto fu più forte della paura, mi avvicina cauta ed esitante a una finestra e scostai leggermente la persiana, giusto il necessario per vedere la via di fronte. Sempre le stesse persone, sembravano tutte identiche, il mio inseguitore poteva essere chiunque.
Tentai di scacciare quell’ultimo pensiero, ma non feci in tempo ad allontanarmi dal vetro che il telefono squillò. Sussultai e un gridolino mi uscì dalle labbra… non riuscivo a muovere un muscolo, ero immobile e il telefono nel frattempo continuava a squillare, incessantemente. Tentai di raggiungerlo, lo fissavo senza battere ciglio e infine riuscii ad afferrarne la cornetta; la portai lentamente all’orecchio e quei pochi attimi sembrarono infiniti.
«Buon giorno Elena, sono io, tutto a posto?»
Il battito cardiaco ritornò regolare, la voce mi era familiare, era il Dot. Bonelli.
«Elena, ci sei??? » riprese il dottore, con un filo di preoccupazione.
Mi riscossi e risposi frettolosamente:
«Eccomi, eccomi, scusi, ero soprappensiero»
«Ma perchè ci hai messo tanto?» chiese lui.
«No no, niente »
«Ah ok, com’è stato il rientro a casa?»
«Tutto bene. Sa, dopo tanto tempo passato in clinica devo riabituarmi alla solita routine, senza più psichiatri e matti intorno…»
«Capisco, però hai dimenticato qui le tue medicine, te ne sei accorta? Passa a prenderle domani, sai che cosa ti capita altrimenti… immagini cose non reali!!!»

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